LETTERATURAFESTIVAL CAMPI FLEGREI LIBRI DI MARE LIBRI DI TERRA – POZZUOLI – BACOLI – MONTE DI PROCIDA – PREMIO “MICHELE SOVENTE” 2628 SETTEMBRE

Stemma Bacoli

Stemma M. di P.

Stemma Poazzuoli

Il diario

Questo il Programma

Letteraturafestival “ Libri di Mare Libri di Terra “
Festival Itinerante nei Campi Flegrei
26/27/28 settembre 2014

Venerdi 26 settembre

Pozzuoli Rione Terra

h 16:30 Libri di mare Libri di terra dà il benvenuto agli incontri di scrittura, lettura, musica e teatro.
Saluto dei rappresentanti delle amministrazioni comunali e degli organizzatori.
Saranno presenti Giuseppe Russo,editore e Francesco Durante,critico e
Scrittore.

I luoghi saranno abitati dalla parola di : Alessio Arena, Antonella Cilento, Joseph Farrell, Matilde Iaccarino.

Voci di : Pasquale Ioffredo, Mariagrazia Liccardo, Wanda Marasco, Gea Martire.

Lady Marion legge Maurizio de Giovanni

Dopofestival al Bar Cannavacciuolo

Sabato 27 settembre

Villa Cerillo, Bacoli h 10.30

Lo sguardo della letteratura

Ne parliamo con gli scrittori: Davide D’Urso, Marco Ciriello , Riccardo Imperiali, Melania Petriello, Vincenzo Gambardella .

Conducono la conversazione Giuseppe Maddaluno e Luca Marano

Proiezione dei video di Claudio Correale e Aurelien Petit

Sulle tracce di Ian Fleming con Michelangelo Iossa e Antonio Tricomi, giornalista di Repubblica.

h 13:30 Appuntamento sotto l’Arco Felice Vecchio. In collaborazione con
“Lux in Fabula”: Lip’s convivium

Pausa pranzo in un ristorante convenzionato con il Festival .

Villa Cerillo, Bacoli h 16.30

Primo incontro: Dove sta andando la letteratura oggi?

Rispondono gli scrittori :

Anna Barbato, Emilia Bersabea Cirillo, Giuseppina De Rienzo, Lorenzo della Fonte, Matilde Iaccarino, Pino Imperatore .

Guidano la conversazione Giuseppe Maddaluno e Angela Schiavone

Secondo incontro : Come nasce una storia? Come sono nate le storie degli scrittori:
Monica Pareschi, Maria Caterina Magliocca, Elisabetta Montaldo, Licia Giaquinto, Margi De Filpo.

Ne discutono con gli autori: Cinzia Caputo e Giuseppe Maddaluno

Intanto, a Villa Cerillo, in un altro luogo si produce:

Laboratorio di scrittura creativa a cura di Aldo Putignano e Giancarlo Marino.

E’ presente la scrittrice Chiara Santoianni. Incursioni collaborative degli scrittori del festival.

Chiesa di San Sossio, Miseno h 19:30

Nel suggestivo scenario dei gradoni della Chiesa di San Sossio:

Taranterra
un testo di poesia trasformato in spettacolo itinerante

di Mimmo Grasso
regia Massimo Maraviglia

con Ettore Nigro e la compagnia Asylum 2014

Lo sviluppo della serata dipenderà, poi, dal pubblico. Decideremo insieme cosa fare in base alle emozioni dello spettacolo. Il territorio dei Campi Flegrei offre la sua varia ospitalità.

Domenica 28 settembre

Teatro di Miseno- h 10:30

Presentazione del sito a cura dell’associazione Misenum.

E’ il momento della poesia e dei poetI

In zona intermedia, tra mare e terra, con accompagnamento del gruppo Mundu Rua, reading di:

Cinzia Caputo, Floriana Coppola, Vera D’Atri, Annamaria Farabbi, Bruno
Galluccio, Claudia Iandolo, Costanzo Ioni, Ketty Martino, Lory Nugnes.

Wanda Marasco : omaggio a Sovente

Arnolfo Petri : da “Memorie di Adriano” di Marguerite
Yourcenar

Aperitivo poetico

Pausa pranzo

h 16: 00 : Visita guidata sui luoghi di Michele Sovente a cura di Antonio Sabatano, presidente dell’associazione Michele Sovente

Appuntamento in piazza Michele Sovente- Cappella di Monte di Procida

h 18:00 Complesso Vanvitelliano del Fusaro

Omaggio a Michele Sovente

Premiazione dei vincitori del concorso “Premio Michele Sovente” da parte della giuria presieduta dal poeta Elio Pecora.

Premiazione del migliore testo di scrittura creativa del laboratorio condotto dall’editor Aldo Putignano.

Distribuzione della silloge degli inediti delle due edizioni del Premio Sovente.

Chiusura del Letteraturafestiva : Geppino Scamardella in “ Caballetta”

CON ARTUMES A COMEANA (PO) 20 settembre 2014

Poggio 1

Stamattina mi sono concesso un po’ di relax “culturale” – sospendendo la lettura dei libri scritti dalle autrici e dagli autori che saranno presenti nei Campi Flegrei dal 26 al 28 settembre – e con mia moglie ed altri amici ci siamo affidati alle colte cure di una giovane archeologa, presidente dell’Associazione no profit “Artumes”, la dott.ssa Maria Antonia Serafini. Ci siamo perciò recati in località Comeana, frazione di Carmignano sulle pendici dolci del Montalbano in una realtà nella quale, oltre alla produzione di vino ed olio, permane la presenza storica della civiltà etrusca e medicea. Comeana si trovava e si trova in una posizione felice dal punto di vista produttivo (in questa zona si ricavava la pietra serena utilizzata per costruire palazzi e luoghi di culto) e strategico militare, perché dalle sue “alture” si dominava tutta la valle dell’Arno e la piana fiorentina. La Serafini ci ha illustrato in maniera precisa e storicamente scientifica la storia del “borgo” di Comeana accompagnandoci poi alla visita della Pieve di San Michele, proprietà della famiglia Mazzinghi della quale abbiamo visto anche la facciata cinquecentesca del Palazzetto lungo la via Alighieri.
Poi ci siamo recati a visitare Il tumulo etrusco di Montefortini la cui scoperta è recente ed è dovuta ad un’intuizione del dott. Borgioli e dello studente Emanuele Narducci che il 4 gennaio 1965 fecero pervenire alla sovraintendenza alle antichità d’Etruria di Firenze, nella persona del sovrintendente professor Giacomo Caputo, una prima segnalazione sulla sospetta collinetta di Montefortini. Il professor Caputo inviò subito l’ispettore dottor Nicosia che sul momento, pur mantenendo certe riserve, fu in linea di massima concorde a confermare i sospetti dei due studiosi comeanesi.. La struttura del tumulo è doppia in quanto il primo e più ampio fu interessato ad un crollo dopo soli 25 anni, forse per motivi sismici.

L’Associazione ARTUMES organizzerà una prossima visita al pomeriggio di sabato 11 ottobre alla Villa Medicea di Poggio a Caiano ed alla Chiesa di S.Maria Assunta a Bonistallo. Prenotazione obbligatoria. Per Info e prenotazioni: info@artumes.it, tel. 339 1958024

Artume (o anche Aritimi o Artames), nella mitologia etrusca era la dea della notte, della luna (come anche la dea Losna) e della morte. Era anche la divinità della natura, delle foreste e della fertilità. Era associata alla dea greca Artemide. Aritimi è anche considerata la fondatrice di Arezzo, l’etrusca Aritie.

ANIME BIANCHE – racconti dal carcere al FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI 2628 SETTEMBRE

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Di “Anime bianche” ho sentito parlare già da metà agosto quando con Angela Schiavone e Gabriella Romano abbiamo avviato una cooperazione per l’organizzazione del Festival della Letteratura nei Campi Flegrei. E’ scattata immediata dentro me quella parte che è attratta dai temi sociali ed antropologici culturali, ed è anche per questo che ho chiesto di poterlo leggere prima che venisse pubblicamente presentato. Allo stesso tempo ho richiesto a Matilde Iaccarino di poter avere il file del suo “Quattordici”, testo base utilizzato per il Laboratorio di Lettura e Scrittura, intitolato al Premio Nobel per la Pace 2012 Aung Sang Suu Kyi, e riservato alle detenute della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli. Quel Laboratorio fin dal 2002 è condotto da Lina Stanco (Ass. Quartieri Spagnoli), Francesca Di Bonito (Ass. FEBE) e Maria Gaita (Ass. FEBE). “Anime bianche – Racconti dal carcere” è il risultato del Laboratorio di quest’ultimo anno. Il testo che ho potuto scorrere velocemente per la caratteristica fondamentale di estrema semplicità è composto, oltre che da interventi istituzionali (il Sindaco di Pozzuoli Enzo Figliolia e la Direttrice del Carcere Stella Scialpi), da una prima Introduzione molto partecipe (“queste storie che a tratti tolgono il fiato, impongono riflessione, mostrano dolorose incapacità, dicono di solitudine, di destini senza riscatto”) di Luisa Cavaliere, storica esponente del movimento femminista ed anima dell’Archivio delle memorie delle donne di Napoli. Le “storie” di cui si parla sono quelle che le detenute hanno elaborato a partire da alcuni (10) dei quattrodici racconti scritti da Matilde Iaccarino nel 2012. Segue, poi, la Premessa delle operatrici già menzionate che sottolineano la loro decisione “di rendere pubblica questa esperienza per far conoscere la realtà interna al luogo di detenzione…la loro (delle detenute n.d.r.) umanità profonda…sconosciuta ai tanti, per cercare di aprire un varco tra chi è dentro e chi è fuori e ..-rendere fattibile la speranza di possibili percorsi di riscatto. Prima di iniziare le elaborazioni delle detenute identificate solo con una lettera iniziale troviamo una nuova Premessa a firma di Matilde Iaccarino, “Il senso di un incontro: il racconto di sé”, che poi firma anche il raccontoriflessione che dà il titolo all’intera raccolta, “Anime bianche”, una prosa poetica dal forte ed intenso impatto emotivo. Le testimonianze delle detenute si ispirano al libro della Iaccarino (“Da una frase, da un ambiente, da un’immagine sono scaturite decine di storie comuni, vissuti così straordinariamente comuni e dolorosamente belli in cui ogni donna può rivedersi, in quel passo sbagliato, in quell’inciampo pericoloso, in quel tormento, ma anche in quelle speranze d’amore e di affetto che caratterizzano l’intera umanità.”). In “Lei mi riporta a casa” (ispirata da “Di martedì”) D. coglie il riferimento al ruolo “materno” che permette di superare tantissimi ostacoli e limiti psicologici e reali. In “Ero molto piccola per ricordare” (ispirata da “Il giorno dei morti”) A. si sofferma sull’assenza nella sua esistenza della figura paterna, tema ripreso da “Il bello delle cose” elaborato da D.. In “Rieccomi” (ispirata da “L’attesa”) Y. con una certa autonomia si riferisce ad una “speranza” collegata a quella che vorrebbe fosse la sua vita quando un giorno uscirà di prigione. Questa “speranza” si ritrova anche ne “Il principe azzurro” (ispirata da “Nella carne”) nella quale A. auspica che il suo angelo – la madre, “donna fantastica che aveva sempre la porta aperta, un consiglio da dare”, morta – l’ “aiuterà ad aprire questo cancello che mi divide dalla vita esterna e mi darà le sue ali per volare verso la libertà”. Le riflessioni sono molte altre (venti in totale); ne ho trattate e menzionate soltanto quattro, benché tutte posseggano elementi degni di particolari e concrete attenzioni. Il lavoro delle associazioni all’interno degli Istituti di Pena hanno l’indubbio valore nel far recuperare la dignità e l’umanità di queste persone; manca tuttavia o non è ugualmente evidente il lavoro nella società nella quale esse faranno ritorno una volta conclusa il periodo della loro pena. Esprimo, lo sento, un’ovvietà; ma è un’ovvietà pesante. Ritornando ad “Anime bianche” vorrei sottolineare se non fosse stato già chiaro da quanto ho scritto prima che esso non potrebbe esistere dal punto di vista della comprensione senza “Quattordici”. Con questo non intendo dire che sia stata un’operazione inutile, ma mi permetto di suggerire la lettura di “Anime bianche” con l’ausilio dell’intero testo di “Quattordici” ivi comprese le bellissime significative ed appropriate fotografie che ne corredano i diversi racconti. “Anime bianche – racconti dal carcere” a cura di Matilde Iaccarino, Francesca Di Bonito, Maria Gaita e Lina Stanco 2014 Valtrend Editore verrà presentato in anteprima al Festival della Letteratura nei Campi Flegrei – Libri di mare libri di terra il 27 settembre nella splendida cornice di Villa Cerillo a Bacoli a partire dalle 16.30. Il libro è una forte ed intensa testimonianza di un “mondo” impercettibile alla stragrande maggioranza delle persone ed “utile, vero, necessario” per superare il diaframma che si frappone inevitabilmente fra noi e loro, questa parte infelice e sfortunata della nostra società che ha tutti i diritti di aspirare ad una vita “normale”, ad un’esistenza serena e tranquilla, felice.
Su “Quattordici”  di cui Matilde Iaccarino leggerà un brano venerdì 26 ore 16.30 al Palazzo Migliaresi al rinnovato Rione Terra scriverò dopo. Mi è molto “garbato” (scusate il toscanismo!).

ANTEPRIMA FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI – LIBRI DI MARE LIBRI DI TERRA 2628 SETTEMBRE POZZUOLIBACOLIMONTE DI PROCIDA

 

 

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Questa notte ho finito di rileggere “Anime bianche -Racconti dal carcere” a cura di Matilde Iaccarino, Francesca Di Bonito, Maria Gaita, Lina Stanco – 2014 Valtrend Editore (il libro non è, a quanto ne so, ancora disponibile; ho riletto “Quattordici” di Matilde Iaccarino necessario punto di riferimento per comprendere “Anime bianche”. Ho finito di leggere “Liza” di Margi De Filpo. E, poi, mi sono concesso un diversivo andando a visitare, insieme ad un gruppo di amiche e di amici e guidati da una esperta di Archeologia etrusca, il sito di Comeana (il tumulo estrusco di Monteforini) sulle pendici del Montalbano. Fra poco scriverò. Nel pomeriggio avvio la lettura del libro di Lorenzo Della Fonte “L’infinita musica del vento”  2014 Casa Musicale Eco Editore. Andiamo avanti

 

Della Fonte

“LIZA” di Margi De Filpo – anticipazione – FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI – 2628 SETTEMBRE

 

 

 

Ho appena terminato la lettura di “Anime bianche” Racconti dal carcere a cura di Matilde Iaccarino, Francesca Di Bonito, Maria Gaita e Lina Stanco – 2014 Valtrend Editore (ho letto anche “Quattordici” di Matilde Iaccarino)  – Nel mentre avvio la lettura di “Liza” di Margi De Filpo 2013 edito da Epika. Andiamo avanti

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MI PIACCIONO I FILM DI FRANK CAPRA di Maria Caterina Magliocca – Festival della letteratura POZZUOLI-BACOLI-MONTE DI PROCIDA 2628 SETTEMBRE

MisenoVilla Cerillo

Una ventata di ottimismo di fronte alle tragedie quotidiane è quanto si respira già a leggere il titolo dell’ antologia di racconti che ho appena terminato. “Mi piacciono i film di Frank Capra – mandami storie a lieto fine” di Maria Caterina Magliocca – 2014 Valtrend Editore contiene molte parole che mi rappacificano con la realtà negativa: intanto “mi piacciono” indica il piacere (al contrario del dolore, della sofferenza); “lieto fine” non ha alcun bisogno di un difensore; e poi c’è “Frank Capra” che è nel Cinema il sinonimo di “ottimista”, un ottimismo che si ritrova anche in alcuni titoli come “La vita è meravigliosa” interpretato da un solare James Stewart o in “E’ arrivata la felicità”. Non mi dilungo su questo terreno sul quale ho competenze specifiche. Il titolo si riferisce alla omonima poesia di Nazim Hikmet Ran che l’autrice riporta per intero a pagina 7. I tredici racconti suddivisi in tre distinti capitoli (“Bianco e nero” (2), “Migranti” (5) e “Caro diario” (6) hanno l’indubbia tendenza a cogliere proprio il “lieto fine” anche se attraversano sentieri pericolosi e selvaggi prima di arrivarci. Si prenda ad esempio il primo “Il sogno di Ilia” che si ispira liberamente ad un evento che nel marzo del 2005 aveva coinvolto gli abitanti di Cavallerizzo, un piccolo borgo in provincia di Cosenza: una frana. L’autrice, utilizzando una struttura narrativa coinvolgente, vuole mettere in evidenza, in particolare, la dignità di quelle persone (circa 700) che non si lasciarono blandire dai mass media per estrinsecare i mille e più buoni motivi per protestare e “piangere miseria”. Il secondo racconto (“La corsa”) è costruito con un ritmo concitato nella prima parte, ambientata a Napoli nei giorni gloriosi della rivolta contro i nazifascisti (le mitiche Quattro giornate); la seconda parte è leggermente più pacata, anche se la tensione è sempre alta, grazie ad un’ ambientazione idilliaca e bucolica che viene interrotta da un’incursione(si può dire) tragicomica dei soldati tedeschi. La sezione successiva è dedicata al tema “Migranti” ed in essa i temi della multiculturalità vengono posti al confronto con i permanenti pregiudizi e la sempre più complessa e difficile realtà. Colloquisoliloqui caratterizzano “Amiche” e “Vite al margine” dove viene descritta una porzione di realtà che di solito vediamo solo “marginalmente” passando a piedi ma molto di più con i mezzi di locomozione che non permettono di osservare a lungo ciò che accade; per l’appunto “la Vita”. E così in “Viaggio in Italia” dove il ruolo si capovolge e la narratrice diventa “straniera” anche se con un ruolo di “educatrice”. “A casa” tratta proprio dei pregiudizi atavici che spingono un genitore, egli stesso emigrato dall’Italia alcuni anni prima, a non accettare che il figlio decida di vivere con una giovane “originaria” della Tunisia. In “Sud” c’è un ritorno a casa, alle radici; un tentativo lento ma progressivo di riappacificarsi con la propria terra (“Partire è facile, andarsene dai luoghi delle origini e poi disprezzarli ci viene naturale. Il coraggio è necessario per restare!”). La terza sezione è “Caro diario” e sono degli appunti che analizzano vari aspetti, dal ricordo stilato in un Diario nel racconto “Stelle” che la nonna Kitty della nascita della prima nipotina Giordana (12 novembre 2005) e l’attesa della nascita della seconda nipotina, Caterina (11 agosto 2010) a “La casa dell’acqua” nel quale la capacità narrativa della Magliocca emerge come fondamentale necessità vitale di tipo esistenziale; c’è qui un collegamento non del tutto chiaro con il secondo racconto ma la conclusione è illuminante in relazione alle ragioni che ci (mi inserisco anche io nel novero di “chi scrive”) spingono a scrivere: “Ma loro (i bambini n.d.r.) questa storia non la conoscono: bisognerà raccontargliela. Perché sono convinta che oltre a conservare oggetti e muri o perpetuare nomi, riti, gesti, è il raccontare storie che dà senso e continuità al tempo che passa”. Se permettete, salto all’ultimo racconto (“Libri”)che ha proprio il senso di una conclusione programmatica che annuncia una prossima impresa editoriale anche se sotto forma di un “sogno”. Io spero sinceramente di poter leggere qualcosaltro della Maria Caterina Magliocca nei prossimi mesi. Ha una scrittura elegante e capace di affrontare tematiche serie in modo lieve e coinvolgente.

“IL MIO MESTIERE” (Natalia Ginzburg): CHE COSA SIGNIFICA SCRIVERE? Di Federica Nerini

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“IL MIO MESTIERE” (Natalia Ginzburg): CHE COSA SIGNIFICA SCRIVERE?

Di Federica Nerini
“Il mio mestiere è scrivere delle storie, cose inventate o cose che ricordo nella mia vita ma comunque storie, cose dove non c’entra la cultura ma soltanto la memoria e la fantasia. Questo è il mio mestiere e lo farò fino alla morte”, così Natalia Ginzburg definiva il suo duro e adorato lavoro: una ragione in più per vivere. Fin dall’antichità l’uomo ha avuto sempre l’esigenza di scrivere storie, miti, leggende solo per la gioia di ascoltare, di essere qualcun altro, e per esistere in modo diverso. Quindi la “voglia di scrivere” nasce con l’uomo, e “il desiderio” non ci deve di certo meravigliare.
Ma perché alcuni mentre scrivono, si illuminano di luce propria e ci fanno sognare altre vite, vivere in altri mondi e catapultare in altre ere? Bravura innata o potere donato da Dio? Noi nel momento in cui scriviamo aspiriamo al silenzio, alla vita, alla libertà e alla nostra felicità individuale, poiché ci liberiamo da ogni tristezza e melanconia. “Scrivere” è come andare dallo psicoanalista, infatti la Ginzburg afferma: “Quando uno scrive un racconto, deve buttarci dentro tutto il meglio che possiede e che ha visto, tutto il meglio che ha raccolto nella sua vita. E i particolari si consumano, si logorano a portarseli intorno senza servirsene per molto tempo”. Quindi, scriviamo noi stessi: ci allontaniamo e ci avviciniamo lentamente alla nostra persona. Il narrare è un flusso che proviene dall’inconscio e dall’anima dello scrittore; come le onde marine ritornano sempre nello stesso punto del bagnasciuga, anche le parole si accendono quanto più arriviamo a sfiorare l’Io, solo quest’ultimo è padrone delle nostre storie, soltanto lui saprà fin dove arriveremo e la nostra fine. L’unico problema è che il paziente comune racconta la sua vita soltanto allo psicoanalista junghiano di turno, mentre lo scrittore narra la sua “epopea” a tutte le future generazioni, inclusi noi. Per questo, sovente è bello scrivere, ma anche leggere fa la sua parte.
Il mestiere dello scrittore è un vero e proprio lavoro, perché implica uno sforzo intellettuale sovraumano, indi per cui è giocoforza definirlo non un “mestiere”, come lo definiscono in molti, bensì una “fatica” in senso vivo, interno e perturbante. In napoletano “lavoro” si traduce con ‘a fatìca proprio per indicare la sofferenza fisica a cui il lavoratore deve sottostare; ci deve essere il “trabajo”, come dicono gli spagnoli: l’anima si deve staccare dal corpo per la pena, il tormento e la fatica. Il sostantivo partenopeo ci fa capire la vera ragione dell’essere scrittori, la Ginzburg a tal riguardo scrive: “Ho scoperto allora che ci si stanca quando si scrive una cosa sul serio. È un cattivo segno se non ci si stanca […]. Uno, quando scrive una cosa che sia seria, ci casca dentro, ci affoga dentro proprio fino agli occhi”.
La maggior parte degli scrittori sono “artisti” infelici e spiegherò il perché. Possiamo infatti dire che le persone felici non fantasticano mai, lo fanno solo gli insoddisfatti. Ciò che rappresenta il “motore immobile” delle fantasie sono i desideri insoddisfatti, ed ogni singola fantasia è la realizzazione di un desiderio, una correzione della realtà insoddisfacente. I creatori di storie cercano di captare se stessi, la realtà, gli altri, inglobando ogni istanza nell’inconscio, per poi iniziare la produzione enucleata dentro loro stessi; questo è al centro del “meccanicismo artistico”: la volontà, l’insicurezza, l’infelicità, la solitudine e la bramosia della realizzazione. Il godimento del piacere, scaturito dalla fantasia con il soddisfacimento dei desideri inconsci, è alla base del “processo creativo”. Le fantasie sono come quelle molle elicoidali che si danno ai bambini quando sono piccoli, apparentemente sono prive di potenza, ma basta il minimo movimento per trasformare il potenziale in un dinamismo eccelso. Ecco, la creatività è una molla, e come ogni oggetto “nuovo” bisogna saperlo usare e non abusarne. Addomesticare la creatività di ogni artista è come avere a che fare con le belve selvatiche: è un processo arduo ed acuto, infatti non tutti gli artisti sono riusciti a manovrare questa “istanza oscura” e alcuni hanno fatto una brutta fine. Il tema in questione è affrontato non solo nella teoria freudiana, ma è anche contenuto in un saggio di Hanna Segal, psicoanalista britannica chiamato Delirio e creatività artistica: “Ma, come in ogni opera d’arte, il romanzo contiene anche la storia della sua stessa creazione ed esprime i problemi, i conflitti e i dubbi sulla stessa creatività dell’artista. L’angosciosa domanda che l’artista si pone è: Il mio lavoro è una creazione o un delirio?”. La produzione artistica è un vero è proprio delirio secondo la Segal, e noi non dobbiamo certo stupirci, poiché il progetto creativo vive ed è dato dalla catarsi sistematica generata dai ricordi e dalle esperienze dell’io. Si scrive quello che si prova in quel determinato momento, infatti veniamo “posseduti” dalla nostra stessa anima e influenzati dagli eventi accaduti: “Ma l’essere felici o infelici ci porta a scrivere in un modo o in un altro. Quando siamo felici la nostra fantasia ha più forza; quando siamo infelici, agisce allora più vivacemente la nostra memoria. La sofferenza rende la fantasia debole e pigra; essa si muove, ma svogliatamente e con languore, come i deboli moti dei malati […]. Ci è difficile distogliere lo sguardo dalla nostra vita e dalla nostra anima, dalla sete e dall’inquietudine che ci pervade” (Natalia Ginzburg).
Per ogni grande scrittore i momenti in cui scrive sono vissuti con grande intensità, basti pensare a Gustav Flaubert, il quale giunto nel momento di uccidere Madame Bovary, immaginò la sua agonia con tale intensità da sentire il gusto dell’arsenico nella sua bocca fino al punto di vomitare; egli su questo scrive: “perché, bene o male, scrivere – non essere più se stessi, muoversi in un universo di propria creazione – è una cosa deliziosa. Oggi, per esempio sono stato uomo e donna, amante e amata, sono stato a cavallo in un bosco, in un pomeriggio d’autunno, sotto le foglie gialle, ed ero i cavalli, le foglie, il vento, le parole che si dicevano e il sole rosso che faceva socchiudere le loro palpebre pesanti d’amore”. È un mestiere che si nutre di cose orribili, ma anche di cose bellissime.
Chi scrive è figlio del silenzio. Esso è essenziale per narrare. I personaggi dei romanzi classici da noi conosciuti parlano per ingannare il silenzio. Proust per tutto il tempo della “Recherche” è stato in una stanza imbottita da pareti di sughero, quasi in preda ad una crisi di isteria; Franz Kafka detestava ogni minimo bisbiglio, colpo di tosse, l’infinitesimo sussurro, il fruscio delle foglie che si disperde nell’aria, il lieve canto dei passeri solitari; perché qualunque cosa succeda è il suono che distingue la vita dalla morte, ed è il rumore l’archetipo distintivo della vita. “Voleva essere talmente chiuso, sbarrato, tagliato, abbandonato dal mondo: voleva altissimi e impenetrabili muri, come quelli della camera di Gregor Samsa o della cantina dove sognava di scrivere” (Pietro Citati). Del senso di colpa, del senso di inferiorità, del senso del panico, del silenzio, qualcuno cerca in qualche modo di guarire, debellando queste “malattie mortali”. Perché desideriamo così tanto il silenzio? Vivere significa saper “ascoltare” e “sopportare” la nostra cacofonica melodia di vita.
Se studiassimo le regole del “fantasticare”, capiremmo che noi tutti siamo potenzialmente degli scrittori, solo che molti passano la vita senza accorgersene, ed è per questo che esisterà sempre l’infelicità. Ma che cos’è la “fantasia” se non una continuazione di un gioco infantile? Che cosa sta alla base della sfera creativa? I poeti e gli scrittori sono degli eterni bambini: i narratori giocano con i loro trenini e le narratrici con le loro bambole, per sempre, per tutta la vita. Ed io, non smetterò mai di osservarli.

LA MERAVIGLIOSA STORIA DEL TRAPIANTO DI CUORE A NAPOLI – 3 OTTOBRE ORE 17.00 POZZUOLI – PALAZZO TOLEDO – invito ed anticipazione di commento

La meravigliosa storia del trapoianto
Venerdì 3 ottobre a Pozzuoli ore 17.00 presso la Sala polivalente del Polo Culturale del cinquecentesco Palazzo Toledo in via Pietro Ragnisco 29 verrà presentato il libro “La meravigliosa storia del trapianto di cuore a Napoli” 2014 Tullio Pironti editore, scritto da Maurizio Cotrufo e Gian Paolo Porreca, due importanti docenti universitari dei quali si allega in calce a questo post il curriculum. A presentare autori e libro ci sarà lo scrittore Maurizio De Giovanni ed il giornalista Ettore De Lorenzo, che svolgerà il ruolo di moderatore.
Nei prossimi giorni leggerò il libro e lo commenterò. Vi allego soltanto alcuni brani, così come riportati dall’invito che mi ha inviato il mio carissimo amico Flavio Cerasuolo, anch’egli cardiochirurgo, organizzatore dell’incontro.

«Quella mattina si doveva andare a Positano con il tuo gozzo. Eravamo tutti pronti per partire quando arrivò la telefonata dal “Monaldi”.
C’era il cuore pronto per il trapianto.
Fu una corsa a cambiarsi, lasciare il costume e infilarsi gli abiti d’ordinanza. Giacca in pieno agosto e borsa da lavoro; quella borsa che per il pittore
diventa scrigno di cuori in mano al professore, sotto il sole cocente della banchina del porto di Capri in attesa dell’aliscafo. Una tempera a cui sono molto affezionato […].
Era il 1988 e stavano chiamando dall’ospedale. C’era il cuore…
“C’è il cuore, c’è il cuore, c’è il cuore”, questa era la frase sussurrata che ci passavamo l’un l’altro, dopo averla appresa.
Maurizio doveva partire.
Ciao Maurizio, buona fortuna […]».

(dalla Prefazione di Gianni Pisani)

«Sono le 11.00, squilla il telefono in direzione.
A Barcellona un incidente stradale ha destinato un giovane studente a donare gli organi, è AB Rh positivo, il cervellone europeo non trova altri possibili riceventi compatibili se non il Sig. XY di Ponticelli, in lista d’attesa a Napoli.
“Non vi è tempo da perdere”, gli comunicano.
“Concedetemi almeno 30 minuti”, risponde.
Non trema, è lucido e vigile: è certo il peggior candidato per un primo trapianto, 65 anni, il diabete, la broncopatia, le arterie della gamba malate, Barcellona è lontana e quattro ore di ischemia possono danneggiare il cuore, un insuccesso sarebbe una pietra tombale per il programma.
Riflette, è forse l’ultima occasione concessa al paziente, la piazza attende la gloria, il mare di Napoli è azzurro e sereno, il Vesuvio gli sorride, il poker della domenica è stato fortunato […]».

Maurizio Cotrufo, nato a Napoli nel 1938, dopo la laurea in Medicina, è stato assistente ordinario nell’Istituto di Semeiotica Chirurgica dell’Università di Napoli, diretto dal Prof. Giuseppe Zannini.
Nel 1966 ha vinto una fellowship presso la Baylor University di Houston, Texas, dove ha completato un programma di training in Chirurgia Cardiovascolare, sotto la guida dei Proff. DeBakey e Cooley.
Ordinario di Cardiochirurgia dal 1974, fino al pensionamento ha diretto l’Unità Operativa Complessa di Cardiochirurgia della Seconda Università di Napoli, che nel 1979 si è trasferita attraverso atto convenzionale presso l’Azienda Ospedaliera “V. Monaldi”.
Durante il suo percorso ha fondato e diretto la Scuola di Specializzazione in Cardiochirurgia, il Dottorato di Ricerca in Discipline Cardiopolmonari, il Dipartimento Universitario di Scienze Cardiotoraciche e il Dipartimento Ospedaliero di Chirurgia Cardiovascolare.
Presidente della Società Italiana di Chirurgia Cardiovascolare nel 1982, dell’Associazione Europea di Chirurgia Cardiotoracica nel 1992, ha fondato e presieduto il Collegio dei Professori Universitari Italiani di Cardiochirurgia.
È autore di 12 monografie e 530 pubblicazioni a stampa.
Nel 1988 ha eseguito il primo trapianto di cuore nell’Italia Meridionale e Insulare.
Nel 1992 è stato insignito della Medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica per la Sanità Pubblica. Dal 2010 è Professore Emerito di Chirurgia Cardiaca presso la Seconda Università di Napoli.

Gian Paolo Porreca è nato a Napoli nel 1950.
Professore aggregato di Chirurgia Vascolare presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, svolge la sua attività assistenziale presso il Dipartimento di Chirurgia Cardiovascolare e dei Trapianti dell’Azienda Ospedaliera “V. Monaldi” del capoluogo campano.
Scrittore ancor prima di indossare il camice bianco, nel solco della grande narrativa partenopea degli anni Sessanta (Prisco, La Capria, Compagnone), ha esordito con A Gerben, con simpatia(Schettini, 1975), scritto a soli 19 anni. Ha pubblicato successivamente la raccolta di raccontiUna stagione fiamminga (Alfredo Guida, 1992); il romanzo Ti raccomando Raas (Limina, 1996);Pantani e io (Limina, 1999); Chiedimi chi era Merckx (Castelvecchi, 2013) e L’estate di P. ed altri racconti aurunci (Ikone-Byblos, 2013). Ha inoltre curato un volume di saggi in memoria di Luigi Compagnone.
È stato premiato in diversi concorsi letterari, dai Premi Coni ’78, ’86 e ’93 al Selezione Bancarella Sport ’93, dal Teramo ’69 al Domenico Rea – Isola d’Ischia ’97, al Premio Benevento 2000.
Giornalista pubblicista dal ’96, è collaboratore del quotidiano «Il Mattino».

“DICI TU…Titolo provvisorio” di Riccardo Imperiali di Francavilla – Festival della Letteratura nei Campi Flegrei

Dici tu titolo provvisorio

Festival Pozzuoli

Si parte da un prestesto, pre-testo, da un’occasione, un tema anche banale (il termine non ha accezione necessariamente negativa, a meno che qualcuno non abbia la consapevolezza che lo stesso Dio che ci ha creato dal banale semplice “fango” non abbia fatto nulla di buono), ordinario (è meglio), consueto, di quelli da cui non penseresti mai si possa iniziare a scrivere un racconto decente o un romanzo, e ci si diverte a far venir fuori una serie di riflessioni, di “scatole cinesi” dove ad ogni modo la sorpresa è nel nocciolo, nella parte finale. A dirla con Gambardella (“Vinicio Sparafuoco…”) è come i fuochi d’artificio: si parte con una certa lentezza, con nonchalance per arrivare al “gran finale” (e qui ovviamente non sono maestro, se “maestro” di qualcosa io lo sia). Sto parlando di “Dici tu…Titolo provvisorio” di Riccardo Imperiali di Francavilla 2014 Tullio Pironti Editore, 19 racconti che invito tutti a leggere sia che vi siete arrabbiati ed avete bisogno di ritrovare la pace vostra, sia che siete tranquilli e volete divertirvi e rilassarvi. Non si pensi tuttavia ad una lettura solo rilassante, leggera; c’è della indubbia sostanza nell’autore che, da quel che mi viene detto, ha ritrovato la strada perduta ed a mio parere è bene che la continui. Tutto quello che si è accumulato con l’esperienza umana e professionale potrà continuare a confluire nella produzione letteraria. In questa riflessione inserisco la mia presunzione aggiungendo che i racconti di Riccardo Imperiali sono indirizzati ad un pubblico intelligente e pronto a coglierne le sfumature eleganti. In effetti non sono, lo accennavo all’inizio, dei veri e propri racconti; sembra quasi che da un cilindro l’autore ricavi i temi su cui “ricamare” un ragionamento. Prendete ad esempio, ma solo ad esempio il primo racconto “Due palle” e ci troverete l’anima napoletana (“Napoli è questa: una banale spesa che diventa teatro, chiacchiera, finzione, gioco, una continua presa in giro reciproca, vita.”) Ed era “Maestro” in questo Eduardo De Filippo che giocava frequentemente sulle “banalità” (oh Dio, nuovamente questo termine!): ve lo ricordate il “caffè in “Questi fantasmi”? Nel leggere,poi, si avverte la voce dell’autore con la sua pacata ironia, forse necessitata anche dalle problematiche non sempre positive della quotidianità (se non si sorride cosa rimane? La disperazione) che viene stemperata proprio con una sottile pacata arguta ironia. L’autore infatti riesce a “…fare assurgere a problema esistenziale anche episodi improvvisi come fontane divelte al centro della città, in ora di punta, fuori al supermercato” (“La fontana del Comune”). E, se leggete “Una serata in jazz”, ci troverete l’anima del melomane (non so se mi sbaglio ma l’autore conosce bene le diverse caratteristiche “umane” degli strumenti in un’orchestra pur minima) anche se lui conclude: “Mi sa che, di musica, continuo a non capire un cazzo, però che serata di jazz!”. Io quel racconto l’ho trovato eccezionale. Ed andando avanti, trovando il titolo “Preti, pretini, pretoni” cosa pensate che non vi divertirete? Ma fino alla fine è così: nell’ultimo racconto, “L’Italia, una fiaba per bambini”, ponendosi dalla parte dei più piccoli sviluppa ragionamenti esilaranti (seri, eh!) di un gruppo di bambini (età media cinque anni) che, come accade di norma, si fingono, nei loro giochi, grandi (“Votiamo. Ho sentito che i grandi così fanno….”) discutendo questioni planetarie come quella di portare un po’ di sole del Sud nel freddo di Belluno (non so se qualcuno ricorda l’amenità di quel “signore” che voleva sterrare un monte di 1595 metri – il Tomatico – per portare il sole alle valli del Feltrino) ed esilarante è la discussione su “terrone, terrino, terronone, terronetto” per identificare i meridionali. Ci ho riso tanto senza farmi sentire e vi assicuro che vi ho dato, con il mio modesto commento, solo meno di un decimo di quel che ho ricevuto, leggendo queste pagine.