NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE parti 1-4

NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE

“A che ora pensate di avviare la presentazione?” lo andava chiedendo ripetutamente il Presidente del circolo ARCI dove Gipo e Rosaria quella sera avrebbero presentato un collage di immagini e letture sul tema del “Cibo” con assaggi gastronomici.
Erano le 20.40; Gipo, che era di casa e si era presentato sul posto in anticipo, aveva sistemato i materiali tecnici per la performance ed apparecchiato i tavoli dai quali i suoi collaboratori avrebbero poi letto e recitato alcune poesie sull’argomento.
Gipo era a Prato da più di trenta anni e proveniva dalla zona flegrea; si era sempre occupato di Cultura, sia nella sua professione di docente sia nella sua attività politica sia ancora in quella di tipo amatoriale ora che era in pensione.
Rosaria era molto più giovane di Gipo e quasi certamente l’incontro tra i due era stato aiutato dalla loro provenienza dai luoghi del mito classico, da cui è nata la principale tradizione storica del nostro Paese.
Lei era di Bacoli, lui di Pozzuoli.
Era stato un puro caso a farli incontrare: quella sera di settembre inoltrato sui gradoni del Serraglio, dove si svolgeva un happening di letture, Gipo aveva in un primo tempo scelto un brano da “Le ceneri Gramsci” di Pasolini ma si era trovato in un programma dove di norma tutti sceglievano liberamente ed in tanti altri avevano proprio privilegiato il poeta friulano; Gipo aveva però previsto – lo faceva sempre con la consapevolezza dell’imprevisto – di leggere qualcosa d’altro ed aveva con sè una gustosissima poesia di Raffaele Viviani, autore al quale aveva dedicato molto nella sua giovinezza partenopea. E la lesse, intonandola in modo tale che potesse essere, con l’aiuto della mimica facciale, più comprensibile possibile a tutto l’uditorio in gran parte toscano.
Al termine della serata, Rosaria si fece avanti, complimentandosi con l’anziano Gipo ed utilizzando quella inflessione molto particolare dei “bacolesi” non facilmente ripetibile nelle trascrizioni: “Sei stato molto bravo, anche la mia amica che è di qui, ha capito la descrizione del vicolo napoletano”. Altri si complimentarono chiedendo che vi fossero occasioni ulteriori per risentire quelle gustosissime descrizioni popolari degli ambienti napoletani.

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Erika quella mattina di ottobre prendeva il treno dei pendolari: era una giovanissima ragazza dai lunghi capelli biondi ed un sorriso smagliante. Gipo non ricordava quando l’aveva conosciuta; probabilmente durante gli happening poetici da lui proposti per anni e anni, ma non ne era sicuro. Tuttavia Erika aveva una passione fortissima verso il teatro e si era già cimentata egregiamente in un “musical”. Gipo accompagnava a quell’ora la figliola alla stazione ed il binario era stracolmo di gente varia, tante sconosciute e qualche faccia nota, qualcuna da salutare, qualche altra da schivare. E quel giorno c’era anche Rosaria, alla quale, dopo averla salutata amichevolmente, Gipo presentò la figliola. Erika non si era accorto di Gipo ma, non appena lo vide, gli si avvicinò. “Che piacere! Sei anche tu qui a quest’ora. Cosa stai combinando con il teatro?”. Erika sorrise e spiegò a Gipo che aveva avviato un progetto con una residenza per anziani autosufficienti e che aveva scritto un suo testo e lo stava preparando con gli ospiti di quel luogo per le feste di Natale. Fece anche il nome di altri suoi collaboratori che Gipo ben conosceva e poi: “Avrei bisogno di una figura femminile matura. Ne hai – gli chiese, consapevole dell’esperienza del suo interlocutore – qualcuna da suggerirmi?”

E Gipo non ci pensò su due volte. “Erika, ti presento Rosaria. Potrebbe essere la persona giusta!” La prescelta si schermì sorridendo, ma Erika non le diede scampo. “Allora, scambiamoci il numero di cellulare. Stasera ti chiamo e fissiamo”. Era una ragazza pimpante e decisa, non era facile dirle di no. Ovviamente, se Rosaria avesse accettato poteva farlo anche con Gipo, che aveva in animo di costruire un gruppo per una modalità di teatro fatto di letture su temi sempre diversi o per supportare presentazioni di libri. E così accadde che di lì a poco il telefono di Rosaria ricevette, dopo quella di Erika, la proposta di Gipo.

“A che ora pensate di avviare la presentazione?” lo andava chiedendo ripetutamente il Presidente del circolo.

Erano già le 21.15 e mancavano all’appello Rosaria e Flo: Manlio, il quarto della compagnia, era già arrivato poco prima e si andava preparando in un angolino della sala, ripetendo gesti ed intonazioni in forma silente, bisbigliando come le “beghine” tra i banchi delle chiesette. Arrivando aveva annunciato che c’erano state delle difficoltà nel pur breve viaggio (abitava a un paio di chilometri dall’altra parte della città) a causa di una nebbia che stava calando, a causa della quale c’era stato anche qualche piccolo incidente. Prato non ha quasi mai conosciuto la nebbia, essendo collocata allo sbocco di una vallata appenninica dalla quale spira sempre un gran vento; e nessuno ci è abituato. In effetti sembrava anche strano che di pubblico a quell’ora non ce ne fosse: l’argomento non era di certo ostico, nè filosofico nè politico nè tantomeno scientifico a livello di grande ricerca; e poi il gruppo era anche conosciuto ed era seguito, in altre sedi aveva ben funzionato. Erano le 21.30 e solo a quell’ora arrivarono Rosaria e Flo accompagnate da Satore, il marito di Rosaria, che ci salutò: “C’è una gran nebbia; non si vede quasi più nulla. Abbiamo dovuto procedere a passo d’uomo o forse molto meno”. Il pubblico a quell’ora era composto dalla compagnia “allargata”, dal Presidente del Circolo e da due componenti del Consiglio, che normalmente operavano lì.
Che fare? Gipo si sedette chiedendo agli altri di fare lo stesso e poi, con il telecomando, avviò la proiezione di alcuni spot pubblicitari intorno al tema del Cibo, abbassando però al massimo il sonoro e senza spegnere le luci. Lo fece così tanto per aspettare nella speranza che a quell’ora, ormai erano le 21.45, qualcun altro arrivasse. Chiese poi a Rosaria e Manlio di leggere nel frattempo qualcosa, a mo’ di prova aperta, senza necessariamente mantenere l’ordine della scaletta sulla quale si erano preparati. Alle 22.00 poi ci si guardò negli occhi e concordemente si decise che si poteva annullare il tutto, chiedendo però al Presidente se ci poteva portare qualcosa da mangiare e da bere: lo avevamo concordato in cambio del nostro impegno, ma Gipo aggiunse: “Ovviamente, ciascuno di noi contribuirà alle spese”.

Poco prima, infatti, erano arrivate anche delle telefonate da parte di amici che si scusavano ma non se la sentivano di uscire; in verità tutti dicevano che la visibilità era ridotta a zero, che non avevano mai visto una cosa così. A Gipo, appassionato di cinema, ricordava il film di Carpenter “Fog” e i suoi trascorsi tra la valle Padana e le valli tra Feltre e Belluno. Ma a Prato nessuno ricordava una nebbia così. Gipo poi ne aveva in mente un’altra di nebbia, ma era molto più lontana….agli inizi degli anni settanta del secolo prima. Anche in quel caso il luogo dove la nebbia calò in modo pesante, senza vento, era del tutto anomalo per fenomeni di quel genere.

Gipo aveva fatto preparare una torta a Mina, la ragazza del Circolo, esperta in produzioni sia dolci che salate: straordinariamente apprezzate erano le sue “pizze” ma anche la “Sacher” che avrebbe fatto gola allo stesso Nanni Moretti. Ed in onore proprio del Cinema si optò per quest’ultima. Intanto, mentre la si affettava e si stappava una buona bottiglia di Cartizze, eredità del passato ai margini delle colline di Valdobbiadene, e proprio per onorare l’arte cinematografica, Gipo fece partire un mediometraggio al quale teneva moltissimo. Studiando una composizione di immagini tratte da film o da pubblicità, Gipo aveva incrociato la produzione di una marca di pasta, la Garofalo di Gragnano, che per promuovere il suo marchio aveva realizzato interamente alcuni film brevi ma di alto valore sia per i protagonisti che per i direttori, gli autori, i registi.
Tra questi quello che più lo aveva colpito era stato “The (W)Hol(l)y Family”, scritto proprio così, allo scopo di accostare la “Sacra Famiglia” ad una “Interamente famiglia” o “Una famiglia che si ricompone”. L’autore di quel film era uno dei fondatori dei mitici “Monthy Python”, Terry Gilliam e la storia narrata era ambientata tra Napoli e Bacoli, proprio i luoghi di origine di Rosaria e Gipo.

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“Ho un ricordo anche io di una nebbia pesante e densissima. Avevo 15 anni e la mia scuola aveva organizzato una gita un po’ diversa dalle solite anche se in linea con la realtà dove vivevamo” disse Rosaria. “Andammo all’isola di Ponza. Noleggiammo una nave dalla compagnia di navigazione del Golfo di Napoli. Era subito dopo il primo Maggio, non ricordo di preciso. Era una splendida giornata sin dall’alba. Cielo sgombro di nubi; un bel caldo più che primaverile…”.

“Ricordo che nella nostra classe c’erano 15 ragazze e quattro maschietti, buffissimi, imbranati da non credere, che di tanto in tanto si davano delle arie da grandi viveurs ma non accocchiavano mai nulla. Noi eravamo attratte da quelli dell’ultimo anno, che ci facevano la corte, anche se avevamo qualche remora, quando si avvicinava il “dunque?”. Già l’anno precedente, lo ricordo bene, fu un disastro: non si fecero le gite, almeno noi non riuscimmo ad organizzarne, ma ci fu il MakP 100 e noi che eravamo in prima ci andammo per curiosare. E anche allora i nostri genitori avevano accolto il nostro desiderio con qualche perplessità e alcuni di loro si erano coalizzati per controllare senza apparire che lo andassero facendo. C’era anche il sospetto che la curiosità fosse da collegare ad aspetti morbosi. Ma questo in verità lo abbiamo pensato quando eravamo ormai cresciute, almeno io”.

“Quella mattina, proseguiva Rosaria, mi ero addormentata tardi, perché non stavo in me per l’attesa ed avevo faticato di notte, riservando alle ultime ore prima della luce una parte della mia stanchezza. Ma mi svegliai con il canto del gallo, che poi era quello della mia sveglia che mi avevano regalato i nonni materni da bambina, e fui in piedi come un grillo per prepararmi. Mia madre era già sveglia e mi aveva preparato dei panini con la frittata, che erano una delle delizie che mi attraevano di più sin da quando avevo scoperto che erano il pasto preferito da mio nonno, quando da giovane lavorava ai cantieri navali. L’aria quella mattina era limpida; era l’alba. Mio padre mi accompagnò; per strada ci fermammo ad Arco Felice per prendere Elisa, più o meno come faceva gli altri giorni per portarci a scuola.
Ma era molto più presto, stavolta e la giornata era tutta per noi.

Saremmo tornate di sera: la nave, quando arrivammo al porto di Pozzuoli era già pronta, ma non ci permettevano di salire. Bisognava fare prima l’appello; e così ci sistemammo in un angolo dove avevamo visto due dei nostri professori e salutammo mio padre, che si era raccomandato al prof di latino di darci un’occhiata, di non perderci di vista, rassicurandosi sull’orario di ritorno, più o meno verso le 20, poco più o poco meno, aveva detto il prof. La banchina era un caos di ragazze e ragazzi vocianti e solo dopo che i nostri professori avevano completato l’appello, verificando che tutti ci fossero, ci chiesero di stare in blocco e andarono verso la nave, insieme agli altri loro colleghi, che avevano completato l’appello; e poi ognuno di loro chiamava la sua classe ed in fila ci contavano come le pecore facendoci passare per uno stretto varco. Avevamo notato che c’erano altri gruppi classe che si attardavano, e non salirono a bordo se non quando uno dei marinai non disse loro qualcosa che poi capimmo essere una sollecitazione perché il posto dove era la nostra nave doveva essere occupato da un altro dei vaporetti di linea del golfo di Napoli….

ANTONIO GRAMSCI – “Che cosa farete nella vita”

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ANTONIO GRAMSCI – “Che cosa farete nella vita”
GIOVEDI’ 1° GIUGNO ORE 17.00 LIBRERIA FELTRINELLI PRATO E ORE 20.15 (CENA) – ORE 21.30 “CONVERSAZIONE” SUL LIBRO DI ANGELO d’ORSI “GRAMSCI una nuova biografia – SPAZIO AUT VIA FILIPPINO 24

«Che cosa farete nella vita» in fondo in maniera sintetica era quello che Gramsci aveva già svolto come tema finale all’esame di fine primo ciclo. Questa è una delle lettere “dal carcere”, l’unico modo con il quale Gramsci poteè comunicare quotidianamente, anche se con limiti estremamente severi di controllo, con le persone care di famiglia e di consonanza intellettuale.

Ne parleremo giovedì insieme al prof. Angelo d’Orsi

2 gennaio 1928
Carissima Tania,
[…] Nelle scuole elementari ogni anno di questi tempi assegnavano come tema di componimento la quistione: «Che cosa farete nella vita». Quistione ardua che io risolvetti la prima volta, a 8 anni, fissando la mia scelta nella professione di carrettiere. Avevo trovato che il carrettiere univa tutte le caratteristiche dell’utile e del dilettevole: schioccava la frusta e guidava cavalli, ma nello
stesso tempo compiva un lavoro che nobilita l’uomo e gli procura il pane quotidiano. Sono rimasto fedele a questo indirizzo anche l’anno successivo, ma per ragioni che direi estrinseche. Se fossi stato
sincero, avrei detto che la mia più viva aspirazione era quella di diventare usciere di pretura. Perché?
Perché in quell’anno era venuto nel mio paese come usciere della pretura un vecchio signore che possedeva un simpaticissimo cagnetto nero sempre in ghingheri: fiocchetto rosso alla coda,
gualdrappina sulla schiena, collana verniciata, finimenti da cavallo in testa. Io proprio non riuscivo a dividere l’immagine del cagnetto da quella del suo proprietario e dalla professione sua. Eppure rinunziai,con molto rammarico, a cullarmi in questa prospettiva che tanto mi seduceva. Ero di una logica formidabile e di una integrità morale da fare arrossire i più grandi eroi del dovere. Sì, mi ritenevo indegno di diventare usciere di pretura e quindi possedere cagnetti così meravigliosi: non conoscevo a memoria gli 84 articoli dello Statuto del regno! Proprio così. Avevo fatto la seconda classe elementare (rivelazione prima delle virtù civiche del carrettiere!) e avevo pensato di fare nel mese di novembre gli esami di proscioglimento, per passare alla quarta saltando la terza classe: ero persuaso di essere capace di tanto, ma quando mi presentai al direttore didattico per presentargli la domanda protocollare, mi sentii fare a bruciapelo la domanda: «Ma conosci gli 84 articoli dello Statuto? ». Non ci avevo neanche pensato a questi articoli: mi ero limitato a studiare le nozioni di «diritti e doveri del cittadino» contenute nel libro di testo.

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GIOVEDI’ 1° GIUGNO – ANGELO d’ORSI A PRATO con il suo “GRAMSCI una nuova biografia” alla Libreria Feltrinelli ore 17.00 ed allo Spazio AUT dalle ore 20.15 con una cena e dalle 21.30 con CONVERSAZIONE su ANTONIO GRAMSCI – coordinate da Chiara Gori e Giuseppe Maddaluno – LETTURE DI ALTROTEATRO

GIOVEDI’ 1° GIUGNO – ANGELO d’ORSI A PRATO con il suo “GRAMSCI una nuova biografia” alla Libreria Feltrinelli ore 17.00 ed allo Spazio AUT dalle ore 20.15 con una cena e dalle 21.30 con CONVERSAZIONE su ANTONIO GRAMSCI – coordinate da Chiara Gori e Giuseppe Maddaluno – LETTURE DI ALTROTEATRO

Era lo scorso 18 febbraio ed insieme ad Antonello Nave e Giuseppe Guida andai al CPA di Firenze per incontrare dal vivo il prof. Angelo d’Orsi – La foto ci ritrae (Giuseppe Guida, io ed il prof. d’Orsi) al termine di quella presentazione del suo libro “1917 L’anno della Rivoluzione” edito da Laterza.

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Nell’impostare la struttura di ANNIVERSARI avevamo trovato un “filo “rosso”” che legava i tre “giganti” di cui con diversa modulazione ricorrono gli anniversari dalla loro morte: don Lorenzo Milani, Antonio Gramsci e Danilo Dolci. Il loro approccio didattico-educativo in forme diverse per la inevitabile differenziazione delle loro personalità, delle loro territorialità e del loro tempo ha delle straordinarie consonanze. Don Milani riconosceva nel grande uomo politico sardo la caratteristica di “santo laico” e l’approccio educativo socratico di Gramsci lo si ritrova nella struttura dialogica investigativa di tipo antropologico in Danilo Dolci. A collegarci con il prof. d’Orsi fu però in primis la ricorrenza del centenario che pervade l’intero anno e che riguarda la Rivoluzione russa. A segnalarlo è stato Antonello Nave, con il quale da alcuni anni coopero per la presentazione di eventi vari collegati dalla comune passione per il teatro, il cinema, l’arte e la letteratura.
“Cerco io un contatto” disse Antonello; e la sorpresa fu che tra il dire ed il fare – e la conseguente realizzazione del contatto – ci fu di mezzo qualche minuto. Prima per mail e per Messenger poi in modo telefonicamente diretto il contatto con il prof. d’Orsi è stato piacevole.
Ora lo aspettiamo a Prato.
Giovedì sarà con noi fin dal primo pomeriggio: visiteremo qualche parte della città e poi ci recheremo alla Libreria Feltrinelli in via Garibaldi per la presentazione della nuova biografia di Gramsci, che abbiamo avuto modo di leggere apprezzandone il taglio che, accanto al personaggio politico, si occupa della vita privata dell’uomo gigante Gramsci. Un uomo piccolo dal punto di vista fisico, reso ancora più minuto dalla sofferenza, ma che nell’immaginario diffuso era già allora un vero e proprio “GIGANTE”. Anche il d’Orsi (pag.225 del libro) riporta l’aneddoto riferito dallo stesso Gramsci in una delle “lettere” alla cognata Tatiana non presenti nelle “Lettere dal carcere” (20 gennaio 1927) relativo al compagno di cella che, all’arrivo di Gramsci, avendo sentito che quello fosse il suo cognome, gli aveva chiesto se era un parente dell’uomo politico, giustificando la sua richiesta per il fatto che “quello lì” che aveva davanti non potesse esserlo perché doveva essere “un gigante”.
A presentare il libro – insieme all’autore – saranno con me, che farò da “Moderatore”, sia il prof. Guida (quello della foto sopra) sia il Presidente della SFI di Prato, prof. Spena.

A chiusura della giornata, abbiamo previsto una cena per un gruppo ridotto di compagni ed amici (non per selezione, ma per lo spazio anch’esso ridotto) intorno alle 20.15 allo Spazio AUT. Subito dopo io e Chiara Gori avvieremo una presentazione pubblica del libro, aiutati dalle letture di Altroteatro, associazione fiorentina diretta da Antonello Nave.

CHE DIRE? SIETE INVITATE/I TUTTE/I – APPROFITTATE DI QUESTA OCCASIONE

INVITO A PARTECIPARE – “GRAMSCI una nuova biografia” l’autore Angelo d’Orsi allo Spazio AUT di via Filippino 24 -Prato – giovedì 1° giugno ore 21.00

INVITO A PARTECIPARE

“GRAMSCI una nuova biografia” l’autore Angelo d’Orsi allo Spazio AUT di via Filippino 24 -Prato – giovedì 1° giugno ore 21.00

Qui di seguito: 1) chi è l’autore (prof. Angelo d’Orsi); 2) la sinossi del libro; 3) una delle letture che saranno presentate allo Spazio AUT da ALTROTEATRO Firenze

1)

Angelo d'Orsi

Angelo d’Orsi
Angelo d’Orsi è stato allievo di Norberto Bobbio ed è ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. Oltre alla storia delle idee e alla storia della cultura e dei gruppi intellettuali, si dedica a questioni di metodologia e di storia della storiografia. Da anni studia la vita e il pensiero di Antonio Gramsci. Tra i suoi libri: La cultura a Torino tra le due guerre, (Einaudi, 2000; Premio Acqui Storia), Intellettuali nel Novecento italiano (Einaudi, 2001), I chierici alla guerra. La seduzione bellica sugli intellettuali da Adua a Baghdad (Bollati Boringhieri, 2005), Guernica, 1937. Le bombe, la barbarie, la menzogna (Donzelli, 2007), L’Italia delle idee. Il pensiero politico in un secolo e mezzo di storia (Bruno Mondadori, 2011), Il nostro Gramsci. Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia (Viella, 2013), Gramsciana. Saggi su Antonio Gramsci (Mucchi, 2015; 2a ed.), Inchiesta su Gramsci (Accademia University Press, 2015), 1917. L’anno della rivoluzione (Laterza, 2016) e Gramsci. Una nuova biografia (Feltrinelli, 2017). Cura la Bibliografia Gramsciana Ragionata (I vol., Viella 2008), dirige “Historia Magistra”, rivista di storia critica, e “Gramsciana”, rivista internazionale di studi su Antonio Gramsci.

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“Arrestato alle ore 22,30 dell’8 novembre 1926, davanti all’ingresso di via Morgagni 25, dimora dei Passarge, l’onorevole Gramsci venne tradotto al carcere di Regina Coeli. In quella manciata di minuti fu decretata la fine, o quasi, dell’attività politica di un militante appassionato e coraggioso, anche se si aprì la strada all’opera di un gigante del pensiero, politico, ma non solo.”
Angelo d’Orsi racconta questa storia dall’infanzia in Sardegna agli studi a Torino, da Mosca a Vienna, da Roma al carcere di Turi, fino alla clinica romana dove spirerà il 27 aprile 1937. Personaggi pubblici e figure della vita privata, a cominciare dalla famiglia Schucht e dalla complessa vicenda amorosa con Giulia, attraversano la vita e la vicenda intellettuale e politica del più grande pensatore (e rivoluzionario) italiano del Novecento. Con una narrazione capace di restituire i drammatici eventi storici di cui Gramsci fu protagonista o testimone, facendosene interprete in tempo reale, d’Orsi getta luce sulla genealogia e sull’originalità del suo pensiero, percorrendo le convergenze, le collisioni e le interferenze con la storia della sinistra italiana e sovietica, e dei suoi protagonisti, da Togliatti a Bordiga, da Lenin a Trockij e a Stalin. Del “capo della classe operaia”, come lo definì Togliatti nel 1927, d’Orsi mostra lo sforzo crescente di superare le rigide barriere del “recinto del marxismo-leninismo”, all’insegna di un pensiero critico e antidogmatico, senza mai perdere di vista l’obiettivo che lo accompagnerà fino all’ultimo giorno: la liberazione del proletariato dalle sue catene.
E lo fa ascoltando le parole che ha lasciato, insieme alle testimonianze di chi gli era vicino, prima fra tutti la cognata Tania Schucht, e dei suoi compagni e avversari politici, con un’avvincente ricostruzione biografica, storica e politica che fa il punto sullo stato attuale degli studi, ma che è anche il racconto struggente di una personalità tormentata e profonda, dotata di un genio tanto penetrante da essere inattuale nel suo tempo e, forse, anche nel nostro.
La prima biografia che di Gramsci indaga l’intimo intreccio tra pensiero politico e vita affettiva, tra le vicissitudini della storia personale e della “grande storia”, e l’elaborazione di una nuova teoria generale del marxismo.

3) Saggio scolastico, manoscritto, probabilmente del novembre 1910, quando G. frequentava l’ultima classe del liceo Dettori di Cagliari

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1910
Oppressi ed oppressori

È davvero meravigliosa la lotta che l’umanità combatte da tempo immemorabile; lotta incessante, con cui essa tenta di strappare e lacerare tutti i vincoli che la libidine di dominio di un solo, di una classe, o anche di un intero popolo, tentano di imporle. È questa una epopea che ha avuto innumerevoli eroi ed è stata scritta dagli storici di tutto il mondo. L’uomo, che ad un certo tempo si sente forte, con la coscienza della propria responsabilità e del proprio valore, non vuole che alcun altro gli imponga la sua volontà e pretenda di controllare le sue azioni e il suo pensiero. Perché pare che sia un crudele destino per gli umani, questo istinto che li domina di volersi divorare l’un l’altro, invece di convergere le forze unite per lottare contro la natura e renderla sempre piú utile ai bisogni degli uomini. Invece, un popolo quando si sente forte e agguerrito, subito pensa a aggredire i suoi vicini, per cacciarli ed opprimerli. Perché è chiaro che ogni vincitore vuol distruggere il vinto. Ma l’uomo che per natura è ipocrito e finto, non dice già «io voglio conquistare per distruggere», ma, «io voglio conquistare per incivilire». E tutti gli altri, che lo invidiano, ma aspettano la loro volta per fare lo stesso, fingono di crederci e lodano.
Cosí abbiamo avuto che la civiltà ha tardato di piú ad espandersi e a progredire; abbiamo avuto che razze di uomini, nobili e intelligenti, sono state distrutte o sono in via di spegnersi. L’acquavite e l’oppio che i maestri di civiltà distribuivano loro abbondantemente, hanno compiuto la loro opera deleteria.
Poi un giorno si sparge la voce: uno studente ha ammazzato il governatore inglese delle Indie, oppure: gli italiani sono stati battuti a Dogali, oppure: i boxers hanno sterminato i missionari europei; e allora la vecchia Europa inorridita impreca contro i barbari, contro gli incivili, e una nuova crociata viene bandita contro quei popoli infelici.
E badate: i popoli europei hanno avuto i loro oppressori e hanno combattuto lotte sanguinose per liberarsene, ed ora innalzano statue e ricordi marmorei ai loro liberatori, ai loro eroi, e innalzano a religione nazionale il culto dei morti per la patria. Ma non andate a dire agli italiani, che gli austriaci erano venuti per portarci la civiltà: anche le colonne marmoree protesterebbero. Noi, sí, siamo andati per portare la civiltà ed infatti ora quei popoli ci sono affezionati e ringraziano il cielo della loro fortuna. Ma si sa; sic vos non vobis. La verità invece consiste in una brama insaziabile che tutti hanno di smungere i loro simili, di strappare loro quel po’ che hanno potuto risparmiare con privazioni. Le guerre sono fatte per il commercio, non per la civiltà: gli inglesi hanno bombardato non so quante città della Cina perché i cinesi non volevano sapere del loro oppio. Altro che civiltà! E russi e giapponesi si sono massacrati per avere il commercio della Corea e della Manciuria. Si delapidano le sostanze dei soggetti, si toglie loro ogni personalità; non basta però ai moderni civilissimi: i romani si accontentavano di legare i vinti al loro carro trionfale, ma poi riducevano a provincia la terra conquistata: ora invece si vorrebbe che tutti gli abitanti delle colonie sparissero per lasciar largo ai nuovi venuti.
Se poi una voce di onesto uomo si leva a rimproverare queste prepotenze, questi abusi, che la morale sociale e la civiltà sanamente intesa dovrebbero impedire, gli si ride in faccia; perché è un ingenuo, e non sa tutti i machiavellici cavilli che reggono la vita politica. Noi italiani adoriamo Garibaldi; fin da piccoli ci hanno insegnato ad ammirarlo, il Carducci ci ha entusiasmato con la sua leggenda garibaldina: se si domandasse ai fanciulli italiani chi vorrebbero essere, la gran maggioranza certo sceglierebbe di essere il biondo eroe. Mi ricordo che a una dimostrazione per una commemorazione dell’indipendenza, un compagno mi disse: ma perché tutti gridano: «viva Garibaldi! e nessuno: viva il re?» ed io non seppi darne una spiegazione. Insomma, in Italia dai rossi ai verdi, ai gialli idolatrano Garibaldi, ma nessuno veramente ne sa apprezzare le alte idealità; e quando i marinai italiani sono mandati a Creta per abbassare la bandiera greca innalzata dagli insorti e rimettere la bandiera turca, nessuno levò un grido di protesta. Già: la colpa era dei candioti che volevano turbare l’equilibrio europeo. E nessuno degli italiani che in quello stesso giorno forse acclamavano l’eroe liberatore della Sicilia, pensò che Garibaldi se fosse stato vivo, avrebbe sostenuto anche l’urto di tutte le potenze europee, pur di fare acquistare la libertà a un popolo. E poi si protesta se qualcuno viene a dirci che siamo un popolo di rètori!
E chi sa per quanto tempo ancora durerà questo contrasto. Il Carducci si domandava: «Quando il lavoro sarà lieto? Quando sicuro sarà l’amore?». Ma ancora si aspetta una risposta, e chi sa chi saprà darla. Molti dicono che ormai l’uomo tutto ciò che doveva conquistare nella libertà, e nella civiltà, l’abbia già fatto, e che ormai non gli resta che godere il frutto delle sue lotte. Invece, io credo che ben altro da fare ci sia ancora: gli uomini non sono che verniciati di civiltà; ma se appena sono scalfiti, subito appare la pellaccia del lupo. Gli istinti sono ammansati, ma non distrutti, e il diritto del piú forte è il solo riconosciuto. La Rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire una classe ad un’altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassate. L’umanità ha bisogno d’un altro lavacro di sangue per cancellare molte di queste ingiustizie: che i dominanti non si pentano allora d’aver lasciato le folle in uno stato di ignoranza e di ferocia quali sono adesso!

GRAMSCI - d'Orsi alla Feltrinelli

Cena ad AUT con Gramsci 001

GRAMSCI – una nuova biografia – ANGELO d’ORSI – GIOVEDI’ 1° GIUGNO – ORE 16.30 alla Feltrinelli di via Garibaldi – PRATO

GRAMSCI - d'Orsi alla Feltrinelli

GRAMSCI – una nuova biografia – ANGELO d’ORSI – GIOVEDI’ 1° GIUGNO – ORE 16.30 alla Feltrinelli di via Garibaldi – PRATO

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Lettera XLIX
La mia giornata 4 aprile 1927
Carissima Tania,
da qualche giorno ho cambiato di cella e di raggio (il carcere è diviso in raggi). Prima ero al 1° raggio, 13a cella; adesso sono al 2° raggio, 22a cella.
La mia vita trascorre, su per giú, come prima. Te la voglio descrivere un po’ minutamente;cosí ogni giorno potrai immaginare ciò che faccio.
La cella è ampia come una stanza da studente: a occhio la calcolo tre metri per quattro e mezzo, e tre e mezzo d’altezza. La finestra dà sul cortile, dove si prende l’aria: non è una finestra regolare, naturalmente: è una cosiddetta «bocca di lupo», con le sbarre all’interno; si può vedere solamente una fetta di cielo, non si può guardare nel cortile o lateralmente.
La disposizione di questa cella è peggiore della precedente che era esposta a sud sud-ovest (il sole si vedeva verso le dieci e alle due occupava il centro della cella con una striscia di almeno
sessanta centimetri); nell’attuale cella, che deve essere esposta a sud-ovest ovest; il sole si vede verso le due e sta in cella fin tardi, ma con una striscia di venticinque centimetri. In questa stagione, piú calda, forse cosí andrà meglio.
Inoltre: l’attuale cella è posta sull’officina meccanica del carcere e si sente il rombo delle macchine; ma mi abituerò.
La cella è molto semplice e molto complessa insieme. Ho una branda a muro con due materassi (uno di lana): la biancheria viene cambiata ogni quindici giorni circa. Ho un tavolino e una specie di comodino-armadio, uno specchio, un catino e una brocca di ferro smaltato. Possiedo molti oggetti in alluminio acquistati alla Rinascente, che ha organizzato un reparto nel carcere. Possiedo alcuni libri miei; ogni settimana ricevo in lettura otto libri della biblioteca del carcere (doppio abbonamento).
Al mattino mi levo alle sei e mezzo, alle sette suonano la sveglia: caffè, toilette, pulizia della cella; prendo mezzo litro di latte e ci mangio un panino; alle otto circa si va all’aria, che dura
due ore. Passeggio; studio la grammatica tedesca, leggo la Signorina-contadina di Puskin e imparo a memoria una ventina di righe del testo. Compro un giornale industriale-commerciale, e leggo
qualche notizia economica; il martedí compro il Corriere dei Piccoli, che mi diverte; il mercoledí la Domenica del Corriere; il venerdí il Guerin Meschino, cosiddetto umoristico. Dopo l’aria, caffè; ricevo tre giornali;il pranzo arriva in ore disparate, dalle dodici alle tre; riscaldo la minestra (in brodo o asciutta), mangio un pezzettino di carne (se è di vitello, perché non riesco ancora a mangiare la carne di manzo), un panetto, un pezzetto di formaggio (la frutta non mi piace) e un quarto di vino.
Leggo un libro, passeggio, rifletto su tante cose. Alle quattro, quattro e mezzo, ricevo altri due giornali.
Alle sette ceno (la cena arriva alle sei): minestra, due uova crude, un quarto di vino; il formaggio non riesco a mangiarlo. Alle sette e mezzo suona il silenzio; vado a letto e leggo dei libri fino
alle undici-dodici. Da due giorni, verso le nove bevo una chicchera di camomilla.
Ti abbraccio.
ANTONIO

NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE – p. 4

NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE – p. 4

“Ricordo che nella nostra classe c’erano 15 ragazze e quattro maschietti, buffissimi, imbranati da non credere, che di tanto in tanto si davano delle arie da grandi viveurs ma non accocchiavano mai nulla. Noi eravamo attratte da quelli dell’ultimo anno, che ci facevano la corte, anche se avevamo qualche remora, quando si avvicinava il “dunque?”. Già l’anno precedente, lo ricordo bene, fu un disastro: non si fecero le gite, almeno noi non riuscimmo ad organizzarne, ma ci fu il MakP 100 e noi che eravamo in prima ci andammo per curiosare. E anche allora i nostri genitori avevano accolto il nostro desiderio con qualche perplessità e alcuni di loro si erano coalizzati per controllare senza apparire che lo andassero facendo. C’era anche il sospetto che la curiosità fosse da collegare ad aspetti morbosi. Ma questo in verità lo abbiamo pensato quando eravamo ormai cresciute, almeno io”.

“Quella mattina, proseguiva Rosaria, mi ero addormentata tardi, perché non stavo in me per l’attesa ed avevo faticato di notte, riservando alle ultime ore prima della luce una parte della mia stanchezza. Ma mi svegliai con il canto del gallo, che poi era quello della mia sveglia che mi avevano regalato i nonni materni da bambina, e fui in piedi come un grillo per prepararmi. Mia madre era già sveglia e mi aveva preparato dei panini con la frittata, che erano una delle delizie che mi attraevano di più sin da quando avevo scoperto che erano il pasto preferito da mio nonno, quando da giovane lavorava ai cantieri navali. L’aria quella mattina era limpida; era l’alba. Mio padre mi accompagnò; per strada ci fermammo ad Arco Felice per prendere Elisa, più o meno come faceva gli altri giorni per portarci a scuola.
Ma era molto più presto, stavolta e la giornata era tutta per noi.

Saremmo tornate di sera: la nave, quando arrivammo al porto di Pozzuoli era già pronta, ma non ci permettevano di salire. Bisognava fare prima l’appello; e così ci sistemammo in un angolo dove avevamo visto due dei nostri professori e salutammo mio padre, che si era raccomandato al prof di latino di darci un’occhiata, di non perderci di vista, rassicurandosi sull’orario di ritorno, più o meno verso le 20, poco più o poco meno, aveva detto il prof. La banchina era un caos di ragazze e ragazzi vocianti e solo dopo che i nostri professori avevano completato l’appello, verificando che tutti ci fossero, ci chiesero di stare in blocco e andarono verso la nave, insieme agli altri loro colleghi, che avevano completato l’appello; e poi ognuno di loro chiamava la sua classe ed in fila ci contavano come le pecore facendoci passare per uno stretto varco. Avevamo notato che c’erano altri gruppi classe che si attardavano, e non salirono a bordo se non quando uno dei marinai non disse loro qualcosa che poi capimmo essere una sollecitazione perché il posto dove era la nostra nave doveva essere occupato da un altro dei vaporetti di linea del golfo di Napoli….

….fine parte 4…. continua….

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MAURO FONDI a “IL DOMINO LETTERARIO” – SPAZIO AUT – via Filippino 24 – Prato – MERCOLEDI’ 24 MAGGIO 2017 ORE 21.00

MAURO FONDI a “IL DOMINO LETTERARIO” – SPAZIO AUT – via Filippino 24 – Prato – MERCOLEDI’ 24 MAGGIO 2017 ORE 21.00

FONDI a Domino AUT 001

AngiolinoUn libro si legge se vi è la curiosità di approfondire il tema che viene annunciato dal titolo e dalla copertina; un libro si legge perché l’autore te ne fa omaggio e ti sei impegnato a presentarlo in una delle prossime occasioni; un libro si legge perchè l’amico che lo ha letto te ne parla così bene da spingerti a farlo; un libro si legge perché dopo le primissime pagine ti prende la voglia di continuare e continuare e continuare…a leggerlo fino alla fine. Diciamo così: il libro che Mauro mi ha portato durante uno degli incontri politici delle ultime settimane, quegli incontri ai quali si partecipa per poter capire quali speranze ha il nostro Paese, quegli incontri nei quali si entra con ottimismo ed entusiasmo e se ne esce (questo accade a me, ovviamente) con delusioni e pessimismo, è appunto “ANGIOLINO si doveva chiamare Benedetti” che mercoledì sera Chiara Gori sotto l’occhio e l’orecchio vigile del sottoscritto presenterà allo Spazio AUT di via Filippino 24 a Prato. Mauro ha presentato questo libro già in altre realtà cittadine e credo non solo cittadine ma io non ho avuto occasione di assistervi. Peraltro nell’ultima presentazione a “L’Hospice” in Piazza del Collegio sono arrivato ma ho preferito eclissarmi per evitare di dover ripetere qualcosa che avrei potuto sentire (sono fatto così, voglio rischiare di dire le stesse cose ma non voglio che mi si dica che ho copiato). Mauro poi si è lamentato perché nessuno gli pone critiche negative e rilievi ed allora in coda all’incontro di presentazione del libro di Giardi e Mannori alla Libreria Mondadori gliene ho proposta una: la suddivisione in quadri separati della vicenda non mi convince del tutto. Ma, per davvero, questa critica è poca cosa rispetto all’intero impianto narrativo del suo romanzo. Piuttosto avrei bloccato il titolo con ANGIOLINO e non avrei aggiunto altro.

Questo lavoro di Mauro Fondi è un tipico esempio di romanzo di “auto-Formazione” strutturato per quadri ognuno dei quali ha un titolo. Esso è il risultato di una ricerca delle proprie radici e rappresenta un utile esempio per quanti altri (e davvero ce ne sono tanti e sono ancora pochi) vogliano accingersi con modalità simili o diverse a ricostruire la propria storia, vangando e rivangando i territori del passato, quello degli antenati vicini così simili ai nostri. La storia di Angiolo ed Annunziata dalla quale prendono il via le epiche e drammatiche vicende narrate e quella dei loro figli rappresenta anche il movimento della gente comune, quella di tutti i tempi, quasi sempre – ma non solo – la più povera.

Scritto con un linguaggio piano, semplice, mai complesso o involuto, ci mostra a pieno i connotati principali di un popolo operoso nel bene o nel male (lo sfruttamento minorile o il contrabbando) come quello toscano, ricco di quella particolare cultura contadina che mette in evidenza la pratica del fare.

Tutti i protagonisti dai più ai meno importanti fanno emergere l’orgoglio del loro lavoro o del loro impegno sin dall’avvio del romanzo nel prologo, e via via lungo l’intero percorso della vicenda che prende inizio da una provvidenziale agnizione nel senso più classico del genere mitologico e favolistico. Mauro Fondi assume i panni ed i connotati del vecchio Ettore, un vagabondo prima per necessità e poi per scelta che assomiglia molto ai vecchi saggi narratori cha hanno fatto la storia delle contrade toscane fino agli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Mauro come Ettore conduce per mano il lettore alla ricerca del passato per riportarlo poi al presente.

Non vi dico null’altro perché la storia è molto ricca ed articolata e va gustata in modo diretto.

FONDI a Domino AUT 001

NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE p.3

eremo

NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE p.3

Poco prima, infatti, erano arrivate anche delle telefonate da parte di amici che si scusavano ma non se la sentivano di uscire; in verità tutti dicevano che la visibilità era ridotta a zero, che non avevano mai visto una cosa così. A Gipo, appassionato di cinema, ricordava il film di Carpenter “Fog” e i suoi trascorsi tra la valle Padana e le valli tra Feltre e Belluno. Ma a Prato nessuno ricordava una nebbia così. Gipo poi ne aveva in mente un’altra di nebbia, ma era molto più lontana….agli inizi degli anni settanta del secolo prima. Anche in quel caso il luogo dove la nebbia calò in modo pesante, senza vento, era del tutto anomalo per fenomeni di quel genere.

Gipo aveva fatto preparare una torta a Mina, la ragazza del Circolo, esperta in produzioni sia dolci che salate: straordinariamente apprezzate erano le sue “pizze” ma anche la “Sacher” che avrebbe fatto gola allo stesso Nanni Moretti. Ed in onore proprio del Cinema si optò per quest’ultima. Intanto, mentre la si affettava e si stappava una buona bottiglia di Cartizze, eredità del passato ai margini delle colline di Valdobbiadene, e proprio per onorare l’arte cinematografica, Gipo fece partire un mediometraggio al quale teneva moltissimo. Studiando una composizione di immagini tratte da film o da pubblicità, Gipo aveva incrociato la produzione di una marca di pasta, la Garofalo di Gragnano, che per promuovere il suo marchio aveva realizzato interamente alcuni film brevi ma di alto valore sia per i protagonisti che per i direttori, gli autori, i registi.
Tra questi quello che più lo aveva colpito era stato “The (W)Hol(l)y Family”, scritto proprio così, allo scopo di accostare la “Sacra Famiglia” ad una “Interamente famiglia” o “Una famiglia che si ricompone”. L’autore di quel film era uno dei fondatori dei mitici “Monthy Python”, Terry Gilliam e la storia narrata era ambientata tra Napoli e Bacoli, proprio i luoghi di origine di Rosaria e Gipo.

……………………………………

“Ho un ricordo anche io di una nebbia pesante e densissima. Avevo 15 anni e la mia scuola aveva organizzato una gita un po’ diversa dalle solite anche se in linea con la realtà dove vivevamo” disse Rosaria. “Andammo all’isola di Ponza. Noleggiammo una nave dalla compagnia di navigazione del Golfo di Napoli. Era subito dopo il primo Maggio, non ricordo di preciso. Era una splendida giornata sin dall’alba. Cielo sgombro di nubi; un bel caldo più che primaverile…”.

…fine parte 3….continua

DISGUSTO – RIPUGNANZA – NAUSEA sono i sinonimi di “schifo” ed è quel che provo…..

DISGUSTO – RIPUGNANZA – NAUSEA sono i sinonimi di “schifo” ed è quel che provo…..

PERCHE’?

A chi chiede il perché alcuni di noi che hanno fondato il PD ritengono che quello di ora è il risultato di una trasformazione maligna di tipo antropologico culturale non si fa fatica a rispondere con un’altra domanda, altrettanto retorica: “Mentre più di centomila cittadine e cittadini erano a Milano alla Marcia antirazzista dove si trovava il Segretario riconfermato del PD, Matteo Renzi, il quale ha declinato l’invito a partecipare dicendo che era impegnato “altrove”?”.

Il luogo dove si trovava era a Milano in Viale Pasubio a 7 minuti da Porta Venezia, da dove la Marcia è partita (due chilometri e mezzo di distanza).
Ma ciò che è maggiormente significativo è che si trovava a parlare in quella che “inopinatamente” è stata dedicata a Pier Paolo Pasolini come Scuola del Partito Democratico.
Proprio Pier Paolo Pasolini che ai temi della multiculturalità, della accoglienza, della condivisione, dell’apertura delle frontiere aveva dedicato pagine e pagine, a partire da quella bellissima lirica “Alì dagli occhi azzurri”.

…………………………

Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici,e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno,
come da malandrini a malandrini:
” Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!”
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.

……………………..
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantavano
ai massacri dei re,
essi che ballavano
alle guerre borghesi,
essi che pregavano
alle lotte operaie…

Non c’è bisogno di dire altro se non che da una parte Pasolini è stato “infangato”, “ucciso” ancora una volta da questi arroganti venditori di illusioni, al cui capo si è posto Matteo Renzi; dall’altra con molta franchezza provo un senso di ripulsa sempre più forte verso coloro che guardano con speranza (!!!) al futuro del nostro Paese, aderendo o sostenendo da fuori il Partito Democratico.

GIUSEPPE MADDALUNO

NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE p. 2

NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE p. 2

(la prima parte è stata pubblicata il 17 maggio u.s.)

E Gipo non ci pensò su due volte. “Erika, ti presento Rosaria. Potrebbe essere la persona giusta!” La prescelta si schermì sorridendo, ma Erika non le diede scampo. “Allora, scambiamoci il numero di cellulare. Stasera ti chiamo e fissiamo”. Era una ragazza pimpante e decisa, non era facile dirle di no. Ovviamente, se Rosaria avesse accettato poteva farlo anche con Gipo, che aveva in animo di costruire un gruppo per una modalità di teatro fatto di letture su temi sempre diversi o per supportare presentazioni di libri. E così accadde che di lì a poco il telefono di Rosaria ricevette, dopo quella di Erika, la proposta di Gipo.

“A che ora pensate di avviare la presentazione?” lo andava chiedendo ripetutamente il Presidente del circolo.

Erano già le 21.15 e mancavano all’appello Rosaria e Flo: Manlio, il quarto della compagnia, era già arrivato poco prima e si andava preparando in un angolino della sala, ripetendo gesti ed intonazioni in forma silente, bisbigliando come le “beghine” tra i banchi delle chiesette. Arrivando aveva annunciato che c’erano state delle difficoltà nel pur breve viaggio (abitava a un paio di chilometri dall’altra parte della città) a causa di una nebbia che stava calando, a causa della quale c’era stato anche qualche piccolo incidente. Prato non ha quasi mai conosciuto la nebbia, essendo collocata allo sbocco di una vallata appenninica dalla quale spira sempre un gran vento; e nessuno ci è abituato. In effetti sembrava anche strano che di pubblico a quell’ora non ce ne fosse: l’argomento non era di certo ostico, nè filosofico nè politico nè tantomeno scientifico a livello di grande ricerca; e poi il gruppo era anche conosciuto ed era seguito, in altre sedi aveva ben funzionato. Erano le 21.30 e solo a quell’ora arrivarono Rosaria e Flo accompagnate da Satore, il marito di Rosaria, che ci salutò: “C’è una gran nebbia; non si vede quasi più nulla. Abbiamo dovuto procedere a passo d’uomo o forse molto meno”. Il pubblico a quell’ora era composto dalla compagnia “allargata”, dal Presidente del Circolo e da due componenti del Consiglio, che normalmente operavano lì.
Che fare? Gipo si sedette chiedendo agli altri di fare lo stesso e poi, con il telecomando, avviò la proiezione di alcuni spot pubblicitari intorno al tema del Cibo, abbassando però al massimo il sonoro e senza spegnere le luci. Lo fece così tanto per aspettare nella speranza che a quell’ora, ormai erano le 21.45, qualcun altro arrivasse. Chiese poi a Rosaria e Manlio di leggere nel frattempo qualcosa, a mo’ di prova aperta, senza necessariamente mantenere l’ordine della scaletta sulla quale si erano preparati. Alle 22.00 poi ci si guardò negli occhi e concordemente si decise che si poteva annullare il tutto, chiedendo però al Presidente se ci poteva portare qualcosa da mangiare e da bere: lo avevamo concordato in cambio del nostro impegno, ma Gipo aggiunse: “Ovviamente, ciascuno di noi contribuirà alle spese”.

…fine parte 2…. continua

Nebbia_in_città