NON PROTESTE MA PROPOSTE – dal Circolo ARCI San Paolo e dall’ADSP – CIRCOLO DELLE IDEE di Prato – prima parte

LE IDEE NON VIAGGIANO MAI DA SOLE – AIUTIAMOLE A MUOVERSI

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NON PROTESTE MA PROPOSTE – dal Circolo ARCI San Paolo di Prato e dall’ ADSP – CIRCOLO DELLE IDEE all’interno di TRAMEDIQUARTIERE – Progetto seguito dall’IRIS Ricerche (Massimo Bressan, Massimo Tofanelli e Sara Iacopini) nell’ambito del PROGETTO PRATO della Regione Toscana (Andrea Valzania e Vinicio Biagi. “Gestire le diversità” è uno degli obiettivi da perseguire in una realtà come “questa” di San Paolo che è una vera e propria frontiera.
Ne avevamo parlato in altre occasioni e qui riproponiamo alcune parti di quelle elaborazioni che sono superate nelle “etichette” ma non nella necessità e nella nostra volontà (alcune parti possono essere “datate” riferendosi a nominativi oggi per fortuna “obsoleti” come quelli di Cenni e di Milone).
Ecco alcuni brani di un testo che avevamo preparato alcuni mesi fa:

OBIETTIVI E INTERVENTI INTEGRATI
L’obiettivo generale del nostro progetto è il cambiamento del clima nelle relazioni sociali ed economiche, nel quartiere dove operiamo, nella direzione della distensione e dell’accoglienza. La complessità dei temi da affrontare nel territorio di San Paolo-Macrolotto Zero impongono la scelta di interventi integrati che riguardino diversi campi d’azione: l’inter-cultura, l’ambiente, l’urbanistica e gli spazi pubblici, la viabilità, le relazioni economiche, la partecipazione dei cittadini (con le loro diverse origini culturali) alla gestione del territorio.
Inter-cultura
In una realtà così composita notevoli sono i fenomeni di disgregazione, di isolamento e di spaesamento. Per essere felici in un posto occorre avvertire il territorio nel quale si vive come luogo amico e per raggiungere questo obiettivo occorre conoscerlo nella sua storia nelle sue trasformazioni nelle sue caratteristiche sociali ed antropologiche. San Paolo è stato da tempo luogo di presenze di diversa provenienza territoriale: negli ultimi decenni forte è stata l’immigrazione interna a supporto dell’’industria tessile mentre negli ultimissimi anni notevole è stato l’afflusso di extracomunitari di origine soprattutto cinese, tanto è che il problema più rilevante è diventato proprio il rapporto fra la comunità pratese già di per sé composita ed i cinesi con le loro abitudini, i loro particolari stili di vita e la difficoltà di comunicare in modo agevole. Non è facile ma bisogna attivare ogni sforzo per ottenere anche piccoli risultati in positivo.
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Riteniamo che il coinvolgimento della Scuola, insieme ad altre agenzie culturali, sia uno dei pilastri su cui basare un intervento efficace per mettere in collegamento i mondi diversi del territorio. Ci proponiamo di attivare i seguenti progetti:
– Percorsi di conoscenza storica, sociale e culturale in una scuola importante di San Paolo (via Toscanini).
Avvieremo incontri con i dirigenti scolastici ed i rappresentanti delle diverse etnie residenti sul territorio.
Costruiremo relazioni attraverso momenti di discussione e di “festa”.
Lavoreremo per costruire sul territorio di San Paolo occasioni per approfondimenti inter-culturali con agenzie culturali che supportano questo progetto (IRIS, ADSP – CIRCOLO DELLE IDEE, Associazione “Dicearchia2008”) e le varie comunità.
Si accompagnerà il lavoro di ricognizione e studio che l’IRIS di Prato, in modo specifico il suo Presidente Massimo Bressan, va proponendo per un’analisi approfondita delle diverse trasformazioni sociali ed antropologiche che si sono presentate sul territorio del Macrolotto Zero e di San Paolo. Verranno coinvolti anche altri Circoli presenti, come il “Curiel” di via Filzi e la Cooperativa “Aurora” di via Ciardi. Saranno organizzate giornate di studio, seminari, incontri con esperti (etnologi, sociologi, antropologi, architetti); saranno allestite mostre fotografiche ed una vera e propria Mediateca delle testimonianze in video che saranno il risultato del progetto “Gestire la diversità” che IRIS attiverà utilizzando tecniche di “digital story telling” che coinvolgerà cittadini del quartiere delle diverse etnie.

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Ambiente, urbanistica e spazi pubblici
Ci concentreremo su due aspetti distinti e paralleli. Il primo di carattere storico e culturale collegato al punto precedente tenderà ad una conoscenza degli studi accurati ed approfonditi che l’architetto urbanista Bernardo Secchi ed i suoi collaboratori, alcuni dei quali già disponibili a partecipare alla realizzazione di questo Progetto, avevano prodotto alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso e che vedevano come luogo di primaria rilevanza proprio il territorio di San Paolo e quello specifico del cosiddetto Macrolotto Zero. Il secondo aspetto sarà più specificatamente collegato alle questioni ambientali sociali e sanitarie si dovrà occupare degli stili di vita e delle condizioni abitative e lavorative della comunità cinese, anche allo scopo di evitare poi spiacevoli conseguenze nel rapporto con la popolazione italiana e con gli organismi di controllo istituzionali. Le due parti potrebbero avere come titolo:
1) Dal Piano Secchi al Piano strutturale: cosa recuperare e cosa modificare – Come rendere lo spazio vitale e comune più accogliente per tutti.
2) Acquisizione delle conoscenze in materia di rispetto dell’ambiente ed in materia sanitaria da condividere ed applicare.

fine prima parte

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NIENTE E’ COME SEMBRA – cronaca di un sopralluogo per TRAMEDIQUARTIERE – Prato 19 gennaio 2015 – una metanarrazione

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L’immagine in evidenza è esemplificativa!

PER CHI LO AVESSE PERSO O PER CHI E’ PIGRO E NON VUOLE AFFATICARSI A RICERCARE LE TRE PARTI DEL RACCONTO DA ME PUBBLICATO SU QUESTO BLOG eccolo per intero

NIENTE E’ COME SEMBRA – cronaca di un sopralluogo per TRAMEDIQUARTIERE – Prato 19 gennaio 2015 – una metanarrazione

1920 gennaio – “un po’ per celia, un po’ per non morire”
Quella parte della macchina fotografica che inquadra il soggetto – o l’oggetto? – che decidi di riprendere collocandolo in un suo attimo eterno di fissità assoluta non poteva essere chiamato in maniera così distante dalla sua concreta essenza. L’ “obiettivo” è infatti ciò che più lontano non può essere rispetto alla reale “obiettività”. Tutto è fuorché “obiettivo”!
E, pur volendo rappresentare la realtà, la verità, non può che rappresentarne, sulla linea infinita del tempo, una minima minuscola infinitesimale parte di esso.
La dimostrazione pratica di quel che si scrive è data dalla impossibilità di fornire un’unica spiegazione logica “obiettiva” di qualsiasi fotografia.
Ecco, dunque, quel che accade quando ci troviamo, come persone comuni, di fronte agli oggetti che vogliamo fotografare: anche l’attimo che scegliamo e che riusciamo ad ingabbiare, che impropriamente chiamiamo “istantanea”, è inevitabilmente successivo a quello che avremmo voluto fermare. In questo caso l’obiettività ricercata sfugge a noi stessi che la intendevamo invece accogliere come unico ed essenziale punto di vista.

I ragazzi hanno percorso le strade di San Paolo. I ragazzi – ma sono soprattutto ragazze – che seguono il Progetto delle Trame li abbiamo indirizzati ed accompagnati ed hanno così potuto interrogare le varie realtà del quartiere con i loro strumenti, a partire da quelli fisiologici, gli occhi e le menti. Tutto è, dunque, relativo: al momento, alla persona che inquadra ed a ciò che viene inquadrato. Il momento della giornata, delle stagioni e del clima diverso, della luce che cambia. Ed anche le contingenze storiche e sociali di una minima realtà condizionano sia i risultati che le loro interpretazioni in modo emotivo. Diversamente.
Dal Circolo di via Cilea partiamo e chissà perché mi vengono in mente Pirandello ed Imperiali, in particolar modo quella storia “pirandelliana” che quest’ultimo narra ne “La fontana del Comune”. Sarà un presagio? Sarà un presagio!
Un gruppo va verso il “pallaio”, luogo di incontro soprattutto di anziani ( ma i giovani non mancano anche se sono una eccezione)che giocano o solo osservano giocare a bocce e mentre trascorrono il loro tempo al coperto ed al riparo dalle intemperie discorrono sulle malefatte dei Governi e su qualche maldicenza locale.
Accompagno Valeria alla CONADDE mentre Gino e Siria con gli altri, una parte se ne è già andata subito dopo pranzo, va verso l’area Baldassini. C’è un grande giardino attrezzato ed una quinta di archeologia industriale di esaltante bellezza, tanto è che l’urbanista, lo storico ed il costruttore difficilmente condividerebbero un unico pensiero.
Con Valeria corriamo, le chiedo se il mio passo sia troppo rapido per lei: lo faccio anche per marcare il mio segreto desiderio di non essere considerato quel che oggettivamente sono, un anziano troppo spesso rammollito e pantofolaio. Parliamo; in verità parlo soprattutto io per tutto il tempo, chissà che non annoi come fanno con me alcuni. Ma siamo veloci a ritornare dopo pochi minuti. E ci ricongiungiamo al gruppo, dopo aver scartato , solo in parte, l’incontro con uno strano tipo che, chissà perché, aveva sbagliato il tempo di un appuntamento con Saverio, il nostro coordinatore di Circolo Piddì, e mi tampinava. Bye Bye, gli dico, e fatti rivedere un altro giorno. Mi sento un verme, ma non sono in grado di essere migliore se mi si limita.

Parte 2
……Gli altri sono già agli “orti sociali”, una bella realtà, non c’è che dire: e di spazi così, abbandonati e ricettacolo di sterpi, rettili e qualche oggetto di arredamento fuori posto ma ancora degno di essere esposto in qualche “mercatino dell’usato” o in qualche “installazione di arte contemporanea”, ve ne sono altri qui in giro. Spazi che potrebbero essere utilizzati proprio come “orti sociali” destinati ad anziani, a famiglie, a bambini. I giovani del workshop si sbizzarriscono nel chiedere e nell’impostare inquadrature di uomini e natura. E qualcuno vi si perde e smarrisce. E il gruppo lo perde, proseguendo il suo viaggio pomeridiano tra strade, giardini privati, spazi verdi ordinati e spazi grigio-verdi disordinati e polverosi, antiche fabbriche dagli eleganti sontuosi aristocratici contorni architettonici che emanano sensazioni vetuste ma ancora caratterizzate da una certa nobiltà: quante operaie ed operai vi hanno agito? Quali tragedie quante e quali sofferenze e quante e quali festose ricorrenze hanno vissuto? Dentro esse abita la Storia di questa città e ne respira ora solo un lontano sentore colei o colui che vi transita riconoscendone i profondi valori storici che da lì promanano. Ora esse, pur rimanendo ancora erette con grande signorile apparente dignità, rischiano di essere destinate dall’incuria dei contemporanei ad essere abbandonate al degrado. Qualche espressione da “terzo paesaggio” attira le attenzioni dei giovani fotografi ed in particolare una struttura muraria che divideva gli spazi fra San Paolo e quello che era al di là di San Paolo, che poi solo di recente è stato identificato da Bernardo Secchi come “Macrolotto Zero”, mostra ad ogni modo di possedere una sua peculiare storica distinzione. Fra un’area coltivata ed uno spazio dove il disordine regna indisturbato si giunge al grande Giardino di via Colombo, luogo di incontro e raduno dal mattino alla sera della pacifica e disciplinata comunità cinese – con orari scanditi da ordinanza sindacale dopo le vibranti assurde proteste di un cittadino che lamentava la confusione ingenerata dagli strumenti che accompagnano la pratica del Tai-chi. Altre etnie – Prato ne è piena e ne conta più di cento – frequentano questo luogo. Ci sono anche gli italiani, ma provate per credere e venite pure a vedere, i cinesi – ebbene sì – sono la maggioranza. E ce ne sono davvero tanti, cosicché Valeria si appresta a rubare istantanee con le quali intende dimostrare ( e ce lo dirà solo dopo ) che è pur sempre un lunedì pomeriggio e c’è ancora luce e dunque non può essere del tutto vero che i cinesi lavorino soltanto, che lavorino tanto come si dice così spesso. Racconto a chi mi sta vicino l’esperienza di Emma Grosbois, una giovane fotografa che installa provocazioni artistiche e narro del comportamento dei cinesi, la loro compostezza, la ritrosia, la timidezza su cui però poi, quando Emma aveva completato l’installazione e se ne allontanava, prendeva corpo e forza la curiosità. Andiamo oltre e Valeria si diverte a fotografare i panni stesi dentro e fuori i terrazzini delle abitazioni cinesi lungo il nostro percorso. Li ricerca con curiosità: utilizzano gli “stand” industriali non potendo, per limiti regolamentari dei condomini, esporli all’esterno alla maniera delle famiglie mediterranee; ma non tutti in effetti sono rispettosi e Valeria di questo non può che essere contenta: riprenderà questi tessuti colorati che creano una sarabanda cromatica di straordinaria bellezza.

J.M.

Parte 3
Lungo il tratto – via Puccini via Respighi via Rota, tutti grandi musicisti – che porta verso via Pistoiese, si incrociano etnie orientali islamiche, donne velate e bardate da drappeggi variopinti di gran buongusto. Anche io fotografo qualche scorcio e privilegio la figura umana e la documentazione del lavoro dei nostri giovani. Inquadro infatti la realtà in movimento e per questo temo sempre che vi sia qualcuno che possa non gradire queste mie intromissioni. Ecco infatti che da un auto ferma c’è qualcuno dall’interno, che a me sembra proprio un cinese, che mi apostrofa – lo vedo agitare la mano – e suona per tre volte anche se non in modo imperativo il clacson: faccio finta di nulla, potrei non essere io il destinatario, anche se sembra proprio il contrario, di tale protesta; ma il tizio insiste ed un signore dai tratti occidentali che gli è accanto all’esterno mi fa segno di avvicinarmi. Diamine, che vorrà da me, ora; e temo per la mia incolumità. Ma no! E’ un amico che ha voglia semplicemente di scherzare, dal momento che mi vede in mezzo a tanta bella giovane compagnia. Lo saluto con cordialità, rinfrancato. Una parte della bella compagnia se ne va verso la Stazione di Porta al Serraglio. Rimaniamo in cinque e ci inoltriamo nel cuore di quella che chiamano “Chinatown” un guazzabuglio di corpi e linguaggi in luoghi pittoreschi ma maleodoranti. Procediamo in questi ambienti e ne cogliamo alcuni aspetti conservandoli nei nostri “aggeggi” elettronici: ristoranti, pescherie, ortofrutta, supermercati caotici, sale giochi e per la strada avventori, passanti casuali, garzoni di bottega, signori ben vestiti con valigette e computer accesi ed operanti si mescolano in ambienti degradati. In una di queste strade, leggermente più riservata, accanto ad un’officina meccanica chiaramente italiana ( in questo settore i cinesi non si sono mai inseriti) c’è una chiesa cristiana rivolta ad ospitare parte della comunità cinese (è in un capannone industriale ) e di fronte ad essa si nota un asilo nido anche questo in tutta evidenza – oltre che per le insegne esterne bilinguistiche dalle decorazioni interne – al servizio delle famiglie cinesi, che attualmente sono le più prolifiche.
Si va facendo sera e così si ritorna verso il Circolo. Attraversiamo di nuovo via Pistoiese e per via Umberto Giordano (ritorniamo ai musicisti!) costeggiamo le mura ben mantenute della vecchia fabbrica Forti. Ne ammiriamo alcune parti soprattutto gli spazi antistanti via Colombo che ne evidenziano l’abbandono. La luce sta venendo meno ed è sempre più difficile fotografare; ci limitiamo a documentare ed infatti riprendo alcuni atti del gruppo residuo sulla “rotonda” di via Giordano/ via Colombo con la cornice bassa delle fabbriche abbandonate. E poi in un’istantanea Siria è con Valeria ed in fondo lungo la recinzione Gino leggermente voltato indietro verso un auto della Polizia Municipale “apparentemente” ferma allo Stop.
Diciamoci la verità: quell’auto si era messa in posa per essere fotografata! La foto “istantanea” casuale scattata senza una vera e propria volontà non avrebbe alcun significato. E non avrei potuto scattarne altre per documentare i fatti per non aggravare la situazione del “povero” Gino, malcapitato. L’auto era ferma, proprio, non apparentemente, ferma, ben piantata sullo Stop. Così come fermo era Gino, impietrito e stupito.
Cosa era accaduto? Fa parte della relativizzazione di cui accennavo soprattutto nell’avvio. Ciò che si vede può essere realtà ma anche impressione, suggestione. Questo lo sapevo, ma vaglielo a spiegare ai due solerti vigili urbani.
Lo dico sempre a mia moglie quando la sento imprecare contro quel tizio che ha parcheggiato malissimo ed ha occupato parte del posto nel quale lei dovrebbe parcheggiare. Ma cosa succede al ritorno? La macchina dell’autista che le ha maledetto è andata via ed ora è inevitabile che sia proprio la sua, quella di mia moglie, ad essere parcheggiata “da bestia”. Apparenza ma anche parte di realtà! Anche ai due vigili urbani era parso che il nostro Gino avesse divelto quel reticolato rugginoso ed incerto che si sbriciolava a pezzi solo a toccarlo: il nostro amico a tanti tipi può somigliare ma non di certo all’incredibile Hulk. Oppure sì? È forse un altro esempio di “relativizzazione” della realtà? Siamo di nuovo a chiederci se sia o meno “reale” quel che vediamo, quel che percepiamo? O soltanto ci illudiamo? Forse sì, la vita davvero è un sogno, bello a volte brutto in altre, ma pur sempre un sogno.

G.M.