VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – parte 7

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I giorni – PARTE 7

IL DITO SCORREVA SULLA LISTA. I NOSTRI SGUARDI ATTENTI.
“Sì, una singola”. Ci meravigliammo altamente. Era il primo albergo cui c’eravamo recati.
“Ma è per stasera soltanto” leggendo con precisione “E’ già prenotata per domani”.
“A noi occorrono due posti. E’ possibile aggiungere un altro letto?” Senza discutere su altro, ci facemmo accompagnare alla nostra camera.
Poca fatica, dunque. Aiuto del cielo.
Spalancai le imposte: una terrazza. Crepuscolo meraviglioso visto verso oriente. Rumore di imbarcazioni scoppiettanti allontanarsi o accrescersi nel silenzio di altre voci o rumori. Rispecchiarsi di luci sul bel mare di nafta.
Da dove mi trovavo vedevo gran parte dell’isola. Fin l’isolotto di Gavi e, alle mie spalle, il Monte della Guardia.
Le agavi, al mio paese, hanno fiori sporchi. Fu la prima cosa. Vedemmo i fiori delle agavi stagliarsi sulle alture dell’isola nella penombra del tramonto. Ci colpirono le insegne luminose di alberghi, ristoranti ed hotels.
“Allora, d’accordo, se mi stanco…”
“Sì, ma andiamo a quell’hotel”
Ci aveva colpito l’insegna ma dopotutto era anche il primo. E ci andò bene.
Bussarono. Dopo poco il secondo letto era a posto. Mi gettai di sopra, stanco. Per poco non finivo a terra.
“Ti telefono appena posso”. Era tardi. Era di certo in pensiero.
“pronto. Tutti bene. Ora siamo arrivati. Siamo a Ponza”. Altre sciocchezze vane. “Ciao. Ti telefono dopodomani. Ciao…. Ciao”
Era un ragazzino, di quelli svegli e vispi.
“Comandino? Cosa posso servirvi?”
Più che la posizione del bar, in zona di passeggio, ci aveva attratto la presenza di tre ragazze sedute ad un tavolo dello stesso locale.
Ordinammo. Cominciammo a farci notare. Poi…
“Scusi, dov’è che posso trovare un tabaccaio?”
“Non lo so”
Ovvia risposta di chi ha capito il gioco e vuole scherzare.
Andai da solo alla ricerca di un rivenditore di tabacchi. Di ritorno, avevo intenzione di offrir loro delle sigarette. Così, per attaccar bottone. Ma c’era già chi con tutta evidenza le aveva offerte loro ed esse le avevano, a sentir le loro larghe allegre e sonore risate, ben volentieri accettate. Come noi, altri due ragazzotti erano rimasti a bocca asciutta e, chissà perché, si consolavano guardandoci con un sorriso leggermente ironico, sornione e forse ipocrita.
“Micio, micio, micio….Signorina, le piacciono i gatti?”
Le piacevano. Il resto fu facile, ma improduttivo…. La richiamarono a casa.
Gli scalini non sono quanti a Capri. Ma ne salimmo una trentina. Occhi che ci guardavano. Di donna. Di poco coraggio. L’ingresso del nightbalera era colorato da una lampadina rosso-cupa. Accanto un ristorante pizzeria, frequentato da gente un po’ su. Più in là una chiesa. Tutto nella penombra.
Una tradizionale voce napoletana, cantava, sussurrando, alla luna.
“Che m’ha saputo fa’ stu quarto ‘e luna
che m’ha saputo fa’ chi voglio bbene
e me tormenta sempe nu pensiero
no, nun è overo…”
“ ’Na voce, ‘na chitarra e ‘o poco ‘e luna
e comm’è doce chesta serenata:
‘a vocca toia s’accosta cchiù vicina
e tu t’astrigne a me…”
“Sembra un albergo”.
“Lo è”
Era un castello. Lo era. Il gruppo cantava mentre un giovanotto, chitarra imbracciata con maestria, suonava. Canti in dialetto del Nord. Milano, pensammo. Milano, ci dissero.

I Giorni – fine parte 7

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