PRIMO CIAK – (un racconto) – seconda parte

PRIMO CIAK – (un racconto) – seconda parte

I personaggi agivano sotto le spoglie degli interpreti, che erano stati scelti accuratamente attraverso l’analisi dei loro caratteri, che fossero i più affini e vicini possibile a quelli dei personaggi.
Quella occasione fu una grande palestra: alcuni, come Andrea, erano al loro debutto. Qualcuno fra gli interpreti veniva da esperienze brevi o lunghe in campo teatrale che servivano a rendere meno complicato il lavoro di preparazione e quello sul set.
Dopo il “ristorantino” di Ponte Mercatale furono utilizzati ambienti pubblici come quello di Villa Filicaia e il teatro Santa Caterina e privati come le abitazioni di amici in Piazza Mercatale, uno studio medico in Via Garibaldi, uno splendido casolare sulle pendici del Montalbano, la lussuosa aristocratica rinascimentale Villa Rucellai, i locali dello Zerosei (uno spazio riservato ai più giovani frequentatori di discoteche), la bottega antiquaria di Filippo Citarella sempre in Piazza Mercatale, la Libreria “La Luna” in via Tinaia e l’abitazione di un amico di Andrea in via Pugliesi, un giovane molto impegnato culturalmente, che prestò le sue mani a quelle del protagonista mentre suonava un brano di Domenico Zipoli, di cui si celebravano i 300 anni dalla nascita (Prato – 17 ottobre 1688) proprio in quei giorni.
Infatti con grandi entusiasmi e passioni in quei giorni ci si impegnò a ricercare la musica che avrebbe dovuto accompagnare facendo da valido contrappunto alle storie narrate nelle scene girate. Le note musicali dovevano avere, nell’idea di Andrea, una funzione speciale per costruire già in anticipo le atmosfere della narrazione per immagini, a sostituzione delle parole, troppe volte sovrabbondanti e mortificanti. Andrea viaggiava, riposava ed a volte dormicchiava ascoltando ore ed ore di musiche; e le riascoltava immaginando le scene da realizzare: aveva sempre pensato che le parole fossero importanti ma non necessarie e che il Cinema non ne avesse bisogno al di là dell’essenziale e, dopo aver scritto le sceneggiature, procedeva con tagli impietosi a ridurne la complessità verbale.
Durante le riprese non mancarono gli errori ma la maestria dei tecnici combinata all’intuizione di Andrea aiutarono a non renderli visibili nel prodotto finale: questa è una delle magie del Cinema, che è somma arte della finzione camuffata da eccelsa verità. Come quando, dopo aver lasciato le stanze e i giardini di Villa Filicaia, si ricordarono di non aver girato una scena.
Ora bisogna sapere che una “troupe” anche minima sposta chili e chili di materiali tecnologici e poi Villa Filicaia era anche una struttura “speciale” alla quale non era facile accedere. Occorrevano permessi precisi e circostanziati. Villa Filicaia si trovava (ora è ancora là, tuttavia cadente ed abbandonata, e la Regione Toscana intende vendrela) alle pendici dello Spazzavento, una collina alla cui sommità c’ è il Mausoleo di Malaparte ed era allora utilizzata come Presidio geriatrico per pazienti non autosufficienti con gravi deficit mentali, demenza senile non associata a gravi problematiche.
Era stata scelta sia per la bellezza degli spazi interni con soffitti affrescati con scene mitologiche, grottesche e decorazioni tipicamente rinascimentali, che servirono per i titoli di testa sia per la presenza, che si avverte poi nel sonoro, dei pazienti: furono utilizzati essenzialmente gli spazi a disposizione del pubblico esterno ed anche gli operatori sanitari collaborarono ad aiutare Andrea e la troupe, prestando sia i costumi (camici da lavoro) necessari nelle scene sia se stessi, interpretandosi.

fine seconda parte – continua…

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