dalla bacheca di FESTIVAL DELLE IDEE POLITICHE DI POZZUOLI – chi è LUIGI RUSSI

Luigi

dalla bacheca di FESTIVAL DELLE IDEE POLITICHE DI POZZUOLI riporto la testimonianza di Luigi Russi che ci aiuta a conoscerlo meglio

 

“Ma, in India, di che ti occupi?”
Luigi Russi (Professore Università di Bangalore in India) si racconta

Da poco più di sei mesi vivo e lavoro in India. Qui divido il mio tempo traBangalore, sede della mia università, e Shillong, casa della famiglia della mia compagna. Professionalmente, mi occupo di sociologia culturale; il che, in termini astratti, non vuol dire granché neanche tra sociologi. Concretamente, mi interesso della quotidianità: di come le persone fanno quello che fanno, di come si orientano in mondi che, nel profondo, non mancano mai di stupirmi per la loro elegante complessità.

Il libro di cui vi parlerò a Pozzuoli, In Pasto al Capitale (Castelvecchi, 2014), è nato quasi per caso. Si è fatto largo a partire da una curiosità per la quotidianità della pratica contadina. Ma questo, ebbi modo di realizzare in seguito, non sarebbe stato che l’inizio di un’inchiesta che mi ha portato a scandagliare altre (talora improbabili) quotidianità collegate alla prima, e non sempre per il meglio: dai broker stile ‘lupo di Wall Street’ (dei quali, se vi è capitato di leggere il libro, saprete che mi colpisce soprattutto l’udito), ai produttori di caffè, agli ingegneri che piantano la jatropha in Mozambico, fino all’amico che si prende la tazzina di Nespresso. Insomma: partendo dal quotidiano, si sa dove si comincia, ma non sempre dove si finisce. E questo vale pure adesso: difatti sto divagando… Tornando a noi, mi pare che l’unica cosa che le quotidianità abbiano in comune è di essere, nei loro intricati dettagli, infinitamente diverse. Ed è proprio in questa diversità che le nostre nozioni del ‘normale’ si sciolgono. O dovrebbero sciogliersi.

E qui arriviamo alla domanda con cui ho cominciato questo blog. Da quando mi sono spostato in India, infatti, ho incontrato una curiosa (e sicuramente bonaria) reazione, ma che non ha mancato di colpirmi, in quanto tocca proprio questo nodo. Mi riferisco all’attesa che, siccome mi trovo in India, di ‘India’ mi debba occupare, quasi a ergere un recinto entro il quale intellettualmente io debba essere, per certi versi, prigioniero. ‘Di cosa ti occupi, in India?’ La mia risposta, ormai rodatasi sull’ingenua curiosità di colleghi e conoscenti, è un inelegante ‘Quello di cui mi occupavo anche prima!’ (come a dire: solo mo’ ti interessa quello che faccio?)

Non è curioso tutto ciò? E cioè che, se uno fa ricerca, ci si aspetta da lui automaticamente che sia uno specialista, o anche semplicemente un ‘appassionato’, del sub-continente (nel senso che i suoi interessi debbano avere in un certo qual modo una definizione geografica), ove gli capiti di trovarsi (inIndia). Eppure, quando lo spostamento è fatto verso Ovest, che so, in Olanda,Regno Unito o California, la domanda diventa più aperta: ‘Di cosa ti occupi?’ In quest’ultimo caso manca la pretesa di un fulcro di interesse schiettamente localistico. Io stesso, confesso, per molto tempo sono stato il primo ad avanzare scuse: ‘Mi sto ancora ambientando, non ho molta familiarità con l’India, ma non mancherò!’ Mi sono scusato fino al momento in cui mi sono reso conto delle ambiguità che si annidano in questa inconscia aspettativa, e di come intendevo posizionarmi rispetto ad esse.

Non intendo chiaramente negare l’innegabile, e cioè che uno si faccia trasportare e trasformare culturalmente dalla realtà in cui vive. O che uno non debba avere interessi definiti in termini geografici (ed essere, per esempio, uno studioso di ‘Italianistica’ o di ’Sinologia’). Ma intendo, piuttosto, rivendicare che tutti questi eventi possono aver luogo ovunque (non solo in India), e che il bisogno di appiccicare una tonalità localistica, quasi ad aggiungere ‘colore’, soltanto perché uno si trovi fisicamente in India, presuppone un orizzonte geografico normalizzante. Nel senso che, entro i confini del ‘nostro’ mondo, l’appendice geografica non sembra necessaria, mentre ricompare per posti che a questo ‘nostro’ mondo non appartengono.

La domanda è dunque insidiosa, in quanto suggestiva di un orizzonte limitato ai (e dai) confini nazionali, quasi che uno possa partecipare in India a dibattiti che sono sempre e soltanto ‘Indiani’ (e rivelatrice, al tempo stesso, di come il mondo ‘senza confini’ di cui a volte ci riempiamo la bocca non sia poi concesso a tutti). La distanza, implicita nel modo di articolare la domanda, ti impacchetta inconsciamente come ‘diverso’, ponendoti nella posizione di dover giustificare quella che appare come una deviazione dalla norma. Con questo, ovviamente, non intendo fare la predica a chi la domanda l’ha fatta (o me la farà), sospinto da un interesse genuino. Ma semplicemente rivendicare il senso della quotidianità (e del suo studio) come un invito che è limitato soltanto dalla voglia di abbracciarne l’espansività, al di là di delimitazioni geografiche. In quanto tale, pertanto, l’ambito del quotidiano è anche un naturale antidoto rispetto alle trappole di normalità e alle piccole prigioni intessute di aspettative che a volte, senza volerlo, ci costruiamo tra di noi.

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IL TEMA DELL’ESILIO nella poesia di Carmen Bugan

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IL TEMA DELL’ESILIO nella poesia di Carmen Bugan (da “Sulla soglia della dimenticanza” poesie di Carmen Bugan tradotte da Chiara De Luca, Matteo Veronesi con la collaborazione di Lidia Santonastaso – Edizioni Kolibris)

 

L’unica terra che ci apparterrà sarà quella che coprirà le nostre “ceneri”! Dalla sua origine ogni essere animale si è mosso alla ricerca di “luoghi” e territori da calpestare e si è spostato nomade da una parte all’altra del mondo per insediarsi illudendosi di essere “stabile” ma sempre pronto a trasmigrare per sua volontà o per le condizioni climatiche, sociali e storiche che si verificavano. I nostri antenati sono stati “migranti” e molti di noi lo sono tuttora. La nostra storia ci identifica come “apolidi” senza patria. Spesso lo siamo anche quando non ci muoviamo dal nostro luogo natio; di solito però avvertiamo questa condizione quando ci spostiamo alla ricerca di “mondi” diversi che ci accolgano. I miei progenitori furono “profughi da Samo” 2546 anni fa, esuli per sfuggire ad una “tirannide”. Fondarono Dicearchia sulle coste flegree, ardenti di vulcani diffusi, fertili ed accoglienti. L’umanità si muove e si allontana anche da altre tirannidi. Possono essere tirannidi legate ad inaccettabili sottovalutazioni nei confronti della Cultura oppure connesse a sopraffazioni di carattere politico e sociale.

Carmen Bugan racconta di sé ”

Il 29 ottobre 2009 la mia famiglia e io abbiamo celebrato vent’anni da quando abbiamo lasciato la Romania sotto minaccia di morte se avessimo osato parlare di ciò che ci era accaduto sotto la dittatura di Ceausescu.
Il 17 novembre 1989 fummo accolti all’aeroporto di Grand Rapids, in Michigan, dai nostri benefattori, membri di una chiesa protestante, che sfidarono la prima tormenta dell’anno. Il 14 dicembre 1989 iniziò la Rivoluzione in Romania, che sarebbe terminata appena prima di Natale, con la sommaria esecuzione di Ceausescu e di sua moglie, messi al muro e fucilati. Vedemmo la loro esecuzione, esterrefatti, in un televisore fornitoci dai nostri benefattori. Trascorremmo i primi anni imparando l’inglese e assistendo alle funzioni nella palestra di una scuola, lontano dalle nostre radici Ortodosse. Con il tempo, i Rumeni di Grand Rapids ci trovarono e noi trovammo una casa fra di loro, creando insieme una piccola chiesa tutta nostra. I miei genitori ancora vivono là, mentre i miei fratelli e io abbiamo avuto una vita più errabonda, tanto che io ora scrivo dal confine tra la Francia e la Svizzera, dopo essere passata attraverso Inghilterra e Irlanda.

Nella sua opera questa condizione di “esule” è presente in modo quasi costante.

Ne parleremo ancora nei prossimi giorni….

 

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