Una via d’uscita dal “cul de sac” – NON BASTANO LE IRONIE – CI VUOLE UN PUNTO E A CAPO parte 2

 

 

 

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Una via d’uscita dal “cul de sac”

NON BASTANO LE IRONIE – CI VUOLE UN PUNTO E A CAPO

 

2.

Certamente è liquidatorio e superficiale l’addebito tout court al Partito Democratico; ma non si può pensare allo stesso tempo che una forza che raggiunge e supera pur in un contesto favorevole (ridotta partecipazione al voto e inaffidabilità a livello europeo di un movimento come quello “grillino”) il 40% dei consensi e poi in pochi anni crolla al 17 e poco più % non abbia delle responsabilità oggettive in quel che oggi va accadendo. Per non parlare di quella catastrofe che è stato il referendum del 4 dicembre 2016; anche in quell’occasione il Partito Democratico si è lanciato, al seguito di Renzi e dei suoi più fedeli sostenitori, in una campagna disastrosa, senza mai riconoscere il valore delle critiche.

Per concludere, anche se avrei da scrivere molto di più, mi rivolgo a coloro che non lo hanno ancora compreso, invitandoli a rimettere in piedi una forza politica di Sinistra (non ascoltate le voci tendenziose che parlano di una marginalità di quella parte politica) che princìpi dal riconoscimento degli errori e allontani dal proprio interno coloro che li hanno prodotti; gli altri fondino un nuovo Partito, lo chiamino PDR o Partito della nazione o Fronte Repubblicano, si alleino pure con i  rimasugli di Forza Italia: in fondo lo hanno sempre desiderato.

Anche a Prato la Sinistra sappia mostrare la sua maturità, costituendosi in forma autonoma, critica ma in modo positivo e propositivo per poter contribuire ad un processo reso ancor più urgente dalla crisi del Centrosinistra non bilanciata da un successo della Sinistra nelle occasioni elettorali più recenti. Una Sinistra che non ha funzionato come calamita dei transfughi del PD in quanto caratterizzata da due aspetti, direi ancora “ambigui”: non essere del tutto distinguibile dal PD e non essere promotrice di un riconoscibile progetto di governo.

E’ stato questo il caso della lista “LeU”, costruita troppo a ridosso sia delle scelte di alcuni leader “fuoriusciti” dal PD sia della contesa elettorale che già si annunciava “di lacrime e sangue”. Il risultato atteso era contornato da fantasiose teorie secondo le quali LeU avrebbe potuto convogliare gran parte dei delusi dal Centrosinistra: a conti fatti – con il “senno” del “poi” – si caratterizzava come una sorta di camera di compensazione in attesa dei tempi migliori per poter poi riconvertirsi.

Altro è stato il progetto di “Potere al popolo” con l’idea di costituire un punto di riferimento dopo l’esperienza deludente – e delusa – del “Brancaccio”. In quella realtà “politica” manca il progetto governativo ed è dunque il punto di approdo di eterni e perenni scontenti, che prefigurano rivoluzioni impossibili, indisponibili al confronto che significa in soldoni “compromessi”.

Sia la forza di “LeU” che quella di “PaP” si sono connotate, pur non riconoscendolo,  come sedi medio-borghesi autoreferenziali, del tutto sottomesse in angoli angusti dalla forza del populismo e del sovranismo.

Per uscire dall’angolo bisogna rimettere in moto il rapporto “aperto” con i territori. Non ha alcun senso rivolgere l’attenzione alle candidature: ad oggi qualsiasi personaggio afferente alla storia del Partito Democratico non è degno di attenzione, perché ancora portatore attivo o passivo di quella fase scellerata ed autodistruttiva che si spera sulla via dell’estinzione, che si è chiamata “renzismo”.

Ho avviato questo post dedicandolo a coloro che in quel Partito minimizzano i danni inferti dall’avvento di Renzi, ironizzando sugli addebiti in relazione alla difficile situazione politica che si è venuta a creare. Ancora una volta dico loro che, invece che inalberarsi di fronte alle critiche mie e di tante altre persone si fermino a riflettere ancora un po’, riconoscano almeno il valore disinteressato di esse e facciano sentire più forte la loro voce. Ma soprattutto, per carità, evitate di pensare che sia possibile per tanti come me di far ritorno “con la coda fra le gambe” in quel contesto dal quale praticamente si è voluto emarginare i critici a prescindere dalla valutazione delle loro richieste.

 

Joshua Madalon

 

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