…e la Sinistra?

Quando dispenso giudizi sulla Sinistra, in quell’ambito non riesco a ritrovare il Partito Democratico, che pure dovrebbe rappresentarne una parte non indifferente, essendo riconosciuto mediaticamente come tale, come una rappresentanza (parziale) del mondo della Sinistra. A dire il vero, on si può certo dire che coloro che hanno prodotto i principali documenti istitutivi (Statuto e Carta dei valori) siano degli ipocriti: provate a spulciare quelle carte (le trovate sul web) e scoprirete che non troverete da nessuna parte la parola “Sinistra”, quella che pure accompagnava la dizione “Democratici” fino al 2007. Su Wikipedia troverete che “Il Partito Democratico (PD)è un partito politicoitaliano di centro-sinistra (ecco solo qui la trovate in minuscolo come se si trattasse di cosa marinale residuale, fondato il 14 ottobre 2007″ ma è ovviamente un’opinione non ufficiale.

Ma uno dei più gravi problemi che caratterizza la “Sinistra”, quella che in modo diverso presume di essere – forse non solo, ma in prevalenza, quella italiana – è la profonda inveterata incancrenita ormai da anni, ormai quasi un’abitudine abitudine reiterata orgogliosamente, volontà di contarsi, di sentirsi scorrere nelle vene sangue puro di rivoluzionari. Ma la loro rivoluzione si ferma di fronte alle mura possenti dei fortilizi che si sono costruiti, che non consentono una benché minima apertura al dialogo, al confronto dialettico che è alla base della convivenza socio-politica civile.

Non ci si può accontentare di sentirsi appagati per la propria dimostrazione di coerenza, soprattutto poi quando in modo straordinario ma purtroppo provvisorio ed insufficiente ci si va chiedendo “come mai la Sinistra stenti ad essere rappresentata negli organismi politici a tutti i livelli”.

La domanda è non solo legittima, ma è necessaria per avviare una riflessione più profonda che coinvolga anche tante di quelle persone che sono fuori da quei fortilizi e si sentono defraudati nelle loro idee che, a volte – o tante volte – possono essere connotate da una forma di azione pratica (il pragmatismo della casalinga di Voghera) che lascia trasparire insofferenza verso la sicumera ideologica dottrinale di chi si ritiene possessore di verità assolute ma impraticabili se non a costo di una certa disponibilità revisionistica.

Non si può dunque dare risposte semplici domande complesse. Ma se la Sinistra, quella rinchiusa nelle proprie mura vuole crescere deve aprirsi al confronto, partendo certamente dai “fondamentali” ma allo stesso tempo preparandosi a proporre non solo denunce dei “mali” che attanagliano la società civile ma anche soluzioni e poi occorre lavorare di più sui territori emarginati e sui bisogni che vengono espressi e non captati adeguatamente. Questo ha generato, anche per colpa di agenti esterni come la pandemia, una grande solitudine.

Continueremo a parlarne…..

Intanto, ciao Massimo! Sono così svuotato dentro da stamattina, quando uno dei miei più cari amici mi ha comunicato che eri mancato!

…e chi la farebbe, questa “rivoluzione culturale”?!

Occorrono anni di preparazione, di “lunghe marce”, per poter compiere una “rivoluzione culturale” che possa davvero creare le condizioni per un cambiamento. Pur nelle enormi difficoltà (e forse anche per queste) le nuove generazioni, ivi compresa la mia, sono troppo spesso rassegnati a subire le scelte dei propri amministratori, dei governanti senza scrupoli travestiti da difensori della onestà ma pronti a cambiare strada ad ogni piè sospinto, pur di ottenerne vantaggi per se stessi e per i suoi. I dati di cui disponiamo quotidianamente ci svelano una società ormai in declino, nella quale i “valori” sono semplicemente bandiere sventolanti senza reali contenuti, giusto per potersi illudere di rivivere vecchie stagioni gloriose.

E mi vengono in mente gli ultimi versi de “Le belle bandiere” di Pier Paolo Pasolini

…..“E, su tutto, lo sventolio, l’umile, pigro sventolio delle bandiere rosse: Dio! , belle bandiere degli Anni Quaranta! A sventolare una sull’altra, in una folla di tela povera, rosseggiante, di un rosso vero, che traspariva con la fulgida miseria delle coperte di seta, dei bucati delle famiglie operaie- e col fuoco delle ciliege, dei pomi, violetto per l’umidità, sanguigno per un po’ di sole che lo colpiva, ardente rosso affastellato e tremante, nella tenerezza eroica d’un immortale stagione!”

Ma questo è davvero uno degli aspetti rivelatori della stagnazione culturale che sta travagliando il mondo della Sinistra, quella parte onesta di essa che vive ancora di sane illusioni. Essi meritano rispetto come si confà nei rapporti civili familiari e amicali. Ma bisogna che qualcuno li risvegli da quella sorta di torpore catatonico cui si sono ormai assuefatti, continuando a credere che basti scendere nelle piazze a contarsi.

Serve, certamente, ma occorre accompagnare queste manifestazioni con richieste perentorie rivolte a coloro che sono stati designati democraticamente a sostenere i reali bisogni “comuni”, affinché si pongano all’ascolto e si propongano di affrontare le problematiche più urgenti, che si appoggiano sui valori fondamentali ma si palesano come concretezze sempre più difficili, perché troppo spesso appesantite da interessi “complessi” cui non ci si riesce a sottrarre. Ne è un esempio tutta la vicenda della cosiddetta “Multiutility” di cui si è discusso a Prato. Il Partito Democratico in questa città sembra essersi asservito ad interessi che poco hanno a che fare con quelli della cittadinanza che – con una maggioranza politica di un Centrosinistra appannato – amministra.

Intanto, dopo le Primarie (abbiamo avviato una riflessione partendo da queste), e passata la festa ora si ritorna alle vecchie pratiche……

Ne riparleremo. Ringrazio (Paolo) che mi ha inviato le sue riflessioni….

A presto

Non c’è niente di nuovo…o perlomeno quel che c’è è insufficiente, categoricamente e inesorabilmente….

Siamo stati in molti, forse troppo pochi e intimiditi dal fatto che non eravamo (in modo troppo surrettizio) riconosciuti come “i veri sostenitori del cambiamento”. Siamo stati additati come gufi e traditori, ci hanno accusato di (s)parlare senza averne diritto. Personalmente ho protestato con correttezza e una certa rassegnazione timida, forse anche consapevole della sordità degli interlocutori, quasi tutti già assegnati ed assegnatari di comodi posti acquisiti con la “fedeltà” ai capetti di turno e alla causa dell’acquiescenza. Certamente, l’ho sempre ribadito, in gran parte meritevoli perché competenti. Poi, il mio “silenzio” è stato dovuto anche a problemi molto seri e personali, di cui ho parlato poco.

Quel che è accaduto nelle scorse settimane intorno al Partito Democratico è in assoluto degno di grande attenzione. Il divario tra iscritti e “popolo democratico” (le eccezioni segnalate con la presenza di “intrusi” sono residuali) ha descritto una società che ha bisogno di cambiamento ed è in contrapposizione con la stragrande maggioranza di coloro che sono “rimasti” attaccati al Partito con una tessera il cui valore è semplicemente aggregato alle mire poco più che personali di un apparato che meritava di essere messo in discussione; ma così non è stato. Non mancano le eccezioni ma dico, purtroppo, dico che questo è il segnale peggiore che si poteva attendere, ma è realistico. Tanto è che si sono già in più occasioni levate voci di dissenso circa la modalità con cui si sono svolte le Primarie.

Ad ogni modo la vittoria della giovane donna, Elly Schlein, che stimo personalmente, è un segnale positivo. Ma non basta; e purtroppo non prevedo un cambiamento positivo, al di là di quanto ella sia capace di produrre in tema di “immagine” con la sua presenza e con le sue argomentazioni politiche. Il “competitor”, Bonaccini, era stato più concreto. Lo avevamo segnalato, mettendo in evidenza le sue doti di amministratore: aveva puntato quasi tutto sugli “amministratori”, mettendo in luce la pragmaticità piuttosto che l’ideologismo. A me non poteva di certo piacere; la lunga crisi del Partito Democratico è proprio dovuta alla preponderanza prepotente di chi amministra rispetto a chi avrebbe dovuto e, in città come quella di Prato ciò è evidente, aprire un dialogo, un confronto ampio e vero con le cittadine e i cittadini. Questi ultimi, mortificati da questa protervia, che ha prodotto la desertificazione “democratica” nei territori, hanno innanzitutto disertato le urne e, in quest’ultima occasione, deciso di non sostenere Bonaccini, scegliendo la proposta, che contiene “auspici” democratici, quasi certamente irrealizzabili, a meno che non si riesca a realizzare una vera e propria “rivoluzione” culturale.

Ne riparlerò: ho ripreso a scrivere.

Giuseppe Maddaluno

Riprendo il cammino…in un giorno speciale – quello della scelta del nuovo Segretario del PD….con un mio documento del 2013

Vorrei vivere in un tempo nel quale avere voglia di scrivere per contribuire alla crescita del Partito che ho fondato; vorrei avere la possibilità di riflettere serenamente sulle questioni locali e nazionali ma non riesco più a riconoscermi nell’attuale PD perché privo di un Progetto ed in procinto di aggravare tale situazione con formule leaderistiche, populistiche e demagogiche, inadeguate come risposta alla gravissima crisi sociale che stiamo affrontando e che dovremo affrontare. Questo Partito somiglia sempre più a quella “nave senza nocchiero in gran tempesta” di cui parla Dante nel VI canto del “Purgatorio” ed a guidarlo si va proponendo ora un nuovo guitto vestito con panni di un incerto centrosinistra, personaggio del tutto inaffidabile, spocchioso, presuntuoso, abile affabulatore ma bamboccio capriccioso pompato da chissà quali poteri per procedere alla distruzione del maggior Partito della Sinistra italiana lucrando sulle incapacità e le inadempienze di una classe politica corrotta anche al di là degli addebiti, cioè intimamente, interiormente corrotta. Ho difficoltà, vera, a scrivere qualcosa di positivo, anche se chi mi conosce sa che appaio un inguaribile ottimista nell’atto di non voler accettare il blocco di un sogno, di un’utopia, il tutto collegato ad una consapevolezza che solo lavorando insieme per il Bene comune potremmo ottenere un comune vantaggio. E’ un sogno, un’utopia che è stata bloccata dai personalismi e dalla cecità degli uomini e delle donne che si sono impegnati in Politica negli ultimi anni, più pensando a ciò che circolava nelle loro immediate circostanze che alle effettive necessità e richieste della gente ( bastava dare veramente ma con veemenza non con arrendevolezza colpevole segnali di volere i cambiamenti simbolici chiesti a gran voce: il finanziamento pubblico, la legge elettorale, la riduzione degli emolumenti a tutti i livelli, la scelta di non partecipare ad organismi fino ad allora “partecipati”). Sarà stato anche una sorpresa il successo del M5S; ma politici accorti e capaci dovrebbero interpretare, fiutare l’aria ed agire preventivamente di conseguenza.
Ho difficoltà a scrivere, ma non voglio sottrarmi a lungo alle mie responsabilità di “cittadino”. Ribadisco qui che in questa situazione non sono in grado di dare risposte a tutte quelle persone che ci interpellano, nel migliore dei casi mandando noi a quel Paese non potendo farlo con i maggiori Dirigenti e Politici ed Amministratori: ci odiano e non ce lo mandano a dire! In tale situazione come si fa a chiedere ai militanti che (se di già non lo sono) rischiano di ritrovarsi da un giorno all’altro alle soglie della povertà o immersi in essa di rinnovare l’iscrizione al Partito? Noi, qui a San Paolo di Prato, abbiamo tenuto saldo il Gruppo con pochissime defezioni e qualche nuovo ingresso ma semplicemente perché abbiamo l’idea di un Partito che non è fatto solo di iscritti ma soprattutto di “partecipanti attivi”. Ed è in quest’ottica che abbiamo guardato con speranza agli interventi di Fabrizio Barca, al quale però da tempo chiediamo a cosa serva tutto questo suo impegno se dopo la “teoria” non voglia verificare in concreto la sua “applicazione”. Sono sempre più convinto che l’applicazione delle teorie (che poi non sono tanto tali, in quanto da noi – a San Paolo – le abbiamo praticate e non crediamo di essere così esclusivi e solitari) espresse da Fabrizio rivoluzionerebbe davvero il corso del PD e non ci sarebbe posto per chi intende assumere da solo – o quasi – le leve del comando perché la piramide del PD sarebbe capovolta ed al vertice ci sarebbero i militanti e i Circoli ed alla base, anche se un po’ smussata, si troverebbero i Dirigenti “al servizio” delle richieste formulate in vario modo democraticamente controllato dalla “base-vertice”.



A Prato si soffre e nel tunnel” delle prospettive politiche è buio profondo. Non so cosa accade di preciso in altre realtà; ma qui, a Prato, sembra quasi che si sia perso il capo: i peggiori difetti della classe dirigente nazionale incapace di guardare ad un solo palmo dal proprio naso, impegnati come sono a mantenere i loro personali vantaggi, sono rappresentati qui. Se siamo bloccati non è solo colpa dell’agosto rovente e vacanziero, durante il quale non si è smesso di costruire incontri riservati ed esclusivi per riempire potenziali future caselle amministrative e politiche; è anche perché quando noi ci impegniamo a discutere sulle idee (“La Palestra delle Idee”) otteniamo vaghi riconoscimenti ma fondamentalmente ciascuno dei nostri interlocutori – big (!) sta contemporaneamente pensando se la prossima volta toccherà loro qualche incarico più prestigioso e lucroso possibile. Un po’ ti scoraggi di fronte a simili congetture; ma poi – scusate – ti incazzi e continui a lavorare nell’alveo di una Sinistra possibile futura, non si sa mai possano essere utili queste idee per raccogliere consensi “onesti e buoni” alla tua causa che non è personale ma collettiva (e qui non sto a spiegare cosa significhi: basterebbe partecipare ai nostri incontri!). Su quanto si sente in giro e su quello che direttamente (poco) ed indirettamente (troppo) capisco, non ci siamo: non vedo figure affidabili come possibili candidati sia alla carica di Segretario Provinciale sia a quello di probabile Sindaco. Ed in questo momento, siatene certi, con questi nomi (anche se accogliessero pienamente le richieste “programmatiche” che potenzialmente esprimessi), io ai prossimi appuntamenti rinuncerei del tutto a sostenerli. Ovviamente, so bene che sto parlando di “questo momento” e personalmente sono ancora impegnato nella ricerca di una “soluzione”, che dovrebbe però prendere il via da un “poderoso e sostanziale passo indietro” di tutti i concorrenti (non parlo di quelli di cui parla la Stampa ma di quelli che sanno bene che si sono mossi e si vanno muovendo in questi ultimi mesi); dopo di che – come abbiamo collettivamente suggerito da San Paolo – ci si impegnerebbe prima di tutto PER DAVVERO sulle idee e ci si guarderebbe intorno. Credetemi, lo dico agli aspiranti amministratori 2014-2018, alla fine vi converrà aver fatto il passo indietro!

…riparto da quel che scrivevo lo scorso 22 novembre

…riparto a parlare delle mie condizioni di salute: e lo faccio affinché qualcosa di quel che non funziona nella Sanità pubblica venga condiviso e risolto e tutto quel che di eccellente c’è venga riconosciuto e premiato

Dopo quella visita sono stato chiamato dalla struttura sanitaria fiorentina per avviare un percorso di controlli, ma non avvertivo da parte del gruppo che avrebbe dovuto seguire la mia sorte alcuna partecipazione.
Anche l’avvio è stato caratterizzato da una mia insistenza (a tutta risposta mi segnalavano che il ritardo era dovuto ad un numero di cellulare che non corrispondeva al mio) ma mi davano appuntamento per il 14 febbraio (2022) per uno screening ricognitivo generico con un altro medico responsabile. Dopo di che non ho avuto più segnali che non fossero meramente amministrativi.

Le mie condizioni andavano progressivamente peggiorando; faticavo a procedere nei corridoi del nosocomio fiorentino; anche le condizioni psicologiche stavano man mano calando, e non nego che queste ultime mi facevano intravedere una realtà che aveva caratteristiche personali, individuali. Quel che è certo, non vi erano riscontri da parte di chi, dopo tre settimane durante le quali avevo potuto avere una serie di esami diagnostici, il cui risultato mi era in gran parte ignoto, avrebbe dovuto farsi sentire per accompagnarmi all’eventuale necessario intervento. Di fronte a tali lungaggini, peraltro non seguite da contatti “umani”, decido di affidarmi allo IEO di Milano.

Scrivo dunque al dottore che mi aveva accolto nella prima visita

Gentilissimo dott.XXXXXXXX,

scrivo a lei, ma mi rivolgo alla struttura intera DH Pneumologia con la quale ho avuto contatti, anche se molto fugaci, ma purtroppo inconcludenti rispetto a quanto forse per la mia condizione di salute era necessario.                                                                                                                                 Nulla da eccepire sulla qualità dei singoli; non ho addebiti da esprimere in tal senso. Pur tuttavia, la lungaggine delle indagini mediche cui sono stato sottoposto – iniziate il 14 febbraio –  ha creato in me, che purtroppo non sono mai stato un ipocondriaco, uno stato d’ansia accresciuto dal fatto che non ero informato “passo dopo passo” dell’aggravarsi del mio stato di salute, accertato peraltro dalle risultanze delle varie indagini, fino a quelle della  PET, di cui ho potuto avere conoscenza solo perché, poco prima dell’incontro con il dott. XXXXXX (il giorno 11 marzo), ho frugato nella cartella clinica, che mi era stata provvisoriamente consegnata.

Peraltro, in quel colloquio, mi si prospettava di poter essere sottoposto ad una fibrobroncoscopia martedì 22 marzo, laddove si fosse reso disponbile un posto letto….

Di fronte a questa aleatorietà, ho scelto di consultare la struttura dello IEO di Milano, ed in modo specifico il prof. Spaggiari, e nella stessa data del 22 marzo sarò lì ricoverato per quattro giorni.

Poiché, come ho prima specificato, non ho critiche sui singoli professionisti con cui sono entrato in contatto, ringrazio tutti indistintamente. Non so cosa mi accadrà; perlomeno allo IEO avrò il supporto di una equipe che potrà seguirmi partendo da una indagine più approfondita, che dovrebbe garantirmi una terapia che sia in grado di ridurre il danno.

Cordiali saluti

Giuseppe Maddaluno

Alla mia mail, inviata il 20 marzo alle 18.32, risponde la mattina dopo alle 8.06 uno dei medici del reparto

Mi spiace di non essersi sentito adeguatamente “tutelato”. Mi raccomando però di farsi dare tutti gli accertamenti già fatti da noi per non avere ulteriori allungamenti nella diagnosi. Comunque sempre a sua disposizione 

firmato dott. XXXXXXXX

Dedicato ai giovani di oggi ANNIVERSARI 236 ANNI FA – 30 NOVEMBRE 1786

ANNIVERSARI 236 ANNI FA – 30 NOVEMBRE 1786

FESTA DELLA TOSCANA in ricordo di un evento del 30 novembre 1786 – 236 anni fa

236 anni fa il 30 novembre del 1786 il Granduca Pietro Leopoldo abolì la pena di morte nel Granducato di Toscana. Dal 2000 la Regione Toscana in questo giorno lo vuole ricordare assumendosi il compito di paladina della libertà e del rispetto dei diritti civili, opponendosi all’applicazione della pena capitale ancora vigente in alcuni paesi. Le Circoscrizioni di Prato in quella prima occasione assunsero un ruolo di primo piano organizzando riflessioni approfondite su quel tema attraverso momenti culturali quali il convegno che si svolse presso il centro per l’Arte contemporanea “Luigi Pecci”. Nel 2003 furono poi pubblicati gli atti con il titolo PACE E DIRITTI UMANI.
Qui di seguito riporto uno dei contributi “esterni” (l’autrice non era presente ma fu menzionata proprio in quanto un mese e mezzo prima aveva inviato una lettera a “Repubblica” nella quale discuteva del caso di Derek Rocco Barnabei, giustiziato dopo che sulla sua colpevolezza erano emersi seri dubbi), quello della Presidente del Parlamento Europeo di quel tempo, Nicole Fontaine, riportato nel libretto sopra menzionato.

Joshua Madalon

Nicole Fontaine, Lettera aperta agli americani

Nella sua stragrande maggioranza, senza distinzioni di nazionalità o di sensibilità politica, il Parlamento europeo, che è la voce democratica di 370 milioni di europei che costituiscono attualmente l’Unione europea, non comprende il fatto che gli Stati Uniti siano oggi l’unico, tra le grandi democrazie del mondo, a non aver rinunciato a comminare e applicare la pena di morte.

Ogni volta che un’esecuzione capitale è programmata in uno degli Stati del vostro paese, l’emozione e la riprovazione che essa suscita assumono, ormai, una dimensione mondiale. Tutti gli interventi a favore della clemenza, fatti dalle più alte autorità religiose o politiche presso i governatori da cui dipende la decisione finale, ricevono soltanto un netto rifiuto.

Il caso di Derek Rocco Barnabei ha suscitato un’emozione particolarmente grande in Europa, sia perché, ancora una volta, sussistono dubbi sulla sua reale colpevolezza, sia perché, oltre alla sua nazionalità americana, egli è anche originario di uno Stato membro dell’Unione europea, l’Italia.

Le iniziative diplomatiche, che invano in tanti abbiamo intrapreso presso il governatore della Virginia su richiesta dei parenti del condannato e delle associazioni che sostengono la sua causa, non hanno avuto alcun seguito. Mi permetto, allora, di dirigervi questa lettera aperta, non nello spirito di dare delle lezioni, ma in quello del dialogo leale che si addice all’amicizia che unisce i nostri grandi insiemi continentali.
Da questa parte dell’Atlantico, si riconosce che il vostro grande paese simbolizza ampiamente, in tutto il mondo, la libertà e la democrazia. Nessuno ha dimenticato ciò che l’Europa gli deve per averla aiutata a ritrovare la libertà al prezzo del sangue dei suoi figli negli ultimi due conflitti mondiali.

Nessuno contesta che la pena di morte sia stata riconosciuta dalla Corte Suprema conforme alla Costituzione degli Stati Uniti. Nessuno contesta che, in seguito a una condanna capitale, lunghi anni di procedure offrono ai condannati la possibilità di una revisione del loro processo. Nessuno contesta il diritto di una società organizzata a difendersi dai criminali che minacciano la sicurezza delle persone e dei beni, né quello di punirli nella misura dei loro delitti.

L’Europa non dimentica che, fino a poco tempo fa, essa stessa ha usato la pena di morte, e spesso con crudeltà. Alcuni Stati l’avevano abolita da tempo, nel loro diritto penale e nella pratica, ma meno di vent’anni fa alcune grandi nazioni europee, profondamente legate ai diritti dell’uomo e ai valori universali, tra cui il mio paese, la Francia, non vi avevano ancora rinunciato e quando i loro parlamenti hanno affrontato la sua abolizione, i dibattiti politici sono stati veementi quanto lo sono oggi negli Stati Uniti. Oggi, ogni polemica è spenta.

Si è però sviluppata in tutta l’Europa una presa di coscienza collettiva che ha travolto le esitazioni ancora esistenti. Questa presa di coscienza, alla quale mi permetto oggi di invitare il popolo americano, è fondata sui seguenti elementi: nessuno studio obiettivo ha mai dimostrato che la pena di morte abbia un effetto dissuasivo sulla grande criminalità e in nessuno dei paesi europei che l’hanno recentemente abolita si è avuto un aumento della grande criminalità; le società contemporanee hanno dei mezzi sufficienti per difendersi da essa senza spezzare il sacro principio della vita umana; la punizione per mezzo della pena di morte non è che la sopravvivenza arcaica della vecchia legge del taglione: poiché hai ucciso, anche tu morirai; il macabro copione delle esecuzioni capitali ha ben poco di degno ed è piuttosto il rito sacrificale di un omicidio legale; quando una società di diritto perfettamente stabilizzata e che dispone di altri mezzi per difendersi ricorre alla pena di morte, essa indebolisce il carattere sacro di ogni vita umana e l’autorità morale che essa può avere per difenderla dovunque essa sia offesa nel mondo; infine, troppi condannati a cui si toglie la vita sono stati poi riconosciuti innocenti e in quel caso è la società, anche in nome del diritto che si è data, ad aver commesso un crimine irreparabile.

In tutta la storia della giustizia della nostra società moderna, un solo innocente da noi messo a morte per errore, una morte che non comporta alcuna necessità, sarebbe sufficiente per condannare radicalmente il principio stesso di questa pena capitale. Ora, sappiamo tutti che il caso è proprio questo, in particolare negli Stati Uniti.

So che la maggioranza della popolazione del vostro paese rimane favorevole al mantenimento della pena di morte e che, in democrazia, il popolo è sovrano, ma tutto ciò può bastare a chi ha la responsabilità di guidare il proprio paese in modo saggio o moderno? Quando il presidente Lincoln abolì la schiavitù, aveva forse il sostegno della maggioranza degli Stati del Sud? Quando il presidente Roosevelt impegnò gli Stati Uniti al fianco degli europei per ristabilire la pace e la libertà nel mondo devastato dal nazismo o dai suoi alleati, ebbe egli immediatamente il sostegno maggioritario degli americani? Quando il presidente Kennedy impose la fine della segregazione razziale che perdurava in alcuni Stati, egli ebbe il coraggio, senza dubbio a costo della sua stessa vita, di andare controcorrente rispetto ai tanti che intendevano mantenerla, anche con la violenza. E’ possibile che gli uomini politici di oggi, per opportunismo o per motivi elettorali, non siano che una pallida ombra di quei grandi visionari che hanno fatto l’unione e la grandezza della nazione americana?

Breviario minimo: sul RdC

Ho da sempre criticato l’empito utopico dei sostenitori del M5S, che li avrebbe sospinti a fare i conti con il pragmatismo della Politica concreta, quella basata essenzialmente sulla reale consistenza degli apparati pubblici, mal funzionanti ed incapaci di poter dare seguito a progetti basati sui “sogni” di un gruppo di volenterosi giovanotti. Non bastano le idee positive; occorrono apparati che le facciano funzionare: ed è così che il “reddito di cittadinanza”, pur essendo una proposta che avrebbe potuto essere funzionale a quell’abbattimento della povertà che i promotori sbandierarono come realizzata semplicemente perché dal punto di vista legislativo erano state approvate le linee procedurali, fu affidato a strutture che già da tempo avevano mostrato di non essere in grado di attivare i necessari percorsi creativi di opportunità lavorative.

Allo stesso tempo scarsissime erano le possibilità, anche collegate alla fretta con cui si voleva concretizzare il progetto, di attivare controlli minimamente efficaci intorno alla congruità delle richieste: anche per questo motivo molte sono state le irregolarità riscontrate nel corso dei mesi. L’apparato dello Stato ha mostrato i suoi limiti e queste vicende hanno sospinto i critici “potenti” a prendere in considerazione l’abolizione tout court del RdC. Come se, di fronte ad irregolarità nella corresponsione di pensioni di invalidità (abbiamo ben presenti falsi ciechi e invalidi in genere), si decidesse di abolirle per tutti. Ben diversa sarebbe la presa di coscienza dei limiti evidenziati e l’impegno a mettere in funzione la macchina amministrativa per agganciare domanda e offerta. Attualmente c’è un dibattito politico molto acceso, con le Destre – che peraltro ritengono erroneamente di avere la maggioranza nel Paese – che vorrebbero eliminare il RdC, mantenendo una certa attenzione per coloro che non possono lavorare e sospingendo tutti gli altri, senza un vero e proprio controllo sulla congruità con cui il Reddito è stato percepito, ad accettare la prima proposta “congrua” di lavoro, pena la perdita di quel diritto. “Congrua” è una forma ambigua generica che non esplicita in alcun modo a quale compenso quantitativo si riferisca; inoltre bisognerebbe comprendere pienamente quali siano state le ragioni di una parte di coloro che interpellati da datori di lavoro hanno rifiutato la proposta, accontentandosi di avere circa 500 euro al mese. Viene il dubbio (a me ma mi chiedo come mai questo dubbio non venga ai detrattori del RdC) che la proposta di compenso in senso quantitativo fosse (forse) di poco superiore a quella cifra e comunque collegata a turni di lavoro massacranti come quelli della ristorazione (dove peraltro ci sono contratti fasulli che, a fronte di pochissime ore dichiarate, richiedono un impegno molto più intenso). Allo stesso tempo mi sono da sempre chiesto come fanno coloro che per lavorare accettano proposte in territori molto lontani da quelli in cui vivono e percepiscono salari o stipendi incongrui per la sopravvivenza minima: e quell’ “incongrui” è riferito ad affitti onerosi e costo della vita esorbitanti difficilmente compatibili con la minima dignità.

quel che mi manca…

GIORNI

Giorni uggiosi schizofrenici tra bassi e alti, alti e bassi, con lenti sonnacchiosi risvegli e serate che decollano troppo tardi, costringendoti ad addormentarti ad ora tarda dopo aver avuto colpi di sonno. Un giorno senti di essere molto più giovane di quanto sei ed addirittura senti dentro il desiderio di ritornare al lavoro che hai condotto per tanti anni; un altro subito dopo, un altro giorno, cammini lento portandoti dietro molto più peso di quanto dovresti. Capita per l’ appunto in modalità schizzata proprio in quel giorno in cui sei ritornato a scuola per una festa di commemorazione per un giovane ex allievo di tanti anni fa, che se ne è andato via, così all’improvviso: quello proprio il giorno giusto, no, per sentire dentro di te la vitalità! Roba da psicanalisti anche di quelli alle prime armi o di un counselor che come la mosca cocchiera si possa credere alla stessa altezza dei migliori professionisti. Certamente contribuisce a farti sentire vivo la tragedia di una vita stroncata anzitempo, anche se Menandro suggerirebbe che quella tragica fine sia cara agli dei. Ancor più la giornata mite tranquilla pur di un autunno maturo e l’incontro con docenti che non vedevi da tempo e che nella distanza “forse” hanno imparato ad apprezzare meglio quel che valevi e ti sorridono, mentre alcuni anni prima non erano così cordiali e felici di incontrarti. Ed ancor più la presenza di allievi di quelli ancora più giovani che, casualmente, incroci nei corridoi ti riconduce il desiderio di riprendere un rapporto più sereno e maturo.

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Il giorno dopo ti svegli più presto del solito. A fine novembre è ancora buio. Devo lavorare in casa prima di uscire. Devo farlo entro le 8.00 perchè per le 9.00 devo essere a scuola; non quella del giorno prima. Esco di casa dopo una mezza dozzina di caffè perchè non sono riuscito ancora a scrollarmi di dosso la sonnolenza. Per fortuna non piove. Fa freddo, sì, ma non piove e questo mi dà garanzie che non correrò il rischio di impallarmi nel traffico, come in altre occasioni. La città è come me sonnacchiosa. Esco presto anche perché parcheggio in un posto lontano dal luogo dove devo recarmi. Mi dà la possibilità di camminare, che per un settantenne è necessario terapeuticamente. Mi fermo in un parcheggio libero dove non c’è quasi nessun’ altra auto. Mi fermo e
prima di uscire nascondo alla vista qualsiasi oggetto che pur immeritatamente possa indurre in tentazione qualche ladruncolo di passaggio. E poi con una lentezza biblica come se dovessi attraversare un deserto mi avvio lungo la pista pedonale del Bisenzio andando verso il centro. Cammino, mi fermo ed osservo tutti i soggetti che la Natura propone. C’è un sole tiepido rinfrescato dal venticello della valle ma è straordinariamente piacevole prendersela comoda, ed avvertire la forza morale dell’età che si contrappone alla sensazione di un inevitabile lento declino.

Joshua Madalon

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parte 12 – POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE – un recupero dei testi di presentazione, introduzioni e Saluti; e questa è la “Presentazione” della V edizione, del 2005) (per la parte 11 vedi 2 settembre)

Siamo alla quinta edizione di un’iniziativa che nacque casualmente a corollario di un Premio di pittura dedicato al nostro amico Franco Morbidelli e fui io, una notte di dicembre parzialmente insonne, a pensare che sarebbe stato interessante creare uno spazio per la poesia. Il titolo mi venne di getto, per consuetudine metodologica ma anche per razionale concretezza; ed altrettanto per la grande difficoltà di identificare altrimenti il significato del termine. Per rendere più elevata la partecipazione pensammo ad una struttura aperta, escludendo il concorso a premi, che ci sembrava macchinoso e costrittivo, fortemente legato alla soggettività delle giurie, contrario alle forme di espressione libera che dovrebbe caratterizzare la parola poetica. L’idea, a noi sembra, è stata premiata. Di annon in anno la partecipazione è andata crescendo; la qualità, è verificabile da chiunque, anch’essa si è accresciuta- Le poetesse e i poeti hanno avuto occasioni intermedie di confrontarsi; altre opportunità sono nate, anche se non si sono affermate allo stesso modo: rimangono tuttavia nella storia del nostro territorio i fogli delle “Poesie da viaggio”, che attendono di essere riproposti. Gli spazi istituzionali, a partire dalla Sala Polivalente “don Lorenzo Milani”, sono a disposizione di gruppi che vogliano periodicamente incontrarsi e che, di tanto in tanto, espressamente invitiamo in happening estemporanei. Quest’anno accogliamo con grande entusiasmo la collaborazione degli artisti e dei poeti di un’Associazione prestigiosa come quella de “Il Castello” (ed in particolare la sua Presidente Nicoletta Corsalini) con la quale speriamo di continuare un percorso positivo di cooperazione. Fra le novità dell’edizione 2005 una presenza di poeti come si suol dire “in erba” provenienti dalla Scuola Elementare “Fabrizio De Andrè” che fanno di certo onore, oltre che a noi, al poeta cantore cui la loro scuola è stata di recente intitolata.

Si conferma la partecipazione inoltre di allievi e docenti del Liceo Scientifico “Copernico” e dell’ I.T.C. “Paolo Dagomari”. Vogliamo ringraziare inoltre il Dirigente Scolastico dell’ Istituto “Tullio Buzzi”, prof. Francesco Rossi, che in questi ultimi anni ha accettato di ospitare la serata finale dell’Otto marzo, e che questa volta ha messo a disposizione anche altri spazi per la Mostra di Arte Varia (Pittura e Scultura) che competerà l’iniziativa. Allo stesso modo e per motivi ormai di affiatamento per il lavoro artistico di presentazione delle poesie ringraziamo Lisetta Luchini, studiosa e fine interprete del canto popolare toscano, ed i suoi collaboratori. Vogliamo inoltre ringraziare la Provincia di Prato, ed in particolar modo Cristina Sanzò, neo Presidente della Commissione Pari Opportunità per averci concesso, oltre al patrocinio, la giusta fiducia che merita un’attività come la nostra che non sempre ha bisogno, per essere realizzata, di particolari risorse economiche ma di un doveroso legittimo riconoscimento politico. Un ringraziamento infine a tutte le donne, ed agli uomini, che hanno voluto partecipare mettendo in gioco le proprie sensibilità, i propri sentimenti, a questa quinta edizione, ancora una volta curata da Gianfranco Ravenni nella scelta e nella strutturazione all’interno del volumetto.

Prof. Giuseppe Maddaluno

Presidente Comm.ne Formazione e Cultura

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 35 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 34 vedi 3 novembre

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 35 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 34 vedi 3 novembre

Parla voce non identificata:

<< Il cattivo poliziotto non è stato così cattivo, però in effetti Panella ha detto, riguardo alle sceneggiature, qualcosa di radicalmente diverso da quello che ho detto: cioè ha rivendicato il carattere dell’esternazione. Allora io proverei adesso a dire un dubbio anche su questa discendenza di Pasolini da un’idea di opera aperta…(parole non comprensibili – VOCE FUORI MICROFONO)…che sono state fatte e partirei da un dato non teorico, ma biografico. Cercando nell’epistolario di Pasolini delle prove di una (parola non comprensibile) ho trovato una bellissima lettera di Livio Garzanti. Pasolini era a Merano insieme a Giorgio Bassani che scrivevano una sceneggiatura e soffrivano le pene dell’inferno Perché lì dovevano consegnare e poi (parola non comprensibile)…E Garzanti: caro Pasolini, lei finirà male se continua ad occuparsi…Cioè lo rimprovera e si sa che Garzanti odiava il cinema, abbiamo varie testimonianze di questo tipo e gli dice insomma lei mi sta sfuggendo di mano, uno degli autori della mia scuderia mi sta sfuggendo di mano. Ed io credo che qui ci sia una parte di vero che potremmo interpretare alla luce dell’idea della “Disperata (vitalità)”, un bellissimo poemetto di Pasolini incompiuto anche questo, quello ricordate in cui lui si immagina di essere una sorta di Jean Paul Belmondo come nel film (parole non comprensibili – VOCE FUORI MICROFONO)….Questo lo metterei in rapporto ad una cosa secondo me importantissima, fondamentale che Pasolini dice, credo per spiegare la sua crisi di poeta e anche di scrittore. Per fare poesia ci vuole un sacco di silenzio e la vita che Pasolini conduce a partire da un certo momento non gli dà più né tempo né silenzio. Ed io credo che certe sceneggiature Pasolini le abbia pubblicate in tempo reale Perché aveva dei contratti con gli editori che doveva rispettare, non aveva scritto questo romanzo per Garzanti e gli rifila “Teorema”. Devo dire rispetto alla qualità, qui abbasso non è un livello teorico, ma io credo che leggendo l’epistolario notate questa cosa l’epistolario di Pasolini è così ricco nel primo volume, quando comincia a fare diventa di una banalità. Lui che scriveva delle lettere importanti è un uomo a cui comincia a mancare il tempo. Sicuramente il tempo per fare la poesia.

Per cui, siccome ha detto molte cose sono grato di quello che ha detto, però una cosa che ha detto di far discendere l’ultima poesia di Pasolini da Ezra Pound, se non ho capito male, io ho dei grossissimi dubbi. Lui è costretto e ci soffre a dare delle cose incompiute. Lui che aveva lavorato sui suoi endecasillabi come aveva lavorato fino a “Poesia in forma di rosa”. “Poesia in forma di rosa” tra l’altro lo ricordo benissimo perché quando è uscito io stavo facendo il servizio militare ed ero scandalizzato che nessuno aveva…ancora prima di “Trasumanar” è cominciato proprio con “Poesia a forma di Rosa” a crearsi questo silenzio intorno a Pasolini, ha cominciato a non recensire più le sue cose.