NOTE LIBERE DOPO LA LETTURA DEL LIBRO DI MICHELE GESUALDI “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” Prato 7 aprile 2017 – seconda parte

NOTE LIBERE DOPO LA LETTURA DEL LIBRO DI MICHELE GESUALDI “don LORENZO MILANI – L’esilio di Barbiana” Prato 7 aprile 2017 – seconda parte

Se si riflette su quel “più moderata” si comprende che don Lorenzo dichiarava apertamente il suo pensiero che era già “oltre”, aveva già varcato i limiti della sopportazione. Era una scelta di classe la sua tutta permeata dai valori evangelici. Mi sono però chiesto se non ci fosse dell’ironia in quel “moderata”! Se la sua è “più moderata” quale poteva essere quella “rivoluzionaria”? Per non parlare di quella proposta “luddista” che si ritrova nella “Lettera a don Piero” che fa storcere le labbra allo stesso Arcivescovo di Camerino, che aveva accettato di scrivere la Prefazione a “Esperienze pastorali” ma non aveva ancora letto quella parte.
Erano gli anni Cinquanta. Che dire? In un luogo diverso dall’Italia così da sempre fortemente legata alla Chiesa ( scusate la digressione altrettanto personale: penso al Sudamerica della “teologia della liberazione” successiva di poco all’esperienza donmilaniana; ricordo che poco più di un anno dopo la morte di don Lorenzo ero ad Assisi con tantissimi altri giovani alla Cittadella che stava divenendo un centro di riferimento per la sinistra cattolica all’annuale convegno universitario, il XXIII, dal 27 al 30 dicembre 1968, avente come titolo: “la violenza dei cristiani”, con la relazione del sociologo Franco Fornari a quel tempo docente presso la facoltà di sociologia di Trento; ricordo che in quell’occasione incontrai tra i miei quasi coetanei anche Francesco Guccini che tenne là il suo primo concerto ) , don Lorenzo avrebbe anche potuto essere considerato addirittura “Comunista” (“un vero comunista”), lui che era nato in una famiglia ricchissima e non gli mancava nulla, lui che ad un certo punto ha intuito (la si chiama “vocazione”) che la sua vita sarebbe stata dall’altra parte tra i poveri dell’Oltrarno, tra i contadinelli di Montespertoli, tra gli operai di Calenzano e Prato, tra i pastori del Mugello, tra coloro che non avevano alcuna possibilità di accedere alla parola ed alla conoscenza e volle dare a tutti questi una chance in più per potersela giocare nella vita attraverso un metodo, una pratica non scritta ma concretamente provata quotidianamente 12 ore per 365 giorni all’anno. E, come non interpretare se non in questa linea rivoluzionaria post-francescana, anche la scelta di distribuire le copiose derrate che dalla sua famiglia affluivano in Seminario per meglio nutrirlo a tutti gli altri suoi compagni, scelta che egli volle chiamare “cooperativa”?
In questa direzione di redistribuzione di ciò che possedeva (gli spazi dei luoghi e della sua mente) cominciò già a Montespertoli da giovane prete consacrato in attesa di una sede; continuò poi a San Donato moltiplicando per dieci il numero dei frequentanti e poi in quella che fu la sua sede ultima e definitiva a Barbiana dove ottimizzò, grazie alla concentrazione del luogo, il suo metodo.
In questa linea abbiamo voluto inserire una delle lettere più famose di don Lorenzo Milani nella quale si comprende pienamente la coerenza di alcune sue scelte apparentemente ambigue.

Lettera di don Lorenzo Milani
San Donato 1950
Caro Pipetta,
ogni volta che ci incontriamo tu mi dici che se tutti i preti fossero come me, allora …
Lo dici perché tra noi due ci siamo sempre intesi anche se te della scomunica(1) te ne freghi e se dei miei fratelli preti ne faresti volentieri polpette. Tu dici che ci siamo intesi perché t’ho dato ragione mille volte in mille tue ragioni:
Ma dimmi Pipetta, m’hai inteso davvero?
E’ un caso, sai, che tu mi trovi a lottare con te contro i signori. San Paolo non faceva così.
E quel caso è stato quel 18 aprile(2) che ha sconfitto insieme ai tuoi torti anche le tue ragioni. E solo perché ho avuto la disgrazia di vincere che…
Mi piego, Pipetta, a soffrire con te delle ingiustizie. Ma credi, mi piego con ripugnanza. Lascia che te lo dica a te solo. Che me ne sarebbe importato a me della tua miseria?
Se vincevi te, credimi Pipetta, io non sarei più stato dalla tua. Ti manca il pane? Che vuoi che me ne importasse a me, quando avevo la coscienza pulita di non averne più di te, che vuoi che me ne importasse a me che vorrei parlarti solo di quell’altro Pane che tu dal giorno che tornasti da prigioniero e venisti colla tua mamma a prenderlo non m’hai più chiesto.
Pipetta, tutto passa. Per chi muore piagato sull’uscio dei ricchi, di là c’è il Pane di Dio.
E solo questo che il mio Signore m’aveva detto di dirti. E’ la storia che mi s’è buttata contro, è il 18 aprile che ha guastato tutto, è stato il vincere la mia grande sconfitta.
Ora che il ricco t’ha vinto col mio aiuto mi tocca dirti che hai ragione, mi tocca scendere accanto a te a combattere il ricco.
Ma non me lo dire per questo, Pipetta, ch’io sono l’unico prete a posto. Tu credi di farmi piacere. E invece strofini sale sulla mia ferita.
E se la storia non mi si fosse buttata contro, se il 18… non m’avresti mai veduto scendere lì in basso, a combattere i ricchi.
Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione.
Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione.
Ma come è poca parola questa che tu m’hai fatto dire. Come è poco capace di aprirti il Paradiso questa frase giusta che tu m’hai fatto dire. Pipetta, fratello, quando per ogni tua miseria io patirò due miserie, quando per ogni tua sconfitta io patirò due sconfitte, Pipetta quel giorno, lascia che te lo dica subito, io non ti dirò più come dico ora: “Hai ragione”. Quel giorno finalmente potrò riaprire la bocca all’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: “Pipetta hai torto. Beati i poveri perché il Regno dei Cieli è loro”.
Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò.
Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: “Beati i… fame e sete”.

1. La scomunica decretata nel 1948 dal Sant’Uffizio contro tutti quelli che aderivano al Partito Comunista.
2. Il 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana vinse le elezioni politiche.

Una nota: in uno degli ultimissimi libri dedicati alla figura di don Milani attraverso il padre Albano scritto da una nipote di don Lorenzo, Valeria Milani Comparetti, figlia di Adriano, fratello maggiore del Priore viene messo in dubbio che Pipetta sia di Calenzano; probabilmente fu una conoscenza che Lorenzo giovane ebbe tra gli “ultimi” di Gigliola, contrada di Montespertoli, dove i Milani avevano una grande tenuta.

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—fine seconda parte— continua

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