UN “mio” DOCUMENTO datato 8 aprile 2008

Nel 2008 si lavorava per costruire il “rinnovamento” nei metodi e nelle azioni di governo ed amministrazione dei territori, ma già allora emergeva la “reazione” da parte di tutti coloro che non volevano, se non con le chiacchiere, cambiare. Troppo spesso la politica è stata sottoposta ad interessi personali e la gente era stanca di giustificarli; oggi nulla è cambiato: anzi la situazione è ben peggiore ed a poco vale scollinare la crisi economica per rivedere luci fioche in fondo ai tunnel.

Riscrivo queste riflessioni a sette anni e più da allora per rispondere ad alcuni interlocutori che su Facebook intervengono a sproposito ignorando passaggi fondamentali della nostra storia recente.

Che cos’è la Politica? e che cos’è la Democrazia? che cos’è il Partito che abbiamo voluto chiamare Democratico?
Volevamo, o no, nel costruire il PD, rinnovare anche le modalità di accesso alla Politica? parlavamo di un Partito aperto, di un Partito nuovo, diverso da quelli che ci volevamo lasciare alle spalle; parlavamo di un Partito che avrebbe dovuto vedere abbattuti gli steccati non solo ideologici, utilizzando tutto il buono dei grandi valori ed abbandonando gli schematismi inutili delle appartenenze a questa o quella combriccola, un Partito che avrebbe dovuto sentirsi ricco delle differenze e soprattutto che avrebbe dovuto sapere valorizzare anche le “critiche”. E’ accaduto invece tutto il peggio di quel che poteva accadere: avevamo messo in conto che le antiche leadership avrebbero opposto una resistenza ufficialmente sotto una forma di continua dilazione delle scelte e di una decisa pur se silenziosa sottovalutazione degli elementi positivi che si andavano costituendo verso il PD nuovo. L’avevamo messo in conto ma non avevamo messo in conto che la malattia endemica del potere avrebbe coinvolto anche alcuni di quelli che apparivano sinceramente partecipi del processo verso il nuovo. Avevamo messo in conto tutte le possibili difficoltà ma siamo stati presi in un ingranaggio frenetico che ha fatto il gioco del pre-potere e che sta portando il PD attuale verso una situazione che solo fra una settimana riusciremo in qualche modo a giudicare. Abbiamo utilizzato e sentito utilizzare slogan sul PD fatto per i giovani, dove i giovani vengono soltanto utilizzati per la manodopera e dove la maggior parte della “vecchia guardia” di fatto decide per tutti. Abbiamo assistito ad un tempo preelettorale nel quale le scelte venivano prese di fatto così e così certamente si intenderebbe continuare a fare. A Prato decide forse la Coordinatrice, ma forse decide l’onorevole Giacomelli o forse decide Manciulli o forse decide Franceschini forse Veltroni.
E’ questa la Democrazia? E’ questo il PD? E’ questo il PD che se vuole realizzare un’iniziativa a livello decentrato la deve in ogni sua parte concordare con il Centro?
Bene. Sono fieramente all’opposizione di una simile procedura: questo non solo non è il PD che volevamo; non è nemmeno un Partito “democratico”. Con questo Partito non rinnoveremo un bel niente: ed infatti non servirà nè ridurre il numero nè i vantaggi dei Parlamentari. Non è questo quel che speravamo. Noi pensiamo ad un Partito che sappia indicare alle giovani generazioni una via diversa rispetto alla Politica che non sia più vista come una carriera ma come un vero e proprio servizio civile al quale ci si presta per brevi tratti della propria esistenza. Troppi sono davanti ai nostri occhi gli elementi negativi che caratterizzano la Politica degli affari, dei compromessi e delle clientele; è impossibile perpetuare questo stato di cose che può essere sopportato soltanto provvisoriamente con gesti umanitari nei confronti degli attuali fruitori di queste beneficenze. In tal senso tuttavia – se c’è qualcuno che ha segnali diversi li comunichi con urgenza! – non c’è alcun segnale. E dunque come pensate che si possa gioire di questo PD?
Confermo anche a quegli amici che hanno ritenuto concluso il lavoro del Comitato per il PD (quello detto Prato Democratica) che tale impegno proseguirà perchè non siamo soddisfatti di questo Partito; lo vogliamo come pensavamo e come non è: lo vogliamo diverso da DS e Margherita ed invece è ancora troppo collegato agli aspetti peggiori di quei due Partiti.

Ora pensiamo al voto; ma non dimentichiamoci che, subito dopo, come vada vada, dobbiamo lavorare di più alla forma Partito e dobbiamo “davvero” costruire il PD che vogliamo.

A presto. Giuseppe Maddaluno

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reloaded “LA SFIDA” un ricordo del novembre 1966

tempesta
reloaded “LA SFIDA” un ricordo del novembre 1966

La sfida
Quante partite nello scalo merci delle ferrovie avevano giocato; al pomeriggio prima di mettersi a studiare si ritrovavano nel piazzale all’ingresso della Stazione della Metropolitana di Pozzuoli; si contavano e quando il numero lo permetteva si andava a giocare. Intanto con il pallone di cuoio quello regolamentare si palleggiava sulla strada. Allora le auto circolanti non erano molte e quando arrivavano si chiedeva agli automobilisti di parcheggiare più in là. La porta, virtuale, era nel muraglione della villa signorile che affacciava sulla piazza: si sistemavano degli oggetti reperiti casualmente (a volte erano i nostri giubbini arravugliati, altre volte dei mattoni di tufo) per delimitare lo spazio orizzontale della “porta”; per l’altezza si andava “ad occhio” ma, ad ogni modo, quando il numero dei convenuti era consistente si spostavano all’interno dello Scalo.
A volte, considerando questa pratica un allenamento, affittavano un campo di calcio con il contributo di tutti e si sfidavano fra di loro oppure sfidavano altri gruppi come il loro, mettendo in palio “pizza e birra”.
Era la fine di un mese di ottobre ancora caldo; molti già discutevano su come il clima fosse cambiato. Era il 1966.
Alberto spesso si recava nell’isola; di solito vi trascorreva la bella stagione ma anche qualche fine settimana. Là poteva respirare aria buona, godere della libertà dai vincoli, a volte apprensivi, della famiglia. Aveva un gruppo di amici con i quali condivideva alcune passioni, teatro e musica. Aveva costruito anche qualche timida relazione, ma niente di importante e di fisso, con una ragazza del luogo, amicizia e nulla di più per accordo reciproco. Seguiva – da tifoso – una delle squadre di calcio locali, dove giocavano altri amici ed amici dei suoi amici. Ed una sera, una domenica di metà settembre, raccontò loro del gruppo di amici della Metropolitana, elogiandone le qualità tecniche, quasi a sottolineare la loro possibile superiorità: quasi! Ma agli “isolani” sembrò certa la provocazione di Alberto nei loro confronti. Ed il guanto della sfida fu gettato.
A quei tempi nel gruppo della Stazione tutti erano studenti, molti al Liceo Classico, una parte all’Istituto Tecnico e, tranne un paio di loro che erano già all’Università, frequentavano l’ultima o la penultima classe del corso di studi superiori. L’occasione buona sarebbe stata quella delle vacanze dei Santi e dei Morti che, con il 4 novembre, Festa dedicata all’Armistizio di Villa Giusti che nel 1918 concluse la prima guerra mondiale, e con la concessione di un “ponte” il sabato 5 componeva un utile filotto. E così si strinse un patto fra Alberto e gli “isolani” per una sfida ufficiale nel primo pomeriggio del giovedì 3 novembre.
La banchina, quella mattina, era sgombra; la notte il vento era stato così forte da aver provocato la caduta di alcuni cartelloni pubblicitari lungo il viale di accesso al porto…ma il cielo era sgombro di nubi, quella mattina. Non faceva molto freddo. Il mare nel porto di Pozzuoli, protetto dal lungo molo caligoliano alla fine del quale vi era un faro abitabile, piccolo ma ugualmente maestoso, appariva calmo. Alberto con i suoi amici si avviarono, dopo aver acquistato i biglietti di imbarco ed aver controllato anche gli orari per il ritorno, verso quella che ancora allora chiamavano la “Cumana”, in ricordo del fatto che già dall’Ottocento e poi fino a metà Novecento il collegamento fra Procida e la terraferma si svolgeva prevalentemente da Torregaveta, “terminal” della Ferrovia per l’appunto detta “Cumana”. Dopo il controllo dei biglietti, salirono a bordo. Al di là del personale non vi erano molti altri passeggeri.
Alle 9.45, in perfetto orario, la nave si staccò dalla banchina. Il viaggio durava all’incirca 45 minuti; dopo essere uscita dal porto di Pozzuoli girava a sinistra e proseguiva mantenendo sulla destra la riva di Baia e di Bacoli fino a doppiare il Capo Miseno dove, virando a destra e mantenendosi a distanza dalla costa di Miliscola e del Monte di Procida, avrebbe puntato verso l’Isola di Procida.
Un percorso semplice semplice, ma quel giorno non fu così.
Non appena usciti dal porto, superato il Faro, ci si accorse che il mare non era più così tranquillo come sembrava. La nave, una delle più grandi fra quelle che circolavano su quella linea, cominciò a beccheggiare di fronte ad onde larghe ed enormi che la colpivano lateralmente. Il capitano decise di spostare la prua in direzione delle onde per poterle affrontare; il rollio commisto al beccheggio creava una combinazione maligna che in un primo tempo, ricordando alcune delle attrazioni dei Luna Park, appariva piacevole ai giovani passeggeri che scherzavano fra loro mimando gli ubriachi lasciandosi andare da una parte all’altra del ponte godendosela e ridacchiando. La nave si allargò dal Capo Miseno e si inserì verso il canale di Procida affrontando onde altissime che la portavano nella parte più bassa del ventre impedendo ai passeggeri di vedere la terra e poi la sollevavano sulle loro creste per farle ridiscendere vertiginosamente.
I giovani amici di Alberto cominciarono a spaventarsi e più di uno di loro dovette liberarsi della colazione; lo stesso Alberto era confuso e fortemente preoccupato per i suoi compagni, e qualcuno si spinse anche ad offenderlo. Il mare si calmò soltanto all’ingresso del porticciolo di Procida protetto dalla scogliera. Il gruppo, un po’ malconcio, raccattò le sue borse, dove erano state riposte le tute, le magliette ed i pantaloncini della squadra, e si preparò a scendere dalla scaletta che era stata calata sulla banchina di Procida. Si era di fronte all’imponente palazzo Merlato del ‘600 e ad una serie di abitazioni dal vario colore mediterraneo, ma la traversata aveva messo ciascuno di cattivo umore e poi tutti erano arrivati a Procida in tempi migliori. Alberto aveva lanciato già lo sguardo dall’alto della nave per cercare qualcuno dei suoi “isolani” e non ne aveva visto alcuno. Si era fermato in uno dei bar della Marina Grande ed aveva, utilizzando un gettone, telefonato a casa di Valerio, l’allenatore della squadra locale. Rispose sorprendendosi del fatto che loro fossero arrivati; chi vive circondato dal mare conosce i suoi segreti e le previsioni non erano positive: il mare andava ancor più ad agitarsi ed il rischio dell’interruzione del servizio marittimo nelle ore successive era molto elevato. Ma, visto che c’erano, disse che poiché avevano confermato il loro allenamento pomeridiano, non ci sarebbe stato alcun problema per la “sfida”, a patto però che si evitasse il gioco duro.
Si fermarono tutti a Marina Grande rifocillandosi con tè caldo al Bar del Porto; e poi si avviarono verso il piccolo autobus che era arrivato, essendo stato avvisato da Valerio. Il biglietto lo si faceva direttamente a bordo e l’autista sapeva anche dove lasciarli scendere poco prima di giungere al capolinea che era la Marina Chiaiolella. Riconobbe Alberto ed anche lui, l’autista, che si chiamava Gennaro, lo rimproverò di non aver consultato le previsioni marittime; sarebbe bastata una telefonata alla Capitaneria del Porto, anche quella di Pozzuoli. Alberto allargò le braccia per giustificarsi così come poteva e chiese a Gennaro di indicargli una trattoria alla buona per il pranzo. Erano soltanto le 11; potevano mangiare un primo ed un po’ di frutta prima di andare a giocare. L’appuntamento per la “sfida” era alle 14.30 per avviare alle 15.00 e chiudere entro le 17.00 per poter poi ripartire per Pozzuoli alle 18.00.
Decisero dunque di arrivare giù alla Chiaiolella e di fermarsi in una delle trattorie dove di solito facevano da mangiare agli operai edili che venivano dalla terraferma. In quei giorni non erano arrivati non solo per il maltempo ma soprattutto per le ricorrenze, per cui i gestori furono ben contenti di avere una dozzina di clienti inattesi e si prodigarono per accontentarli. Alberto li conosceva ma non bene come quelli della Corricella e di Marina Grande; si presentò e presentò i suoi amici spiegando il motivo per il quale si trovavano quel giorno a Procida.
Insieme ascoltarono alla radio le previsioni meteo e seppero che in gran parte dell’Italia del Centro Nord aveva continuato a piovere mentre al Sud non erano previste perturbazioni pericolose: si rasserenarono convinti anche del fatto che, pur se il vento continuava ad essere intenso, non facesse freddo ed il cielo era pressoché sgombro di nubi. Tanto che, alla fine del pranzo, dopo il caffè si spostarono verso la spiaggia e si sedettero sulla sabbia al sole che era abbastanza caldo.
Fino alle 14 vi rimasero; poi a piedi si avviarono salendo verso il Campo sportivo. Lungo la strada Giovanni, il capitano della squadra, impartì alcune indicazioni sui ruoli da ricoprire: Luciano avrebbe fatto il portiere, come al solito; Alfredo e Gino avrebbero supportato la linea di difesa mentre al centro di questa vi sarebbe stato lui stesso; nel centrocampo avrebbero operato Mattia e Peppino; la linea di attacco con capacità e potenzialità di rientro sarebbe stata composta da Alberto, Nicola, Fulvio come centravanti, Saverio e Renato. Di certo non avrebbero avuto alcuna possibilità di sostituzioni; ma nelle “amichevoli” spesso accadeva così. Alberto faceva da segretario a tutta la compagnia e prese appunti diligentemente.
Arrivarono con qualche decina di minuti di anticipo rispetto alla squadra locale; così si spogliarono, indossarono magliette – con i numeri canonici – e pantaloncini e poi cominciarono a fare riscaldamento. C’era intanto un pubblico occasionale sorpreso di vedere tante facce nuove. Arrivarono i “locali” per la sfida mentre Alberto e gli altri stavano provando dei palleggiamenti. Valerio fece le presentazioni di Alberto e quest’ultimo presentò i suoi amici. Alle 15, forse poco dopo le 15, scelto come arbitro un ragazzo che si era proposto, cominciarono a giocare; decisero di fare due tempi di 35 minuti con un breve intervallo di 10, in modo da poter finire per le 16.30 e ripartire, anche perché Valerio paventava il rischio che sul far della sera il mare sarebbe diventato più agitato e non vi sarebbe stata possibilità alcuna di partire; il vaporetto che li aveva portati la mattina ritornava da Ischia e sarebbe partito alle 17.30 ed era il mezzo più sicuro rispetto alle altre imbarcazioni meno solide.
La partita si mantenne su un piano di gioco aperto ma molto corretto così come era stato previsto dai patti; e nessuno si lamentò del risultato che fu un pareggio per 2 a 2. Finita, si rivestirono tutti, bevvero del tè caldo che era stato portato dai “locali” all’interno di thermos e non appena ritornò il pulmino si salutarono e, così come erano arrivati la mattina, ridiscesero alla Marina Grande.
Il mare era abbastanza tranquillo nel porto, anche se con l’approssimarsi del tramonto il vento aveva ripreso a tirare ed a dire il vero non era freddo. Il gruppo di Alberto, tutti soddisfatti per l’esperienza vissuta, arrivò a Marina Grande con il piccolo autobus. Scesero e si avviarono alla biglietteria, ma la trovarono chiusa e videro anche un cartello affisso: “SERVIZIO SOSPESO per mare forza 9”. In effetti, il mare non appariva poi così tempestoso, ma uno degli ormeggiatori che Alberto conosceva disse che il moto ondoso era molto forte nella parte più aperta alle correnti aeree ed in particolare fra Ischia e Procida e nel canale di Procida; e , quel che era peggio, le previsioni non annunciavano miglioramenti nelle ore successive, anzi! Cosa fare, a quel punto? Alberto sapeva anche che in qualche occasione era stata ripresa la rotta per Acquamorta, al Monte di Procida; ne accennò al gestore del bar, Geppino, che conosceva da tempo ma quello gli rispose che, in simili condizioni, nessuno lo avrebbe potuto condurre dall’altra parte: la sera stava sopraggiungendo e non vi erano le condizioni per poter con certezza far ritorno e poi la Capitaneria non lo avrebbe consentito.
Alberto chiamò Valerio che, per fortuna, visto il maltempo, era ritornato a casa e lo informò. “Se qualcuno ci dicesse che di certo domattina si parte potremmo anche adattarci in un magazzino del porto o chiedere ospitalità in uno dei locali della Marina; ma ho la sensazione che non vi siano certezze in tal senso.” Alberto pensò anche di portare una parte dei suoi amici dai suoi parenti, ma Valerio lo rassicurò: “In occasioni come queste, voi siete stati nostri ospiti, tocca a noi ricercare una soluzione. Chiamo il Sindaco per capire quel che si può fare! Aspettatemi”. Alberto ringraziò ed avvertendo su di sé la responsabilità di averli condotti in quella “sfida”, informò il gruppo, che intanto come aveva fatto al mattino si stava rifocillando al caldo in una stanza interna del Bar con te e pastine varie.
Valerio arrivò dopo meno di un’ora; con lui c’era il vice Sindaco che assicurò tutti che l’isola avrebbe provveduto ad ospitarli in una struttura alberghiera (avevano pensato anche all’Ospedale, ma veniva utilizzato solo per il Pronto Soccorso e non aveva spazi organizzati) fin quando il servizio di navigazione non fosse ripreso. Alberto aveva telefonato alle zie e si fece escludere dal computo; disse che però li avrebbe accompagnati per accertarsi della sistemazione. In quei giorni, per la concomitanza delle festività e del maltempo, gli alberghi erano pressochè vuoti. Era consuetudine ad ogni buon conto avere il massimo rispetto per gli “ospiti”, ancor più in occasioni come quelle; e non capitava certamente spesso.
Valerio, il Vice Sindaco ed un altro amico fino ad allora sconosciuto li accompagnarono, utilizzando tre auto, ai due Alberghi che si trovavano fra Solchiaro e la Chiaiolella, il “Savoia” ed il “Riviera”. Furono accolti con estrema cortesia nella tradizione ospitale dell’isola. Alberto ringraziò gli amici di Procida, si accomiatò dai suoi amici assicurando loro che, presto, la mattina dopo sarebbe ritornato, suggerendo loro di essere pronti perché se il mare si fosse calmato ed il servizio ripreso sarebbero partiti. La notte il vento riprese vigore e la mattina, limpida perché sgombra di nubi annunciò tuttavia che nulla era cambiato e che il mare, lo si vedeva dall’alto della casa delle zie di Alberto, lo si vedeva altrettanto dall’alto delle terrazze dei due alberghi, era ancora più tempestoso. Alberto raggiunse presto gli amici e con loro, sapendo di dover rimanere ancora qualche ora, forse un giorno, si sperava un solo giorno, si incamminò sulla via “Panoramica” e da quella poterono osservare la maestosità delle onde marine che si scagliavano possenti contro la scogliera sollevando una schiuma corposa; ed il vento intenso rendeva il cammino faticoso lungo la strada. Alberto e pochi altri, rassicurati e protetti dalla dolcezza e dall’ospitalità dell’isola, ricordarono i versi di Lucrezio nel secondo libro del “De rerum natura”

“Suàve , marì magnò turbàntibus àequora vèntis
è terrà magnum àlteriùs spectàre labòrem;
nòn quia vèxarì quemquàmst iucùnda volùptas ,
sèd quibùs ìpse malìs careàs quia cèrnere suàve est.”

“bello, quando sul mare si scontrano i venti
e la cupa vastità delle acque si turba,
guardare da terra il naufragio lontano.
Non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina,
ma la distanza da una simile sorte”

e fecero ritorno, dopo aver acquistato alcuni prodotti per l’igiene intima in un “Coloniali” in Piazza Olmo, uno di quei negozi che emanano profumi di pulito e vendono di tutto, ai loro Alberghi. Era il 4 novembre, venerdì e nel Nord ed il Centro d’Italia, si stava consumando la tragedia delle alluvioni. Trento, Venezia, Udine, Brescia, Padova subirono enormi danni; Firenze fu sommersa dall’Arno. Un patrimonio immenso di Arte, Cultura e Civiltà rischiò di essere perduto. Alberto ed i suoi amici si incollarono alle radioline che riportavano i notiziari del “dramma”. Compresero di essere davvero fortunati. La mattina dopo riuscirono a far ritorno. Il mare non era ancora tranquillo ma il servizio era ripreso.

Joshua Madalon

Firenze 66

reloaded “EPIFANIE – Pasolini e Bach a Bergamo alta” di Giuseppe Maddaluno

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EPIFANIE – Pasolini e Bach a Bergamo alta” di Giuseppe Maddaluno

Una camera spartana; era quello che aveva trovato a due passi dal Centro storico di Bergamo bassa, in via Pignolo. La proprietaria, una signora sui sessanta, aveva richiesto l’ anticipo dell’affitto settimanale; non si fidava dei meridionali. Troppe fregature aveva avuto e non le bastava che Fulvio le fosse presentato da un pigionale d’annata, anche lui era meridionale! Una stanza spoglia con pochi mobili e nessuna possibilità nemmeno di utilizzare la cucina; per fortuna Fulvio conosceva molto bene uno dei suoi amici terroni che lavorava alle Ferrovie dello Stato e che, ancora celibe, utilizzava a pranzo ed a cena la Mensa del Dopolavoro Ferroviario. Così, introdotto come amico fraterno, Fulvio ne poteva utilizzare i servizi pagando come “esterno” un prezzo molto conveniente. A Bergamo c’era anche un altro suo amico, Fausto, che abitava in via Novelli. Lo aveva conosciuto durante il servizio militare, Fausto. Era un ragazzo molto attento alle trasformazioni sociali ed era politicamente impegnato senza appartenenza ad alcun Partito; un “cane sciolto” attento alle attività dei “centri sociali”. Gli telefonò ed andò anche a trovarlo una domenica mattina; lavorava in una fabbrica nell’hinterland milanese e tornava a casa solo il fine settimana. Sembrò sfuggente, un po’ vago e superficiale nei rapporti che mostrava, in contrasto con la serenità dei giorni della “naia”, freddino! Era la fine di ottobre del 1975; il cielo era limpido e si respirava una buona aria. Bergamo non era inquinata come Milano e le giornate, mattina e pomeriggio, erano libere per Fulvio, che aveva ricevuto una supplenza ad un corso serale all’Istituto Tecnico e Commerciale “Vittorio Emanuele II”. Il lavoro era impegnativo ed occorreva prepararsi in modo adeguato: gli “studenti”, tutti adulti, erano desiderosi di apprendere e spesso, essendo coetanei o più anziani, sapevano molto di più dei loro docenti; se non altro, possedevano loro competenze specifiche di cui non celavano le conoscenze. Di giorno, Fulvio studiava, prevalentemente la mattina e poi andava ad esplorare la città; al pomeriggio frequentava il cineclub “Giovanni XXIII” sul viale omonimo. Oppure andava in giro per le scuole del territorio per capire se vi fosse bisogno di lui al termine della supplenza; di solito, ci andava di mattina. E quel giorno nel quale si recò a Pontida, una Scuola Media, sceso dal treno lesse sulla locandina de “l’Unità” che era morto Pier Paolo Pasolini. Si precipitò ad acquistarla e divorò le pagine con rapidità. Che grande, bella persona era Pier Paolo Pasolini; odiato dalla Destra e rinnegato dalla Sinistra aveva messo a nudo le contraddizioni della società del suo tempo, rivelandone la metastasi in atto nella “mutazione antropologica”. Che grande perdita per il nostro Paese; la sua lucidità analitica aveva accompagnato alcuni dei giovani di allora nella conquista della consapevolezza che fosse necessario un profondo radicale cambiamento. Misteriosa quella sua avventura nella notte allo Scalo di Ostia, quel mattino occupò per intero la mente ed il cuore di Fulvio. Era il 3 novembre 1975; Pasolini era stato ucciso in circostanze di difficile lettura nella notte fra il 1° novembre, giorno dei Santi, ed il 2 novembre, Giorno dei Morti. Ed i commenti erano perfidi, irridenti la sua omosessualità che dava fastidio ai fascisti maschilisti ed ai perbenisti di Centro e di Sinistra. Fulvio, continuando a leggere le pagine del suo giornale preferito, fece ritorno a Bergamo subito dopo essere stato informato che una supplenza ci sarebbe stata dalla settimana seguente ed aver lasciato il suo recapito domiciliare provvisorio. Quel pomeriggio al cineclub proiettavano “I tulipani di Harleem” un film di Franco Brusati, regista di culto in quegli anni. Vi si recò e si innamorò, di Carole André (la Lady Marianna di “Sandokan” televisivo, per intenderci).
Con gli studenti quella sera poi avviò a trattare la difficile fase delle “Guerre di successione”; alcuni però vollero sapere di Pier Paolo Pasolini e così fu che si avviò una discussione fra chi lo etichettava come un immorale frocio e chi lo riconosceva come poeta assoluto. Fulvio parlò della sua spietata lucida analisi della società condotta su quotidiani come “Il Corriere della Sera” e “Il Tempo” e sul settimanale “Il Mondo” e su riviste vicine al Partito Comunista come “Vie Nuove” e “Rinascita”. Ne sottolineò gli aspetti analitici e critici ed in particolare toccò il tema del “genocidio culturale” e della metamorfosi antropologica in atto. Parlò del suo cinema ed in modo attento alle prime prove, “Accattone” e “Mamma Roma”, che senza alcun dubbio erano collegabili ai romanzi più famosi come “Una vita violenta” e “Ragazzi di vita”. Accadeva così, nel corso serale: erano gli studenti, quelli più attenti (qualcuno sonnecchiava), a proporre la linea della serata. E Fulvio si adattava.
Era un novembre climaticamente accettabile e Fulvio ne aveva utilizzati alcuni fine settimana, quando le scuole erano chiuse, per visitare altre parti di Bergamo. Bergamo alta (la città antica medievale romanica) è un piccolo gioiello inatteso per chi viaggia soltanto nella “bassa”, dove si sono invece sviluppate le caratteristiche moderne economiche ed industriali. Vi si accede attraverso un servizio di funicolare (a piedi è molto più faticoso arrivarci) e la percezione storica del mondo bergamasco cambia totalmente. Quel 4 novembre di festa Fulvio prese la Funicolare e attraverso stradine strette giunse nella splendida Piazza Vecchia, un vero e proprio capolavoro nel suo insieme. Vi fu girato “Il cavaliere del sogno” film dedicato alla vita di un grande bergamasco, Donizetti. Vi si trovano tutti insieme il Palazzo del Podestà, il Palazzo della Ragione e la Torre medievale del Comune. Andando avanti si trovano poi la Cappella Colleoni che celebra altro illustre figlio bergamasco, il Duomo romanico e la Basilica di Santa Maria Maggiore. Fulvio notò affisse delle locandine in alcuni dei locali che annunciavano per la sera del 4 novembre un grande Concerto all’interno del Duomo. Un’ orchestra tedesca con un Coro internazionale avrebbe proposto la “Passione secondo Matteo” di Bach. Non poteva mancare. Fulvio risalì di nuovo a Bergamo alta quella sera; non aveva mai sentito la “Passione” per intero ma ne aveva ascoltato brani proprio nei film di Pasolini e gli sembrò un “segno” straordinario quella concomitanza di eventi. Il Duomo alle sei e mezza di quel pomeriggio era gremito all’inverosimile; vi erano delle transenne che limitavano il passaggio fra il pubblico “comune” e le autorità cui era stata riservata la parte più ravvicinata all’orchestra su comode poltrone. Su una di queste vi era anche il Vescovo, figura possente per altezza e larghezza. Fulvio non si scoraggiò e superando il varco si posizionò in forma asiatica intrecciando le gambe. Non vi era alcun servizio d’ordine e l’esempio fu seguito da altri giovani, incoraggiando anche qualche meno giovane a fare la stessa scelta.
Alle sette in punto di quel pomeriggio gli orchestrali, circa 25 elementi, fecero il loro ingresso davanti al pubblico, sistemarono i loro spartiti sui leggii ed avviarono la loro azione per provare gli accordi. Dopo circa cinque minuti entrò il Coro formato da circa 20 elementi maschili e femminili e poi entrarono e si posero a sedere davanti ai lati dell’Orchestra tre donne e tre uomini (2 soprani, 1 contralto, 1 tenore e due bassi). Subito dopo, accompagnato dagli applausi del pubblico, fece il suo ingresso il Direttore e dopo due inchini al pubblico ed agli orchestrali che furono invitati ad alzarsi, salì sul suo podio e dopo aver impartito alcune indicazioni avviò il Concerto. L’avvio, musicale e corale, è immediatamente solenne e Fulvio, colpito da un brivido di emozione e di piacere, venne trasportato su una “nuvola” lieve ed eterea; voci angeliche pietose accompagnano l’Uomo con la sua Croce verso il suo estremo sacrificio. A tanta ieraticità non resse la stanchezza del Vescovo che scrollava la testa sonnacchioso. Al Corale ampio n.10 (“Son io che dovrei espiare Legato mani e piedi Dannato all’inferno Gli insulti e le catene E i tuoi patimenti Tutto ha meritato l’anima mia”) l’Alto prelato crollò in un sonno profondo ed in esso permase cullato dal Corale n.15 e da quello più tranquillo del n.17. A nulla servì il Tenore ed il Coro dell’Aria n.20 né la Corale n.20 che mantennero invece Fulvio ad un’altezza costante sulla sua “nuvola”, dalla quale fu costretto a scendere dopo il Corale conclusivo della prima parte, causa breve intervallo. Anche il Vescovo si scosse, disturbato da un addetto che gli chiese se aveva bisogno di bere qualcosa. Il concerto riprese e nulla cambiò: il vescovo riprese anch’egli il suo sonnellino e Fulvio il suo viaggio estatico. Non aveva mai sentito nulla di simile nei suoi giovani anni; il mondo gli sembrò più accettabile e comprese anche quanto la morte di Pasolini avesse proiettato quel grande nell’eternità, accomunandola a quella del Cristo. Quella sera uscì dal Duomo sorretto da due angeli che lo mantenevano al di sopra di tutte le altre persone accompagnato dalle note della “Passione” e dai suoi cantori.
fine

Mamma! mamma! mamma! sto a mmorì de’ freddo!

115-pasolini-viene-ucciso

PASOLINI 40 – stasera 3 novembre ore 21.00 al Circolo Matteotti di Prato – via Verdi 30

ALTROTEATRO E DICEARCHIA 2008 in collaborazione con CIRCOLO MATTEOTTI, ADSP CIRCOLO DELLE IDEE, LABORATORIO DI VIA DEL CITTADINO, VIAGGI E SCOPERTE, SUCCEDE A PRATO, ZAPPA!, LEFTLAB

presentano

Copertina libro def.va 001

PIER PAOLO PASOLINI 40

… il dialogo non finisce …

(versi di-versi)

CIRCOLO MATTEOTTI – via Verdi 30 – Prato

martedì 3 novembre 2015 – ore 21.00

IL LIBRO contiene contributi di

Melania Petriello

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Silvia Bertaggia

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Gaetano Calabrese

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Cinzia Caputo

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Marianna Cavalli

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Chiara De Luca

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Ida Di Ianni

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Aldo Ferraris

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Claudia Fofi

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Brigidina Gentile

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Giemme

Gnerre Antonietta

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Mimmo Grasso

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Matilde Iaccarino

Magrelli Valerio

Valerio Magrelli

Maltinti Attilio

Attilio Maltinti

Pandico Anna

Anna Pandico

Petrizzi Eliana

Eliana Petrizzi

Raiola Marcella

Marcella Raiola

Recchia Chiara

Chiara Recchia

Salzarulo Mariapina

Mariapina Salzarulo

Santucci Maria

Maria Santucci

Schiavone Angela

Angela Schiavone

Schmidt Michael

Michael Schmidt

Tarantino Stefania

Stefania Tarantino

Zampiga Stefania

Stefania Zampiga

Policastro Gilda

Gilda Policastro

coordinamento di Giuseppe Maddaluno e Antonello Nave

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INVITO a partecipare – PASOLINI 40 – poesie ed evento scenico MARTEDI’ 3 NOVEMBRE ORE 21.00 Circolo “Matteotti” via Verdi 30 Prato

INVITO

PASOLINI 40 – poesie ed evento scenico incentrato sulle poesie dedicate a Pasolini e sulle sue opere
MARTEDI’ 3 NOVEMBRE ORE 21.00 Circolo “Matteotti” via Verdi 30 Prato

Immagini e protagonisti (solo alcuni tra quelli di cui ho trovato immagini sono in fotografia)

Copertina libro def.va 001

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Antonello Nave – regista

 

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Benedetta Tosi – attrice e cantante

 

 

 

 

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Roberto Caccamo – attore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Francesca Vannucci – cantante insieme a da sin. Giuseppe Maddaluno – Giancarlo Rossi musicista – Antonio Lombardi – musicista e cantante – Maria Chiara Carotenuto attrice – Gennaro Raggio musicista e cantante – Vincenzo Santaniello musicista – Anita Scianò attrice

 

 

 

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Eugenio Nocciolini – attore

 

 

 

 

 

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I musicisti Giancarlo Rossi, Antonio Lombardi, Gennaro Raggio e Vincenzo Santaniello

 

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Roberto Caccamo – Giancarlo Rossi – Giulia Risaliti e Antonio Lombardi

 

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Matilde Michelozzi – violoncellista e new entry nel Gruppo

 

SIETE TUTTE\I INVITATE\I

PASOLINI 40 – SILLOGE POETICA – UN PRATESE – un quasi pratese GIEMME ed un GRANDE NON PRATESE – VALERIO MAGRELLI – MARTEDì 3 NOVEMBRE CIRCOLO MATTEOTTI VIA VERDI 30 ore 21.00

PASOLINI 40 – SILLOGE POETICA – UN PRATESE – un quasi pratese GIEMME ed un GRANDE NON PRATESE – VALERIO MAGRELLI – MARTEDì 3 NOVEMBRE CIRCOLO MATTEOTTI VIA VERDI 30 ore 21.00

PASOLINI 40 – silloge poetica
Ho accennato alla “pattuglia” pratese ed ho parlato delle donne poete “pratesi”. Mancava “il” poeta. Eccolo: è Attilio Maltinti, conosciuto da me soprattutto per la sua passione “vera” verso la Cultura e l’Arte contemporanea.
Lo inserisco in un picciol gruppo di “poeti”, insieme allo sconosciuto “Giemme” ed al più noto, a livello nazionale e non solo, Valerio Magrelli, che ha consentito che noi pubblicassimo in questa silloge una poesia da “Didascalie per la lettura di un giornale” Einaudi 1999

Maltinti Attilio

ATTILIO MALTINTI

Autore di testi di lettura per ragazzi. Ha collaborato con la rivista “LiBeR” (edita Regione Toscana per Biblioteca Pubblica di Campi B). Caporedattore della “Rivista APARTE” su cui scrive articoli di riflessione critica su opere e artisti contemporanei. Segue la propria passione artistica e letteraria specie se collegata alla cognizione ed espressione della condizione umana. Ne accoglie i linguaggi con cui è possibile raffigurarla e amarla. (anche nelle loro multiformi sfaccettature sperimentali).
Nel sociale opera nel volontariato (carcere, scuola per migranti), e, attraverso associazioni che ha fondato, si attiva nella diffusione dell’impegno civile e nella sensibilizzazione a stimoli culturali, a produzione di esperienze, idee, consapevolezze.
Ha insegnato filosofia nei licei, prendendola come campo di azione per la produzione di senso, di ricerca, di indagine critica in relazione all’essere , al vivere con gli altri e col mondo , tenendo come compagne di strada, ove possibile, felicità e bellezza; e nella misura in cui uno ci riesce, umiltà e amore.

Magrelli Valerio

VALERIO MAGRELLI
Laureato in Filosofia all’Università di Roma, insegna Lingua e letteratura francese all’Università di Cassino. È autore di molte traduzioni di autori francesi come Mallarmé, Valéry, Jarry, Char, Ponge. Socio fondatore del Sindacato italiano autori letterari. Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì il Premio nazionale per la traduzione (1996) e il Presidente Carlo Azeglio Ciampi lo nominò Cavaliere ufficiale (2005). Ha vinto il Premio opera italiana 2013 con Geologia di un padre. Collabora con il quotidiano La Repubblica. È sposato con un’avvocato, ha due figli.

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GIEMME
… CHE DIRE? ….