IL RITORNO DI JACQUES TATI – quarta parte

Tati

IL RITORNO DI JACQUES TATI – quarta parte

“Les vacances” come “Jour de fete” fu girato in esterni reali e non è fornito di un’abituale struttura narrativa; insomma non si può parlare di un film con una trama vera e propria: solo una serie di sequenze che mostrano alcuni episodi consueti che interessano un gruppo di semplici e normali turisti nelle loro vacanze dall’inizio alla fine. Di certo Federico Fellini lo vide e se ne ispirò per molti dei suoi film (per comprendere quel che scrivo occorrerebbe vedere il film di Tati). Il successo delle “Vacanze” ed i numerosi consensi della critica, l’afflusso imponente del pubblico consentirono a Tati una sempre maggiore libertà nella realizzazione del film successivo, “Mon oncle” (1958).
Questo lavoro impegnò Tati per ben due anni, e ciò viene confermato da una sua affermazione. “Dicono: – Tati impiega più di due anni a fare un film – Vi assicuro, tuttavia, che non perdo il mio tempo. Lavoro ogni giorno, ogni giorno, ogni giorno. Potrei anche andare in fretta, come i nuovi autobus: allora ci metterei tre settimane. E neanche in tre mesi…Ma quando si è scelto il mestiere del cinema, che è appassionante, occorre riconoscerlo, bisogna farlo come lo faccio io, o rinunciarci…Non si può, in trentasette giorni, raccontare una storia molto importante…”. “Mon oncle” si addentra nella contraddizione, assai più viva in verità in quegli anni del “boom” economico, della industrializzazione e dell’avvento tecnologico moderno nelle abitazioni private e nelle sedi pubbliche, verso cui guardavano fiduciose tante casalinghe e tanti mariti speranzosi di poter evitare le settimanali “corvées” più o meno prevedibili ed imposte da contratti “privati”.
E’ un argomento, questo, certamente originale e diverso da tutti gli altri analizzati da Tati nei suoi precedenti film: lo zio della vicenda è quello di Gèrard Arpel, nove anni, ed è sempre Mister Hulot. La sua occupazione è limitata (ed è di un interesse e di una condivisione per noi considerevole) a vivere la vita, guardando la gente, scrutando la vita quotidiana ed il suo evolversi e facendo appassionare a questa osservazione il nipotino nelle loro passeggiate al ritorno da scuola: un film indiscutibilmente “di formazione”. Hulot è del tutto negato per intrattenere un qualsivoglia rapporto “amichevole” (o di semplice e pacifica convivenza) con le macchine, ma mentre lui non si lascia assolutamente coinvolgere – ma ne è inevitabilmente coinvolto – in un confronto con le macchine, gli altri, che se ne servono abitualmente, ne escono fortemente turbati se non proprio sconfitti. Dice però giustamente Roberto Nepoti nella biografia di Tati pubblicata nella collana “Il Castoro Cinema” n. 58, La Nuova Italia, pag. 51: “Il film non si risolve tuttavia nell’inno al passatismo. Indica piuttosto Hulot, liaison fisica tra ipertecnologico e desueto, come “terza forza” capace di umanizzare il progresso, in nome della rivolta contro il condizionamento che esso comporta”.
Anche questo film ottenne numerosi premi: a Cannes, New York, Parigi e, ciliegina sulla torta, l’Oscar nel 1958.

fine parte 4 – continua

mon oncle

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