AGOSTO flegreo

 

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AGOSTO flegreo

Intorno alla metà di agosto di solito avviene un cambiamento del clima: “di solito” significa anche “non sempre”. Ma quest’anno la tradizione si è confermata e già un giorno prima del Ferragosto c’è stata un’intera giornata con temporali, fulmini e tuoni possenti con acqua che veniva giù dritta e copiosa. Indubbiamente non è dappertutto così, ma qui nell’area flegrea la ricorrenza della festività della Madonna Assunta che è tradizione consolidata è stata – quest’anno – colpita non solo dalla immane tragedia genovese ma anche dall’inclemenza naturale del clima nelle ore precedenti allo svolgersi delle funzioni laiche (il tradizionale “Palo a sapone”) e religiose (la Processione della Madonna).

Don Antonio ci aveva accolti qualche giorno prima, descrivendo con il giusto orgoglio come si sarebbe svolta la funzione e la processione; ma non aveva potuto tener conto degli eventi futuri. Aveva accennato ad una Messa all’aperto nello spazio ben più ampio antistante la piccola chiesa sul lieve declivio del “Valione”  ma poi il 14 agosto per l’intera giornata e nottata dello stesso 15 si era scatenato Giove pluvio e non era stato possibile né consigliabile allestire il palchetto esterno, per cui tutta la funzione religiosa  era stata ricondotta all’interno, come peraltro era avvenuto negli anni passati. Nel pomeriggio invece la popolare competizione del  “Palo a sapone” era stata rinviata in segno di rispetto per il lutto nazionale per il quale anche le navi da diporto che solitamente usano lanciare il proprio saluto sonoro in omaggio alla Madonna erano state tristemente  silenti.

Mary ed io ci eravamo confusi tra la folla del popolo e le autorità che seguivano in modo distratto dall’esterno lo svolgimento della funzione religiosa. Solo una minima parte riusciva a lanciare lo sguardo all’interno.  Dopo un po’ abbiamo cercato un posto dove sederci e lo abbiamo trovato sotto il portico del Laboratorio dei Vallozzi, Maestri d’ascia di grande valore storico e culturale, che purtroppo hanno dovuto chiudere per stanchezza e consunzione fisica (uno dei due fratelli è venuto meno e l’altro non se la sente più di continuare in assenza di discepoli: è la storia che si ripete purtroppo in relazione ad attività artigianali specifiche e speciali). La loro era un’impresa portata avanti con genialità, della quale ha parlato Dario Antonioli in un film documentario  di qualche anno fa, “Una città in barca” che purtroppo non ho ancora visto. Me ne aveva accennato in un sopralluogo per una location di tipo teatrale un amico di gioventù, Enzo D’Oriano, che è stato l’ideatore di quel film. Sulla porta chiusa c’è una formula “però a comm’stann’ca capa” a segnalare che quell’attività è collegata non tanto alle necessità economiche ma alla libera espressione dell’ingegno umano.

Mary ed io ci siamo però ricordati che qualche mese prima eravamo passati di là e ci eravamo affacciati per curiosare ed avevamo  interloquito con un signore anziano che ci aveva accolti in modo cortese e gentile. L’ambiente presentava già i segni dell’abbandono anche se vigeva un certo ordine. Di tanto in tanto spuntava da qualche segreto nascondiglio qualche gatto impaurito da presenze estranee. In ambienti marinari è consuetudine avere comunità feline per difendersi dai roditori; in cambio ricevono doni ittici, siano residui interi o parziali di un possibile pescato. Non ci trattenemmo molto, però; ed ora che seduti su una delle basi per la costruzione delle barche attendevamo l’uscita della statua della Madonna Assunta  davanti alla porta chiusa ce ne rammaricavamo.

J.M.