Dopo l’ 8 marzo – se permettete – parlando ancora di donne

Dopo l’ 8 marzo – se permettete – parlando ancora di donne

“Repetita iuvant” Ieri, ma anche l’altro ieri e in gran parte dei miei post ho parlato di Cultura, di Poesia e di Letteratura valorizzando soprattutto (quasi esclusivamente) il genere femminile. D’altronde, anche la mia invenzione tipografica-editoriale riportava questa peculiarità: “POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE”! per 12 anni ho costruito e pubblicato questa silloge.
Ma in riferimento a quel che scrivevo ieri per quel che riguarda la performance di ALTROTEATRO – “Per donna sola” – aggiungerò qualche dettaglio.

Bracho_Coral

Come vi dicevo, uno dei brani dedicati alle figure femminili nel corso di “”Per donna sola” di Altroteatro era sotto forma di “musica e canto” per l’interpretazione di Benedetta Tosi ed il contributo musicale di Vincenzo Santaniello – Antonio Lombardi e Giancarlo Rossi. Si tratta di una rielaborazione dal testo che qui sotto riporto in originale (Coral Bracho) e nella sua traduzione (Chiara De Luca). Di quest’ultima abbiamo già parlato; di Coral Bracho trattiamo oggi. Si tratta di una delle più importanti poete del panorama mondiale. Nata a Città del Messico si distingue per la sua profonda ed acuta sensibilità artistica. Fa parte del Sistema Nacional de Creadores de Arte ed ha ricevuto una borsa di studio della Fondazione Guggenheim

Il brano è inserito in una raccolta “Quello spazio, quel giardino” (Ese espacio, ese jardin”, 2003) tradotto da Chiara De Luca e pubblicato dalla casa editrice Kolìbris). Di seguito, prima dei testi, il commento riportato nel risvolto di copertina scritto senz’altro da Chiara De Luca.

Quello spazio, quel giardino, annuncia il titolo della raccolta poetica della messicana Coral Bracho, recentemente pubblicata in Italia (Kolibris, 2014) e in Messico nel 2006. Libro che per la sua compattezza si configura piuttosto come una sola poesia di ampio respiro e ci chiediamo dove voglia portarci la poetessa messicana, dove si trovino esattamente quello spazio, quel giardino. Ben presto ci rendiamo conto che l’autrice intende condurci nel mondo della sua infanzia, aprircene le porte segrete, invitandoci a entrare, a osservare ogni cosa; ci chiama a visitare l’eterno giardino dell’innocenza, situato fuori dal tempo e dallo spazio, eppure sempre presente, fisicamente presente. Così come sono fisicamente presenti i ricordi, i volti che sembrano materializzarsi da vecchie foto per poi tornare a sorridere, i bambini che ci sembra di sentir gridare e di veder correre a perdifiato nel giardino, il padre perduto, il padre guida muta, assenza onnipresente.
Tutto nella poesia di Coral Bracho è pervaso da una inesausta vitalità, anche la morte vi si personifica, e prende il suo legittimo posto tra le cose. Con questo suo canto sospeso, misterioso e spesso oscuro, la poetessa sembra voler entrare in contatto con l’anima degli oggetti, che tutto hanno visto e preservato, per guardare attraverso gli occhi delle finestre, schiudersi come le porte della casa, lasciando entrare le ombre, mai esorcizzate, bensì evocate.
Nella solitudine accogliente della notte i fantasmi non fanno più paura e i ricordi, in punta di piedi, vengono a trovarci e si fanno più vivi, più nitidi, come lo sono le storie dei bambini, in cui angeli e mostri convivono. Così come nella memoria convivono il dolore dell’assenza e la gioia della presenza che la perdita non ha potuto estinguere. E la realtà si trasfigura come neve che si scioglie.

–En la mirada que entrecruzan los niños,
en su fulgor,
frente al estanque iluminado.
Es la frescura de sus voces recorriendo el espacio, vertiendo
entre hondonadas de luz,
su azar de viento y de extensiones. Es la tersura
de sus voces ardiendo en desbandadas de gozo,
de brillo intacto, de plenitud.

Nada

toca,
entre las carnes de la vida, su centro,
nada lo alcanza y lo despeja,
como esas risas,
esas carreras embriagadas y eternas
que van urdiendo los jardines, los bosques,
las planicies que cimbran y atraviesan el tiempo.

Nada lo ciñe y lo ahonda como esos ecos. Ojos niños que irradian
infinitud.

Nada encarna en la vida
y la estremece; nada afirma su cuerpo y su sed, su voz,
como esa cifra de lo eterno en su centro:
un gesto puro
y claro.
Una mirada diáfana. Un arranque gozoso: Una gota,
un arroyo,
una corriente: Es el mar reverberando sus formas,
irguiendo en espesores de fuego sus masas,
su orbe
encabritado y frondoso; montañas de agua, de sol

*

– Nello sguardo che si scambiano i bambini,
nel suo fulgore,
di fronte allo stagno illuminato.
Nella freschezza delle loro voci che percorrono lo spazio, sfociando
in avvallamenti di luce,
è la loro unione di vento e d’estensioni. È lo splendore
delle loro voci che ardono in sbandamenti di gioia,
di lucentezza intatta, di pienezza.

Nulla

tocca,
nelle carni della vita il centro,
nulla lo raggiunge e rischiara,
come quelle risa,
quelle corse ebbre ed eterne
che vanno ordendo boschi, giardini
le pianure che fluttuano e attraversano il tempo.

Nulla lo cinge e scava come quegli echi. Occhi bambini che irradiano
infinità.

Nulla s’incarna in vita
e la scuote; nulla ne afferma il corpo e la sete, la voce,
quanto quella cifra dell’eterno nel suo centro:
un gesto puro
e chiaro.
Uno sguardo diafano. Un impulso gioioso: Una goccia,
un ruscello,
una corrente: È il mare che riverbera le sue forme,
ergendo in spessori di fuoco le sue masse,
il suo orbe
impennato e frondoso; montagne d’acqua, di sole

Anche da questi esempi si può comprendere come il lavoro dei Altroteatro e dei suoi interpreti sia straordinario e prezioso.

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