VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – PARTE 19

VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – PARTE 19.

L’avevo conosciuta ad Assisi, qualche anno prima. Adesso mi passava davanti, qui, a Ponza. Gridai il suo nome, incerto, ritraendo un po’ il viso vigliacco, nel caso avessi sbagliato. No, proprio lei. Un po’ fredda, frettolosa di concludere il nostro incontro.
“Ci vediamo”. Così generico da fare male.
Il nostro amore, solo due giorni. Due giorni di qualche anno prima.
Salutai e tornai al muretto. Io, che non torno indietro, forse per paura, lo avrei voluto adesso. Due giorni, così pochi!
Questi pensieri, costanti. Al bar, il solito, i soliti personaggi. Quelli della sera prima. Uguale gioco, un dubbio irrisolto, tuttora. Allegria di marinai napoletani a bisboccia. Stupide discussioni, guardando la gente passare. Abbaiare di cani, segno – così ci dicono – dell’eclisse.
Non ci interessava! La giornata con la sua escursione fatta a piei era stata faticosa. La luna, poi, da dove stavamo, era invisibile. Quasi mezzanotte. Un’altra giornata era andata via. Bisognava tirare le somme. All’indomani avremmo fatto ritorno a casa. Così, stanchi e mogi, ci avviammo verso il nostro rifugio ponzese.
Fuori, a prendere il fresco i nostri amici dell’albergo.battute spiritose. Risate. Controbattute. Quasi un’ora di spettacolo gratuito. I miei pensieri, altrove. La mia mente un po’ sconvolta. Dei napoletani si parla dappertutto. Anche a Ponza.
Anche ad Assisi, quell’anno. Napoletani furbi e un tantino cialtroni e, in nostro onore, simpatici. Aneddoti divertenti e letterari.
Ricordo una donna, lassù, fra le altre, sulla loggia dell’albergo, dolce e simpatica, attraente eterea come se vivesse in una soffice nuvola.
La sorellina giocava con i gatti e con i cani, non più nemici, accarezzandoli come si trattasse di noi, guardandoci con quegli occhi neri e sorridendo, cercando quella carezza che né cani né gatti avrebbero potuto farle mai.
“Bella, la signora” non appena fummo in camera, il mio amico. E, sbadigliando, lo andava ripetendo. Sotto le lenzuola a cercare il silenzio.
Scoprire di trascorrere le vacanze nello stesso posto, pretesto per iniziare. Un’amica occasionale ci presentò. Andammo insieme agli altri del mio gruppo, fino a Perugia, in pullman, da Assisi. Al ritorno eravamo già più che amici.
Un ritrovarsi voluto nella sera. Un localino di campagna dove ti cucinano, a poco prezzo, quaglie e spiedini, tutto sui carboni ardenti. Con un fumo ed un vino che dà alla testa, lentamente. L’ambiente, goliardico.
All’uscita, sottobraccio, l’aria fresca ci invitava a tenerci più stretti. Abbracciati, lungo la strada, a barcollare e a saltare. La strada sgombra e noi seduti a terra, poi distesi. Ora sui bordi dei canali, ora aggrappati ad un segnale stradale. E la luna, su.
Era dicembre. Faceva un freddo! L’estate prima, lei ed io, eravamo stati a Procida in vacanza, ma non ci eravamo mai incontrati.
Scrivere una lettera: esitare alla ricerca di una form. Scrivere qualcosa. Strappare. Tanti pezzi nel cestino. Con gli occhi nel vuoto, al buio interiore.
“ Mai una volta sincero, anche stavolta non riesco a capacitarmi quanto debba essere insincero verso di te, e cattivo anche. Sei stata una buona esperienza per me; soltanto una buona esperienza, non provo altro e per questo ne soffro, – come – forse tu non puoi neanche pensarlo. Sei stata l’unica con cui sono stata insieme e bene per quel poco di tempo che ci concedeva il convegno, ma non ho provato niente di quello che chiamano amore. Per me eri un’amica e tale sei.
Ti ho scritto, tante lettere, tante bugie, sarai stata ogni volta felice di ricevere la mia lettera, di leggerla, ma dentro era tutto falso, falso, falso e così oggi sono così…così… E’ vero, mai sono stato sincero con te, ma forse mai sono stato sincero con alcuno, neanche con me stesso. Ricordi quella notte, ad Assisi?….”.

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