UN RACCONTO D’ESTATE – aule di università

UN RACCONTO D’ESTATE – aule di università

All’improvviso un tonfo.
La tensione di quella sessione d’esame aveva fatto una vittima. Adele apparentemente sicura di se stessa aveva avanzato addirittura una richiesta al prof di Fisiologia “Vorrei essere la prima, anche se l’ordine dell’appello mi vede al numero 6”. Il prof non aveva nulla in contrario tranne che “Prova a sentire i tuoi colleghi, anche se immagino non avranno nulla da ridire!”.

Adele però non lo aveva richiesto e non appena entrò il prof seguito dai due suoi assistenti gli andò incontro. Tutto intorno si era fatto il silenzio e gli studenti non capirono un’acca di quel che si dissero il prof “D’accordo, d’accordo; metto in ordine le schede e le camicie e ti chiamo. Hai sentito gli altri?” e la giovane quasi sussurrando “No prof, ci ho ripensato; mi chiami come seconda, anzi no, terza. Via! Facciamo così”.

Giacomo Veneri, prof di Fisiologia, era molto conosciuto per il suo rigore e la rettitudine oltre che per la competenza; non sempre i docenti all’Università si presentano con questi valori: il Veneri però incuteva rispetto e paura, sì, vera e propria “paura” perché l’Esame con lui era molto molto difficile, anche se non lo si poteva definire una “carogna”. Lui lo sapeva – era la sua natura – e cercava costantemente di rasserenare i suoi allievi: anche con Adele aveva avuto questo comportamento, andando incontro a quel desiderio di liberarsi prima possibile di quel peso che la sua materia rappresentava per gli studenti di Scienze biologiche. Con tutta la sua buona volontà, però, non riusciva a garantire ad alcuno che l’esame sarebbe andato a buon fine: non era irrispettoso dei limiti oggettivi della stragrande maggioranza dei suoi allievi; gli studi di Biologia erano fondati su dati scientifici, mica su quelli filosofici, dove potevi rigirare tutte le “frittate” di questo mondo. Non era uno “stronzo”!

Altri semmai lo erano, come quelli che irridevano gli studenti che incappavano in infortuni per non essere stati in grado di rispondere positivamente a domande che erano sadicamente poste in maniera a volte anche poco chiara proprio per farli cascare. Lui no, lui era buono, anche se di quella bontà che poi a nulla poteva servire se non a lenire moralmente gli studenti nella sofferenza di doversi arrendere all’evidenza: “Forse non ha studiato fino in fondo; sarebbe ben opportuno che lei ritorni tra un mese al prossimo appello. Se vuole la posso anche aiutare ad orientarsi meglio. La prossima settimana fissi un appuntamento con il mio assistente.” Sì, il Veneri non si risparmiava; d’altronde il Laboratorio era la sua seconda casa: a qualcuno era venuto in testa che fosse addirittura la “prima ed unica”, era il primo ad arrivare e l’ultimo a lasciarlo tutti i santi giorni, spesso anche di sabato e di domenica, quando gli esperimenti dovevano essere controllati “a vista”. E l’appuntamento non era un “modo di dire” come quello di qualche vecchio docente bavoso che pregustava disponibilità possibili da parte delle giovani e belle studentesse.

Adele era la sesta; aveva chiesto di essere la prima poi la seconda e poi la terza, ma ci aveva ancor più ripensato dopo che sia il primo che la seconda non erano riusciti a condurre in porto l’esame ed addirittura la terza si era ritirata: o, meglio, era sparita mentre il Veneri trascriveva le domande che aveva rivolto alla seconda e si era eclissata senza un “bah!”. A quel punto il Veneri aveva chiamato “Adele Congia!” e lei “No, prof, via. Verrò quando sarà il mio turno”.
Il tonfo si era sentito mentre il colloquio con il quinto studente stava ben procedendo con reciproca soddisfazione anche se lo dovettero interrompere per soccorrere Adele, che era svenuta. Fu Giovanni il primo degli assistenti di Giacomo Veneri a scendere dalla cattedra e ad aiutare Adele a riprendersi, affidandola alla bidella del piano perché provvedesse a darle un po’ di acqua e zucchero per risollevarle la pressione.

Quel giorno però lei non volle fare l’esame, era stata una giornata di vera e propria strage: su 24 solo 4 lo avevano superato e nessuno di loro con voto pieno. Anzi, tre avevano appena raggiunto il minimo indispensabile ed il quarto, che poi era una ragazza, si era fermato ad un misero 23.
Ad Adele sarebbe bastato anche un 18 ma a quel punto non se la sentì di provare e ritornò a casa facendosi accompagnare da Filippo, uno degli studenti che non erano “passati”. “Ho provato ad insistere con il prof chiedendo che mi facesse un’altra domanda…ho anche insistito dopo i silenzi sulle prime due; mi ha fatto capire che non era il caso… e che studiassi un po’ di più. Forse ha ragione, che dire?”. “Perché non proviamo a studiare insieme?” aggiunse Adele “non ero molto sicura, lo avrai capito, no?”.

Joshua Madalon

Fisiologia

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