CHIEDIMI CHE ORE SONO di Agata Virgilio – anticipazione di un commento

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Salve. sto per terminare la lettura di “Chiedimi che ore sono” della giovanissima Agata Virgilio. Lo trovo agile, lieve e pieno di consapevole ironia; pur trattando di temi “apparentemente” autobiografici non è mai autoreferenziale e retorico. Un testo maturo pur nella relatività degli anni dell’autrice ma di certo superiore a quanto questi ultimi le assegnerebbero comunemente. Credo che lo possiate recuperare su Internet attraverso ilmiolibro.it Al più tardi dopodomani lo commenterò più ampiamente – e questo non accade perché sia faticosa la lettura che, come ho già detto, scorre velocemente. Di norma fra un libro e l’altro faccio intercorrere uno spazio di tempo. Anche in questo caso.

CAMBIO VERSO – per la mia vita – 3

sono davvero carini questi “gufetti!!!”

Qualcuno fa finta di sorprendersi rispetto alle mie riflessioni, perché l’Ipocrisia che troppo spesso è stata spacciata per furbizia, scaltrezza tipica della Politica praticata l’ha fatta da padrona: è stata la “stella polare” cui si è affidato il proprio destino “fortunato”. E comincia così ad accadere che alcuni assertori del Verbo “rinnovato”, senza smentire la loro scelta, negli incontri pubblici ma interni al Partito Democratico si riempiano la bocca del Verbo di Fabrizio Barca, che ha molto poco a che vedere, anche se resiste apparentemente in modo imperturbabile ad operare nell’ambito del PD, con quello dello pseudo rinnovamento. Fa una certa impressione sentir dire da alcuni dirigenti che occorra applicare il “metodo Barca” e Barca su Barca giù sembra quasi che non si sappia che pesci pigliare, dove appigliarsi per salvare la zattera alla deriva su cui si è deciso di viaggiare. In questa bagarre vedo facce che non mi sono mai piaciute (ed alle quali – credo – non sono mai piaciuto) e con le quali non intendo condividere il mio tempo e le mie conoscenze, le mie competenze (le une e le altre per scarse che siano), ne faccio a meno ma non traccheggio come fa per motivi molto misteriosi qualche altro. Vi saluto con rispetto e deferenza e vado via.

PASSIONE VIGO/TRUFFAUT POZZUOLI – Lux in Fabula 21 ottobre ore 18.00

Copertina Sales Gomes

L’iniziativa è da me coordinata preventivamente. Durante la serata presenterò esclusivamente i quattro giovani che si occuperanno sotto punti di vista diversi di proporre all’attenzione dei partecipanti le figure di Jean Vigo e Francois Truffaut nelle loro somiglianze e nelle loro differenze. Jean Vigo è morto fra il 4 ed il 5 ottobre del 1934; Truffaut muore il 21 ottobre 1984. Sono, in questo mese di ottobre, 80 anni dalla morte di Vigo e 30 da quella di Truffaut. Qui sotto riporto la mia introduzione all’iniziativa del 19 aprile 2005 a poco meno di cento anni dalla nascita di Jean Vigo (26 aprile 1905).

 

Saint JEAN VIGO protettore dei cinefili

Si può scoprire la “poesia” di Jean Vigo a trenta anni e la si può scoprire a venti o a cinquanta ed oltre: ma sempre di poesia si tratta.
Lo capirono in tempi e momenti diversi anche personaggi illustri nel mondo del cinema: Lindsay Anderson che ha dedicato a Vigo uno dei suoi assoluti capolavori, “If…”; François Truffaut che ha seguito sin dall’inizio della sua carriera lo spirito di Vigo con “Les mistons” e poi con tutta la serie imperniata sul suo alter ego “Antoine Doinel” e non solo (si ricordi lo splendido dolcissimo “Argent de poche”; Manuel de Oliveira, coetaneo di Vigo, che nel 1941, dopo qualche documentario che si rifaceva ad “A propos de Nice” ha girato “Aniki Bobò”, una storia a misura di ragazzi come era “Zero de conduite”.
Quanto a me ho incontrato Vigo nelle notti gelate degli inverni feltrini (“Se vuoi soffrire le pene dell’Inferno vai a Trento d’estate ed a Feltre d’inverno”) proiettandolo su un lenzuolo ad una piazza appoggiato alla meglio fra le ante di una vecchia credenza; perché mi abbia segnato non lo riesco a spiegare, e forse non se lo spiegano in molti: forse la poesia delle immagini e delle storie narrate ti entra dentro senza fare rumore e puoi soltanto comprendere di sentirti meglio e di possedere qualcosa di più perché tu possa sopportare tutto quello che di brutto poi la vita ti regalerà.
Quanto a Vigo la passione, la gioia di vivere, il sentimento di liberazione che gli veniva offerto dall’utilizzare la macchina da presa per esprimere il suo personale punto di vista, la determinazione nel perseguire un obiettivo di “cinema sociale”, la persecuzione che egli dovette subire sin dagli anni della sua infanzia (a causa del padre, anarchico idealista = si leggano le pagine che a questa fase della esistenza di Vigo dedica Sales Gomes) e che lo accompagnò per tutta la vita fanno di questo personaggio un punto di riferimento di tanti che guardano ancora alla vita con incanto, che hanno ancora voglia di progettare, che hanno ancora il desiderio dell’impegno culturale e soprattutto civile e sociale.
Per fortuna egli ebbe un gruppo compatto di veri amici, forse un po’ matti, un po’ idealisti, anche anarchici (attenzione, questo termine viene utilizzato per quello che poteva significare sia per Almereyda, il padre, sia per suo figlio, Jean Vigo, ovverosia persone che, pur talvolta sbagliando, non si vogliono omologare, ma comunque persone che non hanno mai sollecitato né compiuto azioni criminose o delittuose) che lo sostennero, lo incoraggiarono, ne seguirono la parabola ascendente e gli insuccessi legati tuttavia come si può ben immaginare ad un mercato che non offriva spazi a coloro i quali volessero esprimersi liberamente, un mercato che, se non era molto diverso da quello dei nostri tempi, di certo non era incline a finanziare esclusivamente i sogni dei giovani.
Ed è così che ho continuato negli anni successivi ad incontrare altri Vigo, altri sognatori, entusiasti della loro esistenza, consapevoli dei propri limiti ma pervicacemente inclini ad una continua ricerca di sé, attraverso errori, battaglie, delusioni, successi, attraverso confronti e scontri spesso duri con le diverse realtà, sempre cercando di sfuggire a compromessi, sempre finendo per accettarne una parte per poter alla fin fine realizzare un piccolo, seppur piccolo, passo in avanti. Non ne conosco molti, ma li vedo spesso sul mio cammino ed io li accosto agli “angeli” di Wenders che sono in grado di interpretare parti della realtà a noi inaccessibili, un po’ come i “poeti” capaci di cogliere una scintilla, di carpire un mistero, l’inarrivabile, l’inafferrabile, l’eterno.
Nel corso degli anni frequentando cinefili, ed essendo anch’io in fondo aggredito da questa “malattia”, fra questi ho incontrato qualcuno che somigliava a Jean Vigo, involontariamente e lontanamente, credo. Ma sono anch’io convinto che quel giovane, cui la morte prematura ha concesso l’eternità nella sua piena condizione di “outsider”, possa essere considerato dai giovani, dagli uomini che continuano a sognare, da coloro che non rinunciano alle loro idee e che propongono percorsi e visioni nuove, ai poeti, ai cinefili insomma, il loro nume tutelare, il loro santo protettore.
Bene! in estrema sintesi, ecco dunque perché ho scelto di ricordare Jean Vigo a cento anni dalla sua nascita.

Giuseppe Maddaluno Presidente Comm.ne Cultura Circoscrizione Est del Comune di Prato
Prato Teatro Magnolfi – 19 aprile 2005