DOMENICA 30 APRILE VADO AL MARE

DOMENICA 30 APRILE VADO AL MARE

…e sì, vado a rinfrescarmi la memoria sugli inviti che Renzi rivolse – ipocritamente senza dirlo in modo esplicito come aveva invece fatto prima Craxi – al tempo non così lontano del famoso referendum sulle trivelle (se lo sono ricordato senzaltro una parte di quel 60% di italiane e italiani che ne hanno bocciato soprattutto l’arroganza lo scorso dicembre). Vado al mare e non seguo gli accorati inviti di quel gruppo di persone che credono che, partecipando, possono arginare il “fenomeno” ed aiutare la nostra “democrazia”; ho detto loro che è proprio mostrando la pochezza e la autoreferenzialità di questa leadership con il non partecipare al voto che si forniscono elementi utili per superarla; e non possono chiedere, a chi ha più e più volte sanzionato la partecipazione di elementi “anomali” (non elettori o elettori strumentali del PD) alle Primarie delle due tornate a questa precedenti, di recarsi ai Circoli per partecipare e, pur non sentendosi più “elettore” nemmeno potenziale di quel Partito, dichiararne, sottoscrivendola, l’adesione.
C’è pura follia a chiederlo e scarso rispetto a pensarlo.
Tra le altre cose in questo giochino nemmeno tanto intelligente dell’uno contro tutti, sarebbe logico che gli sconfitti facessero come al tempo dei tiranni greci, allorchè si votava e gli sconfitti erano ostracizzati: non di certo passati per le armi (in quella modalità cruenta del “non fare prigionieri”!) ma costretti all’esilio. Lo fecero anche illustri nostri contemporanei non politici come James Joyce o poeti come Pablo Neruda: non mi paragono di certo a questi, anche se avverto la sindrome dell’esiliato, di colui che appartiene ad un territorio neutro. Non suggerisco nulla di preciso, se non di utilizzare la coerenza: come si fa a dire tutto il peggio sulla gestione del Partito da parte di Renzi (lui fa così, io farei….) e rimanere poi al suo interno?
La Sinistra ha bisogno di chiarezza, di autonomia, di schiettezza: c’è spazio di manovra, il lavoro non manca.

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RITORNO A CASA – 5

RITORNO A CASA – 5

In uno di questi blitz il nostro amico era stato denunciato per “maltrattamenti” verso gli animaletti ed era stato convocato a tale scopo in Tribunale. Non molti per loro fortuna conoscono la “confusione” che caratterizza, oltre agli Uffici pubblici in genere, gli ambienti dei Tribunali, ancor più nel nostro Mezzogiorno ed in quello partenopeo dove supera qualsiasi possibilità di descrizione ed immaginazione, con la sua varia multiforme umanità.
Non tutti ovviamente sono deliquenti, vorrei vedere, ma l’imbarazzo per gli avventori non abitudinari è immenso, vi sono anche presunte parti offese o ancor più persone ingiustamente accusate e la volgarità più oscena si mescola alla ruspante popolanità e le voci si accavallano e si mescolano e ciascuno per farsi meglio sentire e capire le alza a dismisura come se si fosse in ambienti rumorosi come le tessiture o i vani motore delle navi. E poi ci sono avvocati veri o falsi (i tribunali sono sovente stracolmi di ciarlatani) intenti a consigliare i loro clienti, utilizzando numeri del codice a volte a casaccio e poi ci sono gli uscieri veri e propri plenipotenziari, che dall’alto della loro ormai acclarata esperienza, frutto dell’inamovibilità funzionale ne sanno davvero più di tutti, meritevoli di lauree ad honorem più di tanti altri veri o pseudolaureati.
Ad uno di questi ultimi si rivolse ordunque, fiducioso allo scopo di avere utili indicazioni logistiche, il nostro amico mostrando la convocazione ricevuta ed accennando con giusta e precisa sintesi, un po’ anche per giustificarsene, alle ragioni per cui si trovava in quel posto, “pesno di essere stato chiamato a rispondere dell’utilizzazione di topi in laboratorio, sono professore all’Università…”; sintesi che venne ulteriormente ridotta ad uso locale, nel senso che il nostro amico si occupava di “ratti”. E così l’usciere, che aveva ben compreso il tutto, urlò da un capo all’altro del corridoio, mentre indicava la direzione verso la quale il nostro amico doveva andare, e cioè in fondo a destra del lungo affollatissimo corridoio: “Guagliu’ chist’è chillo d’’e zoccole”.

– parte 5 – continuanapoli

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QUANDO LA “COPPIA” SCOPPIA!

QUANDO LA “COPPIA” SCOPPIA!

L’altro giorno parlavamo di coppie “scoppiate”; l’usura dei rapporti con il tempo che scorre porta via gli entusiasmi, le passioni, le complicità, le scoperte di avere pensieri comuni da condividere, e tanti progetti da mettere in piedi e traguardi da conquistare. Nel corso degli anni noi che gli “anta” li abbiamo superati da oltre un trentennio quanti episodi di divisione e di sbandamenti vari abbiamo incrociato e ci sembra, per ora, che questi turbini non ci abbiano ancora scossi….
E’ la stessa cosa, pensavo, con quelle passioni politiche che abbiamo coltivato e con quelle belle compagnie che ci hanno tradito; eppure dagli anni giovanili quante battaglie abbiamo condiviso, dagli anni Sessanta, quando in un paio di occasioni abbiamo messo a repentaglio noi stessi ed abbiamo conosciuto le “questure”: già allora la Scuola non ci sembrava tanto “buona”, ma non conoscevamo ancora quella dei nostri tempi. E quante altre manifestazioni, occupazioni, cortei abbiamo organizzato e più in là nel tempo, quando noi credevamo ancora di poter cambiare il mondo in modo diverso da quello che ci stavano lasciando i nostri genitori, abbiamo coltivato i nostri ideali mai e poi mai considerando che potevano essere delle illusioni.
Io ancora ci credo, ma non posso condividere questi sogni maturi con coloro che mentono sapendo di mentire ed illudono sapendo di illudere.
Non è assolutamente possibile camminare fianco a fianco con coloro che hanno, mentendo spudoratamente nell’ammantarsi di idealità, coltivato i propri personali vantaggi ottenuti anche grazie al sostegno disinteressato di tante persone. E continuano a farlo imperturbati ed ipocriti, pretendendo addirittura che, dopo il divorzio, si possa ancora per un tantino convivere, semmai giusto il tempo di acconciarsi meglio. E’ come in una “coppia scoppiata”: è ben difficile ricomporre i pezzi. E poi a cosa servirebbe? Ad arrabbiarsi ancora di più, a protrarre le sofferenze. Ben si sa che in questo caso per chi ne traesse vantaggi, queste sarebbero molto ridotte; ma – personalmente – sono ben convinto di evitare qualsiasi occasione.
Allo stesso tempo, voglio avvertire coloro che pensano a manovre diversive, non dirette ma “circolari” che con me si astengano dal riprodurle se non desiderano il mio odio eterno.

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Non abbiamo bisogno di foglie di fico…che celino le nudità del sovrano di turno.

Non abbiamo bisogno di foglie di fico…che celino le nudità del sovrano di turno.

Da che mondo è mondo ci provano ed alla fine dei conti una parte ci casca: per canalizzare gli scontenti, per normalizzare i dissidenti, si inventano “alternative” per drenare una parte delle acque ribelli e riportarle nell’alveo, imprigionandole con blandizie e promesse al solo scopo di neutralizzare quella che il potere considera un pericolo per il mantenimento dei suoi benefici.
Le chiamo “foglie di fico” come quelle che al tempo della post-Controriforma venivano apposte alle divinità ed ai personaggi scolpiti o dipinti così come “mamma” li aveva confezionati.
Ovviamente molti ci cascano e credono che davvero si possa produrre un cambiamento nel corpo vile delle forze politiche. Non me ne intendo di quelle di Destra ma sono abbastanza esperto di quelle della Sinistra, che non ha ancora imparato a rispettare le persone”libere”, anzi si diverte a dileggiarle, riservando loro a volte ipocriti “coccodrilli” positivi in loro morte. Che pena mi fece quel consesso comunale allorquando, fresco di nomina elettiva al Consiglio, fui partecipe dell’orazione funebre per uno dei Sindaci della città di Prato più galantuomo che essa ricordi. Ma, lo si sa, così va il mondo: molto male, infatti, esso continua ada andare!

Ieri pomeriggio davanti ad un importante Supermercato di Montemurlo ho incontrato due rappresentanti del Comitato pro-Orlando impegnati a portare acqua al mulino del proprio candidato alle Primarie del Partito Democratico che si svolgeranno il prossimo 30 aprile. Saluto cordiale come di norma si fa in un contesto civile di rapporti umani, ma declino l’invito a partecipare alle Primarie, in quanto non-elettore del Partito Democratico. Mi invitano a mettere da parte il dissenso e a dare un contributo con il mio voto ad una “minoranza”; “con il cuore spezzato” dico io “non posso partecipare, in quanto “non posso” dichiararmi “elettore” di quel Partito. “…che hai fondato…” mi si dice; e questo rende ancora più seria e grave la mia scelta.
Il fatto è che io considero completamente conclusa la storia di quel Partito che ho contribuito a fondare; e ritengo che soprattutto la figura di Orlando sia una delle “foglie di fico” per ricondurre a più miti consigli i recalcitranti “di bocca buona”, quelli che appartengono al classico “buonismo caciottesco” all’italiana. Mi viene ricordata la figura di Fabrizio Barca, come mio amico, sostenitore di Orlando in questa fase ed a me sovviene che lo stesso Barca sia a conti fatti stato al tempo in cui sembrava poter incarnare un vero rinnovamento (ci eravamo “cascati”, forse?) un’altra classica “foglia di fico” visto la parabola della sua azione politica.
E poi, a proposito di “foglie di fico”, andate a vedere chi c’è tra i sostenitori eccellenti di Orlando: figure “grigie” da quando erano giovani!
Non c’è vita su Marte! e non c’è vita nel PD: solo ectoplasmi plaudenti ad un gruppo di potere che continuerà il suo viaggio verso il baratro.

My name is Joshua

reloaded RITORNO A CASA per ricominciare….

reloaded RITORNO A CASA per ricominciare….

Il viaggio è stato molto tranquillo. I fiumi ai lati della strada quasi la lambivano, avevano già ampiamente colmato i campi destinati a casse di espansione. Il ricordo dell’alluvione del 1966 era molto vivo e presente dopo cinquanta anni e gli uomini in quei territori avevano in parte compreso come rimediare agli errori che allora avevano creato immensi disastri.
Continuava a piovere ma il viaggio proseguiva sereno. Si ritornava a casa dopo più di un anno, la casa e la terra dei nostri “padri”, anche se a dire il vero non ci si ricordava più dell’ultima volta, che per noi due non era però stata la stessa.
La pioggia nervosa ci accompagnava a tratti, ma non creava problemi al traffico. Si ritornava utilizzando una delle “buone finestre” delle terapie, segrete per tutti.

…….
Nell’approssimarsi della città il traffico divenne man mano più intenso, caotico, isterico e schizofrenico, il rischio di un crash – come sempre – era elevato. Non è una sorpresa per noi: e sono migliaia di persone che si sono abituate a questo “inferno”!
C’è chi si sposta da un lato all’altro senza segnalarlo e chi corre disegnando rotte zigzagate tra le vetture incurante dei rilevatori che forse non funzionano da queste parti e forse anche se funzionano chissenefrega!
E poi si esce dalla strada principale e si arriva dove la segnaletica è un optional quasi sempre ingannevole e trovi indicazioni che sono di difficile lettura per chi non è abituato o non è di quelle terre. Ti puoi trovare davanti ad un segnale orizzontale diverso da quello verticale e non sai quale dei due rispettare. Quelli che vi risiedono non hanno bisogno di arrovellarsi sul significato di quei segnali; vanno a memoria, ma potrebbero trovarsi di fronte a chi, ignaro delle “tradizioni”, avesse deciso di rispettare la segnaletica “orizzontale” e non quella “verticale” – o viceversa.

…E si è raggiunta casa in questo finale d’autunno ancora tiepido, da queste parti. Ci siamo lasciati indietro il maltempo anche se le prospettive – meteorologiche – per la settimana che si apre non sono del tutto positive. Umido fuori per le piogge notturne, calda ed asciutta dentro la casa ci è apparsa madre accoglienti dalle braccia ancora forti, ricolma di ricordi d’amore e di passioni giovanili. Gli aromi degli aranceti che la circondano e l’odore intenso di zolfo che ne permea le terre ed i cieli ci ha accolti come sempre ed ogni volta immancabilmente ci sorprendono come se fosse la prima volta. In questa terra siamo nati e siamo vissuti; la nostra infanzia, la nostra adolescenza e parte consistente della giovinezza è trascorsa qui.
La serenità del viaggio si accompagna a quella dell’accoglienza calda e silenziosa.
E ci dimentichiamo di tutto il resto come naufraghi che approdino ad un’isola ricca di vegetazioni e di misteri.
Non vi è più stanchezza nè dolore in noi, mentre riordiniamo i numerosi bagagli scaricati alla rinfusa così come erano stati caricati perché riempissero tutti i varchi vuoti dell’auto. E si disseminano disordinatamente nell’ingresso e nel primo corridoio. Accendo la caldaia: funziona a meraviglia come se non fosse stata mai abbandonata e gli uccellini dagli alberi vicini festeggiano il nostro arrivo, pregustando le briciole, generose lasciate sul terrazzino.
La presenza umana, l’unica che ci accompagna realmente ogni qualvolta torniamo, è quella della signora del piano di sopra, l’ultimo piano del palazzo. Le altre presenze non si sono palesate, anche se noi sappiamo che ci scrutano dalle tendine che lentamente si spostano, quando arriviamo nel parcheggio. E quindi sappiamo che il nostro arrivo è stato già oggetto di conoscenza per tutto il vicinato.
La signora di sopra abituata come è a non avere “ingombri” particolari nell’appartamento di sotto, cioè il nostro, sposta mobili o chissà cosa trascicandoli a qualsiasi ora del giorno e…della notte, quando peraltro “tacchettea” impunemente e si impegna in attività casalinghe varie come se fosse pieno giorno.

“Tanto” lei pensa “non c’è nessuno di sotto!”
Ma, a quell’ora, di giorno non disturba davvero nessuno ma ci preannuncia allo stesso tempo il supplizio notturno con le sue “tacchettiate” ritmiche in un anda e rianda senza senso intorno alle tre, a volte alle quattro, del mattino, facendoci sobbalzare dal sonno.
Cosa farà mai, la benedetta? a quell’ora? Rumoreggiando lava i panni a mano (si sente lo sciabordio ed il risciacquo “accurato”), carica la lavatrice che non deve proprio essere una Whirlpool, avendo una centrifuga rumorosissima (lei di certo è una brava massaia, dal momento che utilizza questi elettrodomestici che consumano minore energia nelle ore notturne) e poi con un’ultima tacchettiata di anda e rianda stende il bucato, cosicchè noi la mattina troviamo lenzuola ed altra biancheria stesa sui fili del balcone, non solo sui suoi ma anche sui nostri, perché nel buio frequentemente lascia cadere qualcosa, che si appoggia sui nostri fili; a quel punto immagina che attenda un colpo di vento che lo sospinga giù o forse in periodi poco ventosi – poiché da quelle parti di pratica la pesca al polpo – utilizzerà la caratteristica lenza con ami multipli per ripescare il capo di biancheria “perduto”.
Ma quando come in questo caso noi ci siamo, abbiamo un grande piacere in questo inaspettato “cadeau”, perchè lo utilizziamo come merce di scambio a scopo pubblicitario. Infatti ci diciamo “Molto bene! più tardi si andrà a salutare la signora, così si renderà conto che siamo tornati!” Tocca di solito a me, l’uomo di casa, andare a rappresentare il nostro arrivo, attraverso la consegna dell’ostaggio. Con la speranza che per qualche giorno limiti il suo attivismo notturno.
E, poi, ci viene da sorridere pensando a come la descrisse nostra figlia, in modo ingenuo tipicamente infantile. poichè utilizzava scarpe rumorose, simili a zoccoli, le venne spontanea (absit iniuria verbis) linguisticamente la parola “zoccolona”. Di certo impropria nell’accezione campana ma concreta e coerente per gli effetti che ci faceva.

“Zoccolona” giù dalle nostre parti significa anche “donna dai facili costumi” ma nostra figlia intendeva ben altro, equiparando il rumore dei tacchi con cui agitava le nostre notti insonni (“ma perchè non se li toglieva quando tornava a casa ed inforcava le più comode silenziose pantofole?” era la frequente domanda che ci ponevamo) agli “zoccoli” che particolarmente d’estate il popolo dei marinari e dei vacanzieri in località di mare, nei nostri plendidi borghi era solito calzare.
E così, a proposito di “zoccole” che, oltre ad indentificare le signore meretrici dei bassi napoletani, che negli ultimi tempi si sono sempre più dedicate ad altre attività meno impegnative e più remunerative, si riferivano anche – equiparandole per il lerciume morale – a quelle di sopra, ai più classici topi di fogna che in realtà degradate come alcune località del nostro Sud saettavano tra cumuli di immondizia maleodorante in quegli angusti vicoletti, trovammo assai curiosa la narrazione che ci venne proposta da un docente universitario del ramo scientifico dell’ateneo partenopeo, il quale utilizzava le “cavie” per studiare la loro resistenza alla fatica ed allo stress. Lo scopo era scientifico e l’intento era ovviamente quello di tarare le difficoltà delle povere “cavie” trasponendole solo idealmente sul genere umano.
E’ un ingrato lavoro, che non riuscirei a portare avanti: infatti la sola descrizione di esso (“ma come si fa ad investire quattrini pubblici con riscontri non certamente definiti facendo soffrire delle innocue bestioline?” la domanda l’abbiamo posta ma la risposta non c’è stata data) è cruda, orribile: i poveri topi, fatti nascere e crescere a tale scopo (c’è un commercio in tal senso), venivano immersi in un contenitore di acqua, una vasca tipo quella dei nostri bagni, e costretti a nuotare fino all’ultimo spasimo con degli elettrodi che ne controllavano il battito cardiaco. I giovani ricercatori avevano il compito, tipicamente da aguzzini, di non consentire mai ai topi la possibilità di appoggiarsi a qualche appiglio per poter “tirare il fiato”.
Di tanto in tanto, forse avvertiti da qualche anima pia, alcuni operatori dell’ Ente Nazionale Protezione Animali si affacciavano in questi stanzoni e procedevano ai relativi rilievi, alle segnalazioni, agli ammonimenti ed alle sanzioni e denunce, se le altre forme di controllo erano state vane.

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Dopo i tramonti ci sono le albe – ricordiamocelo!

Tramonto

Dopo i tramonti ci sono le albe – ricordiamocelo!

Questa mattina riflettevo su quanto è accaduto di recente intorno allo Spazio AUT di via Filippino 24, il luogo nel quale ho deciso di impegnare il mio tempo residuo nell’elaborazione di progettualità culturale con valenze politiche e politiche con valenze culturali. C’è irritazione e un po’ di rabbia verso l’atteggiamento “padronale” di chi finora senza che gli fosse stato chiesto (perlomeno così a me pare) ha pagato l’affitto di quei locali. Ho cercato di capire, come faccio sempre più spesso con l’età che avanza (ero anch’io un giovane scalpitante puledro), ascoltando gli altri che vivono quella realtà da più tempo, alcuni di loro dall’inizio, dalla fondazione, dall’apertura degli spazi. Tuttavia ho voluto esprimere il mio disagio, non solo quello attuale che condivido solo in parte (ed è per questo che scrivo qui) ma soprattutto quello che ho percepito sin dal primo momento di vita di quegli spazi: c’era – già allora – qualcosa che non mi convinceva del tutto: avrei dovuto esprimerlo? In effetti lo feci ad un compagno che si vantava di aver contribuito – immagino con il suo impegno diretto – a creare un “luogo” nel quale coinvolgere tanti giovani. Conoscendo le motivazioni e le frequentazioni del compagno di sopra, ricordo bene che gli urlai di non ingannare quei giovani, come spesso avevo visto fare da parte di presunti politici mediatori anche in occasione di altri dissensi espressi da gruppi dei quali anche io facevo parte. Era la solita trappola da inganno.
Ora, però, l’inganno si è svelato ed allora più che inalberarsi occorre avviare abbastanza rapidamente una riflessione. A me sembra che abbiano più problemi quelli che ora ci sembrano prevaricatori di quanti se ne abbia noi che ci siamo sentiti ingannati. Il rapporto di forza è quanto mai pendente verso coloro che posseggono un po’ di Cultura e la praticano per crescere senza presumere di averne troppa, a sfavore di chi forse possiede momentanee risorse che sono ben poca cosa rispetto ai valori civili che ci sorreggono.
E, allora, andiamo avanti. Dopo un provvisorio “tramonto” l’alba ci sorride!

Appunto ecco quel che stamattina ho inviato a tre dei miei compagni con cui dialogo negli ultimi tempi:

Non sempre quello che appare un impedimento porta con sè elementi negativi. L’intelligenza umana deve prevalere sull’ottusità. Occorreva maggiore chiarezza e quel che è accaduto permette a ciascuno di noi di ottenerla. Si procedeva su un cammino di ambiguità, di cose non dette ma frequentemente pensate o dette tra pochi. E’ dunque necessario, al di là delle possibili dichiarazioni “ufficiali” o personali, dei “distinguo”, reimpossessarsi della nostra autonomia, senza per questo dover rinunciare a proporre una linea politica alternativa. La scelta di consentire ad una forza politica ben distinta, il Partito Democratico, di occupare uno dei due spazi all’interno dei quali si è svolta finora l’attività culturale-politica di AUT e LeftLab, non può essere accolta come un elemento marginale collegato a giustificazioni meramente economicistiche; in quell’azione è venuto meno essenzialmente un possibile rapporto umano di fiducia tra chi possiede risorse e le mette a disposizione e chi, soprattutto giovani, ha bisogno di quegli spazi per esprimere “LIBERAMENTE” la propria essenza.
La parte potenzialmente meno libera per vincoli di carattere economico ha la possibilità di contrapporsi razionalmente a tutto questo, senza esprimere necessariamente il proprio dissenso sdegnato a volte negativamente sguaiato. Occorre dunque fare gruppo, unirsi, fare “massa”, arricchendo di Cultura questo “impasse” politico.

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My name is Joshua

NOTE LIBERE DOPO LA LETTURA DEL LIBRO DI MICHELE GESUALDI “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” Prato 7 aprile 2017 – quinta parte

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NOTE LIBERE DOPO LA LETTURA DEL LIBRO DI MICHELE GESUALDI “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” Prato 7 aprile 2017 – quinta parte

Allo stesso modo ho trovato straordinariamente ricca di motivazioni la risposta che Nadia ormai ultrasessantenne, affermata analista a Roma, ha voluto stilare nei giorni scorsi.
Non ho rintracciato Nadia, che peraltro non ha raccolto pienamente l’invito di don Lorenzo ma, lo si sente da quel che scrive, ha certamente proseguito ad avvertire l’attualità del pensiero donmilaniano, di cui si ha ancora bisogno soprattutto di fronte ad un arretramento complessivo della coscienza civile e ad una burocratizzazione mortificante dell’intelligenza umana all’interno della scuola italiana.

Sono passati cinquant’anni dall’invio di questa lettera a me, allora studentessa universitaria diciannovenne. Dopo poco don Milani morì. Credo che bisogna considerare le sue parole come una sorta di testamento accorato, infatti abbraccia gli aspetti più importanti della vita. Ancora oggi, rileggendola per l’ennesima volta, sono molto colpita dall’essenzialità e dalla durezza e perentorietà delle sue affermazioni, incredibilmente attuali. Una scrittura chiara, semplice e diretta che non lascia scampo al lettore, impossibile non schierarsi!Per me non è facile scrivere, è stato allora un dono prezioso e inaspettato e nel corso del tempo ho sempre cercato di nascondere che ero io la destinataria, probabilmente troppo grande e ‘pesante’ il dono ricevuto. Ho sempre sentito la responsabilità, però, di testimoniare questi valori nel mondo, con tutti i miei limiti. Allora, nel 1966, partecipai per anni a un’esperienza alternativa laica di quartiere, a Napoli, nel centro storico, di asilo antiautoritario, allora si diceva così, e di preparazione alla terza media per i lavoratori, non esistevano ancora le 150 ore. Io preparavo gli adulti all’esame di terza media, lavoravano con me tante persone: mi limito a nominarne almeno due che in modi diversi dirigevano il centro, Fabrizia Ramondino e Vera Lombardi.
Due affermazioni della lettera mi colpiscono molto anche oggi: la prima, si può amare una classe sociale sola, anzi solo poche decine di persone, umanamente solo questo è possibile… detto da un prete è un’affermazione forte e sicuramente controcorrente, ma bisogna capire la radicalità di questa affermazione: don Milani con la parola ‘amare’ intende dedicarsi totalmente ai ragazzi poveri per un senso elementare di giustizia sociale e questa totalità richiede un donarsi che molti hanno difficoltà a scegliere. Ci sono stati esempi di persone che hanno scelto di insegnare dopo aver letto questa lettera, ne ho testimonianza diretta, ma da molti anni purtroppo la scuola italiana va in un’altra direzione. Allora fui molto colpita da questo discorso, si pensi come don Milani facesse un’affermazione rivoluzionaria non predicando l’amore universale, pur essendo un sacerdote, ma anzi spingeva a una scelta chiara di classe; rifiutava di essere un uomo pubblico al servizio di tutti, come tanti di noi desideravano, ma va sottolineato come, al di là della sua volontà, sia stato una guida per molti e la sua testimonianza, secondo me, resta molto attuale. In questi decenni, ma soprattutto negli ultimi anni, la scuola si è molto allontanata dallo spirito di Barbiana: gli insegnanti sentono di fare un lavoro sottopagato e molto svalutato a livello collettivo, appesantiti da compiti burocratici e riunioni infinite, poche quelle necessarie e utili! La collaborazione tra insegnanti e genitori è pressoché inesistente perché ognuno vede nell’altro una controparte da cui difendersi. Un fenomeno allarmante che allontana anni-luce la scuola dallo spirito di don Milani è secondo me quello di non sapere più vedere lo studente, bambino o adolescente che sia, nella sua interezza. Si tende infatti a spezzettare la personalità dello studente in tante separate prestazioni che vanno misurate dallo psicologo con test che devono certificare – o meglio etichettare un deficit. Così è un fiorire di definizioni o di sindromi: disgrafico, iperattivo e così via. Dimenticate tutte le lotte degli anni ’70 contro la scientificità dei test che misuravano il Q.I., oggi la verifica è invece il verbo dominante, dalle prove Invalsi alla misurazione del merito degli insegnanti, base dell’ultima riforma della scuola. Ma chi e come si misura il merito? Quando parlo con i miei pazienti adolescenti resto sbalordita dal loro linguaggio riguardante la scuola, le parole ricorrenti sono solo ‘verifica’, compiti corretti con punteggi matematici, anche con decimali, perché le prove scritte vanno valutate con griglie che non tengono conto della gravità o meno degli errori, un errore un punto in meno… e gli studenti molto spesso sono rassegnati… non sanno nemmeno immaginare un’alternativa!
Don Milani individuava nel tempo pieno uno strumento essenziale per cercare di colmare la differenza tra ricchi e poveri, quindi un tempo pieno inteso non come parcheggio passivo, ma con tante attività creative. Nella lettera egli sottolinea con molta forza “i poveri non hanno bisogno dei signori. I signori ai poveri possono dare una cosa sola: la lingua cioè il mezzo d’espressione. Lo sanno da sé i poveri cosa dovranno scrivere quando sapranno scrivere”. Queste affermazioni mi sono venute in mente molte volte quando parlavo con giovani totalmente demotivati a studiare o con insegnanti avviliti e senza passione. Sono scandalose oggi queste affermazioni? Per molti sicuramente sì, troppo crude e semplici, senza riferimenti culturali o espressioni in inglese, molto chic nei nostri tempi, nei quali le parole chiare sono state sostituite con parole più oscure: un solo esempio, la parola licenziamento sostituita da dismissione con il tentativo di occultare la realtà. Sappiamo come le lettere pubbliche ai cappellani militari e ai giudici fossero delle esperienze per insegnare ai suoi ragazzi l’importanza di testimoniare che l’obbedienza non è una virtù. Tanti oggi, di ogni età, dovrebbero ricordarselo ogni giorno.
Sull’impegno politico don Milani è perentorio e conciso, dare solo il voto ai partiti di sinistra, “li hanno appestati”, detto nel 1966 fa molto effetto oggi!
L’ultima parte della lettera è molto toccante e profonda e anche qui non viene scelta una via intellettuale: ci sono affermazioni forti come smettere di leggere e studiare e invece fare scuola, avverto un’ansia del tempo, una radicalità nelle scelte commovente, pagata a caro prezzo a livello personale perché spesso dimentichiamo che don Milani era e voleva essere a tutti i costi un sacerdote, mandato in punizione dopo la messa all’indice del suo libro Esperienze pastorali, in questo piccolissimo paese del Mugello, Barbiana, per essere messo nell’impossibilità di ‘nuocere’… e noi dopo 50 anni vogliamo parlarne ancora!
Allora veniva molto seguito un altro prete toscano, Ernesto Balducci, nelle sue conferenze parlava di cristianesimo e marxismo e riceveva molta attenzione. Ma si era su un piano chiaramente intellettuale; don Milani invece nella lettera esprime una fede autentica, priva di orpelli, una fede solida che arriverà in vita o dopo la morte se intanto ci dedichiamo a fare scuola ai poveri. È bella l’espressione usata ‘Dio come premio’, perché egli era convinto che per impegnarsi seriamente fosse necessaria una fede sicura; a me queste parole evocano i versi 65-68 di Isaia che molti anni dopo hanno profondamente attraversato la mia vita: “Mi feci ricercare da chi non mi interrogava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: “eccomi, eccomi” a gente che non invocava il mio nome”.
Mi sono limitata a commentare questa lettera, tutti sanno l’effetto dirompente che ebbe la pubblicazione di Lettera ad una professoressa nei movimenti studenteschi e nel mondo della scuola e sono convinta che oggi farebbe bene rileggerla.
Nelle parole di don Milani si avverte forte una preghiera intensa del fare, esiste anche una preghiera dell’essere e credo che queste due dimensioni in lui coincidano.

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NOTE LIBERE DOPO LA LETTURA DEL LIBRO DI MICHELE GESUALDI “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” Prato 7 aprile 2017 – quarta parte

ICARE

NOTE LIBERE DOPO LA LETTURA DEL LIBRO DI MICHELE GESUALDI “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” Prato 7 aprile 2017 – quarta parte

E così don Milani ci aiuta a capire il mondo contemporaneo.
Non si può certo dire che non se ne abbia bisogno. Personalmente ma insieme a molte amiche ed amici, sto da alcuni anni ripercorrendo le strade di molti dei nostri maestri. Lo faccio insieme a loro costantemente e – parlo soprattutto per me – senza mai la volontà di padroneggiare le loro vicende, accostandole alle mie. Ho la consapevolezza della mia piccolezza di fronte a loro, ma – devo essere sincero – di questo mi faccio forza e costantemente imparo, acquisisco cose nuove, cerco con sempre maggiore difficoltà data l’età di elaborarle.
Il bisogno di affidare il nostro futuro a questi maestri è ancora più urgente in un periodo di profonda crisi morale ed intellettuale ed è questo uno dei motivi per i quali di tanto in tanto recuperiamo “memorie”, lo facciamo per gli eventi drammatici e festosi, come la Resistenza e la Liberazione, come la Shoah e le Foibe, come la Costituzione ed i Trattati di Roma, lo facciamo anche “approfittando degli ANNIVERSARI” ricordando figure come Pier Paolo Pasolini e poi quest’anno, significativamente una linea rossa (chissà perché poi “rossa” traducendo “fil rouge”) tra Gramsci, don Milani e Danilo Dolci. Gli ultimi due si sono mossi nello stesso periodo degli anni Cinquanta e Sessanta elaborando ciascuno nella sua diversa realtà metodi educativi rivoluzionari: don Lorenzo però chiude la sua vita terrena il 26 giugno del 1967 mentre la parabola di Danilo Dolci proseguirà per oltre trent’anni fino al dicembre 1997. Quanto a Gramsci, la stima che aveva nei suoi confronti don Lorenzo era molto alta e le “Lettere dal carcere” facevano parte della Biblioteca di Barbiana accanto a testi classici.
Per affrontare questi temi abbiamo deciso di allungare lo sguardo sul passato, accumulare valori nel presente per poterli utilizzare nel futuro piccolo nostro e grandissimo per quelli che verranno. Per poterlo fare abbiamo bisogno sia dei personaggi e degli eventi sia dei loro testimoni diretti ed indiretti. Vogliamo essere utilizzatori utilizzabili ed utilizzati all’interno di quell’interscambio funzionale che è alla base della pedagogia. Insegno ma imparo ed imparo insegnando, ponendomi in discussione, una perenne crisi, nell’insegnamento. Punti di partenza e punti di arrivo contemporanei.
Oggi non parleremo ovviamente nè di Gramsci nè di Dolci. Ci fermiamo a parlare di don Milani e ne ascoltiamo le parole che egli rivolge ad una giovane studentessa che con una lettera gli aveva posto alcuni quesiti. E’ una delle pagine più belle per noi che allora eravamo giovani e ci apprestavamo all’impegno.

Napoli 7 gennaio 1966
Cara Nadia,
da qualche tempo ho rinunciato a rispondere alla posta e ho incaricato i ragazzi di farlo per me. Arriva troppa posta e troppe visite e io sto piuttosto male. Le forze che mi restano preferisco spenderle per i miei figlioli che per i figlioli degli altri. Oggi però la Carla (14 anni), arrivata alla tua lettera e dopo averti risposto lei con la lettera che ti accludo, mi ha avvertito che ti meriteresti una risposta migliore.Ti dispiacerà che io faccia leggere la posta ai ragazzi, ma dovresti pensare che a loro fa bene. Sono poveri figlioli di montagna dai 12 ai 16 anni. E poi te l’ho già detto, io vivo per loro, tutti gli altri son solo strumenti per far funzionare la nostra scuola. Anche le lettere ai cappellani e ai giudici son episodi della nostra vita e servono solo per insegnare ai ragazzi l’arte dello scrivere cioè di esprimersi cioè di amare il prossimo, cioè di far scuola.
So che a voi studenti queste parole fanno rabbia, che vorreste ch’io fossi un uomo pubblico a disposizione di tutti, ma forse è proprio qui la risposta alla domanda che mi fai. Non si può amare tutti gli uomini. Si può amare una classe sola (e questo l’hai capito anche te). Ma non si può nemmeno amare tutta una classe sociale se non potenzialmente. Di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina forse qualche centinaio. E siccome l’esperienza ci dice che all’uomo è possibile solo questo, mi pare evidente che Dio non ci chiede di più.
Nei partiti di sinistra bisogna militare solo perché è un dovere, ma le persone istruite non ci devono stare. Li hanno appestati. I poveri non hanno bisogno dei signori. I signori ai poveri possono dare una cosa sola: la lingua cioè il mezzo d’espressione. Lo sanno da sé i poveri cosa dovranno scrivere quando sapranno scrivere.
E allora se vuoi trovare Dio e i poveri bisogna fermarsi in un posto e smettere di leggere e di studiare e occuparsi solo di far scuola ai ragazzi della età dell’obbligo e non un anno di più, oppure agli adulti, ma non un parola di più dell’eguaglianza e l’eguaglianza in questo momento dev’essere sulla III media. Tutto il di più è privilegio.
Naturalmente bisogna fare ben altro di quel che fa la scuola di Stato con le sue 600 ore scarse. E allora chi non può fare come me deve fare solo doposcuola il pomeriggio, le domeniche e l’estate e portare i figli dei poveri al pieno tempo come l’hanno i figli dei ricchi.
Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura. È una promessa del Signore contenuta nella parabola delle pecorelle, nella meraviglia di coloro che scoprono se stessi dopo morti amici e benefattori del Signore senza averlo nemmeno conosciuto. «Quello che avete fatto a questi piccoli ecc.». È inutile che tu ti bachi il cervello alla ricerca di Dio o non Dio. Ai partiti di sinistra dagli soltanto il voto, ai poveri scuola subito prima d’esser pronta, prima d’esser matura, prima d’esser laureata, prima d’esser fidanzata o sposata, prima d’esser credente. Ti ritroverai credente senza nemmeno accorgertene.Ora son troppo malconcio per rileggere questa lettera, chissà se ti avrò spiegato bene quel che volevo dirti.
Un saluto affettuoso da me e dai ragazzi, tuo
Lorenzo Milani

….fine quarta parte….continua…

My name is Joshua

COME ABBIAMO PREPARATO LA SERATA DEL 7 APRILE – presentazione del libro di Michele Gesualdi “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” con Seun Balù Isingbadebo, maria Laura Cheli e Sandra Gesualdi terza parte

COME ABBIAMO PREPARATO LA SERATA DEL 7 APRILE – presentazione del libro di Michele Gesualdi “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” con Seun Balù Isingbadebo, maria Laura Cheli e Sandra Gesualdi terza parte

Barbiana 2

Non conoscevo Sandra Gesualdi fino agli inizi di gennaio 2017. Con suo padre, Michele, avevo intessuto rapporti allorquando, Presidente della Provincia di Prato, eletto direttamente dai cittadini (quella del 2004 fu la prima volta che ciò avveniva), ci si incontrò a Prato per la intitolazione di una sala della nuova sede della Circoscrizione Est del Comune di Prato nella zona de “I Lecci”. In quell’occasione da membro dell’Esecutivo come Presidente della Commissione Scuola e Cultura insieme a Luigi Palombo, fratello di don Ezio, con il quale don Milani si era fortemente legato in amicizia sin dagli anni di San Donato, inaugurammo una dependance al pianoterra formata da alcune stanze das utilizzare sia per seminari che per una piccola biblioteca, intitolandola poprio al Priore di Barbiana. Da quel momento, cultore della memoria e dell’impegno che don Milani mi aveva ispirato, ho più volte incontrato Michele Gesualdi, organizzando incontri sui principali testi donmilaniani e su quello che Michele nella sede di Barbiana prima e nella sede fiorentina della Fondazione andava proponendo per diffondere il metodo di Barbiana.

Chi conosce la “Storia di Prato” non quella di Fernand Braudel ma quella più recente sa bene che nel 2009 in questa città, dopo un lunghissimo ininterrotto periodo di amministrazioni di Centrosinistra per le profonde responsabilità dei dirigenti politici del PD, prevalse il Centrodestra e tra le poche linee vendicative si apprestò a cambiare l’intitolazione della sala della Circoscrizione Est assegnandola ad un altro don, diversamente importante e significativo per la simbologia prescelta dai precedenti amministratori, Luigi Sturzo, che quasi certamente – io penso – fosse stato possibile sentirlo, non sarebbe per niente stato d’accordo. Ci fu un sollevamento di protesta ma poi ci rendemmo conto che probabilmente lo stesso don Milani avrebbe detto “I do not care”, assestando uno schiaffo morale a tutti e continuando imperterrito a procedere nella cura civile dei suoi perenni (tanti di noi compresi) ragazzi.

Ora, nell’approssimarsi di un anniversario importante è stato lo stesso Michele ad avvertirne l’esigenza e, di fronte a difficoltà connesse alla salute, ha impegnato in prima persona Sandra, sua figlia a cooperare per la redazione editoriale di un nuovo libro, “Don Milani – L’esilio di Barbiana”, che raccoglie alcuni episodi già noti accanto ad altri meno noti o del tutto ignoti finora, frutto della sua quotidiana presenza accanto al Priore sia a Barbiana che a Firenze negli ultimi giorni della sua vita.

Come tante volte accade, avevo ricevuto l’invito a partecipare alla presentazione del libro il 26 novembre u.s. nella sala del Gonfalone in Palazzo Panciatichi a Firenze ma la mia pigrizia è notevole (non sanno le amiche e gli amici che mi invitano a Firenze che quelle pochissime volte che mi sono mosso sono un segnale che dovrebbe inorgoglirle/i) e mi sono accontentato di seguire il servizio su Rai 3 Regionale rammaricandomi per non esserci stato, anche perché ho visto la forza e la sofferenza sul volto di Michele. E così, quando invece ho letto che Sandra avrebbe presentato il libro a Sesto Fiorentino presso la Libreria Rinascita agli inizi del mese di gennaio 2017 mi ci sono precipitato. E lì ho conosciuto direttamente Sandra ed in coda all’evento con una certa improntitudine (mi sono presentato e le ho chiesto se poteva darmi una data per Prato, mentre si proiettavano le immagini riprese dalla cinepresa del professor Agostino Ammannati, ricevendo un “Ne parliamo dopo!” che era un giusto rimprovero) sono riuscito ad avere il suo cellulare e l’impegno generico ad essere a Prato per la fine di marzo.

Il resto al prossimo post

….fine terza parte… continua….

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