Al PD dico “miei cari non è più il momento!”

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Al PD dico “miei cari non è più il momento!”

Sono fatto così, anche se qualcuno offende la mia buona fede.

Sono disponibile a discutere, ma non a farmi prendere per il culo.

C’è qualcuno, davvero molti però, forse troppi, che si ostina a difendere l’indifendibile, parandosi dietro lo scudo dell’antifascismo.

Se io dico che tutto questo loro comportamento è un’inutile difesa dei vantaggi di cui hanno goduto nel corso degli ultimi decenni in modo peraltro immeritato, ma soltanto in quanto aderenti spesso acritici o disponibili al silenzio, lo faccio con la preoccupazione del rischio che va correndo la nostra democrazia.

Se rilevo che vada mancando un’analisi severa dei motivi per cui si sia raggiunto nel complesso il più basso livello di adesione alle forze della Sinistra, lo faccio perché sono convinto che soltanto correggendo nel profondo gli errori compiuti negli ultimi decenni da quella parte politica cui ho appartenuto, rivedremo la luce al di là del tunnel.

Ed in questo modo non mi autoassolvo.

Sono infatti alla ricerca di un approdo convincente, senza ancora averlo raggiunto.

E vado ripetendo da tempo a “tutti” gli interlocutori che sia necessario un azzeramento ed una ripartenza. Quando scrivo tra virgolette “tutti” intendo per davvero coinvolgere “tutti”, per intenderci, i soggetti della Sinistra.

Anche il PD.

Certo! Ma a patto che la sua disponibilità, cioè quella dei suoi attuali dirigenti che non sono per niente diversi da quelli che hanno consentito alla città di Prato di essere conquistata dal Centrodestra già nel 2009 e che hanno ripreso la città, occhieggiando parte della Destra non del tutto soddisfatta dalle politiche della Giunta Cenni, nel 2014,  sia quella di riconoscere “apertamente” gli errori,  avviare un chiaro cambiamento nelle proposte e nei suoi rappresentanti, a partire dalle candidature.

I segnali che giungono da quella parte non sono per niente incoraggianti. C’è una profonda sordità accompagnata da un costante invito a costituire un “fronte comune antifascista”, a tutta evidenza “necessitato” ma ormai “irricevibile”.

Direi, “miei cari non è più il momento”! 

Avete contribuito a a sfasciare la Sinistra, producendo politiche neoliberiste a vantaggio delle classi più ricche, riservando alle più deboli solo “elemosine”.

Avete mortificato progressivamente la partecipazione ed il coinvolgimento attivo dei militanti, relegandoli in funzioni solo elettoralistiche.

Avete allontanato l’intellighenzia libera dai vostri consessi, allo scopo di avere consensi facili.

Alla Sinistra extra PD non riservo però applausi.

Molto spesso si sono fatti ingabbiare ed ingannare dal Partito Democratico che nello stesso tempo criticavano, chiedendo “forse” in cambio di essere “riconosciuti” (sapete il significato di questo termine) ma ricevendo calci sui denti o poco meno, e comunque quella considerazione – o commiserazione – che si riconosce alla servitù.

Da qui in avanti occorre tener conto di quel che è stato e procedere. Non ci sono le condizioni di un rapporto di fiducia, anche “a saldo” delle vicende elettorali del 2014.

 

Joshua Madalon

 

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reloaded del PD e delle SINISTRE….

 

 

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Uno degli aspetti più “(non)sorprendenti” della Politica praticata è l’incapacità da parte dei leader e dei suoi sostenitori di assumersi le proprie responsabilità di fronte ad eventi “catastrofici” dal punto di vista del consenso. La colpa è sempre degli “altri”, in primo luogo dei propri avversari interni, poi di qualche altro “esterno” che in qualche modo avrebbe “tradito” e poi ancora degli elettori che non “hanno compreso”. Come è ovvio sto scrivendo del Partito Democratico e di Renzi  & compagnia bella. Indubbiamente ed a conti fatti come disse il Segretario del PD di Prato non condivido più nulla con quel Partito. Detto questo, non intendo esimermi dall’avanzare critiche nei confronti di quella forza politica, perché riconosco che tra i suoi elettori vi sono ancora alcuni, vaghi rappresentanti della Sinistra, resistenti cocciuti creduloni. Ed inoltre c’è anche una parte esterna al PD che considera indispensabile mantenere e rafforzare un rapporto con quel Partito, issando la bandiera dell’antifascismo e della crociata contro le Destre.

Con le mie note mi rivolgo a ciascuno di loro, rigettando le accuse e i vituperi che mi vengono diretti: il Paese ha bisogno di una profonda chiarezza e qualsiasi compromissione sarebbe una sciagura, incompresa dagli elettori. Sono stati questi alcuni, forse i più importanti,  limiti nell’esperienza fallimentare di “Liberi e Uguali” affidata ad una figura poco “radical” ma molto “chic” come quella di Pietro Grasso e caratterizzata da una profonda ambiguità di prospettive.

Quella esperienza è nata sull’onda della “necessità” spaccando tuttavia il fronte della Sinistra ed infliggendo un vulnus ferale al futuro di quella parte politica. Non sto qui a rammentare il “cursus” ma a segnalare che non si può rinnovarlo nel prossimo futuro; anzi, da quella vicenda pessima dobbiamo trarre il necessario insegnamento.

Accennavo nella prima parte proprio all’incapacità della Politica di approfondire le cause delle sconfitte; ed è anche alla Sinistra, quella più vicina al mio sentire, che lancio le mie critiche in relazione a quel che emerge nelle ultime ore:  abbandonate le perenni attese, contornate da una fiducia immeritata verso il PD, e sciogliete le vele verso un nuovo orizzonte. Non soggiacete a rapporti patetici con chi non intende mettere in discussione scelte sciagurate, che hanno mortificato in modo costante il mondo del lavoro subordinato a vantaggio della plutocrazia imprenditoriale ed affaristico-finanziaria, che hanno umiliato denigrandoli e mortificandoli i bisogni della gente, concedendo loro poco più che le “brioches” di Maria Antonietta. Non dimenticate tutto ciò, cosa sperate di poter avere in cambio? Forse qualche piccolo vantaggio personale? Qualche riconoscimento tra le virgole, i punti ed i punti e virgole del Programma? Non vi basta aver compreso quali siano stati i punti di riferimento in questi ultimi anni sia sui territori locali che in quelli nazionali? Non di certo risposte a domande precise della gente semplice.

Forse la volontà di superare la fatica dell’elaborazione programmatica ed avere “’O cocco ammunnato e bbuono” conduce a tutto questo?

Il bisogno estremo di “unità” delle Sinistre non può comprendere accordi con chi della Sinistra non ha mai voluto tener conto. Non sono bastate le “fregature” inflitte ad alcuni di voi nel corso delle esperienze del recente passato?

Tra l’altro il richiamo all’unità antifascista da parte del PD oggi suona come sirena interessata al mantenimento dei poteri e non è espressione sincera.

Joshua Madalon

 

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AGOSTO FLEGREO 2018 – 5

 

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AGOSTO FLEGREO 2018 – 5

Di fronte al Monumento ai caduti c’è la sede dell’Ufficio Turistico.  Avevo avuto modo di fotografarlo mentre, nell’approssimarsi della stagione estiva a giugno era tristemente “chiuso” con l’indicazione che “erano finiti i fondi”.  Segno anche questo dell’indolenza fatalistica di questo popolo che pure mi appartiene; dell’incapacità a progettare di cui già accenno altrove. Era aperto ma allo stesso tempo chiuso; ho picchiato lievemente le nocche sul vetro ed una gentile signorina è venuta ad aprire. Quasi certamente incolpevole e succube di un destino, non ho argomentato in merito al suo futuro, limitando la richiesta ad un paio di riviste qualitativamente di buon livello, “My Country”. Fossi un visitatore inglese qualsiasi della classe operaia sarei compiaciuto; se però fossi un inglese colto mi porrei più di un quesito in merito alla necessità di intitolare una rivista che parli del tuo paese italiano, intitolandola “My Country”. La nostra è una lingua storicamente importante, al di là della sua diffusione universale.

Abbiamo ritirato le riviste e salutato. Procedendo a ridosso del rione Poerio ristrutturato in modo egregio utilizzando le forme mosse preesistenti, siamo passati davanti alla composizione maiolicata di un trittico che rappresenta  a sinistra di chi guarda la Vergine del Rosario con il Bambino supplicata da San Vincenzo Ferrer e dalle anime dell’Inferno; da notare anche il simbolo dei Domenicani, un cane con in bocca una fiaccola accesa. Al centro poi la Crocifissione con personaggi contemporanei alla realizzazione del trittico adoranti. A destra di chi osserva poi l’Apoteosi di San Vincenzo che sovrasta una delineazione di come doveva essere la città di Pozzuoli a metà Ottocento, età in cui il trittico fu realizzato. E’ una delle opere artistiche più importanti della Pozzuoli moderna ancor più per il fatto che sia godibile pubblicamente.

 

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La Chiesa ha una sua grazia naturale anche per la sua collocazione e per quella della canonica la cui struttura scenografica interna ed esterna sospinge verso il mare. Credo che il mio amico Giuseppe Gaudino puteolano e cultore a suo modo “artistico” della storia locale ne abbia tratta ispirazione per uno dei suoi ultimi film, “Per amor vostro”, in quelle inquadrature oniriche che spingono oltre balconi e finestre. Ai visitatori chiedo di non limitarsi alla visita della Chiesa ma di procedere a sinistra percorrendo qualche ansa della canonica fino ad affacciarsi sul lungomare che si trova a destra dello scheletro orrendo dell’ex “Vicienzo a mmare”.

 

Noi avveduti infatti procedemmo in tale direzione ed un gentilissimo sagrestano anziano ci tenne compagnia senza negare dettagli storici ed archeologici conditi da inserti antropologici, tutti insieme abbastanza inesatti ma appassionati.

 

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Dalla terrazza il panorama è magnifico ad eccezione dei ruderi contemporanei dell’ex ristorante “Vicienzo a mmare”. In effetti, purtroppo non si tratta proprio delle vestigia di quel locale ma di un fabbricato in cemento armato orribile nella sua incompiutezza ed abbandono, ricettacolo per decenni di monnezza varia e di tossici alla ricerca di una copertura per spaccio e consumo. Punto dolente è tuttavia anche  la vista di un percorso alberato oramai già consumato in gran parte,  che divide il terrapieno dove si trova la Chiesa e le abitazioni del rione Poerio dalla scogliera. Ai tempi dell’inaugurazione era uno dei fiori all’occhiello della Giunta comunale. Ora ci si va per lamentarsi o, in linea di massima, per accontentarsi. Dopo tutto, è la rassegnazione la peggior disgrazia che colpisce questa parte di mondo.

 

J.M.

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reloaded RACCONTO D ‘ESTATE ad un anno dalla sua pubblicazione

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reloaded RACCONTO D ‘ESTATE ad un anno dalla sua pubblicazione

Il display segnalò che era venuto il suo turno: a quell’ora l’attesa era di cinque massimo dieci minuti. Con la calura estiva non c’era ressa alle 3 pomeridiane.
“Devo ritirare le analisi di mia figlia; ho la delega e la fotocopia del suo documento!” Gil sapeva presentarsi senza tanti fronzoli per ottimizzare i tempi di lavoro dei suoi occasionali interlocutori.
“Perfetto! Pochi arrivano qui che hanno già preparato tutto. Complimenti!” fece l’impiegato che subito dopo aver rapidamente controllato che fosse tutto a posto digitò le lettere del codice fiscale per accedere attraverso il monitor alla documentazione richiesta.
Gil scherzosamente volle rilevare che, in un’altra occasione, sempre per sua figlia, gli era stato consegnato un referto che apparteneva ad un’altra persona. Se ne era accorto mentre usciva, avendo aperto il plico per verificare i dati delle analisi della ragazza che, essendo via voleva esserne informata.
E l’addetto disse che non sarebbe stato possibile; lo ribadì, mentre però verificava con ulteriore attenzione i dati. Poi chiuse il tutto nella busta e la consegnò a Gil.
Appena fuori fece la stessa identica operazione delle volte precedenti. Il nome corrispondeva; scorse i vari dati comparandoli con il range indicato a margine: era tutto nella norma con un lieve calo dei globuli rossi, ma poco al di sotto del minimo. Girò la pagina e… tutto appariva regolare…. ma c’era qualcosa di strano in una delle regolarità.
*******************
Anche d’estate il clima al mattino è abbastanza fresco. Gil aveva accompagnato sua figlia Mary al Centro comunale per le analisi mediche. Bisognava arrivare presto per poter poi tornare a casa e ripartire per l’Archivio entro metà mattinata. Mary non voleva prendere un permesso lungo. Quella mattina ad un certo punto vennero giù, brevi ma fitte e grosse, gocce di pioggia proprio mentre Gil, dopo aver fatto scendere la ragazza per potersi anticipare nella fila “esterna”, era andato a parcheggiare l’auto. Pagò il parcheggio alle macchinette e rientrato in auto ne prelevò uno degli ombrelli per ripararsi mentre aumentava il passo per raggiungere Mary. Da lontano vide che era in compagnia di una signora, anch’ella in fila, che la proteggeva con il suo ombrello……e rallentò tranquillo.

…rallentò e, curioso come era, lentamente Gil, meno preoccupato avendo la certezza che Mary fosse protetta dagli scrosci, si avvicinò alle due donne allo scopo di poter capire di cosa stessero confabulando. Lo capì quando riuscì ad avvicinarsi meglio. La signora era inglese ed aveva frequentato da ragazza gli stessi ambienti universitari nei quali lavorava Mary. Fecero rapide presentazioni poiché intanto le porte magiche dei Laboratori si erano aperte e tutti stavano affluendo in un ordine tutto italiano verso l’ingresso. Soltanto una donnina gentile si accodò loro riconoscendo forse in modo non del tutto corretto ma a suo svantaggio che era arrivata dopo.
Un gran caos che proseguì davanti ai distributori di numeri ma che era solo un timido annuncio di quel che avvenne poi…

Eterogenee etnie ed una babele linguistica moderna affollavano la sala d’attesa; la maggior parte dei pazienti e di alcuni accompagnatori, tra quelli soprattutto che erano arrivati molto presto quella mattina, sedeva tenendo a vista il display, che però non dava segni di vita.
Nel silenzio dell’attesa, quando la pazienza ha ancora un po’ di limiti da sopportare, si percepirono alcune voci, piuttosto agitate, non chiare, al di là della porta avetri che dava alla reception amministrativa – primo step della sequenza degli impegni dei “pazienti” – ed alle salette per i prelievi – successivo step per coloro che attendevano in sala – ma non si comprendeva quali fossero le ragioni di tali dissidi. Anche dopo l’avvio delle chiamate, ogni volta che veniva aperta la porta a vetri, sia che ne entrasse sia che ne uscisse qualcuno, arrivavano alle orecchie degli astanti voci e urla: era soltanto evidente che là dentro i “conti”, quali fossero le caratteristiche di essi non essendo ben chiaro, non tornavano.
Gil si allontanò dalla sala mentre Mary continuava a leggere e scrivere appunti, utilizzando il suo tablet in mezzo a quella bailamme. Il suo cellulare vibrava; era un suo amico che quello stesso giorno sarebbe partito per gli Stati Uniti e non se la sentiva di dirgli che non poteva parlare. Uscì fuori sullo spiazzo dal quale erano entrati.
La telefonata fu abbastanza lunga: peraltro mentre parlava con il suo amico, Gil aveva incrociato lo sguardo di un suo ex allievo, un suo coetaneo del Corso per adulti che non vedeva da alcuni anni. Terminato il dialogo telefonico “Come va?” si dissero all’unisono, e solite ovvietà senza alcun senso di chi si rivede con piacere, ma non più di tanto, poi. Era seduto insieme alla moglie su un’aiuola rialzata e circondata da un muretto; erano arrivati piuttosto tardi ed il loro turno sarebbe stato di certo in là con i tempi tra più di mezzora forse anche un’ora. Tra l’altro degli scrosci di prima nulla era rimasto…..
*****
Ancora berci ed urla provenienti dall’interno dei laboratori, più chiare e più forti quando si aprivano le porte per far uscire o entrare i pazienti che dovevano sottoporsi ai controlli. Gil nel rientrare si era accorto che Mary non c’era e si affacciò verso l’interno attraverso i veri delle due porte; scorse sua figlia al desk e con la dovuta riservatezza si rimise a sedere…
“Sì, Mary è già dentro. Sono qui nell’ingresso; non penso per molto…” Gil rassicurò la moglie che lo aveva chiamato e poi riprese ad inviare messaggi in chat ad alcuni suoi amici. Passò mezzora ed allora decise di far finta di essere un paziente e varcò le porte della reception. Una grande confusione lo colpì e si sorprese a vedere che Mary era ancora là seduta ad aspettare. “Ho già fatto un’analisi ma mi hanno detto che ne devo fare un’altra per la quale è necessario che io stia ferma qui. Mi chiameranno a momenti; perlomeno così sembra debba essere…. Tu vai di là!” gli disse.
Più paziente del solito, con Mary lo era in modo insolito, si rimise a sedere nella saletta d’attesa e la aspettò.
*********
Con i fogli delle analisi Gil decise di andare direttamente dal medico di famiglia, chiedendo di essere ricevuto tra un paziente e l’altro solo per la “lettura” dei dati, che – a suo parere – erano davvero sorprendenti. Tra le diverse voci ce n’era una che non si aspettava potesse trattare un soggetto femminile.
Era regolare, però, ma riguardava il test di PSA prostatico. “E’ da rifare!” fu la sentenza del dottore. Gil uscì dallo studio con una nuova richiesta e continuò a chiedersi di chi fossero quelle analisi, con la curiosità di sapere a chi fossero poi state consegnate le altre di Mary.

J.M.

 

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a grande richiesta!!! per intero PASSEGGIATE FLEGREE – giugno 2018

 

 

 

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a grande richiesta!!!

 

PASSEGGIATE FLEGREE – giugno 2018

 

“Fru fru!  Frufruuuu!” la donnina attempata ma dalla figura eretta vagava sulla strada assolata del primo pomeriggio caldo di giugno. Il selciato era sconnesso e la via,  ingombra di auto parcheggiate, polverosa anche per i lavori di rifacimento di alcune facciate rovinate dal tempo e dal vento ricco di salsedine.

Stavamo facendo ritorno da una lunghissima “passeggiata”. Contando sulle nostre forze espresse nei percorsi pedonali   sulle ciclabili lungo il fiume Bisenzio non avevamo temuto di intraprendere il nostro viaggio urbano sulle pendici che dalla Solfatara portano verso il mare. Spesso ci dicevamo che camminavamo poco e che, alla nostra età, avevamo bisogno di farlo quotidianamente: d’inverno era  più difficile uscire a passeggiare mentre tirava vento, con il  freddo e la  pioggia; in primavera ed in estate dovevamo recuperare.

Avevamo preso la strada più diritta che dal Parco Bognar  portava verso le ex Palazzine, attraversando il tunnel della Ferrovia; era ancora fresca la mattina e spirava un leggero venticello, anche se il cielo era sgombro di nubi. La piazza che fino a pochi anni prima era sede di un mercato rionale allora era ingombra di auto. Avevamo deciso di andare al Cimitero per un saluto ai nostri cari. Davanti all’Ufficio Postale non c’era ancora la fila consueta, in fondo erano appena le otto e mezza del mattino. Rasentammo utilizzando il marciapiede sulla Domiziana il muro delle case Olivetti, costruite negli anni Sessanta per i dipendenti di quella grande fabbrica.                                                                                                                                                      Mura fatte di mattoni di tufo corrosi dal tempo. Erano là sin dall’inizio di quell’avventura: chissà da dove provenivano, non molto lontano da quel luogo certamente! Ma da quale cava tra quelle che, girando un’occhiata rapida  in giro per i Campi Flegrei riuscivate a scorgere, abbandonate, dopo l’intenso sfruttamento umano che per secoli hanno subìto, quelle pietre provenivano? Di fronte alle case Olivetti, là dove c’era la Scuola elementare che io avevo frequentato dopo la “primina” e che era stata una delle sedi dove Marietta aveva insegnato quando iniziavo a conoscerla, c’erano soltanto i maestosi ruderi di un complesso termale romano: tutta l’area trasudava  storia antica mal sopportata dai contemporanei che nel corso degli ultimi secoli ne hanno fatto strame. Era un miracolo puro che fosse rimasto intatto l’Anfiteatro Flavio, a pochi passi indietro da dove stavamo, mentre non aveva avuto altrettanta fortuna l’altro, il secondo, Anfiteatro, che segnalava – se ce ne fosse pur stato bisogno – l’importanza della Puteoli romana, porto imperiale precedente a quello di Ostia.  Di fronte alle case Olivetti accanto ai ruderi antichi ed ai ricordi nostalgici della mia infanzia e della nostra giovinezza notammo il perimetro difeso da filo spinato della Casa Circondariale Femminile, con il piccolo ingresso privato riservato alle suore, che avevano  il compito di portare sollievo “spirituale” alle povere donne carcerate, povere in genere anche se, per motivi molto diversi e lontani dalla “povertà” aveva avuto l’onore di frequentare quella realtà anche una delle più illustri figure artistiche internazionali di origine puteolana.

Arrivati alla Piazza dell’Annunziata, Piazza Francesco Capomazza, uno sguardo appena sollevato sulla nostra destra ci fece  scorgere il massiccio bastione del Palazzo Cosenza, che dominava tutta la scena. Là dietro c’era in disordine sparso una delle più grandi Necropoli romane visibili ma non visitabili, anche se per fortuna non del tutto distrutte dalla violenta inciviltà degli uomini. Noi proseguimmo.

Passando davanti alla Chiesa buttai lo sguardo all’ingresso come d’abitudine si fa con un luogo amico. Compresi che tanto tempo era trascorso da quando frequentavo quegli ambienti. Ma a quell’ora non si intravedeva alcun movimento, non sarebbe stato possibile.  Ci inoltrammo su via Luciano, la strada degli addii perché porta al Cimitero. Sulla sinistra cespugli incolti dietro un alto cancello nascondevano il vialetto di ingresso ad una Villa signorile, che apparteneva ad una famiglia che ebbi modo di conoscere da bambino, avendo ricevuto in quel luogo  lezioni private per la “primina” alla quale mi inviarono i miei genitori. Più in là da adolescente ho frequentato quei luoghi perché amico di Ludovico un mio coetaneo del quale ho perso le tracce da un mezzo secolo circa. La villa era interamente abbandonata, circondata da alberi alti e rovi pungenti, allo stesso modo con cui lo erano altre vestigia imperiali all’esterno di quella.

Camminammo lungo la strada tra abitazioni popolari fatiscenti e sorrette da travature di acciaio per difendere i passanti da un possibile crollo e manufatti ristrutturati, tra i quali quelli del complesso che appartiene alla Curia vescovile e che, prima del picco del bradisismo agli inizi degli anni ’80, ospitavano giovani orfani e bisognosi di sostegno economico per gli studi. Dagli anni Ottanta, poi, il “Villaggio del Fanciullo” aveva accolto tutto l’Archivio e la Biblioteca Diocesana. I suoi spazi moderni ed accoglienti vengono utilizzati per Convegni e Seminari non solo afferenti alla cultura cattolica. Poco prima del “Villaggio” c’era uno spazio semi verde che forniva l’idea dell’incuria e dell’abbandono: si trattava di un vallone incolto adibito ad attività artigianali.

Poco oltre sulla sinistra grazie ad un muro meno alto degli altri si apriva a noi uno splendido panorama sul Golfo di Pozzuoli.  Sollevando il nostro sguardo al di sopra del muretto  scorgemmo altri ruderi più corposi ed apparentemente meno trascurati. Si trattava dello Stadio Antonino Pio, una vera e propria rarità, il cui trattamento ci spingeva a maggiori preoccupazioni per il futuro rispetto delle “storie”: l’incuria verso il passato è segno di una inciviltà barbarica.

Era abbastanza presto; di prima estate in prossimità del solstizio i frequentatori del cimitero si riducono, soprattutto nei giorni infrasettimanali lavorativi. Avanzammo lentamente per rendere il nostro saluto ai parenti più stretti. C’era un grande ordine nei viali. Sostituimmo i fiori fradici rinsecchiti e scoloriti con nuovi e sgargianti oggetti floreali in plastica, non essendo consentito con la stagione calda il deposito di fiori freschi. Tra le tombe notammo che in qualche vasetto di nostra pertinenza  avevano sottratto – o erano magicamente spariti – ogni traccia di fiori. Pensammo anche ai colombi che imperversavano nelle aree protette da loggiati, accomodandosi sugli steli fogliosi a costruire una sorta di loro esclusivo nido. Non che quelle bestiole li avessero portati nel becco da una tomba all’altra, ma che li avessero fatti cascare e…raccogliere da qualche umano passante.

Muovendoci da una parte all’altra del luogo gettavo lo sguardo ad osservare cognomi e nomi e date, anche alla ricerca di visi da me conosciuti; per anni ero stato via e di alcuni avevo perso le tracce e non sempre i pochi amici rimasti mi informavano delle “storie” concluse.

Riprendemmo la strada del ritorno ripercorrendo quella dell’andata, mentre la giornata si faceva più calda ed afosa. Avevamo previsto di fermarci ad un supermarket adiacente al Cimitero ma riflettemmo sul fatto che una volta fatto acquisti  deperibili avremmo dovuto necessariamente far ritorno a casa, anche perché, appesantiti dalle borse colme di derrate non potevamo pensare di proseguire nel nostro primo pedonale vagabondaggio flegreo.

Arrivati alla piazza Francesco Capomazza, quella subito dopo la Chiesa della santissima Annunziata, la attraversammo per utilizzare la via Pergolesi, intitolata al grande musicista che poco più avanti concluse la sua vita terrena, a soli 26 anni, il 16 marzo del 1736.

Sulla destra, mentre si intravedeva il panorama del Golfo di Pozzuoli con un ampio sguardo sulle bellezze dei Campi Flegrei, un altro grande vallone abbandonato ma ricchissimo di vegetazione ci  rendeva  esplicito il lavorio intenso della natura con la sua grande bellezza. A sinistra una lunga fila di persone di età diversa si accalcava all’ingresso del carcere per fare visita ai propri congiunti, vivi.

Mentre dirigevo la telecamera sulla destra, evitavo con accortezza il lato sinistro; ma subito dopo lanciando lo sguardo verso l’alto non era possibile distoglierlo dalla lunga ed “appesa” scalinata che portava alla Chiesa di Sant’Antonio da Padova.  Eretta nel 1472 e dedicata congiuntamente a San Francesco d’Assisi andò distrutta per il cataclisma naturale del 1538, che aveva sconvolto tutta l’area. In quel luogo c’era  stato dunque anche  il Convento dei Cappuccini dove morì Giovan Battista Draghi detto Pergolesi, a causa della tubercolosi. Il giovane ormai affermato violinista sperava di poter guarire utilizzando l’aria salubre dei luoghi flegrei, ricchi di vapori e fanghi benefici; ma la sua salute era già stata compromessa da una serie di fattori genetici che avevano visto perire prematuramente gran parte della sua famiglia.

Proprio poco più giù scendendo c’era stato negli anni passati uno stabilimento termale, che nel tempo era stato abbandonato per incuria gestionale. Quando ero ragazzo frequentavo con assiduità  il Cinema che aveva occupato parte delle Terme, che dal suo antico proprietario aveva preso il nome, “Lopez”.

 

Da qualche anno sapevamo che, dopo la chiusura definitiva delle Terme e quella del Cinema, alcune anime imprenditoriali si erano attivate per recuperare  quella attività. Nel frattempo si erano progressivamente concluse le vicende di altri stabilimenti come quello detto de “La Salute” e poi le “Terme Puteolane”, entrambe sulla strada che porta a Bagnoli. Eravamo già passati di là alcuni mesi addietro, avendo intravisto un accenno di recupero del complesso,  incoraggiati anche da cartelli che pubblicizzavano attività turistiche. Eravamo entrati ed eravamo stati informati di una prossima ma non precisata riapertura.

Non speravamo, quindi, di avere risposte diverse e nuove, ma decidemmo di entrare nuovamente in quegli ambienti per sincerarcene. Con nostra sorpresa, dopo un breve percorso dall’ingresso si intravedeva  un salottino al piano inferiore molto lindo e curato. Non c’era nessuno a ricevere eventuali visitatori o curiosi importuni e scocciatori come potevamo essere noi; ma mentre scattavo qualche foto si era palesata una signora in palese tenuta da cameriera che, al nostro cenno di indicazioni, ci aveva invitati a procedere senza indugi o timidezze. Più avanti si sentivano delle voci dall’ inconfondibile slang locale e si procedette in quella direzione.

Girata la balaustra che affacciava sul salottino collegato ad ambienti che noi, per memoria, presupponevamo essere collegati alle vecchie terme ed ai locali di un Cinema che da giovani avevamo frequentato da artisti filodrammatici e e da spettatori molto attenti alle opera dei grandi registi europei ed americani, ci eravamo così diretti verso le “voci”.

Un ufficio dove sedevano tre persone, due donne giovani ed un signore attempato ma di un’eleganza professionale indubbia, mentre di spalle sulla soglia dell’ufficio un altro signore altrettanto elegante in piedi questionava intorno a temi probabilmente organizzativi.

Al nostro saluto doveroso, si girò verso di noi; e fu allora che lo riconobbi. Quando ero all’Università, lo conoscevo appena, essendo solo il fratello di un altro mio coetaneo, che partecipava in modo costante alle nostre organizzazioni culturali, oltre che ricreative. Sapevo che poi aveva fatto carriera nella Democrazia Cristiana, arrivando a ricoprire incarichi prestigiosi fino a quello di primo cittadino puteolano.

“Ciao” con reciproca cordialità. Una stretta di mano vigorosa. “Sei te che ti occupi di questo spazio?” “Sì, da alcuni anni…” “Ma eravamo passati e sembrava tutto in perfetto ordine, ma non in attività!” “Sì, certo, da qualche mese ci siamo dati da fare. C’è l’albergo, il ristorante, la beauty farm con le terme e poi delle iniziative culturali…”. Procedemmo nella visita, ora accompagnati da uno chaperon esclusivo che ci spinge verso la terrazza panoramica, dalla quale si gode nel pieno del calore già estivo uno splendido panorama sul golfo, a partire dal Serapeo sottostante. L’ambiente è però algido, indistinto; manca un vero e proprio tocco artistico che non sarebbe male: la terra flegrea è per sua natura semantica vulcanica, calda impetuosa ed in quella realtà invece ci si trova di fronte ad un luogo che, pur nella sua indubbia eleganza, potrebbe essere tra le fredde valli delle Alpi.

Ovviamente il nostro amico vantava professionalità di ottimo livello come collaboratori e collaboratrici e su questo non potevamo che assentire. Lasciammo che decantasse anche quelli che erano importanti collegamenti con bagni esclusivi raggiungibili con facilità dalla Ferrovia sottostante, la Cumana, esempio di fatiscenza ormai consolidata e disperata. Non riuscimmo a visitare gli altri ambienti; volevamo accedere a qualche camera per saggiarne le caratteristiche, ma non fu possibile. Andammo via insesauditi. Perplessi sul futuro di un’attività nella quale la passione è sovrastata da un’indolenza caratteristica di una parte della mentalità meridionale, che sembra affidarsi più nelle mani della dea “fortuna” piuttosto che nell’attivismo umano. “Dio gliela mandi buona. Dio perchè non altri!” pensammo all’unisono.

Scendemmo le scale del vicoletto sempre lurido di residui corporali ed acque indistinte che cascano da tubature pendenti, quella stretta viuzza che conduce verso il piccolo passaggio a livello della Cumana che si affaccia sul lato interno del Tempio di Serapide. Giusto allora dei rintocchi segnalavano l’arrivo del treno impedendo l’attraversamento pedonale. Di lì a poco un treno reso cadente anche dall’impeto graffittaro di anonimi artisti, che ne avevano letteralmente coperto tutti i finestrini, abbuiando gli interni, sopraggiunse fischiando forse semplicemente per salutare gli addetti del casello che corrisposero con un cenno delle loro mani.

Staccarono il gancio che limitava il ristretto passaggio alle persone e tutti insieme da una parte e dall’altra fluimmo. Avevamo pensato di fare una puntatina al “mercato generale al dettaglio” più per godere della vista della molteplicità dei colori e dei prodotti agricoli ed ittici. Superato il passaggio a livello c’è il Tempio di Serapide, una sorta di centro commerciale archeologico risalete al periodo tra il I° ed il II° secolo dopo Cristo. In realtà era un mercato con vari spazi e piani; il nome è legato alla statuina dedicata alla divinità egizia Serapis di cui nel 1750 fu rinvenuta una traccia. Pozzuoli era una base fondamentale del commercio romano: fu il porto principale romano, sia commerciale che militare prima di essere sostituito in modo innaturale, artificiale, da quello di Ostia, che indubbiamente aveva altri vantaggi, essendo a pochi chilometri da Roma. Non è affatto strano che possedesse due anfiteatri e strutture commerciali a livello internazionale; e dunque non sorprende che vi fossero culti diversi all’interno di un sincretismo religioso invidiabile ai nostri giorni.
Andammo oltre verso la riva del porto dove avevamo intravisto una sfilza di banchi; vi ci dirigemmo, io con accondiscendenza passiva e disinteressata, Marietta con il desiderio femminile di acquistare oggetti e vestiario a prezzi oltremodo convenienti. Ne venimmo via senza acquisti: il sole cominciava a picchiare e ci inoltrammo attraverso il parcheggio del Mercato ittico generale verso il Mercato al dettaglio.
“Peppino!” una voce mi ricordò che mi chiamavo Giuseppe. Una voce femminile con l’accento puteolano. Una signora piccolina che non aveva rinunciato a chiamarmi con vigore pur essendo impegnata in una conversazione telefonica. “T’he fatte ‘e solde?” una modalità idiomatica per sottolineare la mia lunghissima assenza nei rapporti umani con lei. “Saie cu cchi sto parlanno? Peppino, ‘o figlie ‘e Rafele, ‘o cuggine nuosto” intuii che stesse parlando con il fratello Salvatore che da più lungo tempo non avevo incontrato. Baci ed abbracci e promesse di rivederci presto, scambio di telefono (forse già fatto in precedenza ma ripetuto a scanso di equivoci). Saluti con il desiderio sincero di rivedersi, ma…
Il mercato è sempre attrattivo ed alcuni banchi sono affollatissimi. A noi sono sempre piaciuti quelli solitari, appartati, dove puoi meglio scegliere i prodotti. E facemmo così anche quella volta con il risultato che avevamo acquistato quattro cinque chili di roba e dovevamo salire su da dove eravamo scesi. Ed il caldo era ormai asfissiante.
A pochi metri dal mercato c’è una sorta di “Terminal” degli autobus locali. Decidemmo di andarci. Ci fermammo a fare i biglietti e chiedemmo dove avremmo potuto prendere il mezzo per salire verso la Solfatara: una signora gentile bucò il muro con il suo dito per mostraci la direzione.

Pochi metri oltre alcuni autobus sostavano sonnolenti, in una controra certamente anomala, insieme ai loro conducenti. Nessuno di loro sapeva, e non intendevano sforzarsi troppo al di là di un cenno negativo. Decisi di rincorrere un autobus che stava miracolosamente spostandosi e mi rivolsi al conducente che emise il responso: “Signo’ avite aspittà quaranta minute”.

Marietta ed io ci guardammo scoraggiati e ci dicemmo che “forse” a quell’ora potevamo anche essere già a casa.

La città di Pozzuoli è adagiata in una conca vulcanica che parte dalla periferia di Bagnoli, frazione nota nell’antichità come luogo di turismo termale (da “balneis”) e poi dall’inizio del Novecento sede di attività industriali (c’era l’ILVA fino agli anni ’90 di quel secolo), per poi comprendere, dopo l’insediamento cittadino, la frazione di Arco Felice – Lucrino, Baia, luogo anch’esso che rimanda alla cultura romana e Bacoli, fino al capo Miseno. La città si è strutturata nei secoli e soprattutto nell’ultimo con insediamenti collinari che arrivano a toccare quasi 500 m. sul livello del mare.
Marietta ed io abitavamo alle pendici della Solfatara (458 m slm) e da lì quella mattina, con il fresco, eravamo scesi giù prima verso il cimitero e poi al porto. Ora ci toccava rifare il percorso in salita con un clima che, nel frattempo era diventato insostenibile: oltretutto eravamo partiti leggeri ed ora dovevamo far ritorno con un carico di qualche chilo in più.
I mezzi pubblici sono tra le note dolenti di una realtà così ricca di stimoli culturali ma così povera e sprovveduta dal punto di vista imprenditoriale. “Sopportare” cristianamente o meno e “tirare a campare” sembrano imperativi categorici negativi persistenti in questa porzione di mondo.
Scartata l’idea di aspettare lì altri quaranta minuti nell’incertezza che ciò fosse vero, dovevamo scegliere a quale albero impiccarci; ovvero quale percorso in salita privilegiare. Ci fermammo un po’ nella “villa”. Altro aspetto dolente di questo luogo è la quasi assenza di spazi verdi. In verità le colline, ancorchè punteggiate da manufatti abusivi “di necessità”, erano abbastanza verdi; ma la città è stata costruita riempiendo tutti i vuoti e la “villa comunale” è un appezzamento di cemento di circa 500 metri quadrati con qualche panchina, una fontana centrale contesa da bambini e cani e alcune aiuole con pochi alberi. Nella città medio-alta c’è un altro parco giardino acquisito alla fruizione pubblica negli anni Ottanta ma non c’è molto altro. Anche quella che chiamavamo da ragazzetti “la selva” è stata riempita dalla Tangenziale.

 

 

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Dal mercato alla villa sono trecento metri: decidemmo che nella sosta avremmo vagliato le ipotesi per la salita.
Mentre eravamo seduti a goderci il traffico che era intenso, visto la concomitanza di arrivi e partenze dei traghetti per le isole ed il contemporaneo spostamento degli acquirenti che dal mercato si dirigevano nella parte superiore della città per l’elaborazione dei cibi, si palesò uno dei miei amici teatranti che non vedevo da anni.
“Non sei proprio cambiato, diamine!” “E tu, hai fatto il patto col diavolo?” battute più o meno simili per segnalare l’esatto contrario. Il tempo passa e i segni si vedono. Lo spirito però, quello sì, non è cambiato e probabilmente anche la sveltezza intellettiva, visto che entrambi non ci siamo adagiati: io un docente impegnato nella scuola superiore lui un piccolo imprenditore attivo nella politica.
Non palesammo la nostra stanchezza ed orgogliosamente – ahimè – salutammo l’amico e declinammo l’invito ad utilizzare un passaggio, essendo del tutto convinti delle nostre forze e della capacità di adeguarle all’impresa.

Tornare a casa dalla zona Mercato-Porto di Pozzuoli a quella collinare della Solfatara significava dover salire di quattrocento metri  e qualche centimetro ad una distanza di  poco più di cinquecento metri.  Avevamo rinunciato a prendere in considerazione i mezzi “pubblici” del tutto inaffidabili; peraltro in un impeto di fiducia avevamo anche acquistato i titoli di viaggio, incuranti in quel momento di poter essere sbeffeggiati dai compagni di avventura che ci avrebbero degnati di commiserazione osservando il nostro tentativo di obliterarli in macchinette quasi sempre in tilt.

“Saglite, saglite, signo’” aveva detto il conducente del bus a Marietta, quando in uno dei suoi viaggi di ritorno nella sua terra aveva mostrato  che non aveva i biglietti e “Cosa ha detto il signore?” le aveva controbattuto l’amica Angela, incredula, avendo ben compreso l’invito alla trasgressione civile. Ed allo stesso modo insieme alla delegazione di un’Amministrazione in visita al territorio gemellato avevo fatto io sulla linea della Cumana nel tratto “Terme puteolane – Bagnoli”. Ricordi di annata, ormai. Oggi, maturi ultrasessantenni, ci apprestavamo a pagare il fio delle birbonate, scegliendo di far ritorno a piedi, con una differenza sostanziale nella forza fisica e nella sopportazione di una umidità elevata.

La più agevole tra le salite ci sembrò quella dei Cappuccini e così ci avviammo, scegliendo tra l’altro di percorrere un tunnel  che attraversa la collina della Terra murata. Fino a più di settanta anni fa (io non l’ho mai visto in funzione) c’era la linea del tram che arrivava da Napoli lungo la litoranea.

Il percorso ci consentiva di ridurre il cammino e di avere una discreta ombra, anche se mista a qualche scarico di motorette rombanti.

Passammo a fianco della vecchia struttura del Cinema Mediterraneo, chiuso ormai da trenta anni, del quale però si vedeva ancora l’Uscita di Sicurezza e poi cominciammo lentamente a salire sulle comode larghe scale.

Attraversata la sede ferroviaria della Cumana cominciò la nostra ascesa e  “Village of Hope & Justice Ministry (onlus)” vedemmo scritto al termine della prima rampa.   Curioso ma il caldo, l’ora e il desiderio di “elevarci” prima possibile ci sconsigliò l’approfondimento.  Anche perché, girato l’angolo, fummo attratti da voci giovanili e da uno strano lampione sotto il quale c’era  una scritta amena ma molto attraente, “Lux in Fabula”, accompagnata dall’immagine della “lampada di Aladino”, così come trasmessa dalla nostra infanzia di visionari. Sarà stata pure la stanchezza ma quei due curiosi che siamo rimasti si spinsero a chiedere qualche informazione in più. I ragazzi furono molto contenti di accontentare il nostro desiderio di sapere. “Claudio, ci sono questi due signori che vogliono sapere di cosa ci occupiamo” uno dei giovani si era rivolto a qualcuno che era dentro, in uno spazio apparentemente angusto e colmo di oggetti e libri. Marietta ed io con il peso delle nostre “provviste”  e la leggerezza  della curiosità avevamo allungato il collo per capire chi fosse Claudio, mentre il parlottare dei giovani si era acquietato, forse anche in attesa di sapere chi fossimo noi, così curiosi ed interessati sia alla sosta in un ambiente più fresco sia alla possibile nuova scoperta di mondi a noi ignoti.

Un ingresso molto stretto attraverso una porticina aperta solo a metà introduceva ad un corridoio buio, ancorché illuminato da una flebile luce che proveniva dal fondo sulla nostra sinistra: scendemmo due gradini e curiosando all’ingrosso sugli oggetti posti alla rinfusa sugli scaffali ci rendemmo conto di essere in un ambiente dal fascino archeotecnologico. Ci dirigemmo verso quella che doveva essere la figura di Claudio, che intanto aveva sospeso quello che appariva essere un impegno di coordinamento di altri due giovani seduti, di fronte dietro un ampio tavolo ricolmo di testi di varia misura, ed intenti a smanettare su due portatili. La stanza era illuminata in gran parte naturalmente da un balcone che affacciava sulla linea ferroviaria. Dappertutto una grande confusione tipica degli ambienti di studio e di arte; non ne potevamo essere sorpresi né tantomeno potevamo ergerci a giudici severi:  casa nostra spesso aveva posseduto  quell’aspetto.

Sì, di Claudio avevo già sentito parlare come di un operatore culturale intelligente ed originale; sapevo ma, come troppo spesso è accaduto, la lontananza non mi ha consentito di mantenere i vecchi contatti o di costruirne di nuovi.  Non è che non ci abbia provato, ma poi il ritmo della vita a circa 900 poi 600 chilometri di distanza non me lo ha permesso. Non sapevo, però, di queste due grandi passioni di Claudio: quella per l’archeocinema e quello per il recupero bibliografico di testi attraverso la digitalizzazione, anche di testi unici ed introvabili.  Egli  ci fece accomodare, la qual cosa con il caldo e con la stanchezza che non veniva meno era gradevole;  ci offrì dell’acqua fresca che era quel che desideravamo e ci raccontò di alcune iniziative sul territorio flegreo in relazione agli anni ed ai temi del bradisismo ed alle bellezze archeologiche riprese e montate con l’ausilio di strumenti modernissimi come i droni e le centraline digitali. I ragazzi intanto uno dopo l’altro stavano andando via ed anche Claudio sembrò mantenere la pazienza con noi per cortesia.    Bastò uno sguardo tra me e Marietta e “Ti ringraziamo, passeremo nei prossimi giorni. Semmai ti chiamiamo per fissare con comodo”. E dopo esserci scambiati i numeri di cellulare ci salutammo.

Riprendemmo a salire, confortati dal ristoro materiale e culturale, verso il Carmine. Le scale sono basse e lunghe e se non si ha fretta sono meno faticose di tutte le altre che dal mare portano in collina. C’è un gran bel panorama quando si passa sotto il complesso dell’Immacolata  i cui muri sono cosparsi di ottime piante di cappero. Arrivati al culmine mentre si dà un ultimo sguardo al panorama del golfo ed alla struttura della chiesa barocca di San Raffaele da un lato e dall’altro della Villa Avellino, ci si trova davanti all’ex residenza dei carabinieri ora trasformata in uno splendido elegantissimo complesso residenziale. Subito dopo c’è il Cinema che porta il nome della più importante figura artistica vivente di Pozzuoli, Sofia Loren.

Pian piano eravamo tornati sotto casa.

“Fru fru” la nonnina con lo sguardo smarrito catatonico vagava tra le auto in sosta. “Fru fruuu” e sapemmo che si trattava di una gattina randagia che tuttavia di norma a quell’ora gradiva servirsi al desco dell’anziana donna e quel giorno non si era presentata……. Ci descrisse come era e gli occhi trasmettevano affetto per una sorta di figliola o nipotina surrogata. Per qualche attimo girammo lo sguardo affacciandoci anche sotto le auto; qualche gatto c’era ma non corrispondeva alla descrizione e tra l’altro non mostrava interesse al nostro richiamo. Salutammo la vecchina augurandole di poter ritrovare Frufru. Ed in modo irriverente mi venne in mente un classico della canzone napoletana, “Dove sta Zazà”.

 

Fine

 

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AGOSTO FLEGREO 2018 – 4

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AGOSTO FLEGREO 2018 – 4

Lasciata la coda della processione ci siamo addentrati tra i vicoli stretti della città bassa. “Bella Pozzuoli. Ci vengo spesso: si mangia bene!” sembra quasi che tutti coloro che incontro a cui diciamo di essere “di Pozzuoli”  ignorino  – ma sì “ignorano”  –   la Storia di questo territorio.  Nemmeno quella legata agli eventi sismici e vulcanici, con quel “movimento lento” che gli esperti della materia chiamano “bradisisma” o “bradisismo” – il dibattito lessicale è ancora aperto. Anche se è vero che la città si è ormai dedicata più ad un turismo consumistico gastronomico che a quello di tipo culturale storico ed archeologico; per non dimenticare quello letterario etnico ed artistico che pure ha dato ottime prove. L’abbandono dei siti e l’incuria organizzativa meriterebbe una riflessione seria: mancano progettazioni e programmazione a medio e lungo termine ed è assente il coinvolgimento dei privati come sponsor di spazi strutturati. E’ teoricamente l’apoteosi del mercato senza tuttavia l’apporto imprenditoriale necessario. Che dire? A simili rilievi so già che qualcuno risponderebbe che “non è così”, altri direbbero che “ci si prova, ma…” e qualcun altro ancora incolperebbe i suoi concittadini insensibili, dimenticando che sono lo specchio della società della quale loro stessi fanno parte.

Eravamo passati a sconsolarci davanti al degrado di Piazza Rione Terra ed attraversando il Corso Vittorio Emanuele  ci imbattiamo in un altro elemento di “moderna archeologia”. Poco prima di transitare sotto l’arco del ponte che conduce verso via Matteotti il degrado è composito: da una parte c’è un ascensore che da un decennio è fermo.  A  dire il vero credo che non sia stato “mai” utilizzato, “mai” collaudato: eppure servirebbe a ridurre la fatica di chi voglia salire al Rione Terra. Ma non finisce di certo qui. Di fronte prima dell’arco ci sono delle scale che portano verso il Rione Terra incrociando però sul lato sinistro  un’altra breve rampa che conduce ad una delle Chiese del 1600, che è dedicata alla Santa Croce ed al Purgatorio.  Ormai saranno 40 anni che risulta abbandonata e distrutta completamente. Se avete occasione di andare  sul sito archeologico flegreo  www.archeoflegrei.it  vi ritroverete anche alcune fotografie dell’amico Aldo Adinolfi  che confermano  quanto qui riportato. Non posso non ricordare che le scale sono state dedicate ad un grande protagonista della Cultura flegrea in ambito accademico, il prof. Raffaello Causa; allo stesso tempo denoto l’abbandono anche di attività artistiche e culturali realizzate negli anni passati su quei gradini e non più riproposte.

I pilastri dell’arco sulle loro ampie pareti  presentano l’apoteosi dell’interventismo e dell’eroismo italico accanto a testi che si riferiscono a periodi storici collegati alla dominazione spagnola: questi risultano abbastanza curati, così come lo è  il Monumento ai Caduti di Santo D’Amico  che si riferisce ai soldati della prima guerra mondiale.

Altre sorprese sia positive che negative attendevano i nostri passi…..

 

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RITORNO A POZZUOLI estate 2018 parte 1 e 2

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Il 13 agosto scorso ho pubblicato questa prima parte di un “iter narrativo”, chiamato AGOSTO flegreo 2018, abbandonato dopo che ho avviato un nuovo “iter” con lo stesso titolo. Ne ripropongo il testo modificando il titolo e facendolo seguire dalla seconda parte.

Non più quindi “AGOSTO Flegreo 2018” ma

“Ritorno a Pozzuoli”

“No, la signora a fianco non c’è. E non c’è neanche il cane!” è stato  più o meno il primo messaggio, forse preceduto da un cenno di saluto forse no non ricordo, la prima forma comunicativa complessa che l’amico del piano di sopra ci ha riservato non appena ci siamo incontrati “da vicino”. In realtà “da lontano” ci avevano sonoramente salutati dall’alto del terzo piano, non appena abbiamo messo piede nel cortile, scendendo,  affaticati dal viaggio, dopo sei ore di traffico agostano intenso ma non tanto quanto si temeva. Quel primo saluto era inatteso, perché di solito gli occhi vigili si nascondono dietro le tapparelle ma non si palesano: forse siamo arrivati proprio dietro l’ora di pranzo e nel corso dello scotimento della tovaglia da tavolo per la goduria di qualche piccione residuo, dopo che i gabbiani li hanno spodestati, e le maledizioni dei condomini sottostanti.

Poi abbiamo avuto il nostro daffare per svuotare l’auto che stavolta non era così ingolfata ma non meno faticoso è stato il trasbordo fatto velocemente anche per evitare il timore del tutto assurdo di qualche lestofante convinto di aiutarci nel trafugare qualche pacchetto e reale di qualche bestiola, tipo gattini vari incuriositi ed attratti dalla loro atavica fame, che si intrufolava nel passaggio tra una consegna e l’altra;  era infatti accaduto in un’altra occasione che tra una corsa e l’altra in tre di loro si erano fiondati dentro, forse attratti dal profumo di cibi . Occorreva  puntare a record sempre più improponibili con l’avanzare dell’età. Ma con quel caldo ed a quell’ora i pericolosi lestofanti presunti erano al mare ed i gatti sonnecchiavano all’ombra  tra le siepi di due ampie aiuole e sotto altre due auto che sostavano in quel piazzale, cercando di digerire quel poco che mani pietose avevano loro preparato.

Dopo aver sbagagliato dovevamo sistemare il tutto, ma di tempo ce ne avevamo e la stanchezza superava l’appetito che pure non era stato soddisfatto nel corso del viaggio. Per cui decidemmo di “saltare” ambedue le incombenze e ristorati da una doccia fredda, visto che non avevamo neanche riattivato la caldaia ci siamo adagiati direttamente sul copriletto. Abbiamo lasciato tutto nel pieno disordine. Poco più di un’ora di riposo in un ambiente straordinariamente fresco a dispetto delle temperature esterne e senza ausili tecnologici è bastata. Questo, grazie anche al silenzio che non ti aspetti, visto che siamo in  realtà tradizionalmente chiassose; ma, e già, saranno tutti al mare oggi che è un lunedì, il 6 di agosto 2018.

“Scusate il disordine! Abbiamo deciso di lasciar tutto in giro ma in cucina è tutto libero. Venite qui!” gli amici del piano di sopra erano impazienti di rivederci da vicino e “blin blon” avevano suonato alla porta. E non avevamo dubbi che fossero loro quando abbiamo sentito quel suono.  In realtà non vorrei dare la sensazione che fossero  indesiderati;  ben altro: è sempre stato ed è un piacere dialogare con loro.

E, poi  “La signora a fianco a noi, quella che di notte ossessiona i vostri sonni con tacchi e rumori vari non c’è. E’ in vacanza. E non c’è neanche il cane! C’è la figlia”.

…parte 1…continua

 

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parte 2

Sono circa due mesi che non torniamo alla casa materna di Marietta  e quindi ce ne sarebbe da raccontare ma i temi sono sempre gli stessi e ormai non sorprendono più.

La novità è però quella annunciata sin dal primo abbraccio. Per il resto si parla di prodotti a chilometro zero, che sono la passione del nostro amico ed il tormento della sua signora; altri temi sono la salute, che quando gli anni superano gli “enta” e cavalcano gli “anta” di qualche decina comincia ad essere ricorrente, e gli amarcord collegati ad eventi particolarmente toccanti come le esperienze professionali e le feste. Non manca nell’occasione il riferimento a problemi familiari e all’organizzazione delle vacanze, che da lì a poco cominceranno. Ognuno spara le sue batterie senza risparmio. Un conforto comune è dato da quell’annuncio iniziale. Nessuno ha mai dimenticato i guaiti del cane, abbandonato nella notte dell’ultimo dell’anno in casa. Qui poi a Pozzuoli come in tutta la “bassa” è tradizione utilizzare già dal tardo pomeriggio di San Silvestro botti e fuochi rumorosi e gli animali sono atterriti da questi e lo dimostrano con l’unico modo che hanno a disposizione con grande gaudio del vicinato. La protesta tra l’altro poi continua fino al mattino, quando le pie donne decidono di ritirarsi alla loro sede.

Il vicinato lamenta molto altro, anche perché la nostra presenza si limita a giorni di festa o poco più: una settimana ogni tanto per mantenere inalterato il rapporto con la nostra terra di origine. Certo, chi abita qui stabilmente ha da sopportare ben altro, compresa la costanza dei cattivi comportamenti dei vicini di casa. E il povero cane è bersaglio perenne per il fatto che festeggia con il solo modo con il quale sa farlo quando sente arrivare l’ascensore: e questo accade soprattutto durante le ore tarde o della notte fonda quando le simpatiche padrone si ritirano dalle loro frequentazioni.

Forse anche perché a noi è toccato anche subire altri rumori, tecnologici o meno, l’abbaiare di un canino peraltro molto docile ed estremamente simpatico (lo dice uno, come me, che non ama i cani e parteggia per i loro avversari, i gatti) non dà alcun fastidio.

J.M

 

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AGOSTO FLEGREO 2018 – 3

AGOSTO FLEGREO 2018 – 3

2487,0,1,0,349,256,376,1,0,113,49,0,0,100,0,1974,1968,2177,601670
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2487,0,1,0,372,256,312,2,2,138,53,0,0,100,42,2126,2116,2227,713024
2487,0,1,0,372,256,312,2,2,138,53,0,0,100,42,2126,2116,2227,713024

 

2487,0,1,0,381,256,302,2,2,136,49,0,0,100,102,2308,2282,2348,388966
2487,0,1,0,381,256,302,2,2,136,49,0,0,100,102,2308,2282,2348,388966

 

2487,0,1,0,374,256,311,2,2,130,50,0,0,100,30,2078,2070,2249,403904
2487,0,1,0,374,256,311,2,2,130,50,0,0,100,30,2078,2070,2249,403904

3.

In conclusione alla seconda parte di queste mie riflessioni “a ruota libera” scrivevo

“Il problema vero è che questa città opera come una Penelope, che di giorno fila la tela e di notte ne smonta le trame. In più e diversamente dalla donna di Ulisse a Pozzuoli quel che si fa o di giorno o di notte si disfa negli stessi periodi indistintamente e progressivamente, con il risultato che quel che poteva essere un abbellimento  finisce per diventare più brutto e tremendo di quel che c’era prima”.

Mi riferivo ad una serie di interventi  sul territorio che dimostrano da una parte la volontà di valorizzare ciò che si possiede sia dal punto di vista storico sia da quello paesaggistico che pure è uno degli aspetti che afferisce alla “Storia”.

Nel corso degli anni sono stati molteplici e significativi, ma hanno avuto vita breve, finendo spesso in modo inglorioso nel dimenticatoio. A mio parere, manca la progettazione dietro ogni intervento. C’è un’approssimazione colpevole che scoraggia i volenterosi; a parte il fatto che anche tra questi ultimi prevale l’indolenza e lo scoramento mentre è latente l’indignazione, spesso sostituita da rabbia inespressa che sfocia poi nel disinteresse totale. Manca l’aspetto pedagogico educativo e l’idea di difendere il proprio territorio dai facinorosi barbari locali.

“Dovunque il guardo giro…” poetava il poliedrico Pietro Metastasio nella sua “Passione” del 1736; anch’io volgo lo sguardo ma non vedo Dio: o almeno laicamente spero non sia volontà di Dio questo immenso disordine, anche se i panteisti che non mancano mai mi confermerebbero il contrario. Accade che è sconfortante il degrado, pur in contemporanea presenza di eccezioni positive. Non sono un turista, da queste parti, sono un cittadino in temporaneo ritorno; in fondo da quando sono in pensione lo sono anche quando faccio ritorno a Prato. In effetti sono un contribuente anche qui a Pozzuoli. I turisti si lasciano incantare dai paesaggi mozzafiato, dalla gentilezza interessata dei mercanti che, in definitiva, li coccolano, anche se i cialtroni riconoscibili non mancano di certo anche qui. Chi questa terra l’ha calcata con piedi infanti, adolescenti e giovani ed ha cercato anche di produrre cultura non ha solo occhi incantati.

Facendo ritorno dalla processione del 15 agosto Mary ed io siamo passati in via Camillo Benso di Cavour che costeggia il Rione Terra. Arrivati in vista del tunnel di via Tranvai (ci passava il tram fino al secondo dopoguerra) c’è una Piazza “vivibile” con panchine ed uno spazio che dovrebbe essere verde e corredato da fontane e giochi d’acqua. In verità avrei dovuto scrivere “c’era” perché tre anni fa, forse poco dopo la sua inaugurazione,  ebbi modo a famiglia completa di sostare compiaciuto per l’opera realizzata. In questo agosto lo spettacolo è stato desolante.  Tutto il luogo sporco ed abbandonato, sbiadite del tutto stile nebbia milanese le tabelle illustrative che riportavano in modo correttamente storico le caratteristiche del luogo e delle vicende che vi si erano nel corso del tempo svolte.

La mia notazione vorrebbe essere uno stimolo ad un maggior rispetto del bene pubblico, nella consapevolezza che in questo Paese esistono anche luoghi nei quali la “bellezza” è tenuta in grande considerazione e luoghi dove alberga il disordine mentale.

Tocca soprattutto ai governanti costruire eventi che abbiano una loro progettazione a lunghissimo termine. Nel caso esposto (ma non dubitino i puteolani, sottolineerò accanto alle cose buone della nostra terra quelle meno buone di altre città, come ad esempio Prato). Non c’è stata ed attendo smentite alcun tipo di progettazione e temo che questo sia il metodo, con buona pace dei fondi, siano essi europei o meno, che sono stati investiti.

 

Le foto le riporto a commento; le prime sono riferite per l’appunto a tre anni orsono.

Le seconde sono quelle attuali; addirittura c’è stato un peggioramento “in corso d’opera” che evidenzierò in una foto subito dopo la mia sigla.

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Joshua Madalon

 

c’è una nuova mano sulle tabelle “illustrative”!

 

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IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO e i rischi che corriamo – 3

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IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO  e i rischi che corriamo – 3

Non si esce dalla crisi politica nella quale stiamo vivendo in questi tempi senza aver prodotto una seria e profonda analisi dei motivi per cui a capo del nostro Paese sono arrivate persone che ottengono consensi ampi sulle problematiche tipicamente razziste e xenofobe.

La forza demagogica e populistica di alcune forze politiche ha potuto contare soprattutto sull’ignavia di molti e sull’uso ideologico del pensiero, per così dire “perentorio ed intransigente”. Troppo spesso di fronte ai problemi che venivano a crearsi ed alla conseguente richiesta di interventi che li affrontassero si è prodotta da parte della Sinistra e del Centrosinistra essenzialmente una contrapposizione diseducativa di stampo sciovinista. Quel popolo meno disponibile, per motivi e condizioni molto diversi tra loro, ad intraprendere una discussione,  ha avvertito una percezione di abbandono e solitudine; spalleggiato da coloro che per motivi ideologici politici e culturali hanno felicemente accolto questa percezione per scopi  spesso molto personali.

Occorrerà riprendere in mano anche se con grande fatica il ruolo cui democraticamente possiamo aspirare; ma non con i vecchi strumenti “solo” ideologici. Bisogna guardare ai problemi e sviscerarli a 360°; non si può chiudere ogni discussione intorno a temi che riguardano, ad esempio l’immigrazione,  etichettando come “razzisti” tutti coloro che hanno più volte chiesto che vi sia un’organizzazione ed una progettazione seria che parta dal rispetto dei diritti umani e dalle regole della convivenza civile.

Qualche anno fa un gruppo di attivisti, quasi tutti afferenti al PD, in quel di San Paolo frazione di Prato, aveva lavorato ad un progetto. Purtroppo non si è potuto realizzare per diretta responsabilità del Partito a cui in quel periodo ci si riferiva. Troppo libero ed autonomo era il pensiero. Oggi è palese il disastro prodotto.

Dobbiamo dunque reagire con fermezza e compostezza. Essere dalla parte dei più deboli, qualsiasi sia la provenienza, lo stato civile, il colore della pelle, la lingua parlata,  è il nostro punto di riferimento.

Ai dirigenti del Partito Democratico che si ergono ad opposizione di questo Governo, suggerisco di partire dalla autocritica più profonda possibile. Qualcuno che fa di tutta le erbe un solo mazzo chiede loro di sparire. Può essere utile un profondo serio ripensamento: oggi l’alternativa per voi del PD nelle attuali condizioni è solo un’alleanza con quel che resta di Berlusconi. La Sinistra è sempre più lontana e le politiche renziane lo hanno confermato e lo ribadiscono costantemente. Solo fuori da questo PD si possono costruire serie alternative al degrado politico, sociale ed economico che si respira e si preannuncia in modo peggiore.

 

J.M.

immigrazione

 

 

IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO e i rischi che corriamo – 2

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IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO e i rischi che corriamo – 2

 

 

Il nostro Paese è sull’orlo del tracollo; ne sono responsabili le classi politiche ed economiche che lo hanno governato finora e lo sono altrettanto quelle che si sono assunto il compito di governarlo, costituendo un conciliabolo di nuovo conio eterogeneo ma caratterizzato da una comune rabbia ed intolleranza condite entrambi  con forme reazionarie.

Molti sono gli esempi che si possono portare, ma più di tutti vale quello che afferisce al comportamento schizofrenico delle due forze di Governo in relazione ai fatti di Genova.

Se  qualcuno sperava in un cambiamento, in un rinnovamento delle pratiche di governo potrebbe avviare un suo ripensamento, se….se avesse ancora un po’ di sale in zucca. Temo che passeranno molti altri errori e sfaceli prima che ci si penta di aver sostenuto questa congerie rozza e volgare. Forse ciò avverrà quando il tracollo si sarà già verificato; speriamo possa essere un attimo, anche solo un attimo, prima.

In tal caso, se dovessimo ripagare i sostenitori dabbene di questo Governo della stessa moneta  che ci porgono, non basterebbe un pur salutare “Vaffa!”;  anche perché questo giochino rischia di mandare in fallimento l’intera società e servirebbe davvero a ben poco lamentarsi dei danni della Fornero, del Debito Pubblico stratosferico (ridotto con “fake” grazie a….), delle presunte e/o reali ruberie e delle incurie collegate peraltro ad un sistema  economico finanziario attraverso il quale sia il Movimento 5 Stelle che la Lega ha potuto usufruire di vantaggi significativi, di cui ora negherebbero l’esistenza.

Tornando a Genova, trovo il comportamento di Di Maio e Salvini non diverso da quelle corna di Berlusconi o quel “culone in….” riservato alla Merkel dallo stesso nostro illustre “statista”, entrambi in sedi ufficiali internazionali.  Un Di Maio vice premier e capo politico del M5S dovrebbe ben misurare il proprio eloquio e mantenere il giusto contegno di fronte alla tragedia. Sembra quasi che non ci sia il tempo per riflettere e ci si abbandona all’esternazione; mi ricorda (ma forse lo si è già dimenticato) il Di Maio “furioso” che annunciava a tamburo battente la richiesta di “impeachment” per Mattarella. Ora annuncia “immediatamente” a mercati aperti la revoca della concessione governativa alla Società Autostrade senza un minimo di atteggiamento pietoso verso le vittime.

Un Salvini vice premier e capo politico della Lega che va e viene da Genova, continuando a partecipare ad iniziative festose del Ferragosto, finendo con la ciliegina sulla torta del selfie vanitoso durante i funerali pubblici. Tout le monde lo hanno potuto ammirare. Questo sarebbe il “nuovo”?

Ma, per finire (ed è un the end amaro non solo per me e chi la pensa come me), voglio ricordare a tutti voi che le prospettive che abbiamo davanti non dipendono soltanto dalla irresponsabilità di quelli che c’erano prima ma in modo concatenato come un classico giochino di domino le scelte attuali  producono contraccolpi tali da portare anche all’uscita necessitata dall’Europa (screditata giorno dopo giorno con-sa-pe-vol-men-te) e dall’euro.  Se si continua ad essere ciechi si finirà con un referendum (non mi si dica che non è previsto; tutto si può fare con le attuali maggioranze parlamentari. Tenendo conto del fatto che i più ricchi e potenti spostano cifre stratosferiche da un paese all’altro con un click, avrà la sua moneta di cambio quel gruppo di “amici” che criticano le scelte sciagurate dei governi passati quando si troverà di fronte a “carta straccia” e come accade oggi in Venezuela ed è avvenuto in Grecia non venga a dirmi che “non l’avevo previsto”.

 

 

J.M.

 

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