ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 5

ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 5

5.
Questo è il primo misfatto: ora viene il secondo. Si legge sul solito documento.
“I cittadini di Partinico, donne comprese, proseguiranno l’azione giovedì 2 febbraio come è detto nella loro dichiarazione:
“Milioni di uomini nelle nostre zone stanno sei mesi all’anno con le mani in mano. Stare sei mesi all’anno con le mani in mano è gravissimo reato contro la nostra famiglia contro la società. Solo qui in Partinico su 25000 abitanti siamo in più di 7000 con le mani in mano per sei mesi all’anno e 7000 bambini e giovanetti non sono in grado di apprendere quanto assolutamente dovrebbero. Non vogliamo essere dei lazzaroni, non vogliamo arrangiarci da banditi: vogliamo collaborare esattamente alla vita, vogliamo il bene di tutti: e nessuno ci dica che questo è un reato.
“E’ nostro dovere di padri e di cittadini collaborare generosamente perché cambi il volto della terra, bandendo gli assassini di ogni genere. Chiediamo alle autorità, di collaborare con noi, indicando quali opere dobbiamo fare e come: altrimenti, assistiti dai tecnici, cominceremo dalle più urgenti.
” Perché sia più limpido a tutti il nostro muoverci, digiuneremo lunedì 30 gennaio; giovedì 2
febbraio cominceremo il lavoro. Frangeremo il pane con le mani.
“Vogliamo essere padri e madri anche noi e cittadini.”
Seguono circa 700 firme.

Anche le circostanze di questo secondo misfatto sono chiare.
Ci sono a Partinico, oltre pescatori, altre migliaia di disoccupati. La Costituzione dice che il lavoro è un diritto e un dovere. Allora, che cosa fanno questi settemila disoccupati: invadono le terre dei ricchi, saccheggiano i negozi alimentari, assaltano i palazzi, si danno alla macchia, diventano banditi?
No. Decidono di lavorare: di lavorare gratuitamente; di lavorare nell’interesse pubblico.
Nelle vicinanze del paese si trova, abbandonata, una trazzera destinata al passo pubblico; nessuno ci passa più, perché il comune non provvede, come dovrebbe, alla sua manutenzione; è resa impraticabile dalle buche e dal fango. Allora i disoccupati dicono: “Ci metteremo a riparare gratuitamente la trazzera , la nostra trazzera. Ci redimeremo, lavorando da questo avvilimento quotidiano, da questa quotidiana istigazione al delitto che è l’ozio forzato. In grazia del nostro lavoro la strada tornerà ad essere praticabile. I cittadini ci passeranno meglio. Il sindaco ci ringrazierà”. Che cosa è questo? E’ la stessa cosa che avviene quando, dopo una grande nevicata, se il Comune non provvede a far spalare la neve sulle vie pubbliche, i cittadini volenterosi si organizzano in squadre per fare essi, di loro iniziativa, ciò che la pubblica autorità dovrebbe fare e non fa; e la stessa cosa che avviene, e spesso è avvenuta, quando, a causa di uno sciopero degli spazzini pubblici, i cittadini volenterosi si sono messi a rimuovere dalle strade cittadine le immondizie e in questo modo si sono resi benemeriti della salute di tutti.
Giustamente uno dei difensori che mi hanno preceduto, il collega Taormina, ha detto che questo è un caso di “negotiorum gestio”: un caso, si potrebbe dire, di esercizio privato di pubbliche funzioni volontariamente assunte dai cittadini a servizio della comunità e in ossequio al senso di solidarietà civica.
Allora, per impedire anche questo secondo misfatto, arrivano i soliti commissari Lo Corte e Di Giorgi, e questa volta non si limitano alle diffida e questa volta non si limitano alle diffide. Questa volta fanno di più e di meglio: aggrediscono questi uomini mentre pacificamente lavorano a piccoli gruppi dispersi sulla trazzera, strappano dalle loro mani gli strumenti del lavoro, lì incatenano e li trascinano nel fango, tirandoli per le catene come carne insaccata, come bestie da macello.
Bene.
Rimane dunque inteso che digiunare in pubblico è una manifestazione sediziosa; che lavorare gratuitamente per pubblica utilità, per rendere più strada una pubblica strada, è una manifestazione sediziosa.
E a questo punto interviene il giudice istruttore a dare il suo giudizio: “spiccata capacità a delinquere”.
E poi riprende la parola il P.M.: “otto mesi di reclusione a Danilo Dolci e ai suoi complici”.
Bene. Ma come può essere avvenuto questo capovolgimento, non dico del senso giuridico, ma del senso morale e perfino del senso comune?
Guardiamo di rendercene conto con serenità.
Al centro di questa vicenda giudiziaria c’è, come la scena madre di un dramma, un dialogo tra due personaggi, ognuno dei quali ha assunto senza accorgersene un valore simbolico.
E’, tradotto in cruda rossa di cronaca giudiziaria, il dialogo eterno tra Creonte e Antigone, tra Creonte che difende la cieca legalità e Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza, alle “leggi non scritte” che preannunciano l’avvenire.
Nella traduzione di oggi, Danilo dice: “per noi la vera legge e la Costituzione democratica”; il commissario Di Giorgi risponde: “per noi l’unica legge è il test unico di pubblica sicurezza del
tempo fascista”.
Anche qui il contrasto è come quello tra Antigone e Creonte: tra la umana giustizia e i regolamenti di polizia; con questo solo di diverso, che qui Danilo non invoca leggi “non scritte”. (Perché, per chi non lo sapesse ancora, la nostra Costituzione è già stata scritta da dieci anni.)
Chi dei due interlocutori ha ragione?
Forse, a guardare alla lettera, hanno ragione tutt’e due.
Ma a chi spetta, non dico il peso e la responsabilità, ma dico il vanto di decidere, sotto questo contrasto letterale, da che parte è la verità: a chi spetta sciogliere queste antinomie?
Siete voi, o Giudici, che avete questa gloria: voi che nella vostra coscienza, come in un alambicco chimico, dovete fare la sintesi di questi opposti.
E qui affiora il secondo sul quale io mi trovo in dissidio con le premesse affermate dal P.M.:, quando egli ha detto che i giudici non devono tener conto delle “correnti di pensiero”, che i
testimoni accorsi da tutta Italia hanno fatto passare in questa aula.
Ma che cosa sono le leggi , illustre rappresentante del P.M. se non esse stesse “correnti di pensiero”? Se non fossero questo, non sarebbero che carta morta: se lo lascio andare, questo libro dei codici che ho in mano, cade sul banco come un peso inerte.
E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarvi entrare l’aria che respiriamo, mettervi dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue e il nostro pianto.
Altrimenti le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino sante, vanno riempite con la nostra volontà.
Voi non potete ignorare, signori Giudici, poiché anche voi vivete la vita di tutti i cittadini italiani, il carattere eccezionale e conturbante del nostro tempo: che è un tempo di trasformazione sociale e di grandi promesse, che prima o poi dovranno essere adempiute: felici i giovani che hanno davanti a se il tempo per vederle compiute!
Questo è uno di quei periodi, che ogni tanto si presentano nella vita dei popoli, in cui la gloria di poter costruire pacificamente l’avvenire, il vanto di poter guidare entro la legalità questa
trasformazione sociale che è in atto e che non si ferma più, spetta soprattutto ai giudici. Nella storia millenaria del nostro paese più volte si sono presentati questi periodi di trapasso da un ordinamento sociale ad un altro, durante i quali l’altissimo compito di adeguare il diritto alle esigenze della nuova società in formazione è stato assunto dalla giurisprudenza: basta pensare ai responsa dei prudentes, che hanno gradualmente fatto vivere nella rigidezza del diritto quiritario lo spirito cristiano trionfante nella legislazione giustinianea, o alle opiniones doctorum, che attraverso la decisione di singoli casi giudiziari hanno introdotto negli schemi del diritto feudale lo spirito umanistico del diritto comune.

…continua….

-a cura di Joshua Madalon –

“Carlo Monni – Balenando in burrasca” a cura di Pilade Cantini – Edizioni Clichy Collana “Sorbonne” 2016

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Lo scorso 28 dicembre pubblicando il post di cui sopra riporto lo shortlink scrivevo “…tratterò di un altro libro di Pilade Cantini dedicato al Monni, nel ricordare i quattro anni dalla sua scomparsa e i due esatti da quella del Casaglieri…” ed eccomi a voi con questo nuovo post, come promesso.

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“Carlo Monni – Balenando in burrasca” a cura di Pilade Cantini – Edizioni Clichy Collana “Sorbonne” 2016

Sarà per il richiamo tipicamente di natura letteraria che ne caratterizza il titolo…ma sarà anche il piacere ed il dolore, il dolore ed il piacere che si accompagna al ricordo di questo nobile personaggio delle campagne campobisentine che ha accompagnato il tempo della mia esperienza negli anni della maturità…sarà per il consiglio che mi è indirettamente pervenuto attraverso un’altra piccola grande stimolante operina che è “Il Manifesto del Partito Comunista in ottava rima” di Pilade Cantini, sarà per questo e tanto altro che non posso esimermi dal dedicare uno spazio a Carlo Monni, utilizzando questo “Balenando in burrasca” che a me sembra proprio la migliore evocazione antropologica e biografica che riesca a rendere a pieno la complessità dell’universo monniano.
Carlo Monni ha avuto la capacità di presentare la “poesia” di grandi autori come Angiolieri, Dante, Campana, Cardarelli, Prévert assumendola come personale espressione della sua naturale irrequietezza ed insieme dolcezza. Il suo essere nel corpo tozzo contadino si elevava nel divenire idealmente angelo per poi precipitare con una quasi inattesa naturalezza in un’edonistica materialità, riportando gli spettatori in quel mondo fatto di passioni veraci ed istintive, mai volgari, rappresentative della forza che la “letteratura” possiede quando si innerva in un contesto popolare.
Ad osservarlo bene, questo artista, non può che farci rammaricare di non averlo visto recitare Shakespeare quando nel 2009 con la regia di Andrea Bruno Savelli portò in scena il “Falstaff” in una libera interpretazione di quei due testi che afferiscono al mondo della crapula e della dissacrazione; sempre con Shakespeare e la sua poesia Monni aveva creato un sodalizio forte, e amava presentarla ai suoi pubblici.
Scorrendo le pagine del libro di Pilade Cantini sentiamo ancora una volta la sua voce, suadente, naturalmente impostata (la sua scuola è stata la strada, i circoli, i teatrini, i locali popolari fumosi come bettole, osterie, i viali delle periferie come Le Cascine) ripetere i versi del Campana

Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento
Che gonfia di vane sequele
Le vele le vele le vele!
Che tesson e tesson: lamento
Volubil che l’onda che ammorza
Ne l’onda volubile smorza…
Ne l’ultimo schianto crudele…
Le vele le vele le vele

o quelli del Cardarelli da cui il Cantini ha tratto ispirazione per il titolo

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

o ancora quei versi “eterni” che celebrano il “supremo motore dell’Universo” con il quinto canto dell’Inferno dantesco o con “Questo amore” di Jacques Prévert (il cui cognome Monni pronuncia in modo evidentemente “toscano” con la “t” finale ben nitida) o in quelli corrosivi dell’Angiolieri o quegli altri colti e triviali dell’Aretino, accompagnati da contributi “fai da te” della periferia fiorentina.

Devo anche dire che mi è molto difficile sintetizzare le pagine di questo “Balenando in burrasca” che è in maniera esclusiva un “atto d’amore e d’amicizia” dell’autore verso Carlo Monni, basato essenzialmente sui percorsi comuni nei variegati territori teatrali della Toscana. In un andirivieni tra diversi momenti del passato, Pilade Cantini racconta il suo “incontro” con Carlo Monni ed il suo mondo. Il libretto è corredato di riferimenti biografici essenziali, di una Teatrografia e di una Filmografia.

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Joshua Madalon

FUOCHI – un percorso nella memoria – parte 5 con una breve premessa ed un preambolo

FUOCHI – un percorso nella memoria – parte 5 con una breve premessa ed un preambolo

Riprendo un racconto che avevo interrotto lo scorso 9 dicembre (parte 4) che era stato preceduto il 22 novembre dalla parte 3, l’ 8 di quello stesso mese per la parte 2 e per la prima parte il 5 novembre.
Il racconto partendo da eventi occasionali – esposti tuttavia in una parte introduttiva relativa ad una recensione datata 13 settembre 2014 che qui sotto riporto – si spinge poi nelle due parti conclusive (la quinta, questa!) e la sesta, che pubblicherò nei prossimi giorni, a rievocare una Festa de “l’Unità”, una delle tante, ora che sono diventate solo un ricordo!


FUOCHI di Joshua Madalon – Un preambolo (13 SETTEMBRE 2014)

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I fuochi d’artificio non si guardano mai da soli; sin da bambini ci hanno abituati a goderli “insieme” agli altri. E ancora adesso che ho figli adulti quando mi capita di sentire scoppiettii mentre lavoro in casa nelle notti sempre più insonni li chiamo a raccolta per goderne gli effetti variopinti e fantasmagorici. Se devo andare con la memoria a dei “fuochi” particolari nella mia mente ce ne è uno che ha rappresentato l’arrivederci per un gruppo di amici che, dopo poco, si è distribuito su territori diversi per lavoro. Di qualcuno di questi ho il profondo rimpianto di non poterlo rivedere. Eravamo ventenni ed a fine Agosto a Procida sul costone del sentiero che porta a “Fore Serra” e che guarda dall’alto Ciraccio, Chiaiolella, Vivara e Ischia attendevamo intorno alla mezzanotte i tradizionali “fuochi” della festa dedicata a San Giovan Giuseppe della Croce. E’ un ricordo per diversi motivi malinconico ma straordinariamente fissato nella mia memoria che ritorna ogni volta che assisto ai “fuochi” anche qui, dove vivo da alcuni anni, a Prato.
Ed è stato così giocoforza riandarci con la mente, avviando la lettura di “Vinicio Sparafuoco detto Toccacielo” scritto da Vincenzo Gambardella. L’autore sarà presente a “Libri di mare libri di terra” Festival della Letteratura nei Campi Flegrei che si svolgerà a Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida dal 26 al 28 settembre. Ho già scritto nell’anticipazione che si trattava di un libro complesso e difficile, e mi riferivo in particolare alla qualità della scrittura che si basa su una prosa tecnica elaborata con un gergo popolare che, sin dall’inizio, impone al lettore una revisione profonda nell’approccio consuetudinario ai testi che circolano correntemente. Ma, attenzione, il mio è un giudizio condizionato dall’impressione che ho avuto dopo letture di ottimo livello ma caratterizzate da lessici a me familiari. Niente di tutto questo troverete in “Vinicio Sparafuoco…”! Ma dopo la prima fatica vi assicuro, e lo sottolineo senza ambiguità e condiscendenza supina o piaggeria che dir si voglia, che ci si trova davanti ad un autentico capolavoro letterario.

La storia narrata è quella di un gruppo di amici che si formano intorno al protagonista Vinicio Pierro come fuochisti. Nel libro il gergo particolare di questa professione è spesso utilizzato in modo scientificamente appropriato e potrebbe servire come “manuale per i principianti” (io stesso sono andato a ricercare sul web alcuni termini come “calcasse”). Insieme questa allegra brigata (ma vi saranno momenti tristi e drammatici anche se raccontati con estrema semplicità) partirà dal golfo di Pozzuoli per andare verso il Nord fino all’algida Germania per poi dopo vicende cui non accenno far ritorno in Costiera amalfitana (Minori) dove alcuni sogni trovano il loro positivo approdo. Se ho dato questo giudizio entusiastico lo si deve al lessico ed alla sintassi frizzante, scoppiettante e variopinta come i fuochi d’artificio. La descrizione dei personaggi è precisa e dettagliata a partire da Vinicio, cuore semplice, generoso ed umile all’inverosimile in una realtà come quella con cui siamo abituati a lottare quotidianamente, un “cuore gioioso” come lui stesso dice di sé con toni ingenui, primitivi e colti allo stesso tempo ma di una cultura popolare che è sempre più martoriata e trascurata (leggansi le “lettere” che Vinicio – in più occasioni – e Costanzo Ceravolo detto Magnesio scrivono anche a personaggi importantissimi come il Negus, la Regina d’Inghilterra e papa Wojtyla). Insieme a queste sono pagine di grande letteratura quelle dedicate alla storia di San Gioacchino e Sant’Anna, il cui culto è praticato a Bacoli, la terra flegrea da cui partono i nostri personaggi ed altre che non mancheranno di coinvolgervi e di trasmettervi piacere, se coglierete il mio consiglio di leggere “Vinicio Sparafuoco detto Toccacielo” di Vincenzo Gambardella edizioni “ad est dell’equatore” collana liquid.

FUOCHI – parte 5

Salutai rapidamente alcune compagne che erano sedute davanti alla tenda della Direzione, e che mi avevano invitato a stare con loro per discutere delle questioni politiche di inizio estate, che erano quasi sempre legate ad aspetti marginali, e anche per questo motivo feci segno che ci saremmo visti dopo, un dopo generico, e che ero impegnato con i pargoli, che non avrebbero troppo a lungo tollerato le mie distrazioni. Infatti già prima del mio fugace saluto non degnarono di alcuna attenzione le signore e proseguirono il loro cammino verso uno spiazzo dal quale provenivano musiche e voci, entrambi incomprensibili.
All’improvviso si aprì un varco nella vegetazione e le musiche e le voci divennero ben più vicine ma ugualmente poco chiare, indistinte. Ed insieme a queste in un grande prato illuminato a giorno apparvero centinaia di ragazze e ragazzi dagli occhi a mandorla che si agitavano urlanti verso un palco sul quale si esibiva un complesso formato da giovani ugualmente cinesi ed una ragazza pronunciava parole che il pubblico mostrava di comprendere e di poter condividere cantandole. A conti fatti, dopo la prima sorpresa la melodia era gradevole anche se non ci capivo niente. Lavinia e Daniele, miracoli della giovinezza, non mostrarono alcun disappunto sin dall’ingresso sul prato. Dove si sedettero continuando ad operare sul residuo di zucchero filato e schifezzuole gommose. Feci buon viso a cattivo gioco, ma ho un ottimo spirito di adattamento e mi impegnai, tranquillo per i figlioli che erano ormai bloccati da altre torme assise ed agitate in uno spazio ristretto, ad osservare le fisionomie, le loro smorfie, la loro prossemica del tutto simile a quella delle migliaia di giovani che a mia memoria avevano seguito concerti delle più importanti formazioni pop della mia gioventù. Erano belli di una bellezza che non riesci a cogliere in altri ambienti, quelli scolastici o di lavoro, dove molto spesso hanno un atteggiamento di straordinaria riservatezza. Lì i giovani si agitavano, urlavano, bevevano bibite tassativamente analcoliche e si abbracciavano, si baciavano in modo casto, abbandonando il classico pudore che li contraddistingueva in ambienti ugualmente pubblici ma dove non c’era la musica, che avvicina, accosta, facilita i contatti. Mi venivano in mente concerti degli anni Settanta, i figli dei fiori, la ricerca dell’assoluto, il rincorrere le utopie senza mai riconoscerle tali.
Sul palco intanto si alternavano ragazzi e ragazze gareggiando in una sorta di Karaoke cinese ed allora compresi che l’agitazione esagerata aveva un obiettivo molto pratico di sostegno ai vari concorrenti sia per la qualità sia per una conoscenza diretta da parte dei vari gruppetti di amiche ed amici.
Mi distrasse un attimo l’arrivo di un funzionario del Partito che volle salutarmi ed assicurarsi che nei giorni successivi io fossi a Prato. Volevano programmare alcune iniziative culturali per l’autunno ma pensavano di vedersi quasi a fine luglio. Dissi che non potevo ma che se fosse stato possibile avrei dato la mia collaborazione sin dai primi giorni del mese di settembre, alla ripresa del lavoro scolastico.

….fine parte quinta….continua

Joshua Madalon

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In Politica siamo stanchi degli annunci, non vogliamo dire un secco “NO”, vogliamo i perché ed i come! – proposte di programma dal basso – (a proposito di abolizione del canone e delle tasse universitarie)

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In Politica siamo stanchi degli annunci, non vogliamo dire un secco “NO”, vogliamo i perché ed i come!

– proposte di programma dal basso – (a proposito di abolizione del canone e delle tasse universitarie)

Sono tempi, sempre ormai gli stessi ad ogni stormir di elezioni, che i più canuti sanno riconoscere molto bene: quelli delle promesse, degli annunci a sensazione che molti di noi credevano appartenessero ad una Politica dei venditori di tappeti di Destra “tipo Berlusconi o Salvini” tanto per intenderci. E la “opposte sponde” negli ultimi anni si sono avvicinate fino a riunirsi, forse con la complicità dei vari “Truman show” che dalla tv commerciale sono lentamente e progressivamente passati a quella pubblica. E la tv mi offre il destro per affrontare la prima delle “promesse” lanciate in queste ultime ore: “l’abolizione del canone”. Detta così appare un classico “ballon d’essai” ad uso dei sondaggisti (“lo dico e poi vedo se si muove qualcosa nel gradimento”), ma bisogna dire che la questione è assai mal posta, soprattutto perché il solo annuncio non serve a far comprendere alcuna ragione dell’intervento, limitandosi a lanciare l’idea ad un elettorato verso il quale non vi è alcun rispetto e lo si giudica a livello di “popolo bue” che pregusti esclusivamente la possibilità di non versare il canone in bolletta energia elettrica, senza fargli però capire che i costi della televisione pubblica verrebbero coperti dalla fiscalità generale e cioè dallo stesso “popolo bue” eventualmente accondiscendente e plaudente. Tuttavia la scelta di abolire o ridurre ulteriormente il canone potrebbe essere applicata con interventi strutturali sia con l’eliminazione del tetto pubblicitario che impone alla tv pubblica un limite rispetto a quelle private sia con uno scaglionamento che tenga conto del reddito dei possessori di apparecchi televisivi (con la gratuità assoluta per redditi minimi fino a 15/18 mila euro l’anno e progressivamente elevarne l’entità, superando anche i 90 euro del canone che oggi viene automaticamente prelevato); ma di questo non si parla e tutti sono nel sospetto che, come con l’IMU prima casa, alla fin fine le famiglie più ricche non pagheranno una cifra irrisoria per loro uguale a quella dei percettori di pensioni minime.

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Quando dico che occorre spiegare la “ratio” delle promesse e degli annunci ad effetto non ne faccio una questione partitica: quella di prima apparteneva al Segretario del PD Renzi ma stamattina (domenica 7 gennaio) anche il leader di “Liberi e Uguali” Pietro Grasso ha lanciato un annuncio dall’Hotel “Ergife”.
“Abolire le tasse universitarie”. Ottima come “promessa” ma manchevole di “equità” nè più nè meno di quell’altra. Tra l’altro è ancor meno concreta nei fatti, perché le strutture universitarie così come sono non reggerebbero ad un taglio tanto perentorio. Ecco perché è necessario subito dopo un annuncio esprimere i perché ed i come. Certamente, anche in questo caso, si potrebbero proporre interventi articolati tendenti a garantire soprattutto il merito collegato al reddito, costruendo una tassazione inversamente proporzionale considerando le due variabili; per cui una matricola che acceda attraverso un test di ammissione (che “oculatamente” proporrei nel corso dell’ultimo anno di superiori) a seconda del reddito familiare paghi una quota diversificata (partendo da “zero” euro) in relazione anche allo “stato progressivo” degli Esami (la gratuità verrebbe vista come una sorta di “borsa di studio”). A ciascuno studente in regola con il suo percorso di studio lo Stato dovrebbe allo stesso tempo riconoscere attraverso dei versamenti previdenziali l’equiparazione tra studio e lavoro. Agli studenti l’Università attraverso organizzazioni studentesche non profit potrebbe proporre anche delle ore lavorative per il proprio sostentamento. Inoltre bisognerebbe inserire nel Piano di studi degli Esami fondamentali che assumano la funzione di essenziali per il proseguimento del percorso, allo scopo anche di evitare che vi siano dei “fuori corso” che non abbiano una reale predisposizione professionale in quel settore. E che dire dei costi esorbitanti degli affitti? Discutiamone ed avanziamo proposte “concrete” nella loro fattibilità.

Joshua Madalon

Foto di Agnese Morganti

ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 3 e 4

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ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 3 e 4

Come preannunciato giorni fa, in ricordo della figura di Danilo Dolci a venti anni dalla sua morte e di Piero Calamandrei, uno dei più illustri tra i “padri costituenti”, a 70 anni dalla approvazione, promulgazione ed entrata in vigore della Costituzione italiana ho pensato di fare cosa gradita nel pubblicare l’arringa in difesa di Danilo Dolci pronunciata il 30 marzo del 1956 nel Tribunale penale di Palermo. Tale discorso è indirettamente una denuncia esemplare dell’incapacità del Governo di allora (ma molto poco è cambiato se non peggiorato in termine di rispetto dei valori fondanti della Carta) di applicare gli elementi fondamentali della Costituzione e di rispettare e far rispettare le regole della convivenza civile. Danilo Dolci era stato arrestato il 2 febbraio 1956 per aver promosso e capeggiato, insieme con alcuni suoi compagni, una manifestazione di protesta contro le autorità che non avevano provveduto a dar lavoro ai disoccupati della zona: la manifestazione era consistita nell’indurre un certo numero di questi disoccupati a iniziare lavori di sterramento e di assestamento in una vecchia strada comunale abbandonata, detta “trazzera vecchia”, nei pressi di Trappeto (provincia di Palermo), allo scopo di dimostrare che non mancavano né la volontà di lavorare né opere socialmente utili da intraprendere in beneficio della comunità. I principali capi di accusa riguardavano la violazione degli articoli 341 (oltraggio a pubblico ufficiale), 415 (istigazione a disobbedire alle leggi), 633 (invasione di terreni) del Codice penale.)
In quegli anni tra l’altro i pescatori di Trappeto si vedevano depauperati della possibilità di svolgere efficacemente il proprio lavoro a causa della presenza di grandi pescherecci collegati a potentati locali che portavano via dal mare antistante la maggior parte delle materie prime di cui legalmente avrebbero potuto usufruire le povere famiglie del posto.

Piero Calamandrei morì pochi mesi dopo aver difeso Danilo Dolci, il 27 settembre del 1956 a Firenze.

Ho già pubblicato lo scorso 31 dicembre la prima parte dell’intervento di Piero Calamandrei In difesa di Danilo Dolci – ed il 2 gennaio del nuovo anno la seconda parte: qui di seguito troverete la terza e quarta parte. Confrontate il tutto con quanto scritto da Norberto Bobbio nella prefazione a “Banditi a Partinico” (vedi post del 1 gennaio 2018) e, se non ancora conoscete Danilo Dolci e siete stimolati ad approfondirne le qualità e le caratteristiche che lo hanno fatto definire “Gandhi italiano” (insieme ad un altro grande come Aldo Capitini), andate in Biblioteca – o in libreria – e cercate le sue opere. Ancora, BUON ANNO 2018! L’anno della Rivoluzione del “68 (a 50 anni)

Joshua Madalon

3.
Io ho ammirato, lo ripeto, la misura con cui ha parlato il P.M.; ma su due delle premesse (oltreché, ben s’intende, su tutte le sue conclusioni) non posso essere d’accordo: e cioè quando egli ha detto che questa è ” una comunissima vicenda giudiziaria “, e quando ha detto che per deciderla il Tribunale dovrà tener conto della legge ma non delle “correnti di pensiero” che i testimoni hanno portato in questa aula.
Dico, con tutto rispetto, che queste due affermazioni mi sembrano due grossi errori non soltanto sociali, ma anche specificamente giuridici. Non sono d’accordo sulla prima premessa. Questo non è un processo ” comunissimo “: è un processo eccezionale, superlativamente straordinario, assurdo.
Questo non è neanche un processo: è un apologo.
Un processo in cui si vorrebbe condannare gente onesta per il delitto di avere osservato la legge, anzi per il delitto di aver preannunciato e proclamato di volere osservare la legge: arrestati e rinviati a giudizio sotto l’imputazione di volontaria osservanza della legge con l’aggravante della premeditazione!
Per renderci conto con distaccata comprensione storica della eccezionalità e assurdità di questo processo, bisogna cercare di immaginare come questa vicenda apparirà, di qui a 50 o a 100 anni, agli occhi di uno studioso di storia giudiziaria al quale possa per avventura venire in mente di ricercare nella polvere degli archivi gli incartamenti di questo processo, per riportare in luce storicamente, liberandolo dalle formule giuridiche, il significato umano e sociale di questa vicenda.
Quali apparirebbero agli occhi dello storico gli atti più significativi di questo processo?
La sua attenzione si fermerebbe prima di tutto su quella ordinanza del giudice istruttore, con la quale, per negare agli arrestati la libertà provvisoria, si è testualmente affermato la “spiccata capacità a delinquere del detto imputato”: il ” detto imputato “, per chi non lo sapesse, sarebbe Danilo Dolci.
Suppongo che il magistrato che scrisse questa frase non abbia immaginato, al momento in cui la scrisse, il senso di sgomento che in centinaia di migliaia di italiani questa frase ha suscitato, quando l’hanno letta riferita sui giornali: senso di sgomento per lui, non per Danilo Dolci.
Ma, insomma, questa frase è stata scritta; e tra cinquant’anni lo storico la potrà leggere e potrà dire a se stesso:-Ecco, ho avuto la mano felice: ho trovato un caso interessante, il processo di un gran delinquente, un caso tipico di “spiccata capacità a delinquere”.
Ma che cosa ha fatto mai Danilo Dolci per dimostrare questa sua ” spiccata capacità “?
La capacità a delinquere, per me avvocato civilista, ha due aspetti: uno giuridico e uno sociale.
Sotto l’aspetto giuridico mi pare che essa sia la tendenza e la attitudine a violare il diritto altrui;
sotto l’aspetto sociale mi pare sia la incapacità di intendere che la vita in società è fatta di solidarietà e di altruismo: che senza solidarietà e senza altruismo non vi è civiltà. Il delinquente è essenzialmente un infelice esiliato nel suo sfrenato egoismo, un solitario incapace di vivere in società.
Dunque lo storico che si metterà a sfogliare questo processo, quando saranno da lungo tempo caduti e dimenticati quegli articoli della legge di pubblica sicurezza e del codice penale di cui stiamo qui a discutere da una settimana (quegli articoli che già assomigliano a quei gusci vuoti che rimangono attaccati ai tronchi degli ulivi quando già ne è volato via l’insetto vivo), scorrerà attentamente gli incartamenti per ricercare le prove di questa “spiccata capacità a delinquere ” che l’ordinanza istruttoria con tanta durezza preannuncia. E, senza perdersi in sottili acrobazie di dialettica giuridica, si domanderà umanamente: che cosa avevano fatto di male questi imputati? In che modo avevano offeso il diritto altrui; in che senso avevano offeso la solidarietà sociale e mancato al dovere civico di altruismo?
Lo storico arriverà a trovare documentati nel seguito del processo due “misfatti”.

4.
Io mi limito a leggere qualche passo di un solo documento: di un documento che è ancora nelle mie mani e che dà a questa mia difesa il carattere non solo di una testimonianza, ma anche, come ieri vi dicevo, di una complicità.
Quando alla fine dello scorso gennaio Danilo Dolci, dopo essere stato a Torino per consultarsi con i suoi amici sulle azioni che si proponeva di svolgere a Partinico, passò da Firenze nel viaggio di ritorno, venne al mio studio per consigliarsi anche con me come legale ed esser sicuro che quello che stava per fare entrasse perfettamente nei limiti delle leggi. Non mi trovò; e allora mi lasciò una copia del foglietto che in questo momento vi sto leggendo, con questa nota scritta di suo pugno: “Speravo di vederti e di avvisarti. Un saluto con affetto. Tuo Danilo”. Quando tornai dopo due giorni, e lessi il foglietto, il quale conteneva, come ora vi dirò, il programma di quello che stava per succedere a Partinico, trovai che niente di quello che era preannunciato in tale programma poteva in qualsiasi modo andar contro alle leggi o ai regolamenti di polizia: e per questo mi guardai bene dall’avvertire Danilo Dolci, che intanto era ritornato a Partinico, di astenersi dal fare quello che si proponeva. Se in quello che ha fatto c’è qualche cosa di contrario alla legge, sono dunque responsabile anch’io di complicità e, e forse la mia responsabilità è più grave della sua, perché io dovrei avere quella conoscenza tecnica delle leggi che Danilo non ha.
Dunque, vi dicevo, in questo documento che sto per leggervi c’è la prova di due misfatti.
Il primo misfatto è quello che si proponevano di compiere lunedì 30 gennaio i pescatori di Trappeto.
Si legge testualmente in questa dichiarazione:
“abbiamo ripetutamente documentato alle Autorità direttamente responsabili e all’opinione pubblica, per anni e anni, la pesca fuori legge della zona, gravissimo danno a tutti noi e
all’economia nazionale.
” E’ profondamente doloroso e offensivo constatare che lo Stato non sa far rispettare le sue leggi più elementari, più giustificate: i mezzi di informazione e di pressione normali in uno Stato civile, qui sono stati assolutamente inefficaci. Decisi a fare rispettare le leggi, promuoviamo un movimento che non si fermerà fino a quando il buon senso e l’onestà non avranno trionfato. Inizieremo lunedì,
30 gennaio, digiunando per 24 ore.”
Seguono circa 300 firme tra loro sono anche numerosi vecchi e ragazzi con piena coscienza
dell’azione.
Questo è dunque il primo misfatto. Le circostanze sono semplici e chiare. Una piccola popolazione di poveri pescatori vive alla meglio con la pesca del suo mare. Per legge, il tratto di mare più vicino alla costa è riservato alla pesca della popolazione rivierasca; i motopescherecci, devono tenersi al largo. Ma qui i motopescherecci, per vecchio sistema, si beffano sfrontatamente della legge; da tempo vengono a pescare nel mare vicino alla riva, predando il pesce che dovrebbe dar da vivere ai piccoli pescatori. Così i pescatori locali non hanno più da pescare; questa sistematica rapina dei motopescherecci appartenenti a grandi società organizzate e protette dalle autorità, condanna i piccoli pescatori a morire di fame. Ricorrono alle autorità; ma le autorità non provvedono.
Protestano, ma le autorità non ascoltano. Il contrabbando continua: qualcuno pensa che le autorità siano d’accordo coi contrabbandieri; e che ci sia qualcuno in alto che partecipa agli utili del contrabbando.
Allora che cosa fanno i pescatori che da anni reclamano giustizia e non riescono ad averla da chi dovrebbe darla: si ribellano? Si mettono a tumultuare? Rubano? Commettono violenze?
Niente di tutto questo. Arriva Danilo in mezzo a loro e dice: ” Voi non avete da mangiare: non avete di vostro altro che la fame. L’unica protesta che vi rimane è questa: la vostra fame. Siete abituati a digiunare, andiamo tutti insieme a digiunare sulla spiaggia del mare. Stiamo a guardare, digiunando, i contrabbandieri protetti dalle autorità, che continuano a far rapina del pesce che la legge vorrebbe riservato a voi. Consoliamoci insieme col nostro digiuno; mettiamo in comune questo nostro unico bene, la fame. E per essere più sereni, porteremo sulla spiaggia qualche disco e ascolteremo la musica di Bach”. (Qualcuno ha sorriso su questo particolare della musica: non ha ricordato che anche nella prima guerra mondiale questo era il motto dei fanti inchiodati nelle trincee: “canta che ti passa”.)
Allora vengono fuori i commissari di polizia, gli agenti dell’ordine. Voi pensereste che intervengono finalmente per rimettere nella legalità i moto pescherecci contrabbandieri e per far cessare la loro rapina. No gli agenti dell’ordine intervengono per pigliarlsela con Danilo: per diffidare Danilo e i pescatori dal mettere in atto il loro proposito.
– non è permesso digiunare: vi vietiamo formalmente di digiunare.
-Ma come possiamo non digiunare se non abbiamo più pesce da pescare?
-Non importa: digiunate a casa vostra, in privato, in segreto.
E’ un delitto digiunare in pubblico. Digiunare in pubblico vuol dire disturbare l’ordine pubblico.-
l’ordine pubblico di chi? L’ordine pubblico di chi ha da mangiare. Non bisogna disturbare con spettacoli di miseria e di fame la mensa imbandita di chi mangia bene; non bisogna che la gente ben nutrita, che va sulla spiaggia a passeggiare per meglio digerire il suo pranzo, sia disturbata dalla modesta vista dei pallidi affamati.

fine 3 e 4 parte….continua

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da PAESE SERA TOSCANA del 26 dicembre Un Natale di pace a tutti gli uomini di buona volontà

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Pubblico sul mio Blog l’articolo inviato a Paese Sera Toscana ed ivi pubblicato lo scorso 26 dicembre – Oggi 6 gennaio 2018 è l’Epifania – c’è un classico scambio di doni: questo è il mio per voi!

Un Natale di pace a tutti gli uomini di buona volontà
26 dicembre 2017

Giuseppe Maddaluno
Nel 2017 l’attenzione del gruppo ANNIVERSARI si è occupata di personaggi come don Lorenzo Milani, Antonio Gramsci e Danilo Dolci (una parte del gruppo ha organizzato alcune iniziative per ricordare Che Guevara e Pier Paolo Pasolini), ed eventi fondamentali della Storia come la Rivoluzione d’Ottobre.
Intorno alla figura di Antonio Gramsci ed agli eventi che precedono e realizzano la Rivoluzione del 1917 abbiamo avuto un valido sostegno da parte di uno dei più acuti studiosi gramsciani e degli eventi di 100 anni fa, il prof. Angelo d’Orsi.
Grazie al sostegno del Comune di Montemurlo (l’Assessore Giuseppe Forastiero, la funzionaria Roberta Chiti e gli operatori Valerio Fiaschi e Silvia Zizzo) ANNIVERSARI 2017 ha prodotto in cooperazione con l’Associazione Altroteatro Firenze (Antonello Nave, Giulia Calamai, Serena Di Mauro, Davide Finizio, Serena Mannucci, Bianca Nesi) un percorso ragionato di letture ed immagini sulla storia della Rivoluzione russa, curato da chi scrive, che ha preceduto la presentazione del libro “1917 L’ANNO DELLA RIVOLUZIONE” alla quale ha partecipato da autentico protagonista il prod. D’Orsi.
Le serate di Montemurlo (6-13 e 20 novembre 2017) coincidevano con gli eventi di 100 anni fa; dal libro di cui sopra a pag.199-200 sentiamo quel che dice il 6 novembre del 1917 Kerenskij parlando dei bolscevichi Lenin e Trochij che praticano “uno sfruttamento sistematico dell’ignoranza, della ingenuità o degli istinti criminali della popolazione per creare ad ogni costo in Russia un’atmosfera di pogrom, per scatenarvi la follia della distruzione e del saccheggio…” e, di rimando cosa diceva lo stesso giorno Lenin ibidem pag.201-202: “Compagni,….La situazione è estremamente critica. E’ chiarissimo che ora ogni ritardo nell’insurrezione è veramente uguale alla morte…Non bisogna attendere!! Si può perdere tutto!!…La storia non perdonerà gli indugi ai rivoluzionari che potrebbero vincere oggi (e che quasi certamente vinceranno oggi), rischiando di perdere molto domani, rischiando di perdere tutto.”

Ma qui voglio anche ricordare lo scrittore Lev Vojtolovskij che in “Seguendo la guerra” raccolse alcune testimonianze su vicende che caratterizzeranno le festività natalizie sui fronti di guerra.
Ecco uno dei momenti “magici” durante i quali la presa di coscienza dell’insensatezza di una guerra senza quartiere prevaleva tra i soldati che spontaneamente anche su altri fronti in concomitanza per l’appunto con le festività natalizie avevano dato vita ad una “tregua” festeggiando “insieme”: le alte gerarchie però non furono mai d’accordo ed anzi si affrettarono a proibire tali debolezze.

“Durante l’inverno del 1916 sul fronte regnava la calma. Si era arrivati al punto che in prima linea i soldati che scorgevano il nemico non sparavano più. Lo stesso facevano gli austriaci. Talvolta accadeva che questi gridassero: “Signori! Finite la guerra!” E chiamavano presso di sè i russi e questi facevano altrettanto. La fraternizzazione con il nemico era incominciata nel nostro settore sin dall’ottobre 1916; questo primato, naturalmente, ci valeva non pochi soprusi da parte degli ufficiali; nel gennaio la fraternizzazione era diventata ormai un avvenimento di tutti i giorni, quasi banale. Le cose erano giunte a un punto tale che noi soldati barattavamo diversi oggetti, dando pane o zucchero e ricevendo in cambio un temperino, un rasoio”.
C’è un bellissimo tenero film di Cristian Carion del 2005, “Joyeux Noel”, che tratta proprio uno di questi episodi.
Nel libro di Angelo d’Orsi di cui abbiamo parlato, e che ci ha ispirato, egli alle pagine 236-237 ci riporta la tesimonianza di Antonio Rotunno, un militare semplice di origine salernitana (nato a Padula il 5 marzo 1881) che presta servizio presso il 266° fanteria Brigata Lecce, 3° battaglione, 8^ compagnia

È la notte tra il 24 e il 25 dicembre 1917, è la notte di Natale anche nelle trincee che lambiscono il Piave nei pressi di Sant’Andrea di Barbarana in provincia di Treviso al di qua del Piave dove l’esercito italiano aveva, ritirandosi da Caporetto, posto il suo fronte.

Egli scrive nel suo lungo diario:
“Ad un tratto, quando l’ora della notte è già inoltrata e quando tutti noi siamo seduti accanto al focolare su cui divampa vivida e grande una fiamma che benevolmente ci riscalda e ci illumina, ecco che tra il cupo e fitto silenzio giunge fino a noi l’allegro schiamazzare dei nostri nemici austriaci. Costoro, avendo trasformato le loro trincee in luoghi di divertimento, con chitarre, violini, mandolini, flauti e tamburi fanno un chiasso da baccanale, divertendosi a più non posso, come se si trovassero nelle proprie famiglie o nel proprio paese e non nel luogo terribile e pericoloso in cui si trovano. Si divertono, si divertono come se la guerra fosse già finita da un lungo periodo di tempo.
Il loro divertimento, il loro strepito giunge sempre più distinto, sempre più preciso fino a noi, tanto che incuriositi usciamo dai nostri covi e, fermatici alle falde dell’argine di S. Andrea di Barbarano, assistiamo alla scena che i nostri nemici austriaci svolgono tra la più matta e la più sfrenata allegria nelle loro trincee, in questa notte memoranda e solenne del S. Natale dell’anno 1917.
Tra le altre cose, è bello il fare menzione di un invito che, in modo di preghiera, è rivolto a noialtri italiani, e le cui parole, nonostante lo strepito ed il baccano che si fa nelle loro trincee, pure giungono fino a noi chiare e distinte.
Essi ci dicono: – O buoni italiani, lasciateci divertire tranquillamente in questa sera della vigilia di Natale! Non tirate! Non tirate alla nostra volta! Vedete? Anche le nostre batterie non tirano mica e da parecchie ore sono diventate mute! Divertitevi anche voi e buona notte!
E come per incanto, su tutta l’estensione del fronte del Piave sembra che regni la calma ed il silenzio, come se la guerra fosse cessata da lungo tempo o come se le trincee fossero vuotate o disertate dai due eserciti combattenti. Non si odono più quei soliti colpi del moschetto e del fucile che le sentinelle, di tratto in tratto, durante il proprio servizio, erano solite tirare a vuoto nel silenzio della notte, e neppure si ode più lo scoppio terribile delle granate e delle bombarde: le batterie nemiche e le nostre tacciono e tacciono sempre.”
Ecco, voglio oggi ricordare, a cento anni di distanza, quell’atmosfera di pace e di serenità.

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BUON NATALE a tutte le persone di buona volontà – BUON NATALE a tutti i pacificatori!
….e Buona EPIFANIA da
Joshua Madalon

ditemi se questa è PARTECIPAZIONE! – la mia disponibilità ad aprire una petizione!

ditemi se questa è PARTECIPAZIONE! – la mia disponibilità ad aprire una petizione!

Circa tre mesi fa, al ritorno dalle vacanze estive, il 27 settembre ho pubblicato un post su una delle solite “sorprese” che, complice l’estate, siamo soliti ritrovarci come cadeau delle Amministrazioni comunali sui nostri territori. Mi riferisco a quello che un po’ pomposamente (come si esaltano, pensando di parlare a trogloditi!) gli amministratori della città di Prato hanno voluto chiamare “sgambatoio” nella zona San Paolo antistante il fontanello sistemato e tutto circondato nel mezzo di via San Paolo e via Zandonai, strade trafficate in modo intenso in uno spazio verde inutilizzato a ragione per i precedenti motivi.
In quel post che qui di seguito ripropongo “ad memoriam” rilevavo l’assurdità della scelta affrettata (affinché i cittadini si ritrovassero di fronte al fatto compiuto) e ne sottolineavo l’inadeguatezza anche dal punto di vista strutturale: in mezzo al traffico, mancante di una presa d’acqua, mancanza totale di suppellettili per i proprietari dei cani, assenza di spazi per le deiezioni: un “deserto” totale con recinzioni insufficienti per soggetti esuberanti e/o pericolosi per sé (un cane che uscisse scavalcando la recinzione potrebbe essere travolto e provocare incidenti) e per i loro padroni oltre che per coloro che transitano sulle strade limitrofe (il “fontanello” come è ovvio è luogo frequentatissimo).
Luogo polveroso e/o fangoso in maniera inverosimile: è un’altra delle caratteristiche che lo rendono inadatto. Inoltre quando i cani stanno insieme e sono in tanti giustamente ingaggiano competizioni anche sonore, le classiche “cagnare” che particolarmente d’estate, insieme a maleodoranti effluvi, non deliziano il vicinato.
Ciò che è da rilevare peraltro è che la scelta “intelligente” è stata fatta dopo che era stato prodotto un percorso di partecipazione con i cittadini i cui risultati erano che tale “sgambatoio” dovesse essere realizzato “con tutti i crismi” a ridosso della fabbrica “Baldassini” e non era stata in assoluto presa in considerazione la “variante” poi utilizzata.
Sarebbe allo stesso tempo importante sapere come mai quest’ultima sia stata prescelta e chi dei promotori locali che si sentono rappresentativi dell’Amministrazione abbia dato il proprio assenso.
Probabilmente si tratta di una gara dell’ ”assurdo” tra Amministrazioni: visto che quella precedente aveva prodotto una “pista ciclabile” improponibile quest’altra di segno diverso ma di simile incapacità non ha voluto esser da meno.

Joshua Madalon

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Un recinto per “polli” (ma non pennuti, umani e cioè tutti noi contribuenti di San Paolo in Prato)!

…per capirci, la foto in evidenza è riferita ad uno “sgambatoio tipo”….non ha nulla a che vedere con l’obbrobrio di San Paolo…

Questo è il link che accede all’articolo sulla “pista ciclabile”

http://www.maddaluno.eu/?p=342

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C’era una volta a Prato in località San Paolo una “pista ciclabile”, ma erano i tempi della Giunta di centrodestra e noi, cittadine e cittadini di quel territorio, ci siamo attivati per denunciare l’insipienza di tecnici, dirigenti e politici che l’avevano progettata e realizzata, ascoltando solo in modo molto ma molto tardivo e parziale i rilievi pratici di quell’intervento. Ma era per noi logico dal punto di vista ideo-logico che un’Amministrazione di Destra si comportasse in quel modo e faceva gioco favorevole alla nostra parte che sbagliassero. Non avevamo ascoltato a dovere ma non sarebbe stato mai possibile pensarlo (ed ancor oggi in fondo è così) la vulgata che tutti fossero uguali, che non ci fosse differenza tra Destra e Sinistra. Ancor oggi di fronte alle continue scelte sballate (non “sbagliate” intendete! Ma sballate) dell’ attuale Amministrazione di centrosinistra c’è chi come noi che si ostina a pensare che, no, non può essere vero che tutti siano “uguali” (beninteso, la connvinzione che lo siano permane ma sui piani dei diritti e dei doveri, intimamente connessi e concatenati nel giusto equilibrio). Perlomeno non lo dovrebbero essere e fanno di tutto per smentirmi.
Cosa è accaduto? Blitz d’estate, una forma furbesca di prendere in contropiede la massa del dissenso (una buona parte – meno rispetto agli anni passati ma sempre una buona parte – di famiglie era in vacanza), il Comune ha recintato uno spazio per sistemarvi un’area sgambature per cani. L’ha fatto, come detto, in fretta e furia per evitare le proteste. Perché mai avrebbero dovuto protestare? E qui si dà il via alle dolenti note. Ogni qualvolta l’Amministrazione aveva coinvolto i cittadini per stabilire l’organizzazione di spazi sul territorio per l’area sgambature aveva previsto con l’accordo di tutti ben altro spazio, molto più appartato molto più sicuro per tutti. Una forma di partecipazione che a chiacchiere vorrebbe essere il fiore all’occhiello dell’Amministrazione ma che alla fine, dal momento che le scelte popolari non piacciono “forse” già in partenza ai suoi rappresentanti, producono maggior scontento. Tra l’altro nella furia lo spazio è nella maniera più assoluta paradossalmente insufficiente (i metri quadrati sono superiori ma collocati in uno spazio che non essendo adatto finirà per essere molto meno utile al reale bisogno) e manchevole in molti aspetti: manca uno spazio per le deiezioni, cioè una vasca sabbiosa; manca una fontana, per abbeverare gli animali; l’ingresso è su di una strada già ora trafficata ed in procinto di esserlo maggiormente a breve; lo spazio è proprio adiacente ad una serie di condomìni, mentre l’altro confinava con gli orti sociali e con la struttura archeologico-industriale della Baldassini.
Diciamo che l’Amministrazione dimostra ancora una volta che, al di là delle consuete affermazioni demagogiche, non ha rispetto dei cittadini. Lo spazio sarebbe forse più adatto per un “pollaio”. Il Comune lo fa per la popolazione canina, senza neanche consultare i potenziali fruitori del “servizio”. Se i politici del Centrosinistra hanno pensato che i cittadini fossero dei “polli” allora a breve la vendetta potrebbe essere quella di un “contrappasso”: chiuderanno loro in un recinto e butteranno via le chiavi!

Joshua Madalon

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Foto di Agnese Morganti

DANILO DOLCI e la sua “AVVERTENZA” ad introduzione di “Banditi a Partinico”

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DANILO DOLCI e la sua “AVVERTENZA” ad introduzione di “Banditi a Partinico”

Abbiamo parlato nei giorni scorsi di Danilo Dolci nell’ambito degli ANNIVERSARI 2017-2018 con riferimento alla Costituzione (Dolci è morto 20 anni fa e la Costituzione è stata approvata, promulgata ed è entrata in vigore 70 anni fa) e lo abbiamo collegato alle figure di Norberto Bobbio e di Piero Calamandrei.
Il secondo, padre costituente, ha avuto contatti fondamentali con Danilo Dolci, che a lui si è rivolto per consigliarsi prima di procedere con quell’azione “illegale” che era sia lo sciopero della fame sia lo sciopero alla rovescia: non potè consigliarlo perché i due non si incrociarono a Firenze ma subito dopo il parere di Calamandrei fu espresso nella “difesa” che egli fece nel processo al quale fu sottoposto il Dolci ed alcuni altri suoi collaboratori. Il contributo del primo (Bobbio) l’ho riassunto in due post che si riferiscono alla Prefazione che egli appose al libro oggetto anche di questo nuovo post, cioè “Banditi a Partinico”.

Di notevole importanza per comprendere le caratteristiche dell’impegno di Danilo Dolci risiedono nell’AVVERTENZA con la quale egli, dopo l’introduzione di Norberto Bobbio volle aprire quel libro. Qui di seguito la riporto quasi integralmente :

“Tra noi c’è un mondo di condannati a morte da noi.
Talvolta, anche per giusta insofferenza, tenta di ribellarsi: col mitra e la galera si risponde.
Si smetta di star dalla parte dei più forti, di lasciare a loro la possibilità di soffocare gli altri, proprio per sistema, alla luce del sole.
Non credo che tutti siamo tanto crudeli da voler continuare ad ammazzare, e a lasciar ammazzare, così….
Nella zona del maggior banditismo siciliano (Partinico, Trappeto, Montelepre: 33.000 abitanti), dei 350 “fuorilegge”, solo uno ha entrambi i genitori che abbiano frequentato la quarta classe elementare.
A un totale di circa 650 anni di scuola …..corrispondono 3000 anni di carcere. E continuano i processi contro “i banditi”.
Superano il centinaio gli ammalati di mente, gli storpi e i sordomuti.
Ogni mese si spendono 13 milioni per polizia, “forze dell’ordine”, galera. Più di 150 milioni l’anno….. a 4000 persone occorre subito lavoro. L’inefficienza, il disordine della vita pubblica persistono.
In nove anni si è intervenuti spendendo più di 4 miliardi e mezzo del pubblico denaro per ammazzare e incarcerare quando non si era mosso un dito, ad esempio, per utilizzare l’acqua del fiumicello vicino…..e ciò avrebbe dato facilmente lavoro a tutti. Se ci fosse stato lavoro non ci sarebbe stato banditismo…..
Il banditismo sul mare perdura: dal gennaio 1954, motopescherecci hanno pescato fuori legge per 350 giorni interi, indisturbati o, di fatto, favoreggiati dai responsabili.
Stavamo lavorando. Amici chiedevano notizie di noi e di questa zona: non potendo sempre rispondere esaurientemente ad uno ad uno, abbiamo pensato di raccogliere alcuni appunti e pubblicarli; è giusto confidare in tutti.
Son pagine, queste, scritte dalle cose e da tutti.
Talvolta abbiamo detto noi, talvolta abbiamo fatto parlare alcuni di questi condannati che, qui, non sanno il toscano. Non abbiamo voluto filtrare sempre questo mondo attraverso di noi ché troppo abbiamo mangiato e per troppi anni. Chiedo scusa, d’altronde, se sono rimasti brandelli di noi, e molti – e non i peggiori, forse –in queste pagine; ma volevamo più da vicino documentare, e partecipare le nostre speranze.”
Partinico, 19 gennaio 1955 D. D.

CortileCascino

Ho avuto molta difficoltà a ridurre il testo; potete rilevarne la sinteticità, la crudezza della descrizione del “mondo” che Danilo Dolci volle assumere come “suo” e nel quale impegnò l’intera sua esistenza, facendolo diventare un Laboratorio socio-antropologico di primaria importanza per comprendere le dinamiche che dalla povertà, dalla miseria troppo spesso conducono all’illegalità, al banditismo. Non c’è mai in Danilo Dolci indulgenza, giustificazione, ma c’è un atto d’accusa verso il Potere dei più forti, incapaci di comprendere il dramma dell’esistenza in assenza della principale forma di dignità per l’uomo che è inserita nell’art.1 della Costituzione italiana.
Ricordiamocelo!

Joshua Madalon

reloaded UN FUNERALE RICCO DI ALLEGRA MESTIZIA… del 2 gennaio 2016

Casaglieri

UN FUNERALE RICCO DI ALLEGRA MESTIZIA… le lacrime arrivavano a sgorgare ma non vi era disperazione. Una strana sensazione coinvolgeva i presenti; anche i congiunti credo che abbiano avuto la certezza di essere al centro di un vortice di positività. Franco regalava a tutti un sorriso con la sua consueta personale eleganza; lo regalava anche quando il suo sguardo era sarcastico e critico nei confronti di coloro che incrociava: e lo ha regalato anche in questa occasione, che solo apparentemente può sembrare l’ultima. Che stile possedeva Franco Casaglieri! Quale “aplomb” vergaiese-british egli mostrava sin da ragazzo; di certo a me, che lo conoscevo soltanto dagli anni Ottanta, non è stato dato di conoscerlo in quegli esordi, ma non vi sono dubbi alcuni a sentir parlare i suoi amici di allora. Certamente ci lascia un poeta “verace” intensamente immediato, di quelli che difficilmente troverà imitatori, e se non fosse così (e in tanti se lo augurano!), sarebbe un vero e proprio miracolo di “reincarnazione”. In verità non si costruiscono facilmente poeti-cantori in ottava rima e lo sapeva molto bene il Casaglieri, come lo sa Gabriele Ara, che negli ultimi anni si è adoperato in prima persona a formare nuovi talenti. Ho la sensazione però che tali peculiarità siano vieppiù innate, stimolate più dal contesto socio-antropologico che da una “scuola” tradizionale: una scuola di vita! Un pubblico d’eccezione fatto da gente semplice come sono gli artisti e gente semplice come possono essere gli amici di Franco in una giornata grigia e piovosa si sono ritrovati fianco a fianco lungo le navate del Duomo, accorsi a salutare il Casaglieri che anche in questa occasione ha voluto sorprendere tutti; di certo me, che quando il Castellani in una chat sul social per preparare una nostra iniziativa mi ha detto “ci vediamo dopo il funerale del Casaglieri” ho pensato immediatamente ad una “boutade”, l’ho richiamato per capire ed ho insinuato il dubbio, che tuttavia si è dissolto in modo drammatico in pochi minuti, allorché abbiamo tutti potuto accertarci che si trattava di una notizia concreta; mi risultava incredibile il tutto anche perché l’ultima volta che avevo visto Franco alla presentazione del libro degli amici Maurizio Giardi e Marco Mannori lo avevo trovato in piena forma e non mi era passato nemmeno per l’anticamera del cervello che potesse essere così tanto gravemente ammalato. Col senno di poi credo di poter dire che la forza e la bellezza della Cultura siano in grado di superare infinite barriere e l’Amore per la Vita non conosce ostacoli. Tanto è che con questo funerale organizzato per – e da – Franco, assoluto protagonista anche in Duomo in una giornata buia e piovosa, egli stesso ci ha voluto regalare all’alba del nuovo anno uno spettacolo inusuale straordinariamente vivace e pieno di ALLEGRA MESTIZIA!

“Noi siamo quella razza che non sta troppo bene, che di giorno salta i fossi e la sera le cene, lo posso grida’ forte, fino a diventa’ fioco; noi siamo quella razza che tromba tanto poco, noi siamo quella razza che al cinema si intasa pe’ vede’ donne ignude, e farsi seghe a casa; eppure la natura ci insegna sia sui monti sia a valle, che si po’ nasce bruchi pe’ diventà farfalle, ecco noi siamo quella razza che l’è fra le più strane, che bruchi siamo nati e bruchi si rimane, quella razza semo noi è inutile fa’ finta, c’ha trombato la miseria e semo rimasti incinta.”

La cerimonia si è conclusa con un canto collettivo… nella cornice austera del Duomo di Prato… in questo video “L’amore è come l’ellera…” è cantata dal grande Carlo Monni che ora troverà in Franco un compagno per le sue “improvvisate” straordinarie alla barba di noi tutti e della bravissima Lisetta Luchini, insuperabile chansonnier della tradizione toscana.

ANNIVERSARIO (triste) di straordinaria insolita allegria: FRANCO CASAGLIERI

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ANNIVERSARIO (triste) di straordinaria insolita allegria: CASAGLIERI e MONNI

Sì, certamente la mia esperienza amministrativa in una Circoscrizione che era grande quanto la mia città d’origine è stata entusiasmante e ne sono stato arricchito immensamente. Il lavoro in Circoscrizione è gratuito; solo i Presidenti del Consiglio Circoscrizionale percepivano un compenso che era basato su quello degli Assessori. A tutti gli altri eletti veniva corrisposto un gettone di presenza ad ogni partecipazione in Consiglio o in Commissione. Ma personalmente quel lavoro l’avrei fatto anche gratis ed a pensarci ora lo rifarei ancora di più gratis. In quegli anni ho avuto modo di conoscere tantissima gente di Cultura e di Spettacolo perché mi occupavo di questi temi come Presidente della Commissione Scuola e Cultura. E sin dai primi giorni prima nella sede di via Firenze e poi in quella di via De Gasperi ho lavorato per dare un contributo anche personale (qualcuno ha rilevato nel tempo che fosse “troppo personale”) alla gestione del programma culturale del territorio di mia competenza. Indubbiamente alla fine dei miei due mandati potevo dire di avere costruito dei contenitori che sarebbero andati avanti quasi da soli ma non avevo fatto il conto con il cambiamento di maggioranza che si verificò nel 2009, sia in Circoscrizione che in città.
Fu in quegli anni che ebbi modo di conoscere Franco Casaglieri, che peraltro abitava anche nel territorio circoscrizionale, quando mi fu presentato da Gianfranco Ravenni, che si occupava negli uffici non solo delle mie materie ma che per le questioni culturali ha sempre avuto una grande cura ed attenzione. Franco, non appena lo incontravi metteva in moto quella sua verve straordinaria che oltre a mettere a proprio agio gli interlocutori non ti consentiva di capire se stava a prenderti in giro o faceva sul serio. Io, ad esempio, non l’ho mai capito. Ma alla fin fine non era questo quel che importava: lui arrivava, ti presentava un’idea, la discuteva con te, ti faceva sentire importante perché tu la condividessi , stabiliva con il funzionario il budget, e via! E poi qualche settimana prima ti faceva sapere bene chi sarebbero stati i suoi compagni di viaggio. Franco aveva una capacità di coinvolgimento ampio e con lui vedevi arrivare Carlo Monni, Logli Altamante, Bobo Rondelli e ti poteva capitare che nel pubblico si affacciassero anche Ceccherini, Paci, Ettore il Grezzo, un tale Roberto Benigni e su di lì. Una volta si esibirono al Cantiere e gli abitanti del quartiere vuoi per timidezza vuoi per maleducazione (che a volte si confondono in un tutt’uno) non si decidevano a schierarsi sul davanti del palco e continuavano, mentre il Monni si impegnava con i suoi monologhi un po’ scollacciati inframezzati a canzoni come “L’amore è come l’ellera…”, a rimanere di lato e dietro, mentre davanti c’era un minuscolo drappello di “autorità” e qualche loro amico e parente.
Dopo un quarto d’ora di quella solfa, Monni si rifiutò di continuare la sua esibizione, anche perché nessuno dei “cantierini” ne voleva sapere di mettersi davanti.
In un’altra occasione con la Circoscrizione, affidandoci sempre a Franco, pensammo bene di organizzare un Concerto di Bobo Rondelli nella frazione di Gonfienti. A quell’evento avrebbe partecipato anche Carlo Monni. L’iniziativa era collegata alla festa paesana che si svolgeva in collaborazione con la Parrocchia: nessuno di noi aveva previsto che tra il cantante e la gente per bene, timorata di Dio, religiosa non poteva correre buon sangue. Ed infatti fu un vero disastro con polemiche che durarono alcuni giorni sulla stampa locale.
Di occasioni di incontri con Franco ve ne sono stati tanti anche fuori dai contesti pubblici; l’ultima volta che l’ho visto è stata la presentazione del libro di Maurizio Giardi e Marco Mannori, “Il fratello di Marta” alla Libreria Mondadori a Prato (oggi non c’è più “anche” quella libreria), ma non capii che stava male: era fatto così, scherzava come sempre, ti prendeva (o no?) per il culo. Poi arrivò la notizia della sua morte il 31 dicembre del 2015. Due anni fa, proprio il 2 gennaio, ci furono i funerali nel Duomo. Funerali solenni, anche allegri come lui avrebbe voluto che fossero se vi avesse potuto partecipare da vivo. Solenni anche perché ufficiati da due vescovi, l’emerito Gastone Simoni e quello in carica Franco Agostinelli oltre che dall’esperto di arte e spettacolo don Giuseppe Billi.
Uno dei suoi amici pratesi più cari, un artista dell’ottava rima come Gabriele Ara in quell’occasione ebbe a chiedergli proprio di salutare Carlo Monni non appena lo avesse incrociato lassù nei pascoli del cielo.

Joshua Madalon

In giornata ripubblicherò anche quel che scrissi il 2 gennaio del 2016

http://www.maddaluno.eu/?p=4009