Note sparse – la Sinistra è morta? no, viva la Sinistra – 3

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Note sparse – la Sinistra è morta? no, viva la Sinistra – 3

No, non erano salmi, era la mia immaginazione in un contesto emotivamente non gradito: erano esercizi vocali accompagnati da violoncelli che provenivano dalle stanze della Scuola di Musica cittadina.

Venivo verso il centro dalla periferia solitaria, a quest’ora abbandonata a se stessa, per una verifica intorno agli accordi non solo musicali per niente musicali che si stringono davanti ad un boccale di birra, snack e aperitivi tra amici di lunga data, con percorsi politici diversi ma convergenze progettuali pragmatiche. Al centro quelli come me, pratesi non pratesi – non del tutto pratesi, ci vengono per parcheggiare l’auto nel posto più conveniente possibile e poi dirigersi verso obiettivi già segnati, ficcarsi in stanze oggi un po’ meno – ma solo un po’ – fumose, per uscire da queste intorno alla mezzanotte o poco più, riguadagnare la zona del parcheggio e ritornare nella periferia.

Santa Trinita è una strada diritta che raggiunge poi una delle porte della città. A quell’ora di norma è affollata di giovani festanti. Continuo il mio lento passeggio in un varco molto ristretto. Più avanti ad uno dei tavolini rivedo un giovane compagno della Sinistra che dialoga davanti ad un boccale di birra con una ragazza; sono incerto se palesarmi, ma è lui che mi vede e mi chiede “Che si fa?”. Non voglio interrompere il suo dialogo ma è lui ad interloquire con me “Si ragiona e si va avanti” cercando la sintesi “abbiamo discusso a lungo nei mesi scorsi e non si è compreso il motivo per cui ci si è divisi, proprio in fotofinish”. Non commenta ma rilancia “Sto cercando di riprendere il ragionamento, anche se ho tanti impegni” In realtà so bene che è così, ce ne ha troppi di impegni ed alla fine la forma prevale sulla sostanza: è il limite dei sognatori. Gli chiedo un numero di telefono per un contatto che considero necessario. Me lo linka sul dispositivo Whatsapp in un attimo. Lo saluto e proseguo. Incrocio di sottecchi un gruppo di persone con cui non voglio parlare: forse è anche il loro desiderio e avanzo tra la folla. “Forse là dietro, ai giardini di Sant’Orsola, sono giunti alla conclusione” penso, perchè avverto lo scoppiettare di mortaretti e fuochi di artificio. Quello spazio è invisibile da dove sono; io vado oltre su una strada parallela ma a distanza di sicurezza. Arrivo davanti alla sede della Sociale Corale Giuseppe Verdi. Per strada c’è più spazio; i negozietti sono più etnici collegati ad attività alimentari o di servizio per comunità estere. Non ci sono più tavolini. Mentre osservo il numero civico della Società corale un giovanotto mi saluta; lo riconosco: è uno dei giovani rampanti e pasionari del PD che è anche capace di soppesare la realtà. Parliamo della sua possibilità di entrare in Consiglio, collegata a quella di uno o più ingressi in Giunta da parte di alcuni eletti. Non mi sembra angosciato davanti all’eventualità di rimanerne fuori. E’ scappato solo temporaneamente dalla festa per comprare le sigarette. Gli faccio i miei auguri e decido di tornare indietro.
Lentamente come sono venuto così torno verso il parcheggio. Sotto il tunnel della stazione di Porta al Serraglio incontro due ragazzi: conosco lui ma non ne ricordo il nome. Mi aiuta sorridendo. Mi parla di Pier Paolo Pasolini e dell’amore che ho suscitato in lui nell’ultimo anno delle superiori per il poeta friulano; e mi chiede, a sorpresa, di Fioravanti. Capisco che si riferisce al professor Maurizio Fioravanti, costituzionalista e Presidente del PIN. Gli dico che l’ho visto poche settimane prima e poi gli chiedo perché mai vuole sapere di lui. “L’ultimo anno lei ci portò ad un Convegno sulla Costituzione. Il professor Fioravanti fu così coinvolgente e soprattutto chiaro nella sua esposizione, tanto che – lei non può saperlo perché Italiano e Storia erano materie riservate agli esterni – utilizzai tutti gli appunti di quell’incontro per fare il tema: quell’anno c’era proprio una traccia sulla Costituzione ed ebbi la valutazione massima”.
La ragazza che lo accompagna è solare, anche al buio è splendente. E’ un buon viatico per il futuro, quello che ci attende e questo incontro sul far della notte ci lascia grandi speranze.

Joshua Madalon

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Note sparse – la Sinistra è morta? ma no, viva la Sinistra – 2

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Note sparse – la Sinistra è morta? ma no, viva la Sinistra – 2

…e così vado avanti, salutato il gruppo, mentre da lontano avverto una sorta di salmodiare come una messa cantata, quasi funebre. Altre persone a me ignote affluiscono lungo la Piazza San Francesco nel mentre mi avvio verso via Santa Trinita. Tra queste due figure, una anziana l’altra giovane: l’anziano mi sorride con quella forma di interrogazione muta sembra dire “Sei contento? Suvvia, abbozzala!” ma non lo dice, mentre invece da quel gruppo di donne, quelle dell’avvio di questa metanarrazione (ad uso pedagogico), mi viene in modo esplicito e diretto richiesto “Sei contento?” “No!” secco. e arrivederci con cordialità.
Ci fermiamo a parlare con abbracci possenti oltre che di una rozzezza primitiva, quasi a volermi convincere che sia stato giusto votare nel secondo turno il Centrosinistra. L’anziano mi presenta il giovane, che vuole capire il mio punto di vista, anche se non lo condivide. A me sembra un approccio onesto e argomento mettendo insieme la storia degli ultimi anni e la deriva di un Centrosinistra nel quale i valori della Sinistra avevano trovato sintetiche corrispondenze con quelli di un Centro moderato attento ai bisogni dei più deboli. Una deriva che purtroppo era originata da un elemento fondamentale ineludibile, quello di aver dovuto rendere conto, nella genesi di una nuova forza politica frutto di un accordo tra ex PCI ed ex DC (la prendo da lontano), prima di tutto ai gruppi dirigenti escludendo di fatto la base. In definitiva quanto è accaduto è generato dall’atto fondativo, sbagliato. I residui della Sinistra sono stati occultati a favore di un progetto ambiguo ed ipocrita nelle affermazioni paraideologiche. Nei fatti a prevalere sono stati gli interessi dei gruppi dirigenti e inevitabilmente nella realtà si è prodotta una forma Partito molto più attenta al mantenimento dei “poteri” consolidati nella parte più traffichina e postideologica del nuovo Partito, il PD. L’avvento del “renzismo” ha posto in evidenza questa “metastasi” in atto.
Il giovane mi ascolta ed argomenta su quello che sa; è così giovane da non potersi avvalere di conoscenze ed esperienze dirette, ma non presume di conoscere e sapere. Ed è un buon avvio di confronto; raccolgo anche il suo parere su “Prato in Comune”. “Lo considero un progetto elitario, autoreferenziale” afferma “che non poteva aspirare a sintetizzare i bisogni molteplici, che sono invece punto di riferimento dei Partiti che hanno una base popolare più ampia”. Argomento, condividendo il fatto che il nostro progetto è appena all’inizio; è un bimbo che gattona che ha bisogno di essere aiutato a sostenersi soprattutto da forze giovani. In queste condizioni, mentre ci si barcamena tra sostegni ipocriti e malèfici anatemi sostenuti dal bisogno di fronteggiare la Destra, le Destre e la necessità di avviare un percorso di riconoscibilità di una Sinistra democratica di Governo, una Sinistra che sia Sinistra che non sia un rosa pallido centrosinistra, indubbiamente il nostro lavoro è improbo ma gli obiettivi cui miriamo sono alti e la nostra consapevolezza ci sospinge con passione ed entusiasmo.
Ci scambiamo un arrivederci a partire dai contatti sui social. E proseguo, mentre imboccando via Santa Trinita tra tavolini affollati di giovani avventori nel chiacchiericcio generale ascolto l’origine di quei canti, che mi apparivano Salmi.

….2….

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Note sparse – la Sinistra è morta? ma no, viva la Sinistra

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Note sparse – la Sinistra è morta? ma no, viva la Sinistra

“Sei contento?” me lo chiede raggiante un’amica, che insieme ad un gruppo di donne avanza in direzione contraria alla mia, mentre passeggio ignaro – o meglio avendolo dimenticato “freudianamente”(!) – del fatto che sono in corso a poche decine di metri i festeggiamenti per la vittoria (o, forse, della scampata sconfitta) del “biffonesco” rassemblement di un pallido centrosinistra nella città di Prato.
Le rispondo con un “No” secco, fermo e serio. Non posso soffermarmi per varie ragioni per andare oltre quel secco “No”. Ci salutiamo con identico sorriso: l’amicizia è solida. Anzi un’amica che fa parte del gruppo che sovviene e che ha avvertito il mio stato d’animo sorride anch’essa, memore del passato comune in percorsi di speranze disilluse, e mi saluta con grande cordialità.
Fa caldo in questa sera di giugno, un’afa inattesa dopo lunghe giornate di pioggia e di freddo. Sono uscito di casa intorno alle 21.30 per fare due passi: non lo faccio mai senza un obiettivo preciso. Ma stasera non ho impegni ed a casa non c’è nessuno. La serata è tranquilla. E’ un giovedì e non ci sono ancora i consueti appuntamenti culturali.
Appena transito in via Mazzoni, dopo aver notato che non ci sono più i capannelli elettorali (la campagna è finita), incrocio una coppia di amici. Ci scambiamo poche parole: cosa ci sia più in là dalla Piazza del Comune in poi. “Ci sono dei gruppi giovanili, forse della Scuola “Verdi” lì ai giardini” indicando il luogo in modo approssimativo. Vado oltre camminando lentamente verso la Piazza del Comune godendomi il clima sereno in una Piazza piena di avventori e vuota di entusiasmi. Non mi sembra di intravedere facce note, anche se mi sforzo di concentrare il mio passo. All’altezza di “Mattonella” vedo un ragazzone alto che mi sorride; ha un po’ di barba. Sono tranquillo, così tanto da non ricordarne subito l’identità: eppure subito dopo mi risveglio dal torpore e lo riconosco.”Mi dispiace per te, per non avercela fatta” è una forma sincera, non ipocrita, non spettando a me la cura del sostegno per la sua elezione. Arrivano altri che riconosco da lontano anche per la frequentazione e capisco che sono reduci dalla festa. Ci salutiamo con il proposito di rivedersi e in modo serio “Nel rispetto della reciproca autonomia. Non vi fate illusioni” dico loro, stringendo con vigore le mani.
La storia va avanti e non si torna indietro, come la nostra vita e se qualcosa è accaduto è molto strumentale stare a pensare, anche soltanto a pensare, che ci possano essere dei passi a gambero. E’ molto più facile che ciò accada per chi non è mai stato nel Partito; può essere stato anche molto lontano da esso, non averlo fondato, non averne sofferto la difficile gestazione. E’ molto lontano dalla realtà colui che pensa sia utile ad un rafforzamento dell’ala sinistra un rientro dei ribelli. Anche di fronte a qualche successo relativo esiguo è del tutto evidente il disastro. Il PD a guida renziana (non è cambiato nulla dopo il grande successo “popolare” nelle Primarie per Zingaretti) perde copiosamente voti: rispetto alle europee del 2014 perde 22490 voti; rispetto alle comunali del 2014 ne perde solo 14765. Cala anche rispetto ad un anno fa con un -1555.
Domani scriverò altre note partendo dalla passeggiata di giovedì.

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….sembrava una messa cantata il suono di litanie che proveniva da Santa Trinita

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Oggi sabato 8 giugno, giorno che precede la convocazione elettorale per la scelta del Sindaco della città di Prato. Che fare? Mah!CHE FARE? (e non mi sento un Lenin) – sulle sorti della Sinistra

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CHE FARE? (e non mi sento un Lenin) – sulle sorti della Sinistra

Oggi sabato 8 giugno, giorno che precede la convocazione elettorale per la scelta del Sindaco della città di Prato.
Il sabato è giornata di “riflessione”, non si può fare campagna elettorale. C’è il “silenzio”.
http://www.maddaluno.eu/?p=9546
Nei giorni che precedevano la manifestazione antifascista del 23 marzo scorso in Piazza delle carceri – manifestazione di risposta a quella di Forza Nuova – ed in quelli ad essa seguenti avviavo una riflessione intorno alle scelte politiche che stavamo approntando in vista delle elezioni amministrative – oltre che politiche europee – di fine maggio.
Preparando il percorso di “Prato A Sinistra” prima e “Prato in Comune” dopo avevo posto molta attenzione intorno a quel che avrebbe dovuto significare la nostra essenza di “Sinistra”. Prima o poi la riflessione personale dovrebbe trasformarsi in una consapevolezza sempre più ampia e condivisa. Pena la inconsistenza progressiva del contenitore. I nodi se non sciolti, o avviati a sciogliere, vengono prima o poi al pettine, ed il rischio è quello di finire in un buco nero. In una serie di miei post forse autoreferenziali ed inascoltabili, vista la pochezza e l’inaffidabilità dell’autore, ho avviato la denuncia di una parte delle contraddizioni della Sinistra, soprattutto di quella fortemente identitaria, radicale, antagonista, che si pone autonomamente sullo scranno più alto dell’ortodossia divenendo elitaria.
Basterebbe guardare appena al di là del proprio naso, oltre il piccolo orto di casa, per capire non solo che il mondo è cambiato, che è una forma lapalissiana utile per tutte le stagioni della vita, ma soprattutto che la Sinistra – così come da quella parte si intende – si è fermata più o meno agli anni Settanta del secolo scorso. La Sinistra così come è in gran parte ora non riesce a distinguersi, pur presupponendo di farlo, da altri soggetti assai diversi e lontani ideologicamente da essa. Non riesce soprattutto ad affrontare le emergenze strutturali del mondo contemporaneo, non riesce nemmeno a provarci, ròsa dal dubbio di compromettersi: preferisce rimanere nel proprio guscio asfittico ed improduttivo considerandosi superiore a tutto il resto del mondo.
Sarà che nelle mie frequentazioni di Sinistra ho incontrato solo dei “geni”, di quelli che hanno il Verbo “incorporato” e non si pongono domande, non hanno mai dubbi (il rischio è quello di dover poi vivere tra poche persone che ritengono di sapere e tante altre che acquisiscono come “unico e assoluto” quel sapere), e finiscono per costruirsi il proprio recinto, tronfi di poterlo governare. Anche se in una progressiva emarginazione.
Rigetto peraltro l’idea che non ci sia più la Sinistra. Fatemi utilizzare una forma anch’essa “lapalissiana”, ovvia. Se c’è la Destra ed è del tutto evidente che ci sia, non può non esserci la Sinistra. Certamente non è quella di cui troppo spesso si tratta sui mass-media; non è quel centrosinistra pallido targato PD, che mostra tanti limiti da non essere più riconoscibile nella sua accezione parziale di Sinistra. “Sinistra” essenzialmente è in questo periodo quella di cui parlo sopra, che se non si adegua al nuovo mondo finisce certamente per essere emarginata. Abbiamo bisogno di gente che si interroga, che riesce ad emergere dagli angoli, che sia disponibile a ragionare fuori dagli schematismi meramente ideologici. il mondo non è mai stato di chi si ferma agli “assiomi” senza procedere verso i “postulati”.
Per oggi basta; forse ho già scritto troppo. Forse si capirà anche quale sarà il mio “voto” di domani. Ma non ve lo dico in modo chiaro, anche perché non mi è consentito.

Joshua Madalon
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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – seconda parte

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – seconda parte

L’intervento del prof. Giuseppe Panella continua, davanti (lo ricordo) ad una platea composta da studenti e docenti, oltre che da un pubblico formato da amministratori pubblici ed intellettuali. Il luogo era la Sala riservata alle conferenze, quella ampia al piano superiore del Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci”, il cui direttore era allora Bruno Corà.

Dicevo che Pietro Leopoldo era il secondogenito ed era fratello di quel Giuseppe II primogenito di Maria Teresa la cui opera riformistica soprattutto intesa alla trasformazione dell’Austria in uno stato moderno ma anche a controbattere e combattere duramente lo strapotere della legislazione che favoriva i beni ecclesiastici, e comunque il predominio degli ecclesiastici e dei gesuiti, passerà nei libri di storia (almeno nei manuali che voi usate a scuola) con il nome di giuseppinismo.

Quando Giuseppe II morirà nel 1791, sarà chiamato Pietro Leopoldo al trono con il nome di Francesco I e lascerà la Toscana per diventare Imperatore d’Austria. Il problema è che quello che gli era riuscito in Toscana, cioè l’abolizione della pena di morte e di tutte le pene ancora di derivazione medievale, non riuscì nell’ambito del grande Regno Asburgico, dove la proposta di abolizione della pena di morte, pur avallata dallo stesso Beccaria nel 1792, non incontrò quel successo che invece aveva avuto nella riforma della legislazione toscana, non solo, ma nonostante Beccaria stesso richiamasse la legislazione toscana come esempio di contemperamento tra severità della pena e mitezza della punizione, nonostante questo, l’intento di abolire la pena di morte anche nell’ambito del regno austriaco non riuscì per la decisa opposizione da parte di una serie di Consiglieri del nuovo Imperatore.

L’editto, il proemio dell’editto, continua così:

“Con la più grande soddisfazione del nostro paterno cuore, abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene congiunta con la più esatta vigilanza per prevenirne le reazioni, e mediante la celere spedizione dei processi, e la prontezza e sicurezza della pena dei veri delinquenti, invece di accrescere il numero dei delitti, ha considerevolmente diminuiti i più comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi siamo venuti nella determinazione di non più lungamente differire la riforma della legislazione criminale con la quale abolita per massima costante la pena di morte, come non necessaria per il fine propostosi dalla società nella punizione dei rei, eliminato affatto l’uso della tortura, la confiscazione dei beni dei delinquenti, come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicità del delitto, e sbandita dalla legislazione la moltiplicazione dei delitti impropriamente detti di lesa maestà con raffinamento di crudeltà inventati in tempi perversi, fissando le pene proporzionate ai delitti, ma inevitabile nei rispettivi casi, ci siamo determinati ad ordinare con la pienezza della nostra suprema autorità quanto appresso”.

In sostanza, qual è il proposito di Pietro Leopoldo, del suo paterno cuore? E’ quello di abolire la pena di morte come non necessaria alla prevenzione e al ristabilimento dell’ordine, abolire del tutto la tortura perché inadeguata alla conoscenza ed all’accertamento della verità nei processi criminali e l’abolizione di alcune norme fortemente vessatorie presenti nei codici medievali e non solo, l’abolizione dell’istituto della confisca dei beni ai danni delle vittime e soprattutto delle famiglie delle vittime di questa confisca a vantaggio dell’erario. Era tradizione che i beni di famiglia e personali dei condannati a morte o dei condannati a lunghe pene detentive venissero incamerati dall’erario dello stato e, di conseguenza, il rischio, questo salta agli occhi, era quello di un incameramento di questi beni e della creazione di una pena che rendesse suscettibile questo incameramento. Tipico esempio della tirannide è appunto quello di inventare un reato che permetta di condannare un supposto reo per poterne sussumere ed incamerare i beni. Il codice criminale è molto lungo, la versione attualmente riprodotta ed analizzata da Dario Zuliani è oltre 12 pagine in folio, di conseguenza non mi sembra opportuno leggerla integralmente; si può però leggere, e lo farà qui gentilmente il prof. Giuseppe Maddaluno, il paragrafo 51 del codice criminale che è quello relativo all’abolizione della pena di morte, dopo di che io continuerò con il commento.

…seconda parte…..

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – intro e prima parte

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – intro e prima parte

“Cesare Beccaria – Dei delitti e delle pene – e l’influenza che questa opera ebbe”

Nel 1995 fui eletto al Consiglio comunale di Prato. Fu una grande bella avventura quella campagna elettorale; una vera e propria “palestra” di vita politica. Dopo i fasti della vittoria del campionato del Mondo di calcio spagnolo del 1982, l’anno in cui arrivai a Prato e partecipai quasi da clandestino ai festeggiamenti in onore di Paolo (Pablito) Rossi “pratese doc”, eravamo poi arrivati ai fasti di Jury Chechi, altro “pratese doc” e grande ginnasta specialista degli anelli (“il signore degli anelli”), che poi otterrà la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atlanta del 1996. Nella lista dei DS c’era anche lui. Come sia finita la contesa tra compagni e per quel che riguarda la mia personale “performance” vi rimando ad uno dei miei racconti metanarrativi (“Altri tempi?” del luglio 2016).
Ma oggi volevo parlare di quell’altra esperienza svolta nella Circoscrizione Est. Era il 1999. Una delle iniziative più significative di quella legislatura avvenne nel 2000, un anno dopo il mio insediamento come Presidente della Commissione Scuola e Cultura. La Regione Toscana aveva avuto una straordinaria intuizione nell’indire la Festa della Toscana per il 30 novembre in ricordo dell’abolizione della pena di morte voluta dal Granduca Leopoldo di Toscana promulgata con atto formale nel Codice Penale il 30 novembre 1786.
Il 30 novembre 2000 fu dunque indetta la prima Festa della Toscana.
In qualità di coordinatore delle Commissioni Cultura delle cinque Circoscrizioni (c’era ancora la condizione favorevole dell’omogeneità amministrativa che si perse purtroppo dal 2009) ebbi l’onore di gestire le iniziative cittadine organizzando la struttura di un Convegno su “Pace e Diritti Umani”, temi molto sentiti universalmente in relazione anche all’applicazione ancora vigente in tantissimi paesi della “pena di morte”.
Tra i relatori che ebbi modo personalmente di contattare ci fu il professor Giuseppe Panella, che conoscevo già da tempo avendolo incrociato in alcune occasioni nelle sue lezioni di epistemologia applicata soprattutto all’arte cinematografica, lezioni riservate ad allievi particolarmente curiosi interessati e dotati di senso critico.
Avevo annunciato qualche giorno fa di voler dedicare uno spazio a Giuseppe, venuto a mancare da poco prematuramente. Ed avevo ripescato il testo del suo intervento riportato in un piccolo dossier pubblicato nel novembre del 2002. La sala più grande del “Pecci” è stracolma di giovani e docenti.

….omissis mio intervento di presentazione….

Parla il professor Giuseppe Panella

Non vedo altro modo che quello di iniziare leggendo l’Editto del 30 novembre 1786 sulla riforma del codice criminale, proemio.

“Fino al nostro avvenimento al trono di Toscana riguardammo come uno dei nostri principali doveri l’esame e riforma della legislazione criminale, ed avendola ben presto riconosciuta rtroppo severa, e derivata da massime stabilite nei tempi meno felici dell’impero romano o nelle turbolenze dell’anarchia dei bassi tempi, e specialmente non adatta al dolce e mansueto carattere della Nazione, procurammo provvisionalmente temperarne il rigore con istruzioni ed ordini, ai nostri tribunali e con particolari editti, con i quali vennero abolite le pene di morte, la tortura e le pene immoderate e non proporzionate alle trasgressioni ed alle contravvenzioni alle leggi fiscali, finchè non ci fossimo posti in grado di mediante un serio e maturo esame e con il soccorso dell’esperimento di tali nuove esposizioni , di riformare interamente la detta legislazione”.

Chi parla in prima persona e dichiara questo proposito di riforma è il Pietro Leopoldo Granduca di Toscana. Pietro Leopoldo era il secondo figlio di Maria Teresa d’Austria e di Stefano di Lorena, che governavano la Toscana a partire dalla caduta dei Medici.
L’ultimo discendente della famiglia Medici, Gian Gastone, era morto nel 1761 senza lasciare eredi e lasciando la Toscana in condizioni di grande abbandono e fatiscenza come stato nazionale, uno stato ancora legato agli statuti medioevali, malgovernato e soprattutto uno stato povero.
Il primo compito che i Lorena si assunsero fu quello di riformare drasticamente sia la legislazione sia l’economia del Granducato, in modo da portarlo a livello europeo e di acclararne e consolidarne i processi di riforma e di modernizzazione che sembravano necessari ad un inserimento della Toscana nell’ambito dell’allora fiorente Regno Asburgico. Grazie.

….continua….fine prima parte

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Perchè sono pratese, ancor più quando vado giù a Napoli, dove sono nato e vissuto per molti anni

Perchè sono pratese, ancor più quando vado giù a Napoli, dove sono nato e vissuto per molti anni

Per 25 anni sono stato puteolano (Pozzuoli è la città dei miei genitori; io sono nato a Napoli), per cinque anni sono stato feltrino (Feltre è stata la città nella quale ho svolto il mio primo impegno collettivo: docente, sindacalista, politico, cinefilo), per tutto il resto della mia vita (trenta e più anni dal 1982 ad oggi) sono stato pratese.

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A Feltre sono tornato un paio di volte, ma ci manco da venti anni ed ho contatti solo attraverso un paio di amici che qualche volta tornano a trovarci qui a Prato. Altri li sento sporadicamente attraverso i moderni canali di comunicazione (i social) ma non ci vediamo da tempo.

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A Prato ho lavorato in una sola scuola, il “Dagomari”, e mi capita molto spesso di incontrare miei allievi, che si sono impegnati nella costruzione di una loro identità e provo un grande piacere nell’essere stato parte, pur minimamente, della loro formazione. Quando sono arrivato in questa città portavo con me l’esperienza bellunese, quel complesso di cui sopra sinteticamente accennavo. In via Frascati c’era il PCI, in via Pomeria l’ARCI, in Piazza Mercatale la CGIL. Furono i luoghi di un altro periodo formativo. Scuola, Politica, Sindacato, Cinema: tutto insieme. L’impegno nell’UCCA, in prosecuzione del lavoro svolto a Feltre con la fondazione di un Circolo di Cultura Cinematografica “La Grande Bouffe” (un omaggio a Ferreri), l’impegno nel PCI e nella CGIL sui temi di raccordo tra “Cinema e Lavoro”, la fondazione del Cinema “TERMINALE Movies”, prima vera e propria “sala d’essai polivalente” della città, l’attenzione avuta verso il mondo del lavoro con l’esperienza indiretta delle “150 ore” a Feltre insieme ad un grande compagno il cui cognome impropriamente richiama una delle iatture della nostra recente storia repubblicana, Renzi (ma se ben ricordo lui si chiamava – è da tanto tempo che non ci si sente – Saverio). Con il PCI ho poi operato mantenendo per un breve periodo la conduzione della Commissione Scuola e Cultura sotto la segreteria di Daniele Panerati. Ho fatto per un breve periodo anche delle “prove” di giornalismo nella fase di partenza della redazione cittadina de “Il Tirreno”. Ho realizzato anche alcuni video coordinando vari gruppi. Ho collaborato a costruire eventi come “Film Video Makers toscani”. Ho prodotto format culturali come “La Palestra delle Idee”, “Il Domino letterario” e “Poesia sostantivo femminile”.
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Sono stato in Consiglio comunale per cinque anni dal 1994 al 1999 e Presidente della Commissione Cultura della Circoscrizione Est dal 1999 al 2009. In questo ultimo ambito sono stato coordinatore delle Commissioni Cultura delle cinque Circoscrizioni. E di sicuro dimentico qualcosa.

Con questo complesso di attività, mentre la famiglia cresceva, ho avuto modo di conoscere tante persone. A Prato che pure rispetto a Feltre e Pozzuoli è una metropoli (pur sempre è la terza città più popolosa dell’Italia centrale) mentre cammino incontro gente che conosco ed essendo “animale sociale” ne provo piacere: non ho ancora il desiderio di isolarmi completamente dal mondo, che tanti miei coetanei hanno scelto di intraprendere.

Molto diversamente mi accade quando torno a Pozzuoli. Lì riconosco purtroppo sempre meno persone. Il mio tempo si è fermato agli anni settanta del secolo scorso. Le generazioni successive non le ho incrociate; anche quando si ritornava con i bambini il nostro tempo era dedicato esclusivamente alla famiglia ed agli immediati rapporti di vicinanza. Quando ci ritorno può accadere di rivedere amici di un tempo, ma è raro ed a volte la memoria non mi aiuta e provo grande difficoltà (anche ieri un caro amico mi ha scritto: “Quando torni?” ho risposto la verità: “Non lo so”).
E, dunque, che dire? Sono “pratese” storicamente.

Joshua Madalon

reloaded di un mio post (nel caso vi fosse sfuggito) nel quale evidenzio cosa significhi appartenere alla classe operaia pur essendo un intellettuale umanista

reloaded di un mio post (nel caso vi fosse sfuggito) nel quale evidenzio cosa significhi appartenere alla classe operaia pur essendo un intellettuale umanista

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non sono candidato e sosterrò la candidatura di una forza politica di SINISTRA unitaria alternativa ed in competizione con il PD (non a chiacchiere) che esprima quello in cui crede senza remore senza indugi senza alcun tipo di compromissione

quel che segue è un mio documento del 2011

Sono nato a Napoli ma i miei vivevano a Pozzuoli. Mio padre, puteolano doc e mia madre procidana avevano frequentato solo la scuola elementare; mio padre non aveva conseguito nemmeno la licenza elementare. Entrambi avevano tuttavia un grande rammarico per non aver potuto studiare e se lo portavano dietro con l’obiettivo di far sì che i loro figli avrebbero soddisfatto in modo indiretto quel “bi-sogno” irrealizzato. Di figli i miei genitori non ne fecero che uno e si impegnarono molto a far sì che, io, potessi riuscire a realizzare quel loro obiettivo così desiderato. Mio padre lavorava nell’edilizia, dapprima come operaio semplice manovale poi si era “specializzato” sia in carpenteria (seguendo le orme del padre, mio nonno –omonimo – come da tradizione meridionale) che in costruzione in cemento armato. Aveva doti organizzative e di direzione ed una grande passione per il suo lavoro (sempre presente anche quando aveva qualche linea di febbre), cosicchè molto presto aveva ottenuto riconoscimenti espliciti nel ruolo di “capo cantiere”. I committenti ed i direttori di lavoro (ingegneri, geometri, dirigenti di imprese) si fidavano di lui e gli affidavano l’organizzazione del lavoro.
Ho studiato ma non avrei mai potuto seguire le orme di mio padre, avendo prediletto la sfera umanistica.

Perché ho parlato di me nel presentare questo mio contributo?
L’analisi della realtà industriale pratese negli ultimi decenni è contrassegnata da un rapporto fra le diverse generazioni di piccoli imprenditori o artigiani tessili che partivano da una mera cultura del lavoro senza limiti d’orario e con scarse regole, innanzitutto perché le imprese, soprattutto quelle piccole, erano per lo più familiari (ci lavoravano tutti alla bisogna, compreso i minori e donne incinte) ed anche perché con gli operai “esterni” vigeva un rapporto “familiare” non conflittuale, garantito anche dal miglior guadagno – semmai con extra in nero – più o meno equamente distribuito.
Negli anni settanta e seguenti i giovani figli degli industriali e degli artigiani tessili pratesi si sono (ma , in moltissimi casi, sono stati) allontanati dal lavoro manuale “sporco e maleodorante” (molte attività del tessile sono caratterizzate da polvere, umido e odori insopportabili) ed hanno (o sono stati indotti a farlo) scelto la strada della formazione scolastica, universitaria ed extrauniversitaria.
Ho detto “figli degli industriali etc…” ma in effetti è accaduto più o meno la stessa cosa con i figli degli operai tessili che hanno preferito gli studi ad un lavoro duro e gravoso, nonché incerto prima in modo ciclico poi in modo “drammaticamente strutturale”.
Molte delle aziende familiari operose fino alla fine del secolo scorso hanno esaurito il loro compito non reggendo più il ritmo di un mercato sempre più schizofrenico e de-regolato dal sistema globale.
In questa crisi si sono inserite altre variabili che hanno visto il prevalere di comunità operose e silenziose come quella cinese che, come si sente dire, lavora come i pratesi degli anni Sessanta e Settanta con delle variabili discutibili “oggi molto ma molto più di ieri” (è cambiata positivamente l’attenzione e la sensibilità verso il rispetto dell’ambiente e delle regole del lavoro).
In tutto questo la società pratese (non solo dunque quella parte “politica” e non solo “una” parte politica) ed in modo particolare l’imprenditoria – rappresentata sia dall’Unione Industriale sia dalle organizzazioni di categoria artigiane – non è stata in grado di dare risposte adeguate, tempestive ed innovative né di suggerire possibili utili riconversioni ed adeguamenti produttivi; mentre ha teso a scaricare anche le proprie responsabilità sugli amministratori locali. Fra l’altro molto curioso è stato l’atteggiamento di questa parte imprenditoriale che utilizza il liberismo e lo statalismo a suo piacimento ed a suo mero comodo: in effetti questa incertezza ha provocato molti più danni di quanto si possa credere.
Nello stesso tempo poi molti imprenditori chiudendo le loro aziende si sono auto convertiti in immobiliaristi sia affittando (o vendendo) le loro strutture ai migliori offerenti sia smantellandole e costruendo su quel terreno centinaia di appartamenti con il risultato di ingolfare anche quel mercato.
Ovviamente questa analisi è necessariamente parziale ma negli ultimi tempi troppi tanti troppi pratesi hanno dimenticato di prendere in considerazione questi aspetti ed hanno preferito risposte facili a domande semplici, contribuendo a far credere che tutto possa ritornare come prima se si condizionano alcune comunità al rispetto delle regole, proprio quelle regole che, grazie anche alla loro parziale (o totale) “non” applicazione, avevano decretato il successo del “modello pratese”. Fra l’altro coloro che ritengono che basterebbe mandar via da Prato queste comunità – a partire dagli irregolari – per riprendere in mano la guida del distretto, si illudono e vengono illusi dai “falsi profeti travestiti da politici rampanti”.
La soluzione sta altrove ed è sulla creatività delle giovani generazioni che bisogna scommettere!
Fra l’altro la richiesta di rispetto delle regole a senso più o meno unico (e l’impegno degli “sceriffi” locali è teso esplicitamente in tale direzione) non funziona se – accanto ad essa – si vorrebbe garantire maggiore sicurezza, in quanto inasprirà i rapporti ed il clima generale, già di per sé difficile, di integrazione e convivenza, senza portare a soluzione i problemi reali che girano attorno alla “crisi”. La richiesta di rispetto delle regole a senso unico finirà per creare maggiori “sacche” di illegalità diffusa anche nel resto della società, autorizzando “indirettamente” molti a non rispettarle e contribuendo così a creare un circolo vizioso molto pericoloso.

Joshua Madalon

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