COME ABBIAMO PREPARATO LA SERATA DEL 7 APRILE – presentazione del libro di Michele Gesualdi “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” con Seun Balù Isingbadebo, maria Laura Cheli e Sandra Gesualdi prima parte

COME ABBIAMO PREPARATO LA SERATA DEL 7 APRILE – presentazione del libro di Michele Gesualdi “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” con Seun Balù Isingbadebo, maria Laura Cheli e Sandra Gesualdi

prima parte

Il ritmo e le scansioni rapide della serata del 7 aprile si sono svolte quasi alla perfezione (quel “quasi” è da addebitarsi alla mia responsabilità di “conduttore”). Innanzitutto Seun, questo giovane studente universitario al primo anno di Lettere Moderne, lo avevo già sentito di spalle intervenire nel corso della presentazione del libro di Mario Lancisi il 17 marzo scorso, un altro libro su don Milani dedicato ai temi della disobbedienza civile del tipo che Danilo Dolci avrebbe sintetizzato “Se scoppia la guerra, tu che fai? Ci vai?”.
E poi quando mi è stato segnalato come possibile introduttore della serata dalla Rete degli studenti medi ho voluto incontrarlo e l’ho invitato nella dependance della chiesa di San Bartolomeo in Piazza Mercatale poco prima che iniziasse il mio incontro bi-settimanale con gli stranieri (cinesi, pachistani, georgiani, honduregni, guineani, ivoriani, marocchini e altri di altre etnie) per l’insegnamento della lingua italiana. Non ho mai parlato nè scritto di questa esperienza: eppure nell’occasione ho detto a Seun che non ci sarebbe stato miglior luogo nel quale potersi vedere per parlare “anche” di don Milani. Oggi forse “lui” avrebbe proprio utilizzato quegli ambienti per portare avanti il suo metodo.
E così ci siamo visti là; mi aspettavo un giovane che mi avrebbe fatto domande su come introdurre la serata. Invece, no! Era già preparato e mi ha parlato, lui, di chi fosse don Milani e della scuola e del suo futuro: ama la poesia e la letteratura e si esercita nella loro produzione. Gli ribadisco comunque che ciascuno deve dare ciò che ha, che ciò che si conosce va messo a disposizione degli altri e che è così che si impara insegnando – si riceve mentre si dona e si dona quando si riceve in un continuo perenne interscambio.
In questa particolare occasione ho potuto anche conoscere Maria Laura; me l’aveva segnalata Michele (Del Campo) al quale mi ero rivolto per la conduzione della serata. Nessuno può negare che io sia colui che dirige il contenitore nella sua complessità ma non mi è mai piaciuto (ed adesso più che mai perché la stanchezza non me lo consentirebbe) condurre tutti gli incontri. Leggo i libri, ne approfondisco le tematiche, prendo i contatti, mi assumo tante delle responsabilità dell’organizzazione ma ho bisogno di un sostegno. A Michele, così come ho fatto con Gabriele (Zampini) –
hanno entrambi una connotazione comune nel nome che portano: angeli protettori – nella serata dedicata al libro di Mario Lancisi, avevo chiesto di affiancarmi. Lui mi ha proposto Maria Laura, che ho poi incontrato per due volte nei lunedì precedenti all’evento del 7 aprile nella scuola dove insegna, un avamposto multietnico della città di Prato intitolata proprio a don Lorenzo Milani.

Parlerò di lei nella seconda parte di questo mio intervento.

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NOTE LIBERE DOPO LA LETTURA DEL LIBRO DI MICHELE GESUALDI “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” Prato 7 aprile 2017 – prima parte

NOTE LIBERE DOPO LA LETTURA DEL LIBRO DI MICHELE GESUALDI “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” Prato 7 aprile 2017 – prima parte

Gesualdi libro

Quando ci dicevano “Voi siete i veri comunisti!” eravamo soltanto dei giovani idealisti pieni di energia che si impegnavano per costruire un mondo diverso da quello dei nostri padri, senza tener conto che in moltissimi casi quegli ultimi erano stati resi infelici da una o due guerre mondiali, dal Nazifascismo e dagli altri movimenti antilibertari della prima parte del secolo.
Ma gli anni in cui noi sentivamo dire “Voi, sì che siete i veri comunisti!” interpretavamo quelle parole quasi sempre con la convinzione che lo si dicesse più per piaggeria che per una valutazione vera e propria del nostro lavoro.

Erano gli anni Sessanta e poi Settanta e tra le montagne bellunesi con altri giovani come me impegnati nella scuola, nel Sindacato, nel PCI e nella scuola (la ripetizione è voluta) ci siamo ritrovati tra le mani e nella mente il libro dei ragazzi di Barbiana che ci indicava una delle strade possibili da percorrere nella nostra libera pratica pedagogica. E ci siamo ritrovati ancora una volta a fianco di giovani operaie ed operai, che, non avendo avuto la possibilità (a volte la voglia sostenuta anche da famiglie bisognose o poco sensibili in tale direzione) la possibilità – dicevo – di frequentare la scuola, avvertivano concretamente il bisogno di conoscere cogliendo l’occasione delle 150 ore appena istituite all’inizio degli anni Settanta. Oggi mi ritornano in mente quei tempi e grazie a tante riletture anche donmilaniane le comprendo sotto una luce diversa: non è detto che questa possa essere l’interpretazione definitiva, ma per ora e per me è così.
A noi allora leggendo alcuni testi scritti da personaggi che hanno avuto uno stretto rapporto con la Chiesa, a volte acritico altre invece critico ma sempre nel solco dell’”obbedienza”, rilevo l’imbarazzo ad accettare don Milani, considerato avversario dalle Sinistre ed eretico dalla stessa Chiesa, che mal tollerava il suo schierarsi con gli ultimi, gli umili, i poveri, i diseredati, gli sconfitti, i contadini, gli operai, mentre essa continuava ad essere prevalentemente con i potenti, i ricchi, i padroni. Come interpretare altrimenti il fastido che, insieme a don Milani, davano a coloro che detenevano i giochi del potere di allora figure come La Pira, Turoldo, Balducci e altri? Erano anni di scontri ideologici, a volte davvero feroci, da una parte i comunisti dall’altra i democristiani, ma di certo, nessuno di quelli che ho menzionato era “comunista” intendendone l’affiliazione a quel Partito , nè tantomeno ci si poteva confondere con coloro ch combattevano la libertà religiosa (i comunisti mangiapreti); ed infatti il favore di don Lorenzo soprattutto nella sua permanenza a S.Donato non fu mai affidato a quel Partito nè ad altro Partito di Sinistra (il PSI per intendersi) ma nemmeno tout court – come accadeva di norma – allo Scudocrociato, preferendo concedere il proprio sostegno alle persone che, in qualsiasi contenitore militassero, rappresentassero davvero i bisogni della povera gente: operai, sindacalisti, contadini.
La parola “Comunista” così bella da inorgoglire noi giovani che lavoravamo per una società più giusta, più equa, più aperta e democratica non credo però che abbia mai spaventato lo stesso don Milani, pronto ad essere critico e severo da una parte e dall’altra in moltissime occasioni. Oggi non possiamo continuare a mentirci e dobbiamo dire che, se esiste ciò che la Chiesa promette, le porte del Paradiso possono ospitare sia coloro che hanno militato sotto lo scudo crociato che quelli che lo hanno fatto, allora, dietro la falce e martello, che credano o non credano se sono stati onesti ed esemplari. E allora perchè negare soprattutto oggi, lontano da quelle barriere innalzate da una parte e dall’altra, a don Milani accanto al termine “Priore” l’accezione “ cattolico di Sinistra”?
Tra le altre cose già allora, negli anni Settanta intendo dire, alcuni di noi capivano che il Partito Comunista si stava imborghesendo e cominciava a preferire i salotti buoni della finanza, della Cultura, del chiacchiericcio futile, degli aperitivi sulle belle terrazze e abbandonava progressivamente al loro destino i contadini e gli operai, i poveri, gli emarginati, gli umili, quelli che non hanno più forza di contrattazione perché non hanno nè difese nè difensori. Noi allora, l’ho detto prima, ricchi della nostra forza interiore giovane, entusiasti e pieni di speranza, rappresentavamo il futuro anche per una parte della società adulta e ci arricchivamo forse impropriamente (non ho intenzione di mettere un cappello personale sulla figura di don Lorenzo) anche delle sue parole che in “Esperienze pastorali” ad un certo punto diceva:

“La nostra proposta più moderata sarebbe piuttosto una legge così redatta:
«Art. 1 – La terra appartiene a chi ha il coraggio di coltivarla.
«Art. 2 – Le case coloniche appartengono a chi ha il coraggio di starci.
«Art. 3 – Il bestiame appartiene a chi ha il coraggio di ripulirgli ogni giorno la stalla.
«Art. 4 – I boschi appartengono a chi ha il coraggio di vivere in montagna.
È nostra opinione però che una così tardiva giustizia non basterebbe a fermare l’esodo.
Bisogna ricuperare anche tutte le ricchezze che per secoli son partite dalla terra verso i salotti cittadini (e dire che l’Art. 43 della Costituzione vorrebbe invece indennizzare i salotti!).
Rendere queste ricchezze ai loro veri proprietari, trasformarle in bagni, sciacquoni, scuole, strade, trattori, canali.
Bisogna buttare tutte queste cose ai piedi dei contadini, supplicarli di perdonarci e di fermarsi.
Ma anche per questo è già tardi”.

fine prima parte

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