CASE – 6

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CASE – 6

Un’altra abitazione da me frequentata è stata quella dei miei nonni paterni. Era in uno dei sei blocchi di case popolari costruite nell’immediato dopoguerra; erano case solide composte da ampi sottoscala adibiti a cantine e ripostigli (mio nonno aveva – anche se nel palazzo di fronte – un suo “atelier” del legno nel quale produceva, come già scritto, molti utili oggetti) e tre piani oltre a quello rialzato che sostituiva il pianterreno. Erano appartamenti ampi, di gran lunga migliori rispetto al “quartinello” di via Campana, ed erano pieni di luce: dall’ingresso partiva un corridoio che portava prima alla cucina poi al bagno ed introduceva nella sala da pranzo, grande e spaziosa con un balcone che affacciava sulla strada interna e di fronte ad un altro blocco e dal quale si intravedeva il Golfo di Pozzuoli. Dalla “sala” si accedeva alla camera da letto. La cucina era calda e riscaldata dal focolare sempre acceso per produrre caffè a profusione: era il luogo delle “favole” che la nonna mi raccontava, quelle che a lei aveva raccontato la sua nonna; e me le ripeteva ogni volta che ci si vedeva. Mio nonno era chiaramente “iracondo”; non ricordo i motivi ma lo ricordo così: “incazzoso”! perennemente così. Ma trovava la sua serenità ascoltando la radio ed il suo prezioso grammofono con i dischi in vinile a 78 giri e le sue “opere” liriche. Amava ascoltarle e mi esortava a tenergli compagnia, cosicchè alcune volte lo accompagnavo in piazza, la Piazza della Repubblica, dove, in uno spazio non più utilizzato a quello scopo oggi, si esibivano le “bande” musicali locali. Non mi è dispiaciuto seguirlo e lo ricordo in modo positivo anche per questa sua passione. Quelle abitazioni non ci sono più. Sono state abbattute benché non fossero lesionate dopo il bradisismo degli anni Settanta: è un altro esempio della insensibilità del “potere”, quello politico e quello economico e del combinato disposto di entrambi. In quei luoghi è avvenuta la “diaspora” della gente flegrea; in quei luoghi sono cresciute generazioni di puteolani che hanno costruito relazioni e storie, dissidi ed amori, amicizie e odi; alcuni vi sono nati, cresciuti, sono partiti e ritornati, sono morti: ma di loro ora non resta più nulla e, soprattutto, nulla rimane che possa servire a ricordare quei luoghi là dove questi risiedevano. Le loro “case” non esistono più.

CASE – 6 ….CONTINUA

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CASE – 5

Anfiteatro-Pozzuoli
CASE – 5

…e così, di fretta e furia traslocammo, anche in quell’occasione utilizzando mezzi di fortuna, ovvero furgoni delle ditte con cui mio padre lavorava. I mobili erano tutti frutto della lavorazione di nonno Giuseppe (Mastu Peppe), abilissimo carpentiere, artigiano sopraffino anche di oggetti di uso comune come guantiere, soprammobili, statuine e costruzioni presepiali, miniature navali e quant’altro. Di faggio erano tavolini, sedie, credenze, la struttura del letto, armadi e comò, così come i comodini all’interno dei quali mi nascondevo per scomparire da piccino ed indurre alla disperazione non so se teatrale o reale mia madre. Un legno leggero e non difficile da trasportare: la nuova abitazione non ancora del tutto completata era a poco meno di quattrocento metri di distanza da quella che veniva lasciata.

Mio padre l’aveva già identificata nel suo positivo e concreto “orgoglio” di buon e onesto lavoratore (che fosse “tale” lo hanno detto e ridetto centinaia di volte quando era vivo ed anche dopo: dopo è abbastanza normale, ma è importante che glielo riconoscessero già in vita: da capocantiere non si tirava mai indietro a dare una “mano” ai suoi compagni di lavoro) come “villino” ed aveva contrassegnata l’intera struttura con un simbolo che identificava il nostro cognome, una mezza luna! Il progetto prevedeva già un primo piano ma a quel tempo era soltanto in costruzione e non c’era ancora il solaio di copertura, mentre erano più o meno già definiti i due quartinelli al piano terra, uno sulla destra più ampio, l’altro alla sinistra di chi guarda entrando leggermente più piccolo e pronto per essere affittato. Sono sempre stato curioso della vita ed i cambiamenti non mi hanno mai fatto soffrire, per cui la nuova casa dotata anche di un piccolissimo giardino ci permise di avere anche un piccolo gattino con il quale giocare ed al quale dedicare attenzioni poetiche.
L’abitazione era non solo autonoma ma anche ben più spaziosa; di fronte poco più a sinistra osservando dall’interno verso l’esterno abitava un operaio edile subordinato a mio padre con la sua famiglia ed io feci amicizia con i due ragazzi cosicchè di tanto in tanto ci si scambiava visite nei giorni invernali o a volte specie nelle belle giornate di primavera si giocava sulla strada che, allora, non era così intasata da veicoli e ci consentiva di praticare anche piccoli giochi di squadra con altri ragazzi. C’erano anche delle ragazzine verso una delle quali ebbi temporaneamente un’infatuazione che non decollò mai verso un amore non ottenendo risposte concrete; anche se ho qualche ragionevole dubbio nel non aver mai, io stesso, espresso con chiarezza il mio pensiero. A quel tempo, con il senno “cinematografico” del poi, dovevo molto somigliare al piccolo buffo Woody Allen di “Prendi i soldi e scappa” o di “Radio Days”. La nuova abitazione era dotata anche di nuovi comfort come la cucina a gas e presto mio padre acquistò prima il frigorifero e poi l’apparecchio televisivo. Di inverno poi con le giornate umide, più che essere fredde, utilizzavamo le stufette elettriche al posto dei bracieri che, nel riciclo consueto delle carbonelle della cucina, eravamo abituati ad utilizzare in via Campana. Lì, alle spalle delle Palazzine, dove abitavano i miei nonni paterni, eravamo in via Girone 29.

– CASE 5 fine….continua

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reloaded CASE – 4 del 12 ottobre 2015

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CASE – 4
Quell’autunno del 1955 fu molto piovoso. Mio padre, che lavorava da anni costruendo case per altri (in verità aveva anche costruito la Funicolare che collega il paesino di Mercogliano al Santuario di Monte Vergine), aveva impegnato il suo tempo libero per tirar su una casa tutta per noi. Non era proprio pronta, quell’inverno del ’55. Aveva comprato un pezzo di terra quasi a ridosso della Ferrovia Metropolitana ed alle spalle dell’Anfiteatro Flavio: vi si accedeva percorrendo un’erta salita a quel tempo ancora in terra battuta e scollinando davanti ad un manufatto archeologico di “opus reticulatum” che emergeva lasciando immaginare antiche costruzioni quasi certamente ad uso dei protagonisti dei giochi gladiatori e altre attività per l’intrattenimento degli antichi abitatori di quei territori. Sopra quelle solide vestigia si ergeva già allora una palazzina alla cui base c’era una “stalla” con mucche che fornivano latte fresco; se ne occupava Peppino, che ancor oggi quando ritorno in quei luoghi mi riconosce festosamente e rievoca gli anni della mia infanzia. Ricordo che da quella stalla buia promanava un odore intenso di stallatico ritenuto allora buono e terapeutico per malattie respiratorie ma cattivo per noi che – sani e forti – eravamo costretti a passarci accanto almeno un paio di volte alla giornata. Mio padre aveva fatto preparare un progetto molto preciso nei dettagli da un ingegnere con cui aveva lavorato in quegli ultimi anni. Era un “villino”: la piccola palazzina che mio padre andava costruendo non era proprio pronta in quell’autunno. Per poterla tirar su aveva coinvolto parenti ed amici, pagandoli regolarmente nei giorni liberi dal lavoro (anche allora l’edilizia conosceva “tempi morti”: il lavoro a cottimo faceva guadagnare bene ma non era costante), soprattutto in quelli festivi. Il progetto prevedeva anche un primo piano ma non era pronto del tutto nemmeno il pianterreno fronte strada. La quale “strada” era un pochino ristretta dalle altre costruzioni che in quello stesso periodo altri come mio padre stavano tirando su di fronte.
Intanto l’autunno piovoso ed umido aveva acuito alcuni difetti strutturali della “casa” di via Campana. Mio padre più volte aveva chiesto alla “padrona di casa” di intervenire per riparare alcune parti del tetto dal quale alla minima pioggerellina primaverile o estiva venivano giù alcune gocce. La proprietaria aveva nicchiato e non aveva neanche accolto l’ipotesi che mio padre aveva avanzato di poter utilizzare manodopera a basso costo, e cioè qualche suo collaboratore tra quelli più fedeli. E così fu che, con le piogge copiose di quell’autunno la vita in quella “casa” divenne difficoltosa ed impossibile. Le uniche soluzioni affollarono, in modo provvisorio ma invasivo, le varie stanze di recipienti ma l’umido si diffondeva ed il freddo incipiente non era facile da sopportare in una casa che a quel tempo di norma era priva di un impianto di riscaldamento: a quel tempo si utilizzavano ancora bracieri con carbonella che regolarmente si andava a comprare dal carbonaio, uno dei quali era proprio a cento metri sulla Piazza dell’Annunziata.

Case 4 …. continua

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E, di nuovo, dico che LA CULTURA – solo essa – CI SALVERA’

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E, di nuovo, dico che LA CULTURA – solo essa – CI SALVERA’
Sì, certo. Contrappongo alla Cultura la politica, non quella collegabile ad una gestione dei beni comuni tesa all’ottenimento di obiettivi positivi ma quella che privilegia personalissimi interessi individuali e quelli di lobbies e gruppi di Potere visibili ed invisibili all’interno della complessa melassa finanziaria internazionale.
Quella politica aborre la Cultura, se ne serve però finchè contribuisce a far crescere il consenso e poi la allontana da sé quando i suoi sacerdoti, gli intellettuali, fanno il loro mestiere in autonomia.
Ho conosciuto la Politica, dopo aver praticato essenzialmente la Cultura, senza però mai lasciarla ma utilizzandola all’interno della pratica politica come strumento indispensabile: i miei interventi pubblici e quelli in Consiglio comunale, i miei progetti in Circoscrizione, la mia attività nel PD prima durante e dopo la sua costituzione hanno avuto come elemento fondamentale di riferimento costante la pratica della Cultura e del Pensiero, aggiungerei “libera/libero” se questo però non inducesse in errore di valutazione, facendo di me una figura di tipo anarchico. Non mi sento tale, avendo sempre inserito nei miei progetti la massima condivisione, quell’”insieme” che è una delle basi che pongo e propongo a chi incontro per lavorare.
Oggi, e da alcuni mesi, rifuggo dalla Politica praticata da personale inadeguato culturalmente ed umanamente, professionalmente sospinto, più che da un desiderio di essere “al servizio”, dalla volontà di corrispondere ad ambizioni personali non sempre oneste; perché “quantunque” fossero oneste ciò non basterebbe a superare quel “gap” qualitativo che emerge dappertutto nelle generazioni nuove e in quelle “rinnovate ad arte” sedicenti “rivoluzionarie copernicane”, alle quali invece manca proprio il “quid” necessario a farsi accreditare come tali.
E’ un quadro abbastanza desolante, molto diffuso; anche se qualche eccezione non manca, riusciamo ad intravederla e ci viene da dire con quella che è un augurio di speranza disperata “se son rose fioriranno” ricordando però di fare attenzione sempre alle “spine”!

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LA SINISTRA VERSO SAN PAOLO – cosa penso!

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LA SINISTRA VERSO SAN PAOLO – cosa penso!

Più di qualcuno, a me sembra, si interroga su quali siano i pensieri che mi frullano per la testa in relazione a quanto da me sarà espresso nel corso della riunione della SINISTRA giovedì prossimo al Circolo San Paolo di via Cilea.
Anche in occasione di un precedente incontro (un paio d’anni fa, se la memoria non mi condiziona negativamente) il mio fu un “silenzio” critico. Ebbi però modo di esprimere le mie perplessità di fronte ad un comportamento attendista ed ambiguo di una parte che mi appare (ma sarei assai felice di una smentita in tal senso) ancor oggi predominare in quel variegato “rassemblement” che è la “cosidicasi” SINISTRA.
Ed è così che si perde del tempo prezioso. Comprendetemi, sono anche un “costruttore” di parole scritte, mi dilungo in questa attività utilizzando questo Blog o scrivendo su social come Facebook. Ma – come tante/i altre/i non ho molto più tempo per dedicarmici avendo di fronte prospettive di anni: i miei futuri sono mesi e giorni, giorni e mesi, non anni o decenni, ed è una profezia lapalissiana, incontrovertibile.
Non ho più il tempo di giocare e non è neanche più il tempo di traccheggiare con le tattiche: occorrono scelte strategiche chiare e nette. Poche parole ma che vadano al cuore dei veri problemi del Paese ed enucleino i principali obiettivi da raggiungere, proponendone i percorsi.
Se l’impegno della SINISTRA si sostanziasse nella ricerca di una possibile alleanza con quello che fu il Partito principale della Sinistra, considererei “inutile” il mio “impegno”. Sono invece convinto che il popolo italiano abbia bisogno di avere un interlocutore credibile della SINISTRA, che potrebbe essere FORTE se caratterizzato da PROPOSTE concrete e non pasticciate da compromessi atti ad ottenere solo vantaggi poco più che personali. Personalmente non avrei bisogno di utilizzare tali “scenari”, non avrei certamente bisogno di avvalermi di nuovi “accordi” esterni, visto che da parte del Partito Democratico di San Paolo le porte sono state sempre aperte e l’attuale Coordinatore ha sempre voluto – e di questo lo ringrazio profondamente – conoscere i miei pareri.
Dunque, come è ben chiaro, anche se le “parole” sono già troppe, per me esiste una profonda e netta “pregiudiziale”: se si profilasse anche solo nel sentore una strada che va verso un accordo con quella parte della politica “nostrana” dalla quale sono uscito, non rimarrei un solo attimo a discutere del futuro immediato di questo raggruppamento, considerando tale impegno una vera e propria perdita di tempo.
Se la SINISTRA conta poco è proprio per questo motivo: alcuni dei suoi adepti si lasciano attrarre dalla “sirena” del Potere, molto spesso quello piccolo piccolo locale. In questo modo si tradisce la buona fede di tante/i tra coloro che partecipano all’elaborazione di progettualità democratiche e progressiste.
La SINISTRA nel corso degli anni molto spesso ha tradito le attese concrete di tanta parte del popolo italiano. Ci si corrompe di fronte al Potere (lo ripeto, soprattutto quello piccolo piccolo del sottopotere locale) e si spinge l’elettorato a scegliere forme di populismo che si avvalgono di parole d’ordine ambivalenti.
Le piattaforme sono utili e necessarie e personalmente intendo partecipare alla loro costruzione; ma le trovo “inutili” e dannose se afferenti a progettualità ambigue riguardo ai loro esiti.

GIF con coniglio Alice