GIUSEPPE MARIO GAUDINO E “Per amor vostro” – un invito ad andare al CINEMA – grande CINEMA

 

 

 

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GIUSEPPE MARIO GAUDINO E “Per amor vostro” – un invito ad andare al CINEMA – grande CINEMA

Sono una delle persone meno adatte a parlare con obiettività di Giuseppe Mario Gaudino, essendone amico da circa trenta anni ed avendone seguito con interesse e stima tutta la sua evoluzione, anche se da lontano e non sempre in modo assiduo. A metà degli anni Ottanta venne da me a Prato a parlarmi di “Giro di lune tra terra e mare” portandomi una copia della sceneggiatura che ancora gelosamente conservo a portata di mano. Quel film venne poi girato e lavorato tra il 1995 e il 1997 ottenendo importanti riconoscimenti soprattutto dalla critica; ricco di rimandi culturali, antropologici ed ancestrali, non avendo avuto una adeguata distribuzione, è stato visto molto poco e distrattamente dal pubblico, a cominciare da quello flegreo cui Gaudino si ispirava in modo completo. Ho ripreso i contatti con Beppe subito dopo la mia “andata in pensione”, essendo maggiormente libero di muovermi: e così lo scorso anno il 21 marzo grazie ai favori del Comune di Pozzuoli l’ho invitato a partecipare ad una delle sessioni de “La prima cosa bella” organizzata insieme a Maria Teresa Moccia Di Fraia e Giuseppe Borrone. In quella prima giornata di primavera 2014 abbiamo ricordato gli esordi di Beppe (l’idea di fondo era l’analisi della genesi artistica dei vari registi che incontravamo) e poi ci siamo soffermati su uno dei suoi, anch’esso pensato costruito e realizzato insieme alla sua compagna Isabella Sandri, ultimi lavori, lo splendido “Per questi stretti morire” una docu-fiction capace di farci conoscere in modo artistico la vita e l’azione di un missionario, Alberto Maria De Agostini, in Patagonia.

 

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In “Per amor vostro” Gaudino riesce a combinare in modo magistrale le sue radici culturali ed artistiche con le esigenze dello “spettacolo”. Mi veniva da dire “finalmente” ma sento di essere troppo ingiusto e severo, comprendendo che nella evoluzione delle nostre storie vi è un “prima” ed un “dopo” e la sintesi difficilmente anticipa la fase preparatoria. Non sono l’unico, e quindi non sono il primo a rilevare che Gaudino ha prodotto un film in piena regola per essere presentato in modo diffuso, mescolando le sue forti origini artistiche con quelle di abile narratore. Lo sguardo di Beppe è da sempre rivolto al mondo dei diseredati, degli umili, a partire dai giovanissimi di “Calcinacci” e dai pescatori del Rione Terra e della Marina puteolana sino ai ragazzi di strada a Kabul o ai profughi palestinesi in Libano, agli operai delle fabbriche di frontiera in Messico o ai manifestanti di Cancùn nel 2008, per finire (ma sono solo alcuni esempi) agli indios della Terra del Fuoco. Non può essere compreso del tutto quest’ultimo film, che da solo ha tuttavia una solida struttura narrativa, supportata da forme artistiche peculiari del background di Gaudino, di notevole spessore, senza conoscere la sua filmografia che dalla fine degli anni Ottanta è andata di pari passo con quella di Isabella Sandri, con la quale ha costituito anche una società di produzione, la Gaundri.

 

 

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In “Per amor vostro” importante è stato anche il felice incontro con la straordinaria leggerezza artistica di Valeria Golino, la cui recitazione risulta così naturale da far credere che Anna e Valeria siano la stessa donna, una figura semplice e complessa allo stesso tempo che riesce a trasmettere il dolore e la rabbia, la tristezza e la malinconia di una vita perduta dietro gli obblighi dei rapporti parentali; ad iniziare dalla vicenda che da bambina condiziona Anna a vivere un periodo di riformatorio a Nisida sino alla presa di coscienza della propria identità che la porterà lentamente a ribellarsi, attraversando fasi che ricordano i tempi della tragedia greca, accompagnata da un vero e proprio “coro” interpretato dal fedele gruppo musicale Epsilon Indi. Non mancano figure di riferimento classico come Ciro che appare a dettare i tempi del dramma sin dalle prime scene e non mancano elementi simbolici come l’acqua che ripulisce e rinnova la stessa anima della città che appare per lo più un “Inferno” al quale accedono la maggior parte dei napoletani sino alla parte conclusiva che si configura come una vera e propria “catarsi”, una purificazione ricca finalmente di elementi variamente colorati. Vaste sono le figurazioni simboliche al di là di quanto ho descritto: la maggior parte di esse è compresa in alcuni stacchi apparenti nei quali il bianco e nero viene sostituito da colori e disegni sgargianti sia a contrassegnare il dolore e la rabbia, l’intima tempesta che scuote l’esistenza di Anna sia a rappresentare i momenti felici della ritrovata libertà e serenità. A fare da sfondo il paesaggio partenopeo contraffatto da un disegno che lo rende a tratti minaccioso e che si riferisce ad una realtà molto complessa e difficile che ha tuttavia, come Anna la capacità di riemergere e di salvarsi. Un messaggio, quest’ultimo, che la Napoli dei nostri giorni dovrebbe poter saper cogliere.

 

 

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