Ed è sugli Intercity o sulle metropolitane che assisti alla vita come se ti trovassi dentro ad un film o ad un documentario e ti rammarichi di non avere perlomeno un registratorino di quelli tipo 007 nascosti nella penna o in un bottone della giacca; come quella volta (ma chissà quante altre volte è accaduto a ciascuno di noi) che, nell’attesa dell’arrivo del treno metropolitano da Montesanto a Pozzuoli, attesa prolungata visto il cattivo funzionamento del servizio, abbiamo vissuto un dramma sentimentale di primo livello con attestazioni di affetto e di rancore progressivo trasmesso a voce alta attraverso l’uso di un telefonino con auricolare. Ed a me forse anche ad altri è venuto il dubbio che fosse una “performance” che il servizio metropolitano forniva per far meglio sopportare i disservizi. Dubbio ovviamente da fugare: non si può dare crediti così culturalmente elevati a chi non è in grado di far funzionare i mezzi di trasporto locali. E poi di teatrini simili se ne sono visti ed addirittura corali, come quella volta (il rammarico di cui sopra è in questo caso ancora maggiore) che sempre sulla stessa tratta ma di ritorno dal Nord i viaggiatori hanno potuto assistere ad una puntata di docu-fiction tutta in scena in una sola carrozza con tre-quattro personaggi che esponevano sempre a telefono le loro problematiche (personali, professionali, intime) dandosi il cambio: in pratica, non appena terminava un dialogo (pacato, concitato, incazzato) ne partiva un altro annunciato da un trillo con varie suonerie e tutto questo per circa mezzora da Piazza Garibaldi a Bagnoli (da Bagnoli a Pozzuoli ho potuto pensare ai cavoli miei). Avevo accennato nel post precedente ad uno dei tanti viaggi da Napoli a Prato ed all’incontro – inevitabile per il sonoro – con un fiume in piena di parole la maggior parte in dialetto solo in parte italianizzato profferite da un viaggiatore: gli scompartimenti erano aperti (sfortuna o fortuna?), io lo vedevo (e lo sentivo), era nella fila di fronte a me in diagonale, altri, meno fortunati (o ugualmente sfortunati), lo sentivano soltanto, ma ne seguivano le argomentazioni. Qualcuno, come un giovane studente seduto nella mia fila, si astraeva con l’ausilio di un auricolare. Il signore in questione poteva far impallidire qualsiasi grande autore (penso a Boccaccio ma soprattutto a Pirandello): in lui era possibile intravedere lo spettacolo della Vita su un treno in movimento. Solo per portare un esempio ha raccontato per filo e per segno con una minuzia di particolari la vicenda di una famiglia (marito e moglie, entrambi maturi) particolarmente incline alle libagioni ed alle crapule irrinunciabili anche di fronte a fatti drammatici; i particolari riguardavano la qualità e la quantità delle cibarie ed il giudizio morale con una narrazione parallela delle condizioni critiche di un loro congiunto appena ricoverato in ospedale. Altro argomento, forse ovvio in questi tempi di crisi, prolungato anch’esso in variazioni fonetiche e lessicali rigorosamente popolari, fu una filippica possente contro le malefatte della Politica, contro i poteri finanziari, ovviamente non si andava al di là delle banche, contro il Governo. Se proprio volete leggo dai miei appunti (eh sì, avevo smesso di leggere un libro e prendevo appunti) il parallelo azzardato (ma rende un tantinello l’idea) con Renzo Tramaglino all’Osteria della Luna Piena dopo aver assistito ai tumulti ed essere stato “ubriacato” dalla spia. Ma il “nostro” viaggiatore non era ubriaco! Il signore poi si è dilungato sui tempi dell’età dell’oro, il Fascismo ed i tempi non tanto lontani della Lira sperticandosi in quella pratica che è tipica della gente semplice, che confonde i problemi esistenziali personali con quelli storici universali. E poi ha imboccato le tematiche degli oggetti “portafortuna” laici (il corno, la zampa di congilio, il ferro di cavallo, la gobba di un uomo – non quella di una donna che invece porta sfiga) e religiosi (immagini sacre, i “santini” con i propri santi protettori) e di come sua figlia ne abbia fatto positivamente uso ai vari Esami cui ha partecipato. Questi ultimi argomenti li trattava con un gruppo di giovani studentesse che erano sedute in sua prossimità e che io non riuscivo ad intravedere; pretesto per avviare questo dialogo, la presunta somiglianza di una di queste con una delle sue figlie. A Prato siamo scesi entrambi e ci siamo salutati mentre utilizzavamo l’ascensore; era ancora nel pieno del suo vigore ma lo riversava ad una bellissima bambina che doveva essere sua nipote, contenta di rivedere il nonno ed assolutamente silenziosa, forse imbarazzata dalla presenza di altri viaggiatori.
I viaggi sono sempre pieni di sorprese ed aprono una “finestra” sul nostro mondo. Ci permettono di conoscere, di capire e, qualche volta, anche di dialogare, a meno che non si incontri “un fiume di parole”.