FINE SETTEMBRE – necessitato reload – AGOSTO TEMPO DI RIFLESSIONI E DI SCELTE –parte 5

necessitato reload – AGOSTO TEMPO DI RIFLESSIONI E DI SCELTE –parte 5

Ho già parlato di Letteratura e di Cinema e certamente saranno temi ed argomenti molto importanti quelli che affronteremo nei prossimi mesi. Occorre chiarirsi: personalmente aborro la Cultura pomposa, retorica e che sa di “costruita”, rifuggo dall’erudizione spicciola e noiosa (“pallosa”), mi piace la “leggerezza” non quella che è molto più vicina alla “cialtroneria” ma quella che si impegni a rendere semplici anche le questioni complesse (una persona vale di più se accanto alla conoscenza riesce ad abbinare la chiarezza). Chi segue le mie recensioni sa molto bene che da ogni lettura ricavo semplici riflessioni per avvicinare altri lettori a quei testi; non mi dilungo in approfondimenti dotti e filosofici, non mi dedico a richiami e riferimenti letterari o storici ma quasi sempre utilizzo quelle letture per inserire nelle recensioni esperienze personali di vita che mi sono state riportate in superficie dal profondo della mia coscienza.

NON MI DIRE
NULLA
LASCIATI CULLARE
DALLA POESIA
QUELLA CHE
TI FA COMPAGNIA
NELLE INSONNI
LUNGHE NOTTI
NESSUNO E’ MAI
SOLO

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IMU e SANITA’ – l’azione di questo Governo va democraticamente fermata!

 

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IMU e SANITA’ – l’azione di questo Governo va democraticamente fermata!

 

Qualche sera fa ho ascoltato il dibattito “civile” – forse fin troppo civile (non ci siamo più abituati, ma gli interlocutori in questione erano già di per sé “civili” e cortesi) tra Tomaso Montanari, Andrea Scanzi e Matteo Richetti – nel quale si parlava di IMU.

La “vulgata-mantra” governativa difesa da Richetti con quella particolare bonomia tipica di chi si sente al sicuro presenta questa scelta di eliminare l’IMU sulla prima casa come intervento di “giustizia sociale”, mentre – poiché riguarda solo le case di lusso, extra-lusso (sulle prime case residenziali l’IMU già non si paga) – è chiaramente una delle tante cambiali da pagare alle lobbies che hanno sostenuto e partecipato alla scalata al potere dell’”imbronciato”.

 

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Allo stesso tempo per corrispondere ad altre lobbies lauti guadagni si interviene sulla Sanità, condizionando pesantemente la categoria medica nella prescrizione di esami diagnostici (ovviamente quelli da indirizzare verso le strutture pubbliche). In questo settore, fondamentale per il riconoscimento di una sostanziale equità sociale, gli interventi congiunti di Stato e Regioni hanno già ridotto progressivamente e fortemente la possibilità di accesso a cure importanti da parte dei ceti più emarginati, che negli ultimi anni sono numericamente cresciuti, per i quali i tempi di attesa nelle strutture pubbliche si sono enormemente allungati ed il ricorso al privato, che sono cresciuti come “funghi “, per loro appare proibitivo. E così i privati, accogliendo gran parte dei pazienti con redditi medi o appena superiori al livello di sopravvivenza, hanno visto – grazie alla benevolenza dei governanti – crescere i loro introiti (in effetti si è reso addirittura conveniente rivolgersi ai privati anche per quanto riguarda il rapporto tra velocità delle prestazioni ed i loro costi).

Presidio sanitario
Oltretutto poi va denunciato l’intervento sulle strutture pubbliche decentrate sanitarie di riferimento nelle medie e grandi città. A Prato la popolosa frazione di San Paolo è stata defraudata progressivamente e proditoriamente di un presidio molto frequentato soprattutto da anziani ed extracomunitari; anche la struttura di supporto che fungeva da CUP per la prenotazione di esami semplici come quelli del sangue è stata nei giorni scorsi abolita costringendo i cittadini ad utilizzare le linee telefoniche con attese lunghissime.
Scrivo questa “nota” per rilevare ancora una volta come questo Governo non possa corrispondere alla Sinistra e sia difensore soprattutto degli interessi privati più forti, sia nazionali che internazionali. Va democraticamente fermato!

SINISTRA, se ci sei batti un colpo! Ma sii SINISTRA!

 

 

Fassinalandini

 

Ad un amico che ha notato il mio silenzio….
“Perché, caro amico, sono stato in silenzio durante le due serate organizzate da “Paese Sera” al Circolo ARCI San Paolo, per le quali avevo dato la mia disponibilità con entusiasmo?”
Intorno a me percepivo molti altri “silenzi” ed anche le parole erano un esercizio antico di inutili e vuote retoriche. Sono stato in silenzio per non appesantire quell’aria greve che ci sovrastava. Qualcuno ci dirà “sconfitti”, ma non è così: saremmo stati “sconfitti” se a prevalere fosse stata la vera Destra. Noi siamo stati “traditi” da una parte di quelli che si dicevano nostri amici e compagni, viscidi come serpenti, che hanno seguito il più abile demagogo dai tempi del Fascio che con artifici moderni ha condizionato l’opinione pubblica inserendosi furbescamente all’interno di meccanismi democratici già malati di mutazione antropologica.
Di fronte a questa realtà personalmente mi sento inadeguato, a parte la volontà di continuare a svolgere sul piano culturale il mio ruolo di intellettuale libero. Non c’è forza, non c’è energia di reale condivisione; ognuno pensa troppo a se stesso, al proprio piccolo mondo, rincorrendo obiettivi che di per sé rimangono minimalisti. Non è possibile contrastare il leaderismo e la demagogia utilizzando altrettanti molteplici e variegati leader; la Sinistra che va rifondata deve ripartire dalle basi: ci vogliono donne ed uomini nuovi che diano segnali di vero rinnovamento, e non solo a chiacchiere come ha fatto e va facendo il gruppo di potere che si stringe intorno all’attuale Presidente del Consiglio. Le loro “riforme” servono in modo diretto ai più ricchi perché siano ancora più ricchi in modo tale da rendere sempre più forte il divario nei confronti di chi sopravvive a stento o sprofonda nell’area degli incapienti e della povertà. Anche la “riforma costituzionale” tende a costituire un blocco oltre il quale sarà sempre più difficile la pratica democratica, anche se a chiacchiere l’Italia rimarrà una Repubblica “democratica”. Possiamo parlare di “neo-fascismo” e, caro amico, vorrei ricordarti che proprio sulle “divisioni” si inserirono movimenti totalitari, lentamente ma profondamente innestati in realtà che apparentemente continuavano ad essere “normali”. Paradossalmente anche l’ultima edizione di quell’evento nazional-popolare che si chiama “Miss Italia” ci ha mostrato il possibile “futuro”. Ecco che forse bisognerà meditare su tanti elementi, ed in primo luogo sulla Scuola che non è in assoluto fatta dalle riforme belle o brutte, “buone” o cattive che siano, ma dai docenti e dalle famiglie che hanno smarrito, grazie alla narcotizzazione berlusconiana cui fa seguito questa innominabile attuale, il senso della loro funzione educativa.
C’è da lavorare ma occorre soprattutto evitare di confondersi con coloro che ci hanno tradito, con i quali la Sinistra, se vuole davvero essere tale, non può operare.

 

 

Cofferati e Civati

 

 

GIUSEPPE MARIO GAUDINO E “Per amor vostro” – un invito ad andare al CINEMA – grande CINEMA

 

 

 

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GIUSEPPE MARIO GAUDINO E “Per amor vostro” – un invito ad andare al CINEMA – grande CINEMA

Sono una delle persone meno adatte a parlare con obiettività di Giuseppe Mario Gaudino, essendone amico da circa trenta anni ed avendone seguito con interesse e stima tutta la sua evoluzione, anche se da lontano e non sempre in modo assiduo. A metà degli anni Ottanta venne da me a Prato a parlarmi di “Giro di lune tra terra e mare” portandomi una copia della sceneggiatura che ancora gelosamente conservo a portata di mano. Quel film venne poi girato e lavorato tra il 1995 e il 1997 ottenendo importanti riconoscimenti soprattutto dalla critica; ricco di rimandi culturali, antropologici ed ancestrali, non avendo avuto una adeguata distribuzione, è stato visto molto poco e distrattamente dal pubblico, a cominciare da quello flegreo cui Gaudino si ispirava in modo completo. Ho ripreso i contatti con Beppe subito dopo la mia “andata in pensione”, essendo maggiormente libero di muovermi: e così lo scorso anno il 21 marzo grazie ai favori del Comune di Pozzuoli l’ho invitato a partecipare ad una delle sessioni de “La prima cosa bella” organizzata insieme a Maria Teresa Moccia Di Fraia e Giuseppe Borrone. In quella prima giornata di primavera 2014 abbiamo ricordato gli esordi di Beppe (l’idea di fondo era l’analisi della genesi artistica dei vari registi che incontravamo) e poi ci siamo soffermati su uno dei suoi, anch’esso pensato costruito e realizzato insieme alla sua compagna Isabella Sandri, ultimi lavori, lo splendido “Per questi stretti morire” una docu-fiction capace di farci conoscere in modo artistico la vita e l’azione di un missionario, Alberto Maria De Agostini, in Patagonia.

 

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In “Per amor vostro” Gaudino riesce a combinare in modo magistrale le sue radici culturali ed artistiche con le esigenze dello “spettacolo”. Mi veniva da dire “finalmente” ma sento di essere troppo ingiusto e severo, comprendendo che nella evoluzione delle nostre storie vi è un “prima” ed un “dopo” e la sintesi difficilmente anticipa la fase preparatoria. Non sono l’unico, e quindi non sono il primo a rilevare che Gaudino ha prodotto un film in piena regola per essere presentato in modo diffuso, mescolando le sue forti origini artistiche con quelle di abile narratore. Lo sguardo di Beppe è da sempre rivolto al mondo dei diseredati, degli umili, a partire dai giovanissimi di “Calcinacci” e dai pescatori del Rione Terra e della Marina puteolana sino ai ragazzi di strada a Kabul o ai profughi palestinesi in Libano, agli operai delle fabbriche di frontiera in Messico o ai manifestanti di Cancùn nel 2008, per finire (ma sono solo alcuni esempi) agli indios della Terra del Fuoco. Non può essere compreso del tutto quest’ultimo film, che da solo ha tuttavia una solida struttura narrativa, supportata da forme artistiche peculiari del background di Gaudino, di notevole spessore, senza conoscere la sua filmografia che dalla fine degli anni Ottanta è andata di pari passo con quella di Isabella Sandri, con la quale ha costituito anche una società di produzione, la Gaundri.

 

 

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In “Per amor vostro” importante è stato anche il felice incontro con la straordinaria leggerezza artistica di Valeria Golino, la cui recitazione risulta così naturale da far credere che Anna e Valeria siano la stessa donna, una figura semplice e complessa allo stesso tempo che riesce a trasmettere il dolore e la rabbia, la tristezza e la malinconia di una vita perduta dietro gli obblighi dei rapporti parentali; ad iniziare dalla vicenda che da bambina condiziona Anna a vivere un periodo di riformatorio a Nisida sino alla presa di coscienza della propria identità che la porterà lentamente a ribellarsi, attraversando fasi che ricordano i tempi della tragedia greca, accompagnata da un vero e proprio “coro” interpretato dal fedele gruppo musicale Epsilon Indi. Non mancano figure di riferimento classico come Ciro che appare a dettare i tempi del dramma sin dalle prime scene e non mancano elementi simbolici come l’acqua che ripulisce e rinnova la stessa anima della città che appare per lo più un “Inferno” al quale accedono la maggior parte dei napoletani sino alla parte conclusiva che si configura come una vera e propria “catarsi”, una purificazione ricca finalmente di elementi variamente colorati. Vaste sono le figurazioni simboliche al di là di quanto ho descritto: la maggior parte di esse è compresa in alcuni stacchi apparenti nei quali il bianco e nero viene sostituito da colori e disegni sgargianti sia a contrassegnare il dolore e la rabbia, l’intima tempesta che scuote l’esistenza di Anna sia a rappresentare i momenti felici della ritrovata libertà e serenità. A fare da sfondo il paesaggio partenopeo contraffatto da un disegno che lo rende a tratti minaccioso e che si riferisce ad una realtà molto complessa e difficile che ha tuttavia, come Anna la capacità di riemergere e di salvarsi. Un messaggio, quest’ultimo, che la Napoli dei nostri giorni dovrebbe poter saper cogliere.

 

 

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Dopo il mio virulento attacco di ieri, devo scusarmi….

Dopo il mio virulento attacco di ieri, devo scusarmi….

Ieri in preda a sacro furore avevo scritto un post nel quale attaccavo in modo scomposto il leader del PD\Presidente del Consiglio, accusandolo di rifarsi al fascismo ed alla P2 (ricordo che incautamente e per errore ha detto che le Riforme gli italiani “I T A L I A N Iiii!” le attendono da 70 anni, ma egli…..   intendeva dire dagli anni settanta!).  Un tale ……… si è affrettato ad inviare sulla mia bacheca a corredo di cotanto mio ardire un link che si richiamava ad una parte del Programma dell’Ulivo – mentore il buon Prodi.  Dopo aver ripassato la lezioncina mi permetto di riconoscere il mio “errore” e mi affretto a scrivere una rettifica:

Grazie per la precisazione. Provvedo alla smentita: Renzi è un vero “democratico”! Capace di ascoltare con attenzione tutti i militanti e di condividere con questi le scelte! prova ne sia che i Circoli del Partito Democratico sono sempre più frequentati e si fa la fila per le iscrizioni!

E’ una lezione di “democrazia” che va raccolta e va esemplarmente diffusa….

La stampa di regime finge di nulla

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http://video.repubblica.it/dossier/le-riforme/senato-renzi-troppo-veloci-riforma-e-attesa-da-70-anni/212003/211167?ref=HRER1-1

La stampa di regime finge di nulla

Ci vuole una bella faccia tosta ed una sicumera da vero tiranno impavido per pronunciare quelle parole: “Attendiamo da 70 anni….”.
In effetti alcuni di noi, disinteressati ma vigili ed attenti ( e sono doti di cui possiamo andar fieri ), lo avevano denunciato sin dai primi passi, contrassegnati da spocchia ed arroganza ben tipiche delle Destre, del “moccioso” nella scalata al Potere. Ha distrutto la “democrazia” accumulando cariche di Segretario del maggior Partito della fu-sinistra e di Presidente del Consiglio, complice la Presidenza della Repubblica; ha poi distrutto il Partito Democratico, minando alle basi l’accezione sua principale che si richiama alla fu-democrazia.
La maggior parte delle scelte “istituzionali” di questo avvio di regime renziano sono andate a minare nel profondo la fu-costituzione repubblicana, seguendo ed andando a realizzare molti dei commi relativi al Progetto P2, che vorrei ricordare è stato dichiarato fuorilegge.
Ieri sera una signora che è abituata a farsi cullare dalle ninna-nanne dei leaders e non mette in funzione il cervello ha cercato di interpretare malamente le parole del “bimbetto”, manco fosse la sua balia. Il dramma che stiamo correndo è che, per lo più quando alcuni dei sostenitori renziani in buonissima fede si accorgono dell’imbroglio finiscono per ritirarsi nel loro cantuccio e si rifiutano poi di partecipare al voto, sbagliando due volte: la prima, quando hanno concesso a lui il loro consenso, la seconda allorquando vanno facendo spazio, con il calo dei votanti, a forme leaderistiche pericolose (e, badate bene, non parlo solo di Grillo, Casaleggio e Salvini).

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MA DI CHE COSA PARLIAMO? quando parliamo di “democrazia”?

MA DI CHE COSA PARLIAMO? quando parliamo di “democrazia”?

 

Se qualcuno ha mai potuto pensare di me che sia un “polemico” a prescindere, un ammalato di vetero-ideologia, un rompiscatole, ha fatto bene a pensarlo, anche se dovrebbe chiedersi in primo luogo quali siano le ragioni di questa “polemica eterna”, di questo fastidio assoluto che mi coinvolge soprattutto (ma non solo) di fronte all’arrogante affermazione di un Potere assoluto camuffato da “democrazia”. Qualcuno ci aveva illuso si potesse avviare un percorso di rinnovamento e democrazia, ma anche questo “qualcuno”, come Fabrizio Barca, si è poi defilato andando ad aggregarsi nella schiera dei sostenitori-critici sempre meno critici e più sostenitori forse, ma sarebbe deprimente solo pensarlo, per ottenere qualche minimo riconoscimento, le briciole della tavola del re.  Non ne parliamo più, forse non siamo noi degni di interloquire a tali massimi livelli, forse non sono essi degni di rapportarsi con la nostra “onestà culturale e mentale” che si confonde con l’Utopia. La situazione democratica del Paese è profondamente prostrata (qualcuno può anche cantar vittoria ma ne pagherà egli stesso le conseguenze “democratiche” prima o poi: qualcuno ha già cominciato a subirle e si agita; qualche altro “resiste” – verbo che in tale accezione mi fa ridere\piangere\ridere) e se ne colgono segni evidenti anche ai margini dell’Impero. Scoppiano diatribe “interne” per ora tra Ammnistrazioni “renziane” e Partito “renziano”. Le prime sentono di essere state abbandonate a se stesse ma è la nuova “forma-Partito” che è in assoluto una “non forma” a non poter funzionare, visto che gli organismi democratici “d’antan” sono stati sterilizzati di fatto: nei Circoli\Sezioni non si discute più, le Assemblee e le Direzioni non vengono convocate e quando lo sono  discutono solo in modo finto su scelte già fatte. Il secondo, appunto per tutto quello che ho appena scritto non esiste se non nelle più alte sfere, nelle leadership! E tutto questo mio riflettere può apparire una “polemica” ma purtroppo è semplicemente l’unica certa verità. E non si gongoli a Sinistra, che non si sa cosa sia, se non un guazzabuglio di velleitari le cui sigle appartengono più o meno al loro stesso nome; ma non si gongoli nemmeno al di fuori della Sinistra, dove si raccolgono in modo scomposto migliaia di scontenti ma non vi è una linea che possa essere condivisa e manca del tutto il contatto ed il rapporto con le periferie, che sono la parte più importante dei territori.

COME CONOSCO GIUSEPPE MARIO GAUDINO – antefatti

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ripubblico questo mio post per onorare Giuseppe che con “Per amor vostro” ha ottenuto un meritato successo alla 72a Mostra del Cinema di Venezia 2015

 

L’ANTEFATTO dell’incontro con Giuseppe Mario Gaudino

“Professore, c’è qui un giovane che la cerca” la segretaria dell’Assessore aveva un tono ilare insolito e lo esplicitò subito dopo. “Ha chiesto di essere ricevuto dall’Assessore Maddaluno”. Ora, a parte la perplessità generica e lo sbandamento relativo al fatto che avrei potuto supporre che l’equivoco fosse stato generato da una mia bugia, mi venne da sorridere. In effetti non ero Assessore e non conoscevo in maniera diretta questo giovane anche se ne avevo sentito parlare negli ambienti culturali e cinematografici come “promessa” della produzione di ricerca: in quegli anni (la metà degli anni Ottanta) più di ora mi occupavo di Cinema seguendo in particolare le giovani generazioni ed ero in contatto con molti fra i rappresentanti dell’arte cinematografica sia nei settori della produzione che in quelli della realizzazione. Avevo già progettato “Film Video Makers toscani” e di questo giovane avevo visto “Aldis”, che mi aveva colpito particolarmente per la fotografia ed il montaggio, oltre che per la scelta di girare la maggior parte del video sul Lago Fusaro e nella Casina vanvitelliana che è collocata su quel Lago dei Campi Flegrei e vi si accede attraverso un pontile. Era chiaro che Giuseppe arrivasse da Roma con un’informazione ricevuta da amici comuni di Pozzuoli che gli avevano segnalato la mia presenza a Prato come “collaboratore” esterno dell’Assessorato alla Cultura e nel passaggio comunicativo si era prodotta una distorsione del tutto evidente. Conoscevo, dunque, alcuni elementi della sua storia e sapevo di avere amici tra i suoi parenti che non sentivo né vedevo da alcuni anni. Avevo lasciato Pozzuoli nel 1975 ed i fratelli Tegazzini (Silvio e Giancarlo), cugini di Giuseppe, erano stati fra i migliori amici che avessi frequentato in modo continuativo. Alla Segretaria (non ricordo se fosse Dori, Carla o Enrica) dissi di farlo attendere, scusandomi per l’equivoco che era stato creato e che – lo ribadii – non dipendeva di certo da me, anche se non saprò mai se fossi stato convincente. In una mezzora fui in via Cairoli (l’Assessorato alla Cultura del Comune era nel Palazzo Buonamici poco prima dell’Hotel Flora); Giuseppe mi aspettava nell’ingresso del Palazzo e, dopo una breve presentazione, mi disse che non poteva trattenersi e mi consegnò un pacchetto che, prima di salutarlo, aprii: c’era la sceneggiatura di un suo film che andava preparando. “Giro di lune tra terra e mare”; già dalle prime pagine che mi apparvero, accompagnate da fotocopie in bianco e nero di fotografie “di scena”, notai che, in continuità con “Aldis”, permaneva lo stile, visionario ed onirico, basato su ricerca ambientale collegata ad un mondo per me “comune” di esperienze vissute. Le immagini descritte per circa trenta pagine appartenevano agli ambienti naturali che ben conoscevo e rievocavano in me sensazioni riposte abbandonate da circa un decennio. Salutai Giuseppe Gaudino e mi ripromisi di ricontattarlo (c’era un indirizzo sul frontespizio, ed un numero di telefono). A dire il vero ho sempre avuto con me quella sceneggiatura ed ho sempre pensato con piacere a Giuseppe ma per molti anni, troppi, non ero riuscito ad incontrarlo; quando scendevo a Pozzuoli i miei impegni erano quelli “di famiglia”: anche gli amici “comuni” e quelli che per me avevano avuto un significato fortissimo nella mia formazione non venivano da me contattati. E non so di certo dire perché mai mi comportassi così; c’era un muro che non riuscivo a valicare, anche perché sapevo di non poter condividere percorsi comuni, dato che il mio lavoro non mi consentiva di spostarmi a piacimento. So bene di ricercare una giustificazione al mio atteggiamento a dir poco superificiale ma i miei impegni professionali, culturali e politici – che erano un tutt’uno con quelli familiari – mi impedivano davvero di poter pensare a costruire qualcosaltro, anche se nel mio luogo di crescita esistenziale. Dal 2013, pur essendo più vecchio, qualcosa è cambiato; con l’età della pensione ho scelto di ritornare a Pozzuoli – non stabilmente ma con maggiore assiduità. In effetti sono stanco della vita politica; è diventata insopportabile! La Cultura per me rimane l’unica ancora di salvezza; e gli antichi amori e le amicizie sono per me elemento di recupero di una dimensione umana necessaria per poter sopravvivere a questo disastro. Ed è venuto dunque il tempo per riprendere contatti. E così, dopo poco meno di trenta anni da quell’incontro, mi lancio alla ricerca del tempo perduto e dei passi smarriti. I recapiti sul frontespizio della sceneggiatura non sono più utili; il tempo anche per Giuseppe Gaudino è passato. Ma sono determinato ad incontrarlo di nuovo, stavolta possibilmente più a lungo. Ho bisogno di sapere quello che non so. Gaudino ha realizzato ovviamente in tutti questi anni non solo “Giro di lune…”, ha lavorato come scenografo, ha costituito una casa di produzione (la Gaundri) con Isabella Sandri, sua compagna di vita e di lavoro, ed il mio desiderio di recuperare parte, anche minima, di quanto avremmo potuto fare è fortissimo.

Gaudino

 

PASOLINI 40 – in preparazione due eventi…

PASOLINI 40 – in preparazione due eventi…

Il prossimo 2 novembre ricorrono 40 anni dalla morte tragica di uno dei personaggi riconosciuti della Letteratura e della Cultura come grande ed universale, alla pari di Dante, di Petrarca, di Boccaccio, e di Joyce, di Proust e pochi altri. Cosa si intenda per “universale” è abbastanza presto – nella sintesi – detto. Quando un autore riletto per intero o per brani all’interno di opere complesse di poesia, teatro, letteratura, cinema, saggistica, filosofia, socio-antropologia culturale appare con il passare degli anni sempre più attuale; quando egli riesce a parlare ad intere e progressive generazioni alcune delle quali nate e cresciute “dopo” quel novembre del 1975, facendosi intendere per la straordinaria chiarezza dei suoi contenuti, ricchi di profondità, mai banali; quando le sue denunce, nonostante l’impegno di generazioni a lui contemporanee a produrre sostanziali migliorativi nel tessuto socio-politico, appaiono ancora necessarie ed attuali: ecco, allora bisogna dire che, pur riconoscendone aspetti utopici tipici di un “illuso idealista sognatore”, ci troviamo di fronte ad una personalità di primissima grandezza.
La sua poesia è nel complesso della sua opera: abbiamo ancora bisogno di lui.
Il prossimo novembre – forse il 3 – un collettivo di Associazioni e singoli cittadini presenterà una silloge di poesie dedicate a Pasolini.
Il libretto, prodotto da Dicearchia 2008 ed Altroteatro avrà un formato mini 10 x 5 e volutamente conterrà un massimo di 15 poesie – non vi sarà selezione ma le autrici e gli autori (tutte\i di prima grandezza) sono state\i già invitate\i e stanno inviando il loro contributo.
Il libretto, che avrà anche una prefazione importante, sarà autoprodotto e verrà ceduto al costo di tipografia maggiorato solo per eccesso (es.: 0,66\ 1,0 euro).
Il libro avrà come titolo
“…e furono dieci
poi venti
trenta quaranta, oggi….”

PASOLINI
Nella stessa giornata della presentazione del libretto l’Associazione culturale Altroteatro metterà in scena un “reading” aperto dedicato alla figura di Pasolini.
Poichè ho ragione di credere che l’evento sarà estremamente interessante sarà opportuno e doveroso “invitare” le autorità cittadine a partecipare.

CASE – RELOAD PARTE 1, 2, 3

Mentre preparo la parte 4 vi posto il reload delle prime tre

CASE
La mia prima abitazione affacciava su un’arteria principale che da Quarto portava a Pozzuoli, via Campana 25 (mi pare). Era un appartamento modesto al secondo piano di una palazzina che era stata costruita a ridosso di una piccola altura che probabilmente nascondeva parte di una necropoli romana, i cui resti affioravano qua e là, attirando la mia curiosità di bambino. Vi si accedeva attraverso un piccolo angusto buio ingresso che si illuminava di giorno con la luce che proveniva dal grande atrio a cielo aperto cui si arrivava salendo pochi scalini. Su questo atrio si affacciavano due abitazioni altrettanto modeste, in una delle quali abitava una famiglia di pescatori con i cui figlioli mi accostai colpevolmente alla lettura di alcuni fumetti avventurosi (Il Grande Blek e Capitan Miki): colpevolmente perché – in quegli anni – pedagogicamente era proibito a chi volesse essere un bravo studente la lettura dei fumetti; in particolare quelli di cui ho accennato. Poteva essere tollerato Topolino e ad ogni modo veniva consigliato – non potendo farne a meno – Il Giornalino che si trovava in Parrocchia. A me però piacevano i fumetti di quei monellacci destinati già da bambini al mondo del lavoro e spesso mi recavo da loro per poterli leggere. La loro era una casa più piccola della mia, più angusta e buia ma io vi scendevo volentieri tutte le volte che potevo. Mia madre d’altronde non ricambiava l’invito ed io non ero titolato ad estenderlo ad estranei. Alla mia casa si accedeva attraverso delle scale che passavano lungo un muro che divideva il complesso da un’altra palazzina. Si passava poi girando a destra sotto la finestra della cucina di casa mia prima di arrivare ad un ballatoio sul quale vi era la porta di ingresso. Oltre questo ballatoio vi era un altro appartamento ben separato dal resto che era poi un solaio ampio con fioriere sempre curate che portavano all’appartamento dei proprietari dell’intero stabile. La mia prima abitazione era composta da un ingresso abbastanza ampio nel quale spiccavano alcuni mobili costruiti da mio nonno, che conservo ancora nella mia casa attuale a Prato, dopo che per anni erano rimasti in soffitta nell’altra mia abitazione a Pozzuoli in via Girone 29. Sono mobili del primo Novecento fatti a mano in modo artigianale che non hanno mai subito l’affronto dei tarli nella parte in legno e non si sono modificati nella parte imbottita ricoperta di pelle. Reggono ancora noi tutti grandi grossi e grassi senza sgangherarsi. Su un secretaire alto in fondo alla stanza di ingresso troneggiava una radio marca Geloso dalla quale ho ascoltato soprattutto musica, compreso qualche edizione del festival di San Remo che se non sbaglio ha preso il via nel 1951. Dall’ingresso andando a sinistra vi era una porticina che accedeva alla cucina, una vecchia cucina a carbonella costruita in muratura. Vi si trovava un tavolo e poche sedie; a quei tempi i miei non avevano un frigorifero. La credenza era minuscola, dovendo contenere pochi oggetti. La cucina era illuminata naturalmente dalla finestra che dava sul cortile interno, quello con la scalinata di accesso di cui dicevo prima……

Parlavo delle mie “case” in un post di apertura su questo tema pochi giorni fa. E descrivevo la mia prima abitazione in via Campana 25, a Pozzuoli nel cuore dei miei Campi Flegrei. Una abitazione modesta ma dignitosa in un tempo nel quale ancora tanta gente abitava in vere e proprie topaie, bassi e sottoscala. Ricordo in particolare una vecchia zia di mia madre che abitava sui Quartieri Spagnoli al Conte di Mola in uno di questi “bassi” che ho poi ritrovato nella letteratura eduardiana; mentre altri miei parenti abitarono per un breve periodo in un sottoscala di un palazzone signorile a via Napoli a Pozzuoli. Mio padre poteva permettersi qualcosa di meglio, avendo acquisito grande credito sul piano lavorativo e così a noi non è mai mancato nulla; anche se, usciti dalle ristrettezze della seconda guerra mondiale, quel che riuscivamo ad avere era tantissimo e ci faceva sentire “ricchi”. Quella che è stata la mia prima casa è stata anche la prima dei miei genitori. La modestia della casa era segnalata – come già accennavo – da una cucina a carbonella e da un bagno che consisteva esclusivamente nel water, essendo collocato in un vano stretto e mal aerato (oggi si direbbe “ad aerazione forzata”) tra la cucina e la camera da letto. Questa era la più ampia delle stanze e conteneva agevolmente tutti i mobili necessari: un letto matrimoniale, un lettino che all’inizio era stata la mia culla, due comodini, due cassettoni/comò, un grande armadio. Erano mobili costruiti in un legno marroncino da un grande artigiano che noi tutti conoscevamo benissimo: mio nonno. Ho già scritto che una parte dei suoi mobili, che erano poi appartenuti ai miei genitori fanno bella mostra nell’ingresso della mia abitazione pratese. Dalla camera da letto si accedeva ad un balcone che affacciava su via Campana, una delle strade più intensamente trafficate già allora, a parte il fatto che la maggior parte dei passaggi erano quelli di carretti e calessi (‘o trerrote”), i primi che trasportavano frutta e verdure dalle campagne al mercato già nel buio delle prime ore del giorno, i secondi che – soprattutto la domenica – portavano avanti ed indietro signori e contadini allo “struscio” nella parte bassa del porto o nelle zone “turistiche” quando era il tempo della bella stagione. Non c’erano molti rumori per gran parte della giornata, tranne le campane della vicina Chiesa dell’Annunziata ed i vicini di casa, i dirimpettai e quelli che fossero passati avrebbero potuto sentire il canto di mia madre che in tal modo si teneva compagnia mentre svolgeva i “servizi” di casa aspettando il ritorno di mio padre. Incredibilmente, ed a conferma di quanto scrivo, il suo ritorno era annunciato da un fischiettare suo tipico mentre si avvicinava a casa. E noi tutti lo sentivamo.

In quella mia prima modesta abitazione in via Campana 25 come dicevo non vi era un vero e proprio “bagno” attrezzato (in quel tempo nella maggior parte delle case era così!) ma l’acqua corrente ci permetteva utilizzando oggetti “volanti” di sopperire alle necessità igieniche. Avevamo bacinelle e tinozze di ogni forma e misura e mia madre riscaldando l’acqua sulla “fornacella” in ampi e capienti recipienti mi faceva il bagno almeno una volta alla settimana. Per fortuna c’era – all’esterno dell’appartamento – un vano ripostiglio per così dire “condominiale” dove questi materiali ingombranti venivano riposti dopo l’uso. Quella “casa” aveva anche un’altra stanza che di solito era un luogo proibito affinché l’ordine non venisse sconvolto da presenze umane; vi si accedeva andando appena oltre la stanza di ingresso-salotto e consisteva in un altro salotto più riservato sempre ordinato ed inaccessibile. In effetti tutta la casa era inaccessibile ai più: mia madre inorridiva al pensiero che qualcuno potesse dissacrare, profanare il suo “regno” e non gradiva nemmeno invitare miei amichetti, anche – e forse soprattutto – quelli che abitavano appena un piano sotto, ma con i quali di tanto in tanto giocavo. Non avevo molta compagnia e sono stati, quelli in via Campana, anni di solitudine e di incubazione della mia voglia di evadere e del desiderio di condividere con altri i miei progetti ed i miei sogni. Così è stato per i miei primi cinque anni; non si trattava di “reclusione” perché comunque si usciva, si scendeva giù verso la città bassa, si andava al Cinema, a volte veniva mia zia da Procida e mi portava con lei, in altre occasioni si andava in campagna a Toiano o al lago d’Averno dove vi erano dei parenti di mio padre. A Toiano vi era la famiglia di una “sposina” che abitava nel palazzo accanto: il marito era un operaio edile molto amico di mio padre, che lo stimava per le qualità professionali ed umane e la mattina di solito si incontravano sotto casa per recarsi insieme al lavoro. Fu proprio per questo motivo che una di quelle mattine quel giovane non si ritrovò al solito appuntamento e mio padre dopo aver fischiettato sotto il balcone per chiamarlo decise di andare su a bussare alla porta dell’appartamento. Questo gesto li salvò da morte certa: di notte il braciere che serviva per riscaldare gli ambienti aveva diffuso monossido di carbonio e quando il suo amico aprì la porta svenne e fu necessario l’intervento dei medici per lui e per la moglie, ma quell’episodio fortunatamente servì loro per essere più attenti da quel momento in avanti nell’uso della carbonella nelle notti fredde. L’amicizia si rinsaldò fortemente dopo quell’evento e la loro generosità si espresse per tutto l’arco della vita; spesso eravamo in campagna, venivano a prenderci con la carrozzella fin sotto casa e vi ci riportavano spesso a notte fonda nelle giornate di festa. Andavo anche dai nonni paterni che abitavano non molto lontano sulle Palazzine municipali, quelle che ora non ci sono più perché dopo gli eventi bradisismici e sismici degli anni settanta ed Ottanta vennero abbattute. Mio nonno aveva anche un sottoscala di sua competenza dove continuava a svolgere alcune attività hobbystiche di grande valore (ho già ricordato il suo estro di falegname mobiliere) carpentieristico; costruiva modellini di barche, di navi ed aveva messo su un grande presepe che era il suo vanto allorquando a Natale lo addobbava inserendovi tutti i personaggi ed i relativi meccanismi luminosi e automatici che lo rendevano “vivo”. In quelle occasioni consentiva a chi lo desiderava di poterlo visitare e spesso, partecipando a concorsi, vinse anche dei premi.