ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 2

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ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 2


Come preannunciato giorni fa, in ricordo della figura di Danilo Dolci a venti anni dalla sua morte e di Piero Calamandrei, uno dei più illustri tra i “padri costituenti”, a 70 anni dalla approvazione, promulgazione ed entrata in vigore della Costituzione italiana ho pensato di fare cosa gradita nel pubblicare l’arringa in difesa di Danilo Dolci pronunciata il 30 marzo del 1956 nel Tribunale penale di Palermo. Tale discorso è indirettamente una denuncia esemplare dell’incapacità del Governo di allora (ma molto poco è cambiato se non peggiorato in termine di rispetto dei valori fondanti della Carta) di applicare gli elementi fondamentali della Costituzione e di rispettare e far rispettare le regole della convivenza civile. Danilo Dolci era stato arrestato il 2 febbraio 1956 per aver promosso e capeggiato, insieme con alcuni suoi compagni, una manifestazione di protesta contro le autorità che non avevano provveduto a dar lavoro ai disoccupati della zona: la manifestazione era consistita nell’indurre un certo numero di questi disoccupati a iniziare lavori di sterramento e di assestamento in una vecchia strada comunale abbandonata, detta “trazzera vecchia”, nei pressi di Trappeto (provincia di Palermo), allo scopo di dimostrare che non mancavano né la volontà di lavorare né opere socialmente utili da intraprendere in beneficio della comunità. I principali capi di accusa riguardavano la violazione degli articoli 341 (oltraggio a pubblico ufficiale), 415 (istigazione a disobbedire alle leggi), 633 (invasione di terreni) del Codice penale.)
In quegli anni tra l’altro i pescatori di Trappeto si vedevano depauperati della possibilità di svolgere efficacemente il proprio lavoro a causa della presenza di grandi pescherecci collegati a potentati locali che portavano via dal mare antistante la maggior parte delle materie prime di cui legalmente avrebbero potuto usufruire le povere famiglie del posto.

Piero Calamandrei morì pochi mesi dopo aver difeso Danilo Dolci, il 27 settembre del 1956 a Firenze.

Ho già pubblicato lo scorso 31 dicembre la prima parte dell’intervento di Piero Calamandrei In difesa di Danilo Dolci – qui di seguito troverete la seconda parte. Confrontate il tutto con quanto scritto da Norberto Bobbio nella prefazione a “Banditi a Partinico” (vedi post di ieri 1 gennaio 2018) e, se non ancora conoscete Danilo Dolci e siete stimolati ad approfondirne le qualità e le caratteristiche che lo hanno fatto definire “Gandhi italiano” (insieme ad un altro grande come Aldo Capitini), andate in Biblioteca – o in libreria – e cercate le sue opere. Ancora, BUON ANNO 2018! L’anno della Rivoluzione del “68 (a 50 anni)
Joshua Madalon

2.
Ma allora vuol dire che siamo tutti qui per lo stesso scopo: quale è il punto del nostro dissidio, quale è il tema del nostro dibattito? Perché noi avvocati stiamo a questo banco degli imputati dietro a noi e i giudici nei loro seggi più alti? di che stiamo noi discutendo?
In verità io non riesco a riconoscere su queste facce di imputati, così tranquille e serene, le tristi impronte della delinquenza; né riesco a scoprire nelle umane facce dei carabinieri che stanno accanto a loro la fredda insensibilità dell’aguzzino. Io so che essi, quando mettono le manette a questi imputati, si sentono in fondo al cuore umiliati e addolorati di questo crudo cerimoniale, che pure hanno il dovere di compiere: quando la mattina gli imputati entrano in quest’aula incatenati, come prescrive il regolamento di polizia, non sono essi che provano rammarico e vergogna per quelle catene. Ho visto con i miei occhi che, nonostante quei polsi serrati nelle manette, le loro facce rimangono serene e sorridenti; ma un’ombra di mestizia traspare sui volti di chi li accompagna.
No no, il dissidio non è qui, in questa aula: il dissidio è più lontano e più alto. Sarebbe follia pensare che Danilo abbia potuto indirizzare agli agenti che lo arrestarono, fatti della stessa carne di questi che oggi lo accompagnano, l’epiteto di ” assassini “. Danilo non parlava e non parla a loro. Gli assassini ci sono, ma sono fuori di qui, sono altrove: si tratta di crudeltà più inveterate, di tirannie secolari, più radicate e più potenti; e più irraggiungibili.
Di quello che è avvenuto, signori del Tribunale, non si deve dare colpa alla polizia, la quale è
soltanto una esecutrice di ordini che vengono dall’alto. In quanto a me, vi dirò anzi che ho sentito dire che io dovrei essere debitore, verso qualcuno degli agenti che hanno deposto in questo processo, di speciali ragioni di gratitudine. Dai resoconti dati dalla stampa su una delle prime udienze, alla quale io non ho potuto partecipare, ho appreso che io dovrei ringraziare quel funzionario di polizia che oggi è commissario a Partinico, il dottore Lo Corte, del trattamento di favore che egli mi avrebbe usato a Firenze, nel periodo in cui egli apparteneva alla polizia della Repubblica di Salò: pare che nella sua deposizione egli abbia detto che mi trattò con speciale riguardo perché, quando venne al mio studio per arrestarmi, arrivò un quarto d’ora dopo che io ero uscito e così lasciò ineseguito il suo mandato. In verità io non mi ricordo di lui: e non so se devo essere grato a lui per essere arrivato un quarto d’ora dopo o a me stesso per essere uscito un quarto d’ora prima. Ma in ogni modo sono anche disposto ad essergli riconoscente: non sono queste vicende personali le cose che contano in questo processo. Quello che conta è un’altra cosa: conoscere il perché umano e sociale di questo processo, collocarlo nel nostro tempo; vederlo, come tu ben dicevi, o amico Sorgi, storicamente, in questo periodo di vita sociale e in questo paese.

….fine parte 2…..continua

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BUON 2018 – Danilo Dolci e Norberto Bobbio – pagine esemplari

BUON 2018 Danilo Dolci e Norberto Bobbio – pagine esemplari

Su “Paese Sera” del 19 dicembre e sul mio blog del 23 dicembre u.s. accennavo alla Prefazione che Norberto Bobbio scrisse per “Banditi a Partinico” di Danilo Dolci.
Accanto al testo di Piero Calamandrei anche questo dell’illustre filosofo torinese andrebbe fatto studiare ai giovani (ed ai meno giovani, bisognosi di essere incoraggiati alla partecipazione attiva, civile, civica, politica). Sono passati più di sessanta anni e le parole di Norberto Bobbio, così come quelle altre cui accenno e che ho avviato a pubblicare perché siano viatico esemplare per chiunque voglia impegnarsi socialmente ed abbandonare il pessimismo risuonano ancora come fossero a noi contemporanee.
Qui di seguito riporto solo alcune parti ma vi consiglio di impadronirvi dell’intero testo non appena ne avvertirete il bisogno.
Dice Bobbio: “…..Vorrei quasi considerare queste pagine come una salutare iniziazione allo studio della vita politica in Italia, salutare per tutti coloro che son venuti prendendo coscienza della impossibilità di separare ciò che si è come uomini e ciò che si è come membri di una società storicamente determinata, intesa la politica nel senso più proprio come complesso dei rapporti tra individui e Stato, tra privati cittadini e pubblici poteri…..vorrei che si leggessero queste pagine come un commento, amaro e talora crudele, sempre spietatamente smascheratore delle belle frasi di cui la classe dirigente, politica e sacerdotale, riempie e decora i propri discorsi.
Crediamo di sapere, a sentir quei discorsi, che democrazia significa uno Stato in cui il cittadino è sovrano e gli organi della pubblica amministrazione sono al suo servizio, e più ancora che l’Italia attualmente è una vera democrazia…..Crediamo di sapere che diritto significa regola che impedisce l’esplodere della forza incontrollata delle passioni e degli interessi, e che il nostro Stato è uno Stato di diritto….E la giustizia dello Stato non è la forza superiore alle parti dalla quale ci attendiamo che la violenza privata non rimanga impunita?….E perché mai esistono una legge e uno Stato, questa imponente e costosa macchina di funzionari (i “fedeli servitori” della pubblica retorica) se non per impedire che il potente spadroneggi e il debole sia annientato?…..
…Si esce dalla lettura di queste pagine perseguitati dal fetore di quelle stanze e di quelle strade, dall’immagine di quegli interni desolati e confusi, di quei volti stanchi o torbidi o malati…col senso di una società più che pervertita guasta, più che corrotta disfatta, che vive sotto il segno della precarietà e del disvalore – disarmonia contro armonia, miseria contro ricchezza, malattia contro sanità, ignoranza contro conoscenza, superstizione contro religiosità, morte contro vita -, di una società dove l’avvilimento quotidiano di cui si discorre senza stupore e angoscia come del tempo che fa, è la morte……
….Per molti di noi il crollo del fascismo e la guerra di liberazione sono stati l’occasione per la scoperta di un’Italia segreta e nascosta, dell’Italia non ufficiale, di cui la cultura dominante, tutta affaccendata in polemiche filosofiche o ideologiche o di scuola (contro il positivismo, contro il pragmatismo, contro l’attivismo e via con mille altri nomi astratti) ci aveva poco o nulla parlato, e di cui la politica dei politici aveva spudoratamente negato l’esistenza. Si cominciò a guardare l’Italia non più dall’alto in basso, ma di sotto in su, dal punto di vista dei poveri, dei diseredati, degli oppressi, di coloro che non erano mai stati protagonisti…..”

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Norberto Bobbio ci ha lasciato pagine esemplari come queste che precedono la descrizione quotidiana, meticolosa, scientifica delle condizioni di coloro che avevano smarrito la loro identità di uomini, donne, cittadine e cittadini per assumere nomi collettivi come plebe, massa, banditi.
Guardiamolo oggi questo nostro Paese a sessanta anni e più dal tempo di “Banditi a Partinico” e confrontiamo quelle descrizioni con il mondo attuale, provando ad affrontare le problematicità con nuovo vigore ed uno sguardo attento alle esigenze ed ai bisogni dei più deboli.

Joshua Madalon

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