La “lettera dal carcere” del 30 dicembre 1929

La “lettera dal carcere” del 30 dicembre 1929

30 dicembre 1929

Cara Giulia,
non mi sono ricordato di domandare a Tatiana con la quale ho avuto un colloquio qualche giorno fa, se ti aveva trasmesso le mie due ultime lettere a lei. Penso di sí, perché avevo domandato che lo facesse; perché volevo che tu fossi informata d’un mio stato d’animo, che si è attenuato, ma non è ancora completamente sparito, anche a costo di procurarti qualche dispiacere.
Ho letto con molto interesse la lettera in cui mi hai dato una impressione del grado di sviluppo di Delio.

Le osservazioni che farò devono essere naturalmente giudicate tenendo presente alcuni criteri limitativi: 1) che io ignoro quasi tutto dello sviluppo dei bambini proprio nel periodo in cui lo sviluppo offre il quadro piú caratteristico della loro formazione intellettuale e morale, dopo i due anni, quando si impadroniscono con una certa precisione del linguaggio, incominciano a formare nessi logici oltre che immagini e rappresentazioni; 2) che il giudizio migliore dell’indirizzo educativo dei bambini è e può essere solo di chi li conosce da vicino e può seguirli in tutto il processo di sviluppo, purché non si lasci acciecare dai sentimenti e non perda con ciò ogni criterio, abbandonandosi alla pura contemplazione estetica del bambino, che viene implicitamente degradato alla funzione di un’opera d’arte.
Dunque, tenendo conto di questi due criteri, che poi sono uno solo in due coordinate, mi pare che lo stato di sviluppo intellettuale di Delio, come risulta da ciò che mi scrivi, sia molto arretrato per la sua età, sia troppo infantile. Quando aveva due anni, a Roma, egli suonava il pianoforte, cioè aveva compreso la diversa gradazione locale delle tonalità sulla tastiera, dalla voce degli animali: il pulcino a destra, e l’orso a sinistra, con gli intermedi di svariati altri animali. Per l’età di due anni non ancora compiuti questo procedimento era compatibile e normale; ma a cinque anni e qualche mese, lo stesso procedimento applicato all’orientamento, sia pure di uno spazio enormemente maggiore (non quanto può sembrare, perché le quattro pareti della stanza limitano e concretano questo spazio), è molto arretrato e infantile.
Io ricordo con molta precisione che a meno di cinque anni, e senza essere mai uscito da un villaggio, cioè avendo delle estensioni un concetto molto ristretto, sapevo con la stecca trovare il paese dove abitavo, avevo l’impressione di cosa sia un’isola e trovavo le città principali d’Italia in una grande carta murale; cioè avevo un concetto della prospettiva, di uno spazio complesso e non solo di linee astratte di direzione, di un sistema di misure raccordate, e dell’orientamento secondo la posizione dei punti di questi raccordi, alto-basso, destra-sinistra, come valori spaziali assoluti, all’infuori della posizione eccezionale delle mie braccia. Non credo di essere stato eccezionalmente precoce, tutt’altro. In generale ho osservato come i «grandi» dimentichino facilmente le loro impressioni infantili, che a una certa età svaniscono in un complesso di sentimenti o di rimpianti o di comicità o altro di deformante. Cosí si dimentica che il bambino si sviluppa intellettualmente in modo molto rapido, assorbendo fin dai primi giorni della nascita una quantità straordinaria di immagini che sono ancora ricordate dopo i primi anni e che guidano il bambino in quel primo periodo di giudizi piú riflessivi, possibili dopo l’apprendimento del linguaggio. Naturalmente io non posso dare giudizi e impressioni generali, per l’assenza di dati specifici e numerosi; ignoro quasi tutto, per non dire tutto, perché le impressioni che mi hai comunicato non hanno nessun legame tra di loro, non mostrano uno sviluppo.
Ma dal complesso di questi dati ho avuto l’impressione che la concezione tua e di altri della tua famiglia sia troppo metafisica, cioè presupponga che nel bambino sia in potenza tutto l’uomo e che occorra aiutarlo a sviluppare ciò che già contiene di latente, senza coercizioni, lasciando fare alle forze spontanee della natura o che so io. Io invece penso che l’uomo è tutta una formazione storica, ottenuta con la coercizione (intesa non solo nel senso brutale e di violenza esterna) e solo questo penso: che altrimenti si cadrebbe in una forma di trascendenza o di immanenza. Ciò che si crede forza latente non è, per lo piú, che il complesso informe e indistinto delle immagini e delle sensazioni dei primi giorni, dei primi mesi, dei primi anni di vita, immagini e sensazioni che non sempre sono le migliori che si vuole immaginare. Questo modo di concepire l’educazione come sgomitolamento di un filo preesistente ha avuto la sua importanza quando si contrapponeva alla scuola gesuitica, cioè quando negava una filosofia ancora peggiore, ma oggi è altrettanto superato. Rinunziare a formare il bambino significa solo permettere che la sua personalità si sviluppi accogliendo caoticamente dall’ambiente generale tutti i motivi di vita. È strano ed interessante che la psico-analisi di Freud stia creando, specialmente in Germania (a quanto mi appare dalle riviste che leggo) tendenze simili a quelle esistenti in Francia nel Settecento; e vada formando un nuovo tipo di «buon selvaggio» corrotto dalla società, cioè dalla storia.
Ne nasce una nuova forma di disordine intellettuale molto interessante.
A tutte queste cose mi ha fatto pensare la tua lettera. Può darsi, anzi è molto probabile, che qualche mio apprezzamento sia esagerato e addirittura ingiusto. Ricostituire da un ossicino un megaterio o un mastodonte era proprio di Cuvier, ma può avvenire che con un pezzo di coda di topo si ricostruisca invece un serpente di mare.
Ti abbraccio affettuosamente.
Antonio

su una lettera “dal carcere” di Antonio Gramsci datata 30 dicembre 1929 – cioè novanta anni fa

apertura_2383

su una lettera “dal carcere” di Antonio Gramsci datata 30 dicembre 1929 – cioè novanta anni fa

Novanta anni fa, il 30 dicembre 1929, in una lettera apparentemente “familiare”, Antonio Gramsci “dal carcere” di Turi, dove era rinchiuso dal luglio del precedente anno, traccia tutta una serie di riflessioni politiche e pedagogiche, che a tutt’oggi sono elementi fondamentali per chiunque voglia approssimarsi a divenire un educatore. Come spesso accade, sono le semplici argomentazioni a divenire, partendo dal “particolare” generico ed occasionale e proprio per la loro capacità di arrivare al cuore delle problematiche, in definitiva universali. Gramsci scrive alla moglie Giulia Schucht, che aveva lasciato l’Italia con il figlio Delio ed incinta di Giuliano nell’agosto del 1926 e fa riferimento all’altra donna forse addirittura più importante dal punto di vista intellettuale, la più anziana, e matura, delle sorelle Schucht, Tatiana, sua prioritaria interlocutrice politica e culturale in tutto l’arco della sua permanenza in carcere.
Nella lettera del 30 dicembre Gramsci fa un diretto riferimento al rapporto, in qualche modo condizionato dall’assenza di Giulia con Tatiana, un rapporto molto più che “epistolare” visto che la donna faceva visita all’illustre recluso e ne era diventata la principale confidente.

schuchtjulia

Cara Giulia,
non mi sono ricordato di domandare a Tatiana con la quale ho avuto un colloquio qualche giorno fa, se ti aveva trasmesso le mie due ultime lettere a lei. Penso di sí, perché avevo domandato che lo facesse; perché volevo che tu fossi informata d’un mio stato d’animo, che si è attenuato, ma non è ancora completamente sparito, anche a costo di procurarti qualche dispiacere.

In Gramsci c’è questo profondo dissidio anche sentimentale: probabilmente avverte su di sè il peso di una intera famiglia, alla quale si è legato, la Schucht (innamorato in un primo tempo di Eugenia, aveva poi sposato Giulia), e comprende pienamente le ragioni che spingono Giulia a lasciare l’Italia, indebolita nell’animo e nel fisico, per tornare in Unione Sovietica.
La lettera di cui parlo, partendo da riflessioni condizionate dalla reclusione e dalla logica distanza con la famiglia si incentra sull’educazione del primogenito e sul suo grado di apprendimento.

Le osservazioni che farò devono essere naturalmente giudicate tenendo presente alcuni criteri limitativi: 1) che io ignoro quasi tutto dello sviluppo dei bambini proprio nel periodo in cui lo sviluppo offre il quadro piú caratteristico della loro formazione intellettuale e morale, dopo i due anni, quando si impadroniscono con una certa precisione del linguaggio, incominciano a formare nessi logici oltre che immagini e rappresentazioni; 2) che il giudizio migliore dell’indirizzo educativo dei bambini è e può essere solo di chi li conosce da vicino e può seguirli in tutto il processo di sviluppo, purché non si lasci acciecare dai sentimenti e non perda con ciò ogni criterio, abbandonandosi alla pura contemplazione estetica del bambino, che viene implicitamente degradato alla funzione di un’opera d’arte.
Dunque, tenendo conto di questi due criteri, che poi sono uno solo in due coordinate, mi pare che lo stato di sviluppo intellettuale di Delio, come risulta da ciò che mi scrivi, sia molto arretrato per la sua età, sia troppo infantile. Quando aveva due anni, a Roma, egli suonava il pianoforte, cioè aveva compreso la diversa gradazione locale delle tonalità sulla tastiera, dalla voce degli animali: il pulcino a destra, e l’orso a sinistra, con gli intermedi di svariati altri animali. Per l’età di due anni non ancora compiuti questo procedimento era compatibile e normale; ma a cinque anni e qualche mese, lo stesso procedimento applicato all’orientamento, sia pure di uno spazio enormemente maggiore (non quanto può sembrare, perché le quattro pareti della stanza limitano e concretano questo spazio), è molto arretrato e infantile.

in corsivo il testo della lettera

…..a seguire la seconda parte……

Joshua Madalon

parte 2 Le dimissioni del Ministro della Pubblica Istruzione sono una buona notizia

d23c6c4ffcb8aba8c60fb49fbdd9a263_XL

parte 2 Le dimissioni del Ministro della Pubblica Istruzione sono una buona notizia

Annunciavo ieri che avrei ulteriormente commentato alcuni aspetti emersi “nuovamente” alla luce del sole (gli italiani, forse “gli uomini”, dimenticano spesso alcuni aspetti della realtà e si lasciano deviare dagli incantatori di serpenti: non solo ai napoletani piacciono “tarallucci e vvino”). In primo luogo i dirigenti del Movimento 5 Stelle dimenticano che nei loro programmi vi era una parte dedicata alla Scuola che si intitolava “7 Soluzioni per la Scuola”. Tra i 7 punti spiccava al punto 3 “Più finanziamenti alle scuole” e non mancava il riferimento al primo punto ad un “Piano edilizio per scuole sicure”. Al punto 4 si evidenziava un “No alle classi pollaio” ed al punto 6 “Stop a finanziamenti a scuole paritarie e diplomifici”.
Vinte le elezioni, anche se, parafrasando il buon Bersani, “non avendo vinto le elezioni”, nello scendere a patti con la Lega si produceva un “Contratto di Governo” nel quale, per ritrovare la parola “Scuola” occorre raggiungere il punto 27 e per quanto concerne l’Università e la Ricerca il punto 29, cioè l’ultimo.

http://espresso.repubblica.it/palazzo/2018/05/18/news/contratto-di-governo-lega-m5s-ecco-il-testo-definitivo-1.322214

Non mi soffermo per ora sulla qualità delle affermazioni di principio che solitamente sono paccottiglia indigesta ad uso e consumo dei creduloni che di questi tempi con il livello culturale ormai diffusamente ai minimi termini sono sempre più numerosi; rilevo che in quel “Contratto” ben poco contasse sia la Scuola sia la Cultura, che vanno a braccetto nel delineare la qualità della vita civile di ogni Paese.
Con una certa evidenza tuttavia al calar del Governo giallo verde il sottosegretario e poi viceministro alla Pubblica Istruzione etc etc nominato poi Ministro ha inteso tener conto giustamente dei temi programmatici del Movimento 5 Stelle di cui prima accennavo, puntando in modo forte sulle sue esperienze dirette e non sottomettendole prioritariamente, come tanti altri hanno fatto prima di lui, agli interessi delle lobbies.
Indubbiamente molti degli aspetti espressi in quei “7 punti” chiamati “Soluzioni” si avvicinano pur se in maniera sintetica a proposte ben più articolate e precise espresse da ben più lungo tempo dalla Sinistra, soprattutto quella extraPD. Si è detto in molte occasioni che il M5S avesse attratto voti da quella parte di elettorato e ciò viene confermato dai sondaggi attuali che vedono calare il sostegno al M5S, anche se molti di quei voti non riescono più (per ora, si spera, solo per ora) a trovare un nuovo luogo sicuro dove approdare.
Il Ministro (oramai ex), mi ripeto, ha fatto bene a dare un segnale forte rispetto ad un tema che rappresenta, non solo per me, l’asse portante di una Politica coraggiosa che voglia invertire la rotta che si dirige verso la barbarie ed il baratro civile. E non condivido le critiche né del M5S né del Partito Democratico; non solo sono ingenerose ma rivelano la scarsissima sensibilità verso quei temi e la incapacità ad avviare una ristrutturazione dell’impianto scolastico che tenga conto del livello infimo culturale nel quale il nostro Paese giace ed i rischi conseguenti connessi a questo degrado.
Ho tra l’altro letto stamattina (28 dicembre 2019) il commento di una collega di Partito del Ministro, una certa Fabiana Dadone, della quale, mi si perdoni, ignoravo l’esistenza. Anche se, a quanto sembra, sia a capo del Ministero della Pubblica Amministrazione. Ella accusa Fioramonti “Trovo stucchevole che chi professi coraggio agli elettori poi scappi dalle responsabilità politiche”.

Indubbiamente è facile agire sotterraneamente vivacchiando ed attendendo soltanto che “altri” risolvano i problemi, semmai continuando a sopravvivere con quel poco di coerenza che rimane ma rimanendo tristemente succubi dei poteri estranei alla Democrazia.

Joshua Madalon

Nelle ultime ore il Ministero della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca è stato suddiviso tra la prima parte, affidata alla onorevole Lucia Azzolina e la seconda (Università e Ricerca) al Rettore dell’Università “Federico II” di Napoli, Gaetano Manfredi. Non posso far altro che augurar loro un “buon lavoro” sperando che non dimentichino di praticare la virtù ormai rara della “coerenza” tra ciò che si afferma e quel che si fa. (J.M.)

Una combo che mostra Lucia Azzolina (D), dirigente scolastico, e attualmente sottosegretario alla Scuola in quota M5S, e Gaetano Manfredi, rettore dell'Università Federico II di Napoli, 28 dicembre 2019.  ANSA - ARCHIVIO
Una combo che mostra Lucia Azzolina (D), dirigente scolastico, e attualmente sottosegretario alla Scuola in quota M5S, e Gaetano Manfredi, rettore dell’Università Federico II di Napoli, 28 dicembre 2019. ANSA – ARCHIVIO

Le dimissioni del Ministro della Pubblica Istruzione sono una buona notizia

Le dimissioni del Ministro della Pubblica Istruzione sono una buona notizia

Finalmente un “politico”, un intellettuale prestato alla Politica, dà seguito ad affermazioni “politiche” in modo coerente. Leggendo il suo curriculum comprendo perfettamente il senso del suo gesto e lo condivido. Discutiamo sul valore della coerenza, apprezzandola come elemento positivo, ma poi siamo troppo spesso indulgenti con quanti la sottomettono al proprio interesse – semmai contrabbandandolo come “universale”.
La scuola, con il suo complesso di categorie (allievi, docenti, non docenti, famiglie), è stata da sempre un punto di riferimento di tutti coloro che si occupano di Politica, anche se con nonchalance ipocrita ciascuno afferma che “nella e sulla scuola non si fa Politica”. Ed invece molte delle azioni amministrative collegate al mondo della Scuola sono contornate da “passerelle” con invito alla Stampa ed ai mezzi di informazione più vari e diversi.
La Scuola, negli ultimi decenni (dagli anni Settanta in poi), ha vissuto un lento inesorabile declino complessivo; in modo particolare la Scuola superiore di secondo grado ha smarrito la bussola dei suoi obiettivi. Forse proprio le “politiche” confuse, raffazzonate, azzeccagarbugliate dei legislatori, che hanno prodotto una classe docente incapace di fornire agli allievi il metodo per districarsi all’interno delle problematiche, fermandosi al nozionismo puro e spinto, hanno portato al disastro “culturale e morale” il nostro Paese. E soprattutto in relazione alle altre realtà europee con le quali necessita un confronto immediato i nostri allievi, in generale (non mancano di certo le eccellenze, collegate però in modo più esplicito al caratteristico “genio italico”), sanno ma “non sanno fare”.
Il Paese aveva bisogno (ha bisogno) di una scossa virtuosa, di un incoraggiamento, di una iniezione di fiducia: e questi aspetti devono essere ricostruiti attraverso il Sapere e la Conoscenza, attraverso un rispetto per la Legalità nel senso più ampio del termine, con un progetto di largo respiro, che in questo momento sembra molto lontano anni luce dall’essere avviato, se non soltanto “preso in considerazione”. Sono inadeguati questi governi: lo era quello giallo-verde, lo è ancor di più anche se per motivi molto diversi questo giallo-rosso (dove il “rosso” è incolore). Ma entrambi, così come quelli precedenti hanno solo sfruttato, strumentalizzato con i loro “annunci” (patetici quelli renziani – andateveli a rileggere) il mondo della Scuola e lo hanno fatto senza ritegno.
Vi ricordate quando annunciava che avrebbe visitato ogni mercoledì una scuola? Ecco cosa diceva l’inossidabile faccia da schiaffi http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/02/25/news/matteo-renzi-e-la-scuola-che-cade-a-pezzi-1.154912 .

“Da Presidente del Consiglio io entrerò nelle scuole, una volta ottenuta – se così sarà – la fiducia del Senato e della Camera. Mercoledì mattina, come faccio tutte le settimane, mi recherò in una scuola; la prima sarà un istituto di Treviso mentre la settimana prossima andrò in una scuola del Sud”. Quelle che avete appena letto sono le parole del premier Matteo Renzi nell’aula del Senato pronunciate in occasione della richiesta della fiducia il 24 febbraio scorso.”

Era il febbraio del 2014.
Noi non possiamo – oggi – di fronte alle dimissioni del Ministro Fioramonti non riflettere su quel che si deve fare. Nessuno è fuori dalle responsabilità; lo dico a me stesso e lo dico anche a quei compagni della Sinistra che continuano a ragionare all’interno di schematismi ormai obsoleti ed inapplicabili; così come chiedo a quella parte di Sinistra democratica e cattolica di essere capaci di distinguere l’interesse di tutti dall’interesse di una parte, anche se non residuale.

Concludo con un brano da questo articolo del “Sole24ore” del 20 gennaio 2019 scritto da Corrado Griffa, manager bancario ed industriale (CFO, CEO), consulente aziendale in Italia e all’estero, giornalista pubblicista

https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2019/01/20/scuola-italiana-declino-societa/
La scuola è malata; la sua malattia pervade la società e proviene allo stesso tempo dalla società stessa; senza una adeguata scuola un paese è destinato prima al declino, poi al disastro: l’istruzione è la linfa vitale di una nazione.

Tratterò questi temi in altro post, nei prossimi giorni.

7soluzioniscuola

Joshua Madalon

giornata di riposo (parziale) ripubblico nella sua interezza il RACCONTO D’AUTUNNO-INVERNO (con annunci di primavera) – BUON NATALE 2019

giornata di riposo (parziale) ripubblico nella sua interezza il RACCONTO D’AUTUNNO-INVERNO (con annunci di primavera) – BUON NATALE 2019

Giovedi 19 dicembre, è l’ultimo giorno dell’anno nel quale dialogo con gli stranieri per insegnare quel minimo di lingua italiana. C’è già da qualche giorno in città la nevrotica smania di consumo che caratterizza le feste. Il traffico è già intenso alle otto; c’è da andare al lavoro e c’è anche da accompagnare i bambini a scuola. Noi da qualche tempo non abbiamo questo impegno. Da San Paolo al centro occorre attraversare Chiesanuova. E càpita spesso di dover stare in fila dietro camion compattatori. E autisti che non conoscono le regole della precedenza e della segnalazione di cambio di direzione. Bisogna essere prudenti. Per tutto questo per rispettare la mia ansia di puntualità mi anticipo di una decina di minuti. Anche perchè per evitare un parcheggio a pagamento fermo la mia auto in una zona libera, più lontana del solito da Piazza Mercatale. Faccio a piedi lungo la ciclabile, da una parte il fiume che in questi giorni è gonfio di acqua, al di là di esso il borgo magnifico del Cantiere con il suo skyline basso popolare; e dall’altra parte la fabbrica Calamai esempio di archeologia industriale riconvertita in modo corretto.

Mi inoltro poi nel sottopasso della linea ferroviaria che congiunge Firenze a Pistoia e Viareggio e vado verso l’ingresso della Passerella che congiunge le due rive del Bisenzio. Non devo attraversarla ma solo costeggiarla. Alla fermata della Cap, le autolinee cittadine, c’è gente in attesa. Faccio uno slalom rapido ma “Maestro!” sento una voce roca che sembra rivolta a me. Mi giro e rivedo uno dei miei ex allievi, un nigeriano, che mi sorride e mi augura, condito da uno sguardo dolce e tranquillo, buone feste. Mi fermo, sono come sempre mi accade in anticipo, e lo abbraccio scambiando anche le mie “buone feste” e poi “ma anche voi festeggiate il Natale?”. Non mi risponde, lo sguardo diviene solo un po’ più serio e “Parto per il mio paese tra qualche giorno”, solo “un po’” più serio. “Allora, festeggerai con la tua famiglia?!”. “No, torno perché è morta mia madre!” Cerco di non far riconoscere il gelo che è dentro di me per essere stato così insistente e inopportuno. “Mi dispiace…ma hai problemi a tornare, poi?” “No, vengo” facendo il segno del volo “in aereo, non in barcone”. Lo abbraccio di nuovo con un sentimento diverso rispetto al primo e lo saluto, augurandomi abbia una buona fortuna. Ci vuole così poco per riconoscere che l’umanità ha colori diversi e tocca a noi distinguerli e farne una ricchezza da condividere. Proseguo verso la Piazza, attraverso via Sant’Antonio. Non c’è molto traffico. Uso il marciapiede anche se potrei agevolmente stare sulla strada che è a senso unico verso la mia direzione di marcia. Da lontano vedo arrivare uno dei giovani con il quale mi sono sempre confrontato sin da quando lui era un ragazzo di Liceo, lo stesso frequentato da mia figlia Lavinia. Negli ultimi tempi il nostro confronto si è diradato: abbiamo avuto delle divergenze, sempre però mantenute all’interno di un rapporto di rispetto.

2.
Proseguo su una linea diretta, di incontro. Due veicoli umani che viaggiano su posizioni opposte. Una forma di infantilismo che non mi abbandona. Sorrido ed il giovane sorride per quel che sa fare. Giovani significa anche saper distinguere le differenze e fidarsi delle persone libere; ma appare, sin dal sorriso appena accennato che dalla prossemica impertubata, incapace di volare, forse impaurito da prospettive incerte. “Come va?” generiche domande. “Sono sempre più convinto che il futuro senza un vero cambiamento non abbia sbocchi positivi. Se non si risponde in modo significativo alle domande della stragrande maggioranza della gente, che è sempre più bisognosa di riprendere fiducia, si offre spazio alle Destre, quelle peggiori.”
Mi risponde “Chi dice che noi non cambiamo e ci rinnoviamo; è il tuo punto di vista”. Capisco e pur isnistendo mi rendo sempre più conto della divergenza di vedute, con punti di vista sempre più distanti e gli ricordo “Hai detto da tempo che ormai non avevo più nulla da condividere con il tuo Partito, anche se è stato per tanto tempo il mio!”.
Ciascuno ha fretta di riprendere il cammino. “Auguri! Saluti alla famiglia!” e “Auguri! Saluti anche alla tua!”
Attraverso lo sboco di via Santa Margherita per entrare in Piazza Mercatale. E mi avvio verso San Bartolomeo, con il campanile che ricorda quello di Venezia; salgo la scalinata ed entro nell’atrio, imbocco la porticina che conduce al piccolo Chiostro. Salgo le scale interne. Non sono ancora le 9. Do una mano alla segretaria del corso per mettere in ordine i registri ed aprire tutte le imposte. Fa freddo dentro, più freddo che fuori: oggi non c’è il riscaldamento, la caldaia non funziona, e temo per la mia salute oltre che per quella degli allievi che ancora tardano a salire. I miei allievi ormai “storici” riferiti però a questi ultimi mesi (c’è un turn over incessante e frequente) arrivano puntuali. Noto che una di loro, una giovane signora marocchina, puntuale come gli altri non c’è e chiedo se fosse stata già assente lo scorso martedì, giorno in cui non ci sono io a condividere questa esperienza. “Ha l’influenza; anche i suoi due bambini” mi dice una delle tre giovani donne cinesi. Come sempre, colgo al volo il tema. E lo sviluppo. La prima delle due ore parte sempre da un argomento utile per la conoscenza della lingua di uso quotidiano. Il lessico farmaceutico, il riconoscere i primi sintomi e saperli esporre, le precauzioni da adottare: sono propedeutiche alla coniugazione ed alla declinazione dei termini, maschile e femminile, singolare e plurale. La seconda ora, poco prima o poco dopo, è riservata ad una serie di esercizi su comparativo e superlativo e sui verbi impersonali e riflessivi, sull’uso frequente di questi. C’è una grande partecipazione, soprattutto da parte delle ragazze cinesi che si divertono un mondo a ripetere le parole con la “erre”. “State davvero diventando brave, soprattutto con la doppia “erre” – dico loro. Si aiutano tra di loro ed aiutano anche il “grande uomo” del Pakistan, capelli e baffi nerissimi, che ha più difficoltà a seguire. E’ più lento, la sua scuola “coranica” gli ha insegnato a leggere ma non a scrivere e quindi impiega più tempo a copiare.
Al termine delle due ore, solitamente c’è fretta di andar via. Oggi sembra tutto meno frenetico.
3.
C’è aria di festa. Le tre ragazze cinesi si attardano, attendono che anche il “grande uomo” si congedi. Con aria di complicità inattesa mi porgono una borsina colorata “Questo è per lei!” mi dice la più vivace tra loro. Smetto di preparare il mio zaino e “Grazie! Cos’è?” “Un piccolo pensiero” fermandosi sulla “erre” come sempre (…rrro, rrro!). Lo prendo e guardo dentro: c’è una confezione trasparente ed infiocchettata di rosso. La sollevo e la osservo: è una bolla di vetro che contiene un piccolo grazioso presepe, simbolo della natività. Sorrido, non posso che ringraziare del dono speciale che mi hanno consegnato. Come segno di apprezzamento concreto sistemo il dono su un tavolino e scatto una foto con il mio smartphone, la invio subito a mia moglie con la sottolineatura dell’importanza del dono, segno del riconoscimento delle nostre tradizioni, che vanno al di là della specificità laica che mi contraddistingue.
D’altra parte anche io, laico ed ateo, non posso non dirmi “cristiano”, intimamente e costitutivamente, così come aveva scritto nel suo breve saggio del 1942 Benedetto Croce. Anche la mia presenza in un contesto cattolico e religioso, anche interreligioso, assume una significazione speciale.
Saluto e mentre le ragazze escono mi soffermo a registrare gli ultimi argomenti trattati. Un attimo e i nuovi allievi entrano; salutano con rispetto e deferenza, ma non sono i miei. Esco dopo un paio di minuti e mi soffermo a parlare con le altre colleghe. Nel pomeriggio ci sarà una festa, un classico rendez-vous a chiusura dell’anno solare. Ci sarà il Vescovo. Si riprenderà il 9 gennaio. Avverto che difficilmente potrò partecipare e annuncio che sarò via per tutta la metà del mese prossimo: vado a Napoli. C’è una notazione pregiudizievole da parte di una delle segretarie organizzative; con una smorfia che è tutto un programma e qualche battutina contornata da beffardo sorriso dileggia la città partenopea. Le faccio notare che la mia città natale è a pieno titolo una delle capitali della Cultura mondiale, forse non superiore a Firenze ma di certo non inferiore ad essa. Un luogo nel quale la passione e l’inventività non hanno paragoni e sono elementi sostanziali di creatività e genialità; l’arte e la Storia sono diffuse in ogni angolo, molto più di quanto avvenga in realtà baciate maggiormente dalla ricchezza materiale. Ad ogni modo raccolgo il sostegno delle mie colleghe, che dimostrano di conoscere bene la realtà di cui accenno in rapida necessaria sintesi.
Saluto. Devo andare in banca…devo pagare l’IMU sulle seconde case.
Non c’è una gran fila. E poi gli sportelli sono tutti aperti ed operativi. Mentre attendo do uno sguardo ad alcuni libri che sono a disposizione dei clienti dietro una minima offerta di un solo euro: c’è Telethon nei prossimi giorni. Due signore in attesa parlottano tra loro e non posso fare a meno di ascoltarle.
“Vuoi sapere” dice una signora sobriamente vestita sulla via dei sessanta all’altra molto più giovane, quarantenne molto più appariscente “vuoi sapere cosa ha combinato mio nipote?”
“Chi? Andrea? Quanti anni ha fatto?”
“Quattro. A settembre”
“Cosa avrebbe combinato?”
“Nulla di grave, ma è sorprendete ad ogni modo!” aggiunge la “nonna” compiaciuta visibilmente.
“E allora?”
“Ha chiamato il padre mentre era in ufficio e gli ha annunciato che aveva deciso di sposarsi….”
“Mah, guarda un po’ quel soldo di cacio!” commentò la più giovane. “E cosa gli ha risposto Vittorio?”
“Vittorio mi ha detto che era rimasto incuriosito, anche se lì per lì stava per chiedergli di ragionarne in un altro momento: in ufficio si lavora; ma invece gli ha chiesto subito con chi volesse sposarsi….”
“E con chi?…”
“Con me…” la nonna era, come si dice a Napoli, “priata” cioè “lusingata”.
“Con te?… e Vittorio?”
“Vittorio…eh Vittorio gli ha risposto che non poteva sposare la nonna perchè era sua madre”
“E Andrea?”
“Andrea…” la nonna era visibilmente commossa “il piccolino non si è perso d’animo e gli ha risposto”
Momento di attesa.
“Gli ha semplicemente detto: e perchè mai non posso sposare la tua mamma; tu, non hai sposato la “mia”?”
Indubbiamente nulla da obiettare!

Care amiche e cari amici, Buon Natale! State sereni, ma seriamente, non per metafora negativa come ormai è diventata consuetudine nell’agone politico.

Joshua Madalon

RACCONTO D’AUTUNNO-INVERNO (con annunci di primavera) – 3 ed ultima BUON NATALE 2019

RACCONTO D’AUTUNNO-INVERNO (con annunci di primavera) – 3 ed ultima BUON NATALE 2019

3.
C’è aria di festa. Le tre ragazze cinesi si attardano, attendono che anche il “grande uomo” si congedi. Con aria di complicità inattesa mi porgono una borsina colorata “Questo è per lei!” mi dice la più vivace tra loro. Smetto di preparare il mio zaino e “Grazie! Cos’è?” “Un piccolo pensiero” fermandosi sulla “erre” come sempre (…rrro, rrro!). Lo prendo e guardo dentro: c’è una confezione trasparente ed infiocchettata di rosso. La sollevo e la osservo: è una bolla di vetro che contiene un piccolo grazioso presepe, simbolo della natività. Sorrido, non posso che ringraziare del dono speciale che mi hanno consegnato. Come segno di apprezzamento concreto sistemo il dono su un tavolino e scatto una foto con il mio smartphone, la invio subito a mia moglie con la sottolineatura dell’importanza del dono, segno del riconoscimento delle nostre tradizioni, che vanno al di là della specificità laica che mi contraddistingue.

80041380_1454353151409844_3650290084940349440_n

D’altra parte anche io, laico ed ateo, non posso non dirmi “cristiano”, intimamente e costitutivamente, così come aveva scritto nel suo breve saggio del 1942 Benedetto Croce. Anche la mia presenza in un contesto cattolico e religioso, anche interreligioso, assume una significazione speciale.
Saluto e mentre le ragazze escono mi soffermo a registrare gli ultimi argomenti trattati. Un attimo e i nuovi allievi entrano; salutano con rispetto e deferenza, ma non sono i miei. Esco dopo un paio di minuti e mi soffermo a parlare con le altre colleghe. Nel pomeriggio ci sarà una festa, un classico rendez-vous a chiusura dell’anno solare. Ci sarà il Vescovo. Si riprenderà il 9 gennaio. Avverto che difficilmente potrò partecipare e annuncio che sarò via per tutta la metà del mese prossimo: vado a Napoli. C’è una notazione pregiudizievole da parte di una delle segretarie organizzative; con una smorfia che è tutto un programma e qualche battutina contornata da beffardo sorriso dileggia la città partenopea. Le faccio notare che la mia città natale è a pieno titolo una delle capitali della Cultura mondiale, forse non superiore a Firenze ma di certo non inferiore ad essa. Un luogo nel quale la passione e l’inventività non hanno paragoni e sono elementi sostanziali di creatività e genialità; l’arte e la Storia sono diffuse in ogni angolo, molto più di quanto avvenga in realtà baciate maggiormente dalla ricchezza materiale. Ad ogni modo raccolgo il sostegno delle mie colleghe, che dimostrano di conoscere bene la realtà di cui accenno in rapida necessaria sintesi.
Saluto. Devo andare in banca…devo pagare l’IMU sulle seconde case.
Non c’è una gran fila. E poi gli sportelli sono tutti aperti ed operativi. Mentre attendo do uno sguardo ad alcuni libri che sono a disposizione dei clienti dietro una minima offerta di un solo euro: c’è Telethon nei prossimi giorni. Due signore in attesa parlottano tra loro e non posso fare a meno di ascoltarle.
“Vuoi sapere” dice una signora sobriamente vestita sulla via dei sessanta all’altra molto più giovane, quarantenne molto più appariscente “vuoi sapere cosa ha combinato mio nipote?”
“Chi? Andrea? Quanti anni ha fatto?”
“Quattro. A settembre”
“Cosa avrebbe combinato?”
“Nulla di grave, ma è sorprendete ad ogni modo!” aggiunge la “nonna” compiaciuta visibilmente.
“E allora?”
“Ha chiamato il padre mentre era in ufficio e gli ha annunciato che aveva deciso di sposarsi….”
“Mah, guarda un po’ quel soldo di cacio!” commentò la più giovane. “E cosa gli ha risposto Vittorio?”
“Vittorio mi ha detto che era rimasto incuriosito, anche se lì per lì stava per chiedergli di ragionarne in un altro momento: in ufficio si lavora; ma invece gli ha chiesto subito con chi volesse sposarsi….”
“E con chi?…”
“Con me…” la nonna era, come si dice a Napoli, “priata” cioè “lusingata”.
“Con te?… e Vittorio?”
“Vittorio…eh Vittorio gli ha risposto che non poteva sposare la nonna perchè era sua madre”
“E Andrea?”
“Andrea…” la nonna era visibilmente commossa “il piccolino non si è perso d’animo e gli ha risposto”
Momento di attesa.
“Gli ha semplicemente detto: e perchè mai non posso sposare la tua mamma; tu, non hai sposato la “mia”?”
Indubbiamente nulla da obiettare!

Care amiche e cari amici, Buon Natale! State sereni, ma seriamente, non per metafora negativa come ormai è diventata consuetudine nell’agone politico.

Joshua Madalon

80779456_581618269239019_3106540830060445696_n

BUON NATALE 2019

BUON NATALE 2019

La grande sognatrice 001

ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE”

Orfeo aveva amato davvero una donna che casualmente si
chiamava come quella narrata da Virgilio ed Ovidio; ed anche
lui aveva visto morire Euridice la sua donna vittima di un male
crudele che l’aveva dapprima lentamente debilitata e poi
stroncata. L’aveva amata così intensamente che non aveva
mai più voluto conoscerne altre ed aveva deciso di vivere la
sua vita lontano dal mondo coltivando da solo il suo orto lassù
fra le montagne di Vernio al confine fra la Toscana e l’Emilia.
Di Euridice aveva conservato soltanto un’immagine, un
disegno con cui lui stesso aveva voluto tracciare su un
cartoncino con del carbone i lineamenti del volto sul letto di
morte; e questo oggetto custodiva con affetto in una tasca
interna segreta del suo vecchio cappotto. Erano passati
anni ed anni ed Orfeo andava ormai vivendo la sua vecchiaia
lontano dal mondo, isolato lassù nei boschi e aveva ricercato
la solitudine evitando il più possibile di incontrare e di parlare
con anima viva, autoescludendosi anche dalla partecipazione,
fosse morbosa o umanamente mostrata, dei vicini che però
distavano da lui circa un chilometro più giù verso la valle del
Bisenzio….. le stagioni si alternavano ed alle nevi seguivano
le fioriture primaverili e le calure estive ed i colori intensi e
variegati della natura accompagnavano le giornate di Orfeo,
che non aveva mai più nemmeno nella sua immaginazione
incrociato una figura umana che pur lontanamente
assomigliasse alle fattezze di Euridice, alla bellezza del suo
corpo, al suo bel volto, del quale custodiva il disegno, che
ogni notte per migliaia e migliaia di volte aveva estratto dalla
tasca interna del suo consunto paltò, quel disegno che non
era però mai invecchiato, come il volto che vi era ritratto,
sempre giovane, sempre bello, sempre sorridente anche se
quella donna, la sua Euridice, era là sul letto di morte; ed
erano trascorsi quasi trenta anni.
Orfeo era invece invecchiato per trascuratezza oltre che per
il tempo; non aveva ancora sessanta anni e dalla tragedia che
lo aveva coinvolto non si era più mosso dalla sua casa, quella
che aveva costruito per la sua donna e per la famiglia che
avrebbe voluto avere. Un pomeriggio, verso la fine
dell’autunno, il tempo aveva già mostrato i primi freddi ma si
alternavano splendide giornate di sole a quelle ventose e
piovose, Orfeo decise all’improvviso di scendere verso la
città. Come un clochard indossò il suo sdrucito largo
cappotto e con un ampio cappello si coprì la testa quasi a
voler celare la sua identità. Solo qualcuno lo notò, ma pochi lo
conoscevano, quando sulla Provinciale salì sulla corriera per
scendere verso Prato; nessuno gli diede a parlare per tutto il
viaggio. Prato la ricordava così come era negli anni Ottanta;
con Euridice l’aveva vissuta, frequentandone i teatri ed i
circoli: a lei piacevano la musica e la danza ed aveva praticato
da ragazza quelle arti, da protagonista. Ed era in quei luoghi
che Orfeo, appassionato soprattutto di musica classica,
l’aveva conosciuta. Inoltratasi nella città, la corriera aveva
attraversato le strade i parchi e i giardini lungo il fiume del
loro giovane amore e delle loro passioni; il cuore di Orfeo
riprendeva a battere seguendo i ritmi delle sue emozioni.
Il cuore di Orfeo batteva più forte ed intenso proprio là dove
era il suo segreto.
******
Decise di scendere all’altezza del “Fabbricone”, una vecchia
megastruttura industriale adibita sin dalla fine degli anni
Sessanta come sede supplementare del più vetusto e glorioso
“Metastasio”, e vi si avvicinò: notò una grande confusione
ma comprese immediatamente dal modo in cui era vestita la
gente che non si trattava di pubblico del teatro ma di clienti,
soprattutto donne, di alcuni supermercati. Decise di non
inoltrarsi nella stradina che portava al Teatro e, tornato
indietro, proseguì verso il Centro.
Anche le strade erano più nervosamente ed intensamente
trafficate e la gente faceva a gara con il vento che a Prato è
intenso ed a volte furioso, impetuoso: la gente sia a piedi che
in auto sembrava impazzita, correva correva ed Orfeo non
capiva il senso di questa frenetica fretta. Era innervosito da
tutto questo e, procedendo come in un sogno, non riusciva
nemmeno più a comprendere le ragioni di quella sua discesa;
che c’era venuto a fare dopo tanti anni? O che non stava
bene lassù vicino ad alcuni dei suoi ricordi più belli seppur
lontano da altri legati alla sua infanzia, alla sua adolescenza,
alla sua giovinezza, al suo “amore”? nessuno avrebbe potuto
riportare indietro il suo tempo. Ora spettava ad altri scoprire
la dolcezza dell’amore, sentire il profumo dei capelli e la
morbidezza della pelle e così mentre si muoveva quasi furtivo
in mezzo alle folle osservava le mani di ragazze e ragazzi che
si toccavano, i volti che si annusavano e si avvicinavano, le
labbra che si socchiudevano nell’attesa, i corpi che si
toccavano. Lui tutto questo lo aveva vissuto ma poi il destino
lo aveva voluto segnare con crudeltà.
Superato il Serraglio, percorrendo Via Magnolfi in Piazza
Duomo ci arrivò ma era stracolma di bancarelle dove si
vendeva di tutto: questa delusione non gli impedì per un
attimo di ricordare quella notte di tanti anni prima, una notte
magica; era inverno e da qualche ora nevicava in modo
intenso; le strade erano coperte di un candido manto,
soffice e profondo, i passi crocchiavano lenti e i rumori erano
attenuati e la luce dei lampioni emanava una serenità profonda
nel silenzio quasi totale.
Orfeo aveva da pochi giorni conosciuto quella splendida
gioiosa ragazza ad un concerto in San Domenico; là – a
pochi passi – c’era una Scuola di Danza dove Euridice da
alcuni anni procedeva nella sua specializzazione essendo
passata da studentessa modello ad aiutante della Direttrice di
quei corsi. E quella sera, mentre nevicava, Orfeo andava ad
attenderla fuori della Scuola: voleva parlare, voleva
condividere quello strano turbamento che le aveva trasmesso
solo lo sfiorarsi le mani quando si erano salutati nell’amicizia
appena avviata; voleva capire se…anche lei aveva bisogno di
capire. Arrivò davanti al Circolo proprio mentre Euridice
stava salutando alcune sue giovani allieve ed i loro genitori.
Le fece un segno; non avrebbe voluto importunarla ma
avvertiva quella necessità, impellente. Per questo le fece solo
un timido cenno di saluto; ma Euridice mostrò immediatamente
di essere molto felice di vederlo. Orfeo, lui non se
ne era accorto, aveva il berretto ricolmo di neve e sembrava –
essendo molto magro – con la palandrana uno spaventapasseri
in un campo innevato. Euridice gli sorrise e gli si accostò
con evidente gioia.
“Che fai? Sei stato ad un altro concerto?” “No, sapevo che
saresti uscita più o meno a quest’ora e son passato…avevo
bisogno di parlarti” “Mi accompagni, allora? Vado verso casa,
in Piazza Ciardi”. Orfeo non chiedeva di più e per sostenere la
ragazza la prese sottobraccio, dapprima, e poi le avvolse il
braccio sinistro sulle spalle come per proteggerla dalla neve
che continuava a venir giù ed evitarle qualche possibile
ruzzolone.
Orfeo ricordava passo dopo passo quel percorso, parola dopo
parola quelle frasi, le emozioni, la passione e la vita che veniva
segnata da quei minuti; Orfeo ricordava quel bacio, il primo,
più degli altri che quella sera stessa poi fioccarono insieme
alla neve sotto il porticato del Pulpito di Donatello in Piazza
Duomo…
*******
Andò oltre, non volle soffermarsi in quel caos così lontano
dalle magie di tanti anni prima e si infilò in una via Mazzoni
ancor più caotica resa più stretta dalla presenza di tavolini e
sedie per i clienti di un pub. Arrivò in Piazza del Comune, un
crocevia di diverse abitudini ed interessi, e stancamente
osservò la statua del Datini costretta imperterrita a mostrare i
prodotti del suo lavoro ai pratesi più ignoranti e ne ebbe
un’infinita pena. Ma gli voltò le spalle e si avviò verso San
Francesco; faticò a riconoscere quella piazza, caotica come
era, ricolma di auto.
Non riusciva a rendersi conto di come il tempo trascorso
lontano dalla sua città fosse stato tanto e tale da condizionare
le reciproche trasformazioni in modo irreparabile. Eppure in
quella piazza la storia d’amore si era arricchita di tantissimi
altri momenti che non avrebbe mai potuto dimenticare ma che
il “tempo” ormai aveva lasciato solo nella sfera dei suoi, solo
dei suoi, ricordi. Si sedette su una panchina e si toccava
l’esterno del vecchio cappotto proprio a sinistra all’altezza del
cuore e lo accarezzava; era ormai un vecchio, di sicuro più
vecchio di quelli che avevano la sua stessa età perché così si
sentiva ma poi in effetti per davvero che lo era! E
continuava a chiedersi dentro di sé perché mai quel giorno lui
avesse deciso di ripercorrere quasi come una serie di stazioni
penitenziarie alcune delle tappe fondamentali della storia sua e
di Euridice.
*******
Rimase sulla panchina assorto nei suoi pensieri mentre la
gioventù gioiva nell’attesa del Natale; e vi rimase fin quando le
luci della città e quelle della “festa” imminente si accesero in
corrispondenza del buio della vicina notte. Il traffico di
persone e di mezzi era diventato in modo ossessivo
soffocante ma Orfeo non se ne avvedeva punto. Non
ricordava quel caos ma non se ne sentiva particolarmente
infastidito, il suo pensiero era rivolto altrove: nella sua
memoria vi era un tempo ormai lontano ed assai diverso.
Si sollevò e decise di andare verso Piazza del Castello, vi si
diresse ma dopo pochi passi scelse di avviarsi attraverso
Piazza Sant’Antonino verso Piazza Santa Maria in Castello.
Era stato attratto da una luce della quale però non riusciva ad
intravedere l’origine. Era calata la sera e con essa un vento
freddo che proveniva dalle gole dell’Appennino aveva fatto
scendere la temperatura; le strade si erano progressivamente
liberate da quel caos: era anche l’ora in cui ci si ferma a
cenare ed i negozi si chiudono. Orfeo entrò in quella piazza
ed alzò i suoi occhi sollevando la tesa del suo ampio cappello
per dirigere la sua vista verso la luce e si fermò. Principiava
a far freddo ma lui non ne soffriva, era abituato a quelle più
rigide temperature lassù sulle montagne dove per tantissimi
anni era rimasto isolato. Sollevò gli occhi e vide la luce che
lo aveva invitato a muoversi verso di lei: era un volto di
donna, sorridente, un ovale perfetto, chiusi gli occhi dalle
belle lunghe ciglia.
Ma era proprio la donna che aveva amato, conosciuto ed
amato; la donna che lo aveva amato, conosciuto ed amato
trenta e più anni prima; la donna il cui volto aveva disegnato
sul letto di morte anche per poterla ricordare così come era,
ancora giovane e bella della bellezza dei giovani non ancora
corrotta dai segni del tempo.
Si toccò il cuore accarezzando ciò che conteneva quel
pastrano sdrucito ma sempre caldo di quel calore che in
maniera più forte e straordinaria emanava quel vecchio
cartoncino che là dentro aveva custodito. Non ebbe ragioni
per confrontarne le somiglianze: era proprio Euridice, era
proprio lei che dal grande muro regnava su tutta la piazza; e
gli occhi erano chiusi così come lo erano stati quelli della sua
amata quell’ultimo giorno in cui la vide. Le ultime persone
attraversarono la piazza mentre lui senza mai togliere gli occhi
da quel volto si accostò in un angolino e si accovacciò;
avrebbe voluto che quella donna aprisse i suoi occhi e lo
guardasse, gli sorridesse ed immaginò dentro di sé di poterla
nuovamente incontrare come in un sogno, in un bel sogno,
ma non riuscì a sognare se non ad occhi aperti. Scese la
notte ed il freddo portò su tutta la pianura leggeri petali di
neve; ben presto anche la piazza fu ricoperta di un manto
bianco e morbido ed Orfeo ricordò quel primo bacio e quelli
che vennero poi quella sera di tanti anni prima… e lui
rimaneva là con quel suo sogno segreto… Nessuno nei
giorni seguenti fece caso a quel vecchio signore che in un
angolo della Piazza attendeva la sera perché il miracolo
avvenisse; con la luce del giorno il volto spariva.
***************
La gente aveva sempre più fretta ed in quella piazza non
c’erano abitazioni né negozi. Arrivò la notte di Natale, la gente
era nelle case a festeggiare; nevicava e suonarono a festa le
campane del Duomo e quelle più vicine di Santa Maria delle
Carceri, ma Orfeo non le sentì. Euridice aveva aperto gli
occhi, era venuta giù ed aveva preso per mano Orfeo ed
insieme erano andati a ritroso nel tempo ripercorrendolo.
Orfeo era felice e sorrideva, Euridice lo rassicurava; poi tutto
si dissolse. Il mattino seguente un netturbino che spazzava la
neve si accorse della presenza di un vecchio signore
rannicchiato in uno degli angoli della piazza e poiché non
rispondeva agli stimoli chiamò il 118. Al calar della sera la
“grande sognatrice” in Piazza Santa Maria in Castello nel
centro di Prato si illuminò nuovamente ma non aprì mai le sue
palpebre.

MINICOLLANA DI RACCONTI
1
ORFEO
EURIDICE
LA GRANDE SOGNATRICE
di
GIUSEPPE MADDALUNO
J.M.

tumblr_mxo0q3Rb2g1ruv1gno1_500

RACCONTO D’AUTUNNO-INVERNO (con annunci di primavera) – 2

San_Bartolomeo-Prato-cloister_14

RACCONTO D’AUTUNNO-INVERNO (con annunci di primavera) – 2

2.
Proseguo su una linea diretta, di incontro. Due veicoli umani che viaggiano su posizioni opposte. Una forma di infantilismo che non mi abbandona. Sorrido ed il giovane sorride per quel che sa fare. Giovani significa anche saper distinguere le differenze e fidarsi delle persone libere; ma appare, sin dal sorriso appena accennato che dalla prossemica impertubata, incapace di volare, forse impaurito da prospettive incerte. “Come va?” generiche domande. “Sono sempre più convinto che il futuro senza un vero cambiamento non abbia sbocchi positivi. Se non si risponde in modo significativo alle domande della stragrande maggioranza della gente, che è sempre più bisognosa di riprendere fiducia, si offre spazio alle Destre, quelle peggiori.”
Mi risponde “Chi dice che noi non cambiamo e ci rinnoviamo; è il tuo punto di vista”. Capisco e pur isnistendo mi rendo sempre più conto della divergenza di vedute, con punti di vista sempre più distanti e gli ricordo “Hai detto da tempo che ormai non avevo più nulla da condividere con il tuo Partito, anche se è stato per tanto tempo il mio!”.
Ciascuno ha fretta di riprendere il cammino. “Auguri! Saluti alla famiglia!” e “Auguri! Saluti anche alla tua!”
Attraverso lo sboco di via Santa Margherita per entrare in Piazza Mercatale. E mi avvio verso San Bartolomeo, con il campanile che ricorda quello di Venezia; salgo la scalinata ed entro nell’atrio, imbocco la porticina che conduce al piccolo Chiostro. Salgo le scale interne. Non sono ancora le 9. Do una mano alla segretaria del corso per mettere in ordine i registri ed aprire tutte le imposte. Fa freddo dentro, più freddo che fuori: oggi non c’è il riscaldamento, la caldaia non funziona, e temo per la mia salute oltre che per quella degli allievi che ancora tardano a salire. I miei allievi ormai “storici” riferiti però a questi ultimi mesi (c’è un turn over incessante e frequente) arrivano puntuali. Noto che una di loro, una giovane signora marocchina, puntuale come gli altri non c’è e chiedo se fosse stata già assente lo scorso martedì, giorno in cui non ci sono io a condividere questa esperienza. “Ha l’influenza; anche i suoi due bambini” mi dice una delle tre giovani donne cinesi. Come sempre, colgo al volo il tema. E lo sviluppo. La prima delle due ore parte sempre da un argomento utile per la conoscenza della lingua di uso quotidiano. Il lessico farmaceutico, il riconoscere i primi sintomi e saperli esporre, le precauzioni da adottare: sono propedeutiche alla coniugazione ed alla declinazione dei termini, maschile e femminile, singolare e plurale. La seconda ora, poco prima o poco dopo, è riservata ad una serie di esercizi su comparativo e superlativo e sui verbi impersonali e riflessivi, sull’uso frequente di questi. C’è una grande partecipazione, soprattutto da parte delle ragazze cinesi che si divertono un mondo a ripetere le parole con la “erre”. “State davvero diventando brave, soprattutto con la doppia “erre” – dico loro. Si aiutano tra di loro ed aiutano anche il “grande uomo” del Pakistan, capelli e baffi nerissimi, che ha più difficoltà a seguire. E’ più lento, la sua scuola “coranica” gli ha insegnato a leggere ma non a scrivere e quindi impiega più tempo a copiare.
Al termine delle due ore, solitamente c’è fretta di andar via. Oggi sembra tutto meno frenetico.

…2…..

aaff735ec0e59b945076c71f6c76525a

Una riflessione del 15 dicembre 2011

Una riflessione del 15 dicembre 2011

15 dicembre del 2011. Stilavo questa riflessione: a Prato da un paio di anni c’era una Giunta di Centrodestra. La città aveva preferito un industriale sul viale del tramonto ad un cattolico democratico che non aveva avuto il sostegno convinto da parte del Centrosinistra. Il risultato era stato disastroso e da lì in avanti Prato non si sarebbe più ripresa. Anche il risultato delle elezioni del 2014 che vide la vittoria del candidato di Centrosinistra fu reso possibile da una serie di accordi con persone e gruppi “molto moderati”, anche vicini al Centrodestra. Imparata (!) la lezione, il Centrosinistra per vincere di nuovo anche nel 2019 ha stretto accordi con parti “moderate” della città, con il risultato di avere un Consiglio con una maggioranza molto variegata. D’altronde, come ho detto in più occasioni, non è stato il Centrosinistra a vincere ma il Centrodestra “a perdere” nel ballottaggio del 9 giugno.

circolo-curiel

Avrei preferito non intervenire in relazione all’incontro che alcune sere fa (per la precisione il 5 dicembre) si è svolto al Circolo “Curiel” intorno ai temi dell’integrazione e della sicurezza ma due fatti ugualmente gravi mi portano a farlo sapendo che, esprimendo il mio pensiero, solleverò polemiche fra benpensanti e pie donne.
Il primo di questi “fatti” è arcinoto e se ne conoscono ampiamente i dettagli e riguarda Firenze*; il secondo è molto meno noto e riguarda un altro immigrato “regolare” che l’altro giorno, mentre si spostava in bicicletta qui a Prato, è stato travolto da un auto subendo varie fratture e contusioni senza essere soccorso. Certo qualcuno dirà che questo fatto non fa notizia; ben più succulento per l’opinione pubblica “malata” sarebbe il sapere che un extracomunitario in bicicletta avesse travolto un passante “doc” e fosse scappato semmai inseguito da torme assatanate di vendetta xenofoba.
Ritorno a quella serata del 5 dicembre; di fronte agli organizzatori ed ai rappresentanti politici locali le opposte fazioni si sono scontrate dialetticamente ma con una differenza sostanziale: a fronte dei ragionamenti critici ed, aggiungo io, “autocritici” di alcuni Democratici si contrapponevano urla offensive e minacciose anche da parte di autorevoli esponenti della Giunta comunale, sostenuti da cittadine e cittadini che con orgoglio andavano autodefinendosi “razzisti”. Durante la campagna elettorale di due anni e mezzo fa forse poteva essere giustificabile (la lunga astinenza e la “fame” di potere) la rabbia la veemenza e la virulenza, ma oggi occorrerebbe agire in modo più sereno e corretto nel rispetto delle istituzioni a partire proprio dai suoi rappresentanti che, comportandosi in modo incivile, segnalano la loro profonda difficoltà mentale, politica, culturale ed intellettuale a fronteggiare le criticità che perdurano e si aggravano.
Aggiungo infine che proprio alcuni dei cittadini più esagitati nella contrapposizione dell’incontro cui accenno si travestono da £civici” arroccandosi in solitarie ed autoreferenziali “arene partecipative” elaborando idee e proposte in gran parte condivisibili ma che mancano già in partenza di una vera e propria disponibilità al confronto dialettico democratico interculturale; ed infatti è poi la stessa amministrazione a rispondere che, sì, le proposte sono interessanti ma vanno calate in una realtà complessa e che solo “nel limite delle possibilità” potranno trovare soluzione.
Concludo dicendo che se i toni si abbassassero e si dialogasse senza offese e minacce, potremmo averne tutti un vantaggio, ma conoscendo gli elementi di cui ho parlato credo che la mia sia soltanto un’illusione.

Joshua Madalon

* A Firenze il 13 dicembre 2011 avvenne un grave attacco durante il quale due senegalesi, Samb Modou e Diop Mor, furono uccisi da Gianluca Casseri, un estremista di destra sostenitore e attivista del gruppo politico neofascista CasaPound, che si suicidò mentre le forze dell’ordine gli davano la caccia.

foto_332379_550x340

manifestazione firenze antirazzismo (1)

UN DOCUMENTO per la storia del Partito Democratico a Prato 12 dicembre 2006 – parte 6 ed ultima

globalismnatiolisum

UN DOCUMENTO per la storia del Partito Democratico a Prato 12 dicembre 2006 – parte 6 ed ultima

6.

Più giovani più donne

Il ricambio generazionale ed il riequilibrio dei generi può essere utile a patto che non sia né affrettato né rispondente a criteri che non abbiano valutato il reale merito, le capacità, la preparazione. In questa doppia direzione va la proposta del Forum dei giovani che abbiamo proposto di svolgere a Prato nel corso dell’Assemblea di Montecatini: lo avevamo pensato su scala metropolitana o poco più (volevamo coinvolgere al massimo Lucca e Fiesole, oltre Pistoia e Firenze) ed è stato invece accolto come ipotesi nazionale da svolgersi quanto prima. Il Comitato ovviamente chiede la collaborazione delle forze politiche per la riuscita del Forum; tale collaborazione si può adeguatamente estrinsecare con la presenza di personalità politiche o del mondo della Cultura, che intervengano a trattare argomenti che interessano il mondo giovanile.
Allo stesso tempo il Comitato, organizzando direttamente o sollecitando indirettamente iniziative di carattere politico – culturale attraverso la presentazione di Forum settoriali, si segnala come Agenzia formativa di tipo politico sul territorio proprio per le giovani generazioni.

Le Primarie

Al comma 5 dell’art.4 del nostro Regolamento sottolineiamo l’importanza fondamentale del metodo delle Primarie. Come Comitato intendiamo contribuire a far passare nella società tale metodo come quello maggiormente “democratico” a nostra disposizione per la scelta dei candidati a ricoprire cariche politiche ed amministrative nel nuovo Partito Democratico. Siamo disposti a discuterne regole e modalità di effettuazione insieme a tutti i soggetti interessati.

I Forum

Essi devono essere uno strumento aperto, libero di dibattere, discutere e confrontarsi su tematiche sia locali sia nazionali. L’obiettivo è quello di essere propositivi concretamente sia per sostenere le Amministrazioni locali o il percorso della politica locale sia per accompagnare la realizzazione del Programma di Governo nazionale dell’Unione. Ritornando ad argomenti prima trattati occorre saper accogliere il pensiero e la riflessione diversa come una vera e propria risorsa non come un inutile e pericoloso ingombro. Anche in questo modo si rinnova la democrazia, si rinnova la politica.

Conclusione

Infine alle forze politiche del Centrosinistra chiediamo di contribuire alla diffusione di un dibattito aperto, chiaro, franco sui percorsi da intraprendere per costituire, partendo anche dalle sedi amministrative decentrate, gruppi unici dell’Ulivo o del Partito Democratico. Chiediamo anche di affrontare con decisione tutti i nodi da sciogliere: una discussione franca ed aperta, scevra da pregiudizi ideologici superati dalla Storia, sui valori comuni che sono tantissimi, sulle differenze che sono invece molto poche, sulla collocazione europea del nuovo soggetto politico, per la quale occorre quel coraggio che è proprio dei grandi protagonisti della Storia, senza i quali oggi non avremmo avuto né il percorso del socialismo né quello del cattolicesimo sociale.

Prato li 12 dicembre 2006 – Dopolavoro Ferroviario di Prato

pratopittura