…e così, di fretta e furia traslocammo, anche in quell’occasione utilizzando mezzi di fortuna, ovvero furgoni delle ditte con cui mio padre lavorava. I mobili erano tutti frutto della lavorazione di nonno Giuseppe (Mastu Peppe), abilissimo carpentiere, artigiano sopraffino anche di oggetti di uso comune come guantiere, soprammobili, statuine e costruzioni presepiali, miniature navali e quant’altro. Di faggio erano tavolini, sedie, credenze, la struttura del letto, armadi e comò, così come i comodini all’interno dei quali mi nascondevo per scomparire da piccino ed indurre alla disperazione non so se teatrale o reale mia madre. Un legno leggero e non difficile da trasportare: la nuova abitazione non ancora del tutto completata era a poco meno di quattrocento metri di distanza da quella che veniva lasciata.
Mio padre l’aveva già identificata nel suo positivo e concreto “orgoglio” di buon e onesto lavoratore (che fosse “tale” lo hanno detto e ridetto centinaia di volte quando era vivo ed anche dopo: dopo è abbastanza normale, ma è importante che glielo riconoscessero già in vita: da capocantiere non si tirava mai indietro a dare una “mano” ai suoi compagni di lavoro) come “villino” ed aveva contrassegnata l’intera struttura con un simbolo che identificava il nostro cognome, una mezza luna! Il progetto prevedeva già un primo piano ma a quel tempo era soltanto in costruzione e non c’era ancora il solaio di copertura, mentre erano più o meno già definiti i due quartinelli al piano terra, uno sulla destra più ampio, l’altro alla sinistra di chi guarda entrando leggermente più piccolo e pronto per essere affittato. Sono sempre stato curioso della vita ed i cambiamenti non mi hanno mai fatto soffrire, per cui la nuova casa dotata anche di un piccolissimo giardino ci permise di avere anche un piccolo gattino con il quale giocare ed al quale dedicare attenzioni poetiche.
L’abitazione era non solo autonoma ma anche ben più spaziosa; di fronte poco più a sinistra osservando dall’interno verso l’esterno abitava un operaio edile subordinato a mio padre con la sua famiglia ed io feci amicizia con i due ragazzi cosicchè di tanto in tanto ci si scambiava visite nei giorni invernali o a volte specie nelle belle giornate di primavera si giocava sulla strada che, allora, non era così intasata da veicoli e ci consentiva di praticare anche piccoli giochi di squadra con altri ragazzi. C’erano anche delle ragazzine verso una delle quali ebbi temporaneamente un’infatuazione che non decollò mai verso un amore non ottenendo risposte concrete; anche se ho qualche ragionevole dubbio nel non aver mai, io stesso, espresso con chiarezza il mio pensiero. A quel tempo, con il senno “cinematografico” del poi, dovevo molto somigliare al piccolo buffo Woody Allen di “Prendi i soldi e scappa” o di “Radio Days”. La nuova abitazione era dotata anche di nuovi comfort come la cucina a gas e presto mio padre acquistò prima il frigorifero e poi l’apparecchio televisivo. Di inverno poi con le giornate umide, più che essere fredde, utilizzavamo le stufette elettriche al posto dei bracieri che, nel riciclo consueto delle carbonelle della cucina, eravamo abituati ad utilizzare in via Campana. Lì, alle spalle delle Palazzine, dove abitavano i miei nonni paterni, eravamo in via Girone 29.
– CASE 5 fine….continua