venerdì 7 aprile ore 21.00 allo Spazio Aut di via Filippino 24 in PRATO presentazione del libro di Michele Gesualdi “DON LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana ” con Sandra Gesualdi e Maria Laura Cheli

venerdì 7 aprile ore 21.00 allo Spazio Aut di via Filippino 24 in PRATO presentazione del libro di Michele Gesualdi “DON LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana ” con Sandra Gesualdi e Maria Laura Cheli

Nell’ambito di ANNIVERSARI 2017 presenteremo il libro di Michele Gesualdi – questo post è un invito a partecipare

don-Milani

don Milani ci aiuta a capire il mondo contemporaneo.

Non si può certo dire che non se ne abbia bisogno. Personalmente ma insieme a molte amiche ed amici, sto da alcuni anni ripercorrendo le strade di molti dei nostri maestri. Lo faccio insieme a loro costantemente e – parlo soprattutto per me – senza mai la volontà di padroneggiare le loro vicende, accostandole alle mie. Ho la consapevolezza della mia piccolezza di fronte a loro, ma – devo essere sincero – di questo mi faccio forza e costantemente imparo, acquisisco cose nuove, cerco con sempre maggiore difficoltà data l’età di elaborarle.
Il bisogno di affidare il nostro futuro a questi maestri è ancora più urgente in un periodo di profonda crisi morale ed intellettuale ed è questo uno dei motivi per i quali di tanto in tanto recuperiamo “memorie”, lo facciamo per gli eventi drammatici e festosi, come la Resistenza e la Liberazione, come la Shoah e le Foibe, come la Costituzione ed i Trattati di Roma, lo facciamo anche “approfittando degli ANNIVERSARI” ricordando figure come Pier Paolo Pasolini e poi quest’anno, significativamente una linea rossa (chissà perché poi “rossa” traducendo “fil rouge”) tra Gramsci, don Milani e Danilo Dolci. Gli ultimi due si sono mossi nello stesso periodo degli anni Cinquanta e Sessanta elaborando ciascuno nella sua diversa realtà metodi educativi rivoluzionari: don Lorenzo però chiude la sua vita terrena il 26 giugno del 1967 mentre la parabola di Danilo Dolci proseguirà per oltre trent’anni fino al dicembre 1997. Quanto a Gramsci, la stima che aveva nei suoi confronti don Lorenzo era molto alta e le “Lettere dal carcere” facevano parte della Biblioteca di Barbiana accanto a testi classici.
Per affrontare questi temi abbiamo deciso di allungare lo sguardo sul passato, accumulare valori nel presente per poterli utilizzare nel futuro piccolo nostro e grandissimo per quelli che verranno. Per poterlo fare abbiamo bisogno sia dei personaggi e degli eventi sia dei loro testimoni diretti ed indiretti. Vogliamo essere utilizzatori utilizzabili ed utilizzati all’interno di quell’interscambio funzionale che è alla base della pedagogia. Insegno ma imparo ed imparo insegnando, ponendomi in discussione, una perenne crisi, nell’insegnamento. Punti di partenza e punti di arrivo contemporanei.

Gesualdi libro

Barbiana e Gesualdi 001

Barbiana 001

reloaded in attesa della quarta parteI CONTI NON TORNANO – un racconto morale 1, 2 e 3

I CONTI NON TORNANO – un racconto morale

– prima parte –

“Professore, al cambio d’ora passi in Presidenza” la bidella del piano aveva risposto al trillo imperioso del telefono interno nel corridoio ed anche gli allievi, che stavano concentrandosi nella prova di italiano in quella fine del trimestre, avevano sentito parte del breve dialogo che, subito dopo essersi interrotto, era stato riportato: la bidella aveva bussato con insolita circospezione ed aveva informato il professor De Marco. “No, avvertite la Preside che scenderò solo al termine della prova: non posso lasciare soli i ragazzi!”.

La bidella ritornò al telefono ma la risposta fu, a tutta evidenza, negativa.
“La Preside dice che manderà un sostituto a sorvegliare la regolarità della prova e le chiede di scendere subito dopo”.

Dal terzo piano Giorgio non appena arrivò a sostituirlo una giovane collega – ma tutto avvenne con insolita rapidità – scese giù verso la stanza della Presidenza, davanti alla quale già sostavano altri due colleghi, la professoressa Bencolti ed il professor Merletti, ai quali scoprì subito era stato detto di attenderlo prima di entrare…

Non era strano vederli insieme; erano tutti e tre politicamente impegnati nell’amministrazione comunale con vari e diversi incarichi istituzionali e più di una volta la Preside li aveva interpellati insieme, ma in quell’occasione la situazione che si prospettò rapidamente fu molto diversa: era il Provveditore agli Studi che li voleva con urgenza ed aveva autorizzato la Preside ad esentarli dalle lezioni e sostituirli per il resto della giornata.

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“Ci vediamo in Piazza San Francesco, davanti all’edicola”

Ognuno di loro aveva il pass per accedere al centro ed il contrassegno consentiva di trovare più facilmente un parcheggio: ciascuno poi pensava, vista l’ora e gli impegni di lavoro modulari, di poter tornare direttamente a casa…
Si ritrovarono nel luogo convenuto a pochi passi dalla sede del Provveditorato.

Vi salirono e si presentarono alla Segretaria che intanto li fece accomodare: “Il Provveditore è impegnato a telefono con il Ministero, gli ho appena passato la linea: quando la ritorna libera lo avverto”. E continuò a lavorare per proprio conto.

Era da poco passato il tocco e tutti avevano avvertito la propria famiglia già prima di uscire da scuola che non sapevano a che ora sarebbero tornati.

E s’era fatto un quarto alle due: il Provveditore aveva smesso la sua conversazione e la segretaria li aveva annunciati. Con un grande sorriso li salutò chiamandoli come di dovere in modo formale istituzionale e stringendo loro vigorosamente le mani.

“Accomodatevi”.
De Marco aggiunse una sedia alle altre due di fronte all’ampia scrivania ricolma di scartoffie e di ninnoli vari.

I volti in un momento di silenzio interrogavano il sorriso dell’uomo di fronte a loro, un sorriso soddisfatto ma per tutti amletico. Pochi secondi, neanche un minuto di silenzio interrotto poi da un proclama apparentemente senza appello.
Manzoni docet.

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“Mettiamolo ai voti!”

Giorgio aveva presentato alla Commissione Scuola del Partito un Documento chiaro e preciso nel quale si prendevano in esame le richieste di allievi, docenti e genitori dell’Istituto in cui insegnava da più di dieci anni e la cui sede rischiava di essere spostata dalla parte della città opposta a quella in cui si trovava per scelte che erano considerate inopportune sia dal punto di vista storico che da quello più utilitaristico, che appariva prioritario nelle motivazioni.

Lo chiamavano “dimensionamento” ed era stato collegato alla necessità di risparmiare oneri di affitto per strutture ad uso scolastico che appartenevano a privati, privilegiando al meglio quelle che erano di proprietà pubbliche.

L’Istituto di Giorgio, il “Dagomari”, era ad un passo dalla Stazione Centrale e dal capolinea dei trasporti automobilistici.

“Dai calcoli fatti da esperti la proposta avanzata dalla Provincia è fuori scala; il “Dagomari” non entra nella sede del “Gramsci” ed il “Copernico”, se non si ridimensiona, cioè non autoriduce il numero dei suoi studenti, non entra nella sede del “Dagomari”: insomma quella che si sta svolgendo è una vera e propria “partita di scacchi” sulla testa dei cittadini; non si può valutare una scuola solo sulla base dei numeri, e del numero degli allievi. In aggiunta, le proiezioni sulla decrescita della popolazione scolastica dei prossimi anni sono del tutto inventate e dunque aleatorie.”
Giorgio aveva così sintetizzato ai presenti della riunione il suo pensiero che più analiticamente aveva sviluppato nel Documento.

– fine parte 3 –

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L’OSSERVATORE – parte (quasi) finale

L’OSSERVATORE – parte (quasi) finale

C’è ancora un’ora di viaggio. Il bambino è il migliore tra noi; manipola in modo automatico gli ingranaggi del suo passeggino e osserva le reazioni nostre alla sua esplorazione. Gli sorrido mentre il mio dirimpettaio sonnecchia e la signora madre, che intanto si intrattiene telefonicamente in una conversazione turbinosa di reciproche incomprensioni con il suo, perlomeno così sembra, compagno, assesta un nuovo paio di ceffoni amorosi ed “educativi”, con l’aggiunta condivisibile di “non si toccano quelle cose, sono sporche”, all’inerme bambino, che si spera non assorba tali metodi in modo acritico. Io spero di sì, continuo a farlo; è lui il più riflessivo tra noi: a parte me, s’intende!
Sospesa la telefonata, in assenza degli interlocutori privilegiati di prima, che intanto si sono precocemente allontanati, armi e bagagli per prepararsi a scendere ad Aversa, che è ancora lontana, la giovane madre mi lancia uno sguardo indagatore di un’eloquenza banale, prima di esprimere la profondità del suo pensiero: “E voi dove scendete?”. Rivelo il mio punto di approdo e “Anch’io” mi risponde “e di cosa vi occupate?”. Intrigante indagatrice, rivelo quella che è la mia principale attività, che ammetterebbe repliche solo di fronte a persone intelligenti: “L’Osservatore; ho fatto e faccio l’Osservatore; anche ora che sono in pensione”.
Il signore davanti a me apre gli occhi, avendo evidentemente le orecchie già ben sintonizzate e “E che facevate di preciso? Non ho mai sentito parlare di questo mestiere. Scusate se mi intrometto!”
“E sì, nella vita ci sono tante attività manuali, tante professioni. La mia è quella di sorvegliare lo scorrere della vita. Guardo, ascolto, prendo appunti e rifletto. Lo facevano alcuni, pochi in verità, sin dall’antichità: li hanno chiamati filosofi, sono stati invidiati e calunniati, qualcuno è stato anche processato e messo a morte”.
Sorprendentemente il mio dirimpettaio mi seguiva con curiosità, molto meno la giovane mamma che annaspava nella sua attività pedagogica discutibile.
Ed io, dando il via alla mia di curiosità “Lei di cosa si occupa?”.
“Lavoro in un magazzino di prodotti alimentari all’ingrosso, mi occupo dello stoccaggio e dell’inventario…avrei avuto anche oggi da lavorare, perché, come capirà, non ne manca mai, ma devo andare a casa perché mia madre non sta proprio bene”.
Non proseguo la mia indagine nel rispetto della dignità dell’uomo. Credo abbia già detto molto; la signora non so se ha compreso la mia metafora. Credo di no. Ma la sua curiosità malata rivela la sua scarsa sensibilità: “E che tiene vostra madre?…” Una persona sua pari avrebbe di certo proferito qualcosa di simile a “Signo’, ma pecchè nun ve facite ‘e cazze vostri?”.
Lui invece non battè ciglio e proseguì la conversazione: “E’ un bel lavoro il vostro!”.
Ed io gli rivelo che è così che ho incontrato persone sorprendentemente naturalmente stupende. Non aggiungo “come lei” anche se lo penso per non metterlo in imbarazzo ed anche perché non voglio apparire come un inutile ipocrita adulatore.

fine ? -non si sa!

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L’OSSERVATORE – un reloaded con un nuovo titolo e variazioni

L’OSSERVATORE – un reloaded con un nuovo titolo e variazioni

Sono stato “assente” per circa dieci giorni dal mio Blog – ora ci ritorno.
L’ultima volta tornavo a casa e inserivo annotazioni libere sul mio “viaggio”.
Molti lo sanno: utilizzo volentieri il treno, ed ancor più quelli lenti: no, non prendo nè l’accelerato (non esiste peraltro più) nè il Regionale o Interregionale. Prendo però l’Intercity, preferendolo all’Alta Velocità. Ho modo di godere di maggiori interscambi avendo a disposizione più stazioni di fermata.
A Prato il mio treno arriva quasi in orario ( cinque minuti di ritardo non sono poi tanti ) e nel mio scompartimento che è nell’ultima carrozza i posti sono già tutti occupati, tranne uno che però non è il mio, su quello a me assegnato c’è posizionata una giovane donna abbastanza in carne, intenta a nutrirsi con un voluminoso pacco di patatine, tipo quelle che consuma Buffon nella pubblicità.
Le segnalo che quel posto, peraltro l’unico comodo per potervi appoggiare agenda e matita, è il mio (lo avevo scelto prenotando il viaggio proprio nella consapevolezza di doverlo utilizzare per le mie attività) ma lei prima di spostarsi nell’unico posto vuoto di fronte a me ma in posizione centrale senza alcun segno d’intelligenza con un’alzata di spalle: “Fa lo stesso!” mi dice, continuando imperterrita a trangugiare sfoglie di patatine con tale gran gusto, da poter fare concorrenza al “portierone”.
“Sono pienamente d’accordo” penso tra me “per mangiar patatine non hai di certo bisogno di quel posto!”. Sistemo le valigie e poi lo zaino dal quale tolgo gli strumenti che mi accompagneranno nel viaggio.
Di solito cerco di colloquiare ma stavolta non ne ho molta voglia: intendo ascoltare e lo faccio con giudizio. La varietà degli uomini e delle donne che mi accompagnano è insolita. Di fronte ho un giovane, intuisco che si tratta di uno straniero dal fatto che appare come un asino in mezzo ai suoni, disorientato. Accanto a me un giovane, apparentemente un trentenne, dall’aria baldanzosa e sicura di sè; più in là verso l’uscita di questo scompartimento di seconda classe, una donna, una cinquantenne popolana. Di fronte a lei una giovane ragazza con un bambino sulle ginocchia, tranquillo e curioso, che presto riesco a considerare come il più maturo di tutti, rapportato alla sua età di due, due anni e mezzo. Sguardo intelligente e indagatore.
Li osservo ed ascolto: vengono tutti dal Nord e vanno verso il Sud, tornando a casa; tranne lo straniero che tuttavia scende ad Arezzo, sostituito da una giovanissima ragazza, piacevole per l’aspetto e per la cura di se stessa. Non posso di certo dire che non mi faccia piacere sedere proprio di fronte a lei: assumo questa evenienza come un segno che il viaggio potrà essere anche gradevole, con un pizzico di raffinatezza del tutto inattesa ed insperata fino a poco prima…..
Cerco di capire se questa fortuna sarà anche accompagnata da sguardi o parole; ma la signorina si trincera dietro occhialoni scuri ed un auricolare e mi fa compagnia solo la sua avvenenza. Fino a quando, però, non si affaccia una signora che, richiamandola alla realtà effettuale le dice che, se vuole, potrà stare con loro in un altro scompartimento dove un signore si è dichiarato disponibile a scambiare il posto. Fine della bella compagnia: lo scambio non è alla pari, sia per sesso che per qualità della presenza. Mi si para davanti un omaccione grezzo e mal curato nell’aspetto che tuttavia rimane lì in silenzio e non partecipa al dibattito che nel frattempo ha rivelato che il giovane accanto a me è poco più che maggiorenne, non è andato al di là del biennio delle superiori, superando soltanto l’obbligo ma null’altro che quello, e non ha una gran voglia di lavorare, anche se non gli manca quella di divertirsi. E’ uno di quei prototipi del quale faresti volentieri a meno ma che ormai risulta essere molto diffuso nella moderna società. Ascolto rimanendo in silenzio i materni consigli delle madrine che lo fronteggiano mentre la madre è solo poco meno silenziosa di quanto lo sia io. Il dibattito è un tributo alla Maria De Filippi ed a quei deprimenti seguitissimi talk che conduce sulle reti berlusconiane, e sono estremamente felice di non parteciparvi. Ascolto e prendo appunti, mentre il bimbo cerca con evidenti difficoltà di addormentarsi tra le braccia della giovane madre. Hanno tutti della scuola un parere davvero poco lusinghiero; nessuno dei miei compagni di viaggio, credo anche quello da poco subentrato, ha avuto un rapporto costante con quella istituzione. A partire dalla ragazza in carne, quella delle patatine, che trasuda saggezza inutile e d’accatto, per andare alla giovane mamma che dispensa consigli pedagogici ricevuti da genitori antichi ma che sanno di stantio ed allo stesso ragazzotto che ripete pedisseque riflessioni senza senso pratico alcuno, così tanto per dire o per sentito dire.
Continuo a tacere, ad osservare e prendere appunti. Di tanto in tanto suonerie telefoniche fantasiose nonché disturbanti attivano dibattiti ai quali vorresti fare a meno di prendere parte (la voce alta dell’interlocutore lontano arriva distintamente ai nostri timpani stanchi) e dai quali rilevi una piena conferma della qualità dei tuoi compagni di viaggio “parlanti”.
Il bimbo in tutto questo bailamme si è addormentato sulle braccia della giovanissima mamma, dimostrando ulteriormente la sua tranquillità assoluta nel sopportare l’inutile chiacchiericcio delle donne: noi maschi adulti – io ed il signore di fronte a me – manteniamo la discrezione ed il silenzio, mentre le donne nel tempo libero dai loro impegni telefonici e gastronomici si impegnano a dispensare consigli di vita pratica al ragazzotto che mi sta accanto che da parte sua trasuda pragmatismo d’accatto a giustificazione della sua ignavia e della ignoranza educativa della madre; non conosciamo le altre figure maschili della famiglia ma quasi certamente sono inesistenti o marginali.
Passa un’ora così e il bambino si risveglia, reclamando attenzione e cibo; per il secondo non ci sono problemi per il primo però sì: nevrotica la madre assesta un paio di scapaccioni al figlio che la distrae dal compito civile che sta svolgendo, asserendo che è in quel modo che i bambini capiscono cosa devono fare, come debbano comportarsi. Non ho parole ma è evidente che la trasmissione educativa ricevuta sta avendo i suoi effetti: così facevano i suoi genitori (“mazze e panelle fanno ‘e figlie belle”). Ho fiducia nei giovanissimi, la speranza che il bimbo riesca ad essere diverso!
In queste “bazzecole, quisquilie e pinzillacchere” il tempo passa ed arrivati a Formia la ragazza formosa e la madre con figlio – entrambi rappresentanti dell’ignavia meridionale (non me ne vogliate, amiche, amici e compagni del Sud, ma al netto dei pregiudizi l’ignavia è una delle caratteristiche della nostra terra, altrimenti non sarebbe così disastrata: non continuate a prendervela con gli altri, osservatevi meglio ed agite) – cominciano tempestivamente a prepararsi per scendere ad Aversa; manca però una buona mezzora, mi verrebbe da dirlo ma non mi piace fare il saccente; d’altronde sono (dovrebbero essere) adulti e vaccinati. Vaccinati forse sì per obbligo, adulti non so.
E così escono dallo scompartimento, escono di scena.

continua….a breve l’ultima parte

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Al vostro servizio

RIFLESSIONI A MARGINE DI UNA DICHIARAZIONE DEL SINDACO PD (ORA EX PD) DI CALENZANO – ALESSIO BIAGIOLI

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RIFLESSIONI A MARGINE DI UNA DICHIARAZIONE DEL SINDACO PD (ORA EX PD) DI CALENZANO – ALESSIO BIAGIOLI

Molte volte la penna mi pesa, a volte poco a volte tanto. Oggi la mano è stanca ma la penna vola. Abbandono il dubbio che possa essere, la mia, una strumentalizzazione, anche e soprattutto perché ho già condiviso ampiamente pubblicamente ed anticipatamente le idee che esprime il Biagioli, Sindaco di Calenzano PD – ora ex PD – tranne che per una parte delle sue argomentazioni nella quale rilevo per ora una certa ambiguità (il voler considerare il PD come “potenziale alleato futuro” cui guardare: se è un auspicio mi trova concorde, se invece è una scelta ed una volontà dissento apertamente), almeno di non essere smentiti… ma non chiedo tanto merito, da un cambio di rotta, di verso, che considero tuttavia impossibile pratica, perdurante la leadership renziana.
Matteo Renzi è di certo, in questo periodo, insostituibile; ma la drammaticità del caso è acuita ulteriormente dal fatto che egli risulta profondamente inadeguato a condurre un Partito che abbia veri obiettivi di CentroSinistra e che per giunta si chiama Democratico; oltre tutto c’è da chiedersi se quelli da lui – e dai suoi – rappresentati come obiettivi di Sinistra possano essere considerati come tali.
Il renzismo non poteva di certo sopportare che ci fossero troppe menti libere e pensanti, più di quanto già era accaduto prima, e che aveva sollecitato a ricercare dal basso un rinnovamento dei metodi e delle pratiche, emarginando le vecchie “scorie” staliniste ed integraliste, che invece poi – con l’avvento del “nuovo” leader pseudo-rottamatore (altro “fake” cui più di qualcuno ha abboccato) – si sono riappropriate del potere modificandolo malignamente generando profonde metastasi mortali (il PD è “morto”!).
La “corte” di Renzi si è poi andata accrescendo di vecchie e giovani volpi (è la mia “risposta” ai “gufi”!) che hanno approfittato dell’occasione (si direbbero un po’ più “sciacalli” ma mente gufi e volpi sono carine, questi ultimi sono orribili), seguendo modalità di partecipazione completamente diverse ed antidemocratiche (gruppi ristretti-ssimi, conventicole, lobbies) fuori dai consessi statutariamente previsti, sostenendo che i tempi fossero cambiati (a dire il vero, lo sono da sempre, e sempre lo saranno ancora!) e che non vi era più spazio per le inutili discussioni ( avrebbero ragione se tutto ciò fosse davvero accaduto, solo che si è trattato semplicemente di una dislocazione dei luoghi ); e forse si deve per onestà aggiungere che se per dislocazione si trattasse del web, dovremmo riconoscere anche che non lo si può criminalizzare quando ad utilizzarlo sono i pentastellati: bene le newsletters del (proprio) Capo, male quelle di altri (capi)?
E quindi l’inutilità di essere iscritto ha prodotto una liquidità della partecipazione ed un calo vertiginoso di tessere, tranne che per procedere alla loro svendita a saldo alla scadenza anticipata del Congresso.
Ora, solo un nuovo ridimensionamento, una nuova “profezia” di sconfitte o una loro nuova serie dalle Amministrative alle Politiche potrà portare ad un cambiamento?
Sarà dunque necessario arrivare a tali sconquassi per poter continuare a sperare? Io, come Biagioli, non solo non parteciperò al Congresso, essendo da tempo (tre anni) non più iscritto, ma non accederò neanche ai tavoli dei “gazebo” non potendo per coerenza dichiararmi neanche “potenzialmente” elettore del Partito che si fregia impropriamente dell’aggettivo “DEMOCRATICO”.

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reloaded RITORNO A CASA – parte 1-4

reloaded RITORNO A CASA – parte 1-4

Il viaggio è stato molto tranquillo. I fiumi ai lati della strada quasi la lambivano, avevano già ampiamente colmato i campi destinati a casse di espansione. Il ricordo dell’alluvione del 1966 era molto vivo e presente dopo cinquanta anni e gli uomini in quei territori avevano in parte compreso come rimediare agli errori che allora avevano creato immensi disastri.
Continuava a piovere ma il viaggio proseguiva sereno. Si ritornava a casa dopo più di un anno, la casa e la terra dei nostri “padri”, anche se a dire il vero non ci si ricordava più dell’ultima volta, che per noi due non era però stata la stessa.
La pioggia nervosa ci accompagnava a tratti, ma non creava problemi al traffico. Si ritornava utilizzando una delle “buone finestre” delle terapie, segrete per tutti.

…….
Nell’approssimarsi della città il traffico divenne man mano più intenso, caotico, isterico e schizofrenico, il rischio di un crash – come sempre – era elevato. Non è una sorpresa per noi: e sono migliaia di persone che si sono abituate a questo “inferno”!
C’è chi si sposta da un lato all’altro senza segnalarlo e chi corre disegnando rotte zigzagate tra le vetture incurante dei rilevatori che forse non funzionano da queste parti e forse anche se funzionano chissenefrega!
E poi si esce dalla strada principale e si arriva dove la segnaletica è un optional quasi sempre ingannevole e trovi indicazioni che sono di difficile lettura per chi non è abituato o non è di quelle terre. Ti puoi trovare davanti ad un segnale orizzontale diverso da quello verticale e non sai quale dei due rispettare. Quelli che vi risiedono non hanno bisogno di arrovellarsi sul significato di quei segnali; vanno a memoria, ma potrebbero trovarsi di fronte a chi, ignaro delle “tradizioni”, avesse deciso di rispettare la segnaletica “orizzontale” e non quella “verticale” – o viceversa.

…E si è raggiunta casa in questo finale d’autunno ancora tiepido, da queste parti. Ci siamo lasciati indietro il maltempo anche se le prospettive – meteorologiche – per la settimana che si apre non sono del tutto positive. Umido fuori per le piogge notturne, calda ed asciutta dentro la casa ci è apparsa madre accoglienti dalle braccia ancora forti, ricolma di ricordi d’amore e di passioni giovanili. Gli aromi degli aranceti che la circondano e l’odore intenso di zolfo che ne permea le terre ed i cieli ci ha accolti come sempre ed ogni volta immancabilmente ci sorprendono come se fosse la prima volta. In questa terra siamo nati e siamo vissuti; la nostra infanzia, la nostra adolescenza e parte consistente della giovinezza è trascorsa qui.
La serenità del viaggio si accompagna a quella dell’accoglienza calda e silenziosa.
E ci dimentichiamo di tutto il resto come naufraghi che approdino ad un’isola ricca di vegetazioni e di misteri.
Non vi è più stanchezza nè dolore in noi, mentre riordiniamo i numerosi bagagli scaricati alla rinfusa così come erano stati caricati perché riempissero tutti i varchi vuoti dell’auto. E si disseminano disordinatamente nell’ingresso e nel primo corridoio. Accendo la caldaia: funziona a meraviglia come se non fosse stata mai abbandonata e gli uccellini dagli alberi vicini festeggiano il nostro arrivo, pregustando le briciole, generose lasciate sul terrazzino.
La presenza umana, l’unica che ci accompagna realmente ogni qualvolta torniamo, è quella della signora del piano di sopra, l’ultimo piano del palazzo. Le altre presenze non si sono palesate, anche se noi sappiamo che ci scrutano dalle tendine che lentamente si spostano, quando arriviamo nel parcheggio. E quindi sappiamo che il nostro arrivo è stato già oggetto di conoscenza per tutto il vicinato.
La signora di sopra abituata come è a non avere “ingombri” particolari nell’appartamento di sotto, cioè il nostro, sposta mobili o chissà cosa trascicandoli a qualsiasi ora del giorno e…della notte, quando peraltro “tacchettea” impunemente e si impegna in attività casalinghe varie come se fosse pieno giorno.

“Tanto” lei pensa “non c’è nessuno di sotto!”
Ma, a quell’ora, di giorno non disturba davvero nessuno ma ci preannuncia allo stesso tempo il supplizio notturno con le sue “tacchettiate” ritmiche in un anda e rianda senza senso intorno alle tre, a volte alle quattro, del mattino, facendoci sobbalzare dal sonno.
Cosa farà mai, la benedetta? a quell’ora? Rumoreggiando lava i panni a mano (si sente lo sciabordio ed il risciacquo “accurato”), carica la lavatrice che non deve proprio essere una Whirlpool, avendo una centrifuga rumorosissima (lei di certo è una brava massaia, dal momento che utilizza questi elettrodomestici che consumano minore energia nelle ore notturne) e poi con un’ultima tacchettiata di anda e rianda stende il bucato, cosicchè noi la mattina troviamo lenzuola ed altra biancheria stesa sui fili del balcone, non solo sui suoi ma anche sui nostri, perché nel buio frequentemente lascia cadere qualcosa, che si appoggia sui nostri fili; a quel punto immagina che attenda un colpo di vento che lo sospinga giù o forse in periodi poco ventosi – poiché da quelle parti di pratica la pesca al polpo – utilizzerà la caratteristica lenza con ami multipli per ripescare il capo di biancheria “perduto”.
Ma quando come in questo caso noi ci siamo, abbiamo un grande piacere in questo inaspettato “cadeau”, perchè lo utilizziamo come merce di scambio a scopo pubblicitario. Infatti ci diciamo “Molto bene! più tardi si andrà a salutare la signora, così si renderà conto che siamo tornati!” Tocca di solito a me, l’uomo di casa, andare a rappresentare il nostro arrivo, attraverso la consegna dell’ostaggio. Con la speranza che per qualche giorno limiti il suo attivismo notturno.
E, poi, ci viene da sorridere pensando a come la descrisse nostra figlia, in modo ingenuo tipicamente infantile. poichè utilizzava scarpe rumorose, simili a zoccoli, le venne spontanea (absit iniuria verbis) linguisticamente la parola “zoccolona”. Di certo impropria nell’accezione campana ma concreta e coerente per gli effetti che ci faceva.

“Zoccolona” giù dalle nostre parti significa anche “donna dai facili costumi” ma nostra figlia intendeva ben altro, equiparando il rumore dei tacchi con cui agitava le nostre notti insonni (“ma perchè non se li toglieva quando tornava a casa ed inforcava le più comode silenziose pantofole?” era la frequente domanda che ci ponevamo) agli “zoccoli” che particolarmente d’estate il popolo dei marinari e dei vacanzieri in località di mare, nei nostri plendidi borghi era solito calzare.
E così, a proposito di “zoccole” che, oltre ad indentificare le signore meretrici dei bassi napoletani, che negli ultimi tempi si sono sempre più dedicate ad altre attività meno impegnative e più remunerative, si riferivano anche – equiparandole per il lerciume morale – a quelle di sopra, ai più classici topi di fogna che in realtà degradate come alcune località del nostro Sud saettavano tra cumuli di immondizia maleodorante in quegli angusti vicoletti, trovammo assai curiosa la narrazione che ci venne proposta da un docente universitario del ramo scientifico dell’ateneo partenopeo, il quale utilizzava le “cavie” per studiare la loro resistenza alla fatica ed allo stress. Lo scopo era scientifico e l’intento era ovviamente quello di tarare le difficoltà delle povere “cavie” trasponendole solo idealmente sul genere umano.
E’ un ingrato lavoro, che non riuscirei a portare avanti: infatti la sola descrizione di esso (“ma come si fa ad investire quattrini pubblici con riscontri non certamente definiti facendo soffrire delle innocue bestioline?” la domanda l’abbiamo posta ma la risposta non c’è stata data) è cruda, orribile: i poveri topi, fatti nascere e crescere a tale scopo (c’è un commercio in tal senso), venivano immersi in un contenitore di acqua, una vasca tipo quella dei nostri bagni, e costretti a nuotare fino all’ultimo spasimo con degli elettrodi che ne controllavano il battito cardiaco. I giovani ricercatori avevano il compito, tipicamente da aguzzini, di non consentire mai ai topi la possibilità di appoggiarsi a qualche appiglio per poter “tirare il fiato”.
Di tanto in tanto, forse avvertiti da qualche anima pia, alcuni operatori dell’ Ente Nazionale Protezione Animali si affacciavano in questi stanzoni e procedevano ai relativi rilievi, alle segnalazioni, agli ammonimenti ed alle sanzioni e denunce, se le altre forme di controllo erano state vane.

—– continua —–

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UNA VACANZA FORZATA dalla mia non volontà- PARTE 3

UNA VACANZA FORZATA dalla mia non volontà- PARTE 3

Continuo a tacere, ad osservare e prendere appunti.
Il bimbo si è addormentato sulle braccia della giovanissima mamma, dimostrando la sua tranquillità assoluta nel sopportare l’inutile chiacchiericcio delle donne: noi maschi adulti – io ed il signore di fronte a me – manteniamo la discrezione ed il silenzio, mentre le donne si impegnano a dispensare consigli al ragazzotto che mi sta accanto che da parte sua trasuda pragmatismo d’accatto a giustificazione della sua ignavia e della ignoranza educativa della madre; non conosciamo le figure maschili della famiglia ma quasi certamente sono inesistenti o marginali.
Il bambino si risveglia dopo un’ora e reclama attenzione e cibo; per il secondo non ci sono problemi per il primo però sì: nevrotica la madre assesta un paio di scapaccioni al figlio che la distrae dal compito civile che sta svolgendo, asserendo che è in quel modo che i bambini capiscono cosa devono fare, come debbano comportarsi. Non ho parole ma è evidente che la trasmissione educativa ricevuta sta avendo i suoi effetti: così facevano i suoi genitori (“mazze e panelle fanno ‘e figlie belle”).
In queste “bazzecole, quisquilie e pinzillacchere” il tempo passa ed arrivati a Formia la ragazza formosa e la madre con figlio – entrambi rappresentanti dell’ignavia meridionale (non me ne vogliate, amiche, amici e compagni del Sud, ma al netto dei pregiudizi l’ignavia è una delle caratteristiche della nostra terra, altrimenti non sarebbe così disastrata: non continuate a prendervela con gli altri, osservatevi meglio ed agite) – cominciano tempestivamente a prepararsi per scendere ad Aversa; manca però una buona mezzora, mi verrebbe da dirlo ma non mi piace fare il saccente; d’altronde sono (dovrebbero essere) adulti e vaccinati.
Vaccinati forse sì per obbligo, adulti non so.

E così escono dallo scompartimento, escono di scena.

parte 3 – fine… continua

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MALDIFIUME – Simona Baldanzi – allo Spazio AUT di via Filippino 24 giovedì 23 marzo ore 21.00 – parte 2

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MALDIFIUME – Simona Baldanzi – allo Spazio AUT di via Filippino 24 giovedì 23 marzo ore 21.00 – parte 2

“Siamo già in mezzo a te. Le increspature che fa l’acqua sembrano trine e pizzo e il tuo grande lenzuolo ha i disegni delle sponde, degli alberi, delle nuvole. Oggi rifletti più che mai, ti fai specchio per me che sto qua a prendere il vento e gli schizzi in faccia….”

Una lunga dichiarazione d’amore per le acque del fiume, ma anche per la vita che scorre sulle sue sponde o poco al di là di queste: “Maldifiume” di Simona Baldanzi è una delle ultime creature del suo ingegno tipicamente antropologico di ricerca costante sui territori antropici. Ad accompagnarla in questo viaggio una “picciol compagnia” alla quale di volta in volta si aggregano personaggi e personalità dei luoghi, a rappresentare la straordinaria e vivace ricchezza della Cultura popolare e di quella accademica, che a quei territori appartiene.

“L’Arno per mesi è diventato per me una parola detonatore di storie, riflessioni e incontri” (pag. 169).

Già dal primo capitolo si avvertono i segnali di un’illuminazione progressiva civile e militante che prende il via dall’infanzia passando per la pubertà e l’adolescenza in pochi tratti di penna; “Maldifiume” è un capolavoro di sintesi fulminante che passa da un continente all’altro, facendo rievocare sprazzi di memoria e non manca di essere, oltre al libro di viaggio che appare, un inno alla libertà delle donne e degli uomini ed una denuncia a tutte le limitazioni che a queste vengono prodotte da regimi dittatoriali e violente repressioni (riferimenti appropriati alle repressioni sudamericane dell’ultimo scorcio del secolo scorso; le più recenti figure di Giulio Regeni, Serantini, Cucchi, Aldrovandi, Uva; le stragi nazi-fasciste).
La libertà, poi, profonda della libera gente toscana, rappresentata da figure femminili protagoniste della civiltà del lavoro, pervade l’intera narrazione che solo apparentemente è rapsodica-frammentaria, ed è capace di distribuire conoscenza ed emozioni.
E poco importa che dopo poche pagine si sappia più o meno come vada a finire: è in ogni caso un viaggio esistenziale che accompagna ciascuno di noi dall’alba al tramonto, dall’infanzia alla maturità in una perenne trasformazione e rinnovamento. E’ un ciclo incessante che accompagna ciascuno di noi: è la nostra vita.

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“MALDIFIUME – acqua, passi e gente d’Arno” di Simona Baldanzi – edicicloeditore

C’è poi un filo che percorre l’intera narrazione: è un “laccio giallo”.

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MALDIFIUME di Simona Baldanzi – giovedì 23 marzo ore 21.00 Spazio AUT di via Filippino 24 a Prato

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MALDIFIUME di Simona Baldanzi – giovedì 23 marzo ore 21.00 Spazio AUT di via Filippino 24 a Prato

Sin da bambini si “impara” ad ascoltare, a parlare ed a camminare. All’inizio tutto è molto incerto, si balbetta e si incespica nella lingua e negli arti, si casca e ci si risolleva ma non ci si arrende mai se non per stanchezza: “in collo!” ci dicono i pargoli quando sono stanchi, abbisognano di coccole o – forse è la verità più vera – vogliono cambiare la prospettiva del loro sguardo e…conoscere meglio il mondo che li circonda. Ed è così che inizia il nostro viaggio ed il viaggio dei pargoli che crescono accanto a noi. Attratto dai viaggi o meglio dal “viaggio” anche il recupero delle mie “storie” avviene attraverso la memoria in un viaggio che più archetipico di così non potrà mai essere. E le ragioni dello stesso Blog da cui scrivo sono riferibili ad un viaggio tra i paesaggi, le cose e gli esseri animati che hanno partecipato alla mia vita ed alle quali la mia vita ha partecipato. Mi sono (in)consapevolmente avvicinato all’antropologia per interpretare e comprendere, cercare di interpretare e comprendere le diverse realtà.
La lettura di molte – e diversissime – opere di scrittura delle persone a me contemporanee è una forma di curiosità che ho mantenuto e che ho insegnato a conquistare e mantenere a quelle generazioni di allieve ed allievi che hanno arricchito il mio “viaggio”. Ed è in questo modo che, quando mi accade di poter operare un recupero di “altre” memorie per inteposte persone mi immergo volentieri in esse, in un tentativo di acquisizione “aliena” di conoscenze e di metodologia per la loro elaborazione.
E mi sono tuffato in una notte, anche per l’ausilio insperato del primo sorprendente ronzio di zanzara, nel libro di Simona Baldanzi, “Maldifiume”.
L’ho fatto con la solita già propagandata curiosità, aiutato dal fatto che giovedì 23 marzo (tra due giorni) alle ore 21.00 l’autrice lo presenterà allo Spazio AUT in via Filippino 24 qui nella città di Prato.

Simona scrive molto bene, ha il possesso pieno delle sue facoltà descrittive, è profonda nell’analizzare la realtà nella quale si è immersa; è una sua scelta distintiva, sin dai suoi primi passi, una prerogativa assoluta che quasi certamente risiede nella volontà di ricercare perennemente le sue profonde radici. Procede portandosi dietro le sue conoscenze letterarie senza rinunciare ad acquisirne in un moto perenne che si accresce dalla sorgente alla foce attraverso vari affluenti. Come i fiumi anche gli umani lungo il loro corso incontrano altre figure e da queste acquisiscono nuove storie, fatte di vicende tristi, drammatiche ma anche allegre e divertenti, accumulando nuove conoscenze con la lettura dei segni della natura e degli uomini sui loro territori e nelle loro ricerche letterarie, scientifiche, antropologiche.
Non mancano momenti di puro lirismo, che riconciliano gli umani nel loro rapporto reciproco tra se stessi e con la natura, tra il corpo ed il fiume, che nel caso di “Maldifiume” è l’Arno. In particolare proprio nello scollinamento tra la parte montana, pedemontana e collinare e quella pianeggiante da Firenze in poi fino alla foce, subentra una sorta di rilassamento lirico che accomuna le sorti dei corpi e delle acque, apportando serenità proprio laddove il caos e la confusione potrebbero indurre a ben altre riflessioni. Quel capitolo è peraltro “centrale”, baricentrico posizionato tra i quaranta capitoli a concludere e ad aprire contestualmente con una modalità scenica forse voluta forse non, così come tante volte accade all’interno di narrazioni naturali dall’esito epifanico. Il fiume, lento nel suo corso piano, diventa un compagno di strada:

“La città si prende già gioco di noi. Guardo te, che te ne freghi. Il tuo andamento è a passo di acqua e non si misura perché cambia sempre. Non cerco di imitarti, però ti guardo e sento il mio di corpo, il sudore, i muscoli che si comprimono e si rilassano, il mio respiro. Ti guardo ed è più facile sentirmi. Come se tu lavassi ogni cosa inutile e sporca depositata su di me.”

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UNA VACANZA FORZATA DALLA MIA “non volontà” – parte 2

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Cerco di capire se questa fortuna sarà anche accompagnata da sguardi o parole; ma la signorina si trincera dietro occhialoni scuri ed un auricolare e mi fa compagnia solo la sua avvenenza. Fino a quando, però, non si affaccia allo scompartimento una signora che, richiamandola alla realtà effettuale le dice che, se vuole, potrà stare con loro in un altro scompartimento dove un signore si è dichiarato disponibile a scambiare il posto. Fine della bella compagnia: lo scambio non è alla pari, sia per sesso che per qualità della presenza. Mi si para davanti un omaccione grezzo e mal curato nell’aspetto che tuttavia rimane lì in silenzio e non partecipa al dibattito che intanto ha rivelato che il giovane accanto a me è poco più che maggiorenne, non è andato al di là del biennio delle superiori superando soltanto l’obbligo ma null’altro che quello e non ha una gran voglia di lavorare, anche se non gli manca quella di divertirsi. E’ uno di quei prototipi del quale faresti volentieri a meno ma che ormai risulta essere molto diffuso nella moderna società. Ascolto rimanendo in silenzio i materni consigli delle madrine che lo fronteggiano mentre la madre è solo poco meno silenziosa di quanto lo sia io. Il dibattito è un tributo alla Maria De Filippi ed a quei deprimenti talk che conduce sulle reti berlusconiane, e sono estremamente felice di non parteciparvi. Ascolto e prendo appunti, mentre il bimbo cerca con evidenti difficoltà di addormentarsi tra le braccia della giovane madre. Hanno tutti della scuola un parere davvero poco lusinghiero; nessuno dei miei compagni di viaggio, credo anche quello da poco subentrato, ha avuto un rapporto costante con quella istituzione. A partire dalla ragazza in carne, quella delle patatine, che trasuda saggezza inutile e d’accatto, per andare alla giovane mamma che dispensa consigli pedagogici ricevuti da genitori antichi ma che sanno di stantio ed allo stesso ragazzotto che ripete pedisseque riflessioni senza senso pratico alcuno, così tanto per dire o per sentito dire.

parte 2 – continua

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