LA (nostra) VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (dall’osservatorio di Prato)

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LA (nostra) VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (dall’osservatorio di Prato)

Sì, certamente! La vita al tempo del Coronavirus va un po’ cambiando. Non credo che avremo l’opportunità di abituarci a questa forma di socialità, anche se, con gli opportuni “tagliandi”, non sarebbe male che ciò si verificasse. Uno degli aspetti su cui punterei potrebbe essere quello dell’essenzialità. E soprattutto – mi sia consentito – modificherei l’uso strumentale di lunghi dibattiti e discussioni intorno a quel che vien detto “sesso degli angeli”. E’ stata, e purtroppo è, l’abitudine che ha contraddistinto molti tra noi – la critica è “autocritica” – appartenenti alla Sinistra.

Ovviamente, la mia è una semplice speranza e nell’auspicare tali cambiamenti mi affido al destino di un’epidemia che possa aiutarci a cambiare. Come dicevano gli avi “Non tutto il male viene per nuocere” ed anche questo Coronavirus potrebbe essere un elemento positivo che ci faccia ritrovare la giusta misura dell’esistenza, minimalistica al punto giusto, facendoci evitare gli sciovinismi ed i bizantinismi pelosi ai quali ci siamo abituati in tutti questi anni.
In questi ultimi giorni si esce meno di casa, ci si riappropria di spazi riflessivi, si dedica più tempo alla lettura. E’ pur vero che tutto questo posso farlo io che sono in pensione e che, tutto sommato, ho più tempo a disposizione. Ed è vero che per la stragrande maggioranza delle persone adulte in età da lavoro, sia esso autonomo o dipendente, la situazione sta provocando nell’immediato dei danni che comporteranno ulteriodi difficoltà, soprattutto economiche con tutto quello che ne consegue. Anche se, con gli opportuni accorgimenti, una parte del mondo del “lavoro” potrebbe strutturarsi in modo diverso ed innovativo, utilizzando le modernissime tecnologie informatiche: un primo immediato vantaggio consisterebbe nel minor utilizzo dei mezzi di trasporto e conseguenti risparmi energetici e minor impatto ecologico. Il lavoro sarebbe anche meno stressante e più sereno.
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Intanto una lezione di civiltà formidabile ci è stata impartita da questa epidemia: siamo tutti uguali (ve la ricordate “ ‘A livella “ di Totò? ). Ed è così che ci si guarda – al di là delle appartenenze etniche e nazionali – condividendo preoccupazioni e sorridendo partecipi. Facendo la fila alle casse dei supermercati schizofrenici per l’alternanza di affollamenti e saccheggi contemperati da desertificazioni: e già…una volta fatto il pieno delle provviste vi si ritorna solo per l’essenziale di cui semmai si avverte la mancanza; sostando all’esterno dell’ufficio postale – tanto non piove – dopo aver preso il numeretto per l’operazione in scadenza; tenendosi a distanza di un metro come suggeriscono gli epidemiologi; e poi, la mascherina: cosa si fa con la mascherina?
Fino ad ieri non ci si chiedeva mica cosa facessero per la strada principale della Chinatown pratese tanti cinesi con la mascherina. Ora invece siamo là a chiedercelo: fanno un’operazione di puro marketing.
In realtà non sono infettati: a Prato non c’è nemmeno un caso sospetto, nè cinese nè di altra etnia nè tantomeno – come si dice – “nostrano”.
La mascherina, dicono gli esperti, serve a coloro che hanno contratto il virus e devono evitare di infettare le altre persone con cui entrano in contatto. Dunque è una forma di salvaguardia per tutti quelli che vengono incontrati casualmente per strada o che utilizzano dei servizi nei tanti negozi gestiti da personale cinese.
Anche questo comportamento sta contribuendo a far modificare la percezione reciproca in una città nella quale i rapporti tra la comunità autoctona e quella orientale non sono stati sempre facili.
Il caso di Prato potrebbe dunque avere anche su questi temi sociologici una particolare attenzione di studio.

Joshua Madalon