IL RISCHIO DELLA DIMENTICANZA parte 1

IL RISCHIO DELLA DIMENTICANZA parte 1

Ho imparato nel corso del tempo a saper ascoltare le persone più grandi; l’ho imparato – come tutti i “giovani” quando erano tali – un po’ tardi. Ma negli anni non ho incontrato tanti saggi “accademici”, a fronte di coloro che, senza titoli o lauree, erano in grado di suggerirti non necessariamente in modo diretto la strada da percorrere.

Senza dover ricorrere alle figure morettiane di “un pastore abruzzese”, “un bracciante lucano”, “una casalinga di Treviso”, mi soffermerò su realtà a me più vicine, riferite in ogni caso a persone reali, non personaggi, rappresentativi della capacità pratica: il primo, senza sorprese, è stato mio padre. Nato nel 1916 aveva con difficoltà superato la terza elementare ma era in grado di fare calcoli alla pari con geometri ed ingegneri e di organizzare la gestione di cantieri importanti come quello della Funicolare di Montevergine e di tanti complessi abitativi nella Provincia di Napoli e di Caserta e Avellino. Aveva vissuto la parabola del Fascismo senza mai compromettersi con quello ed aveva acquisito una particolare idiosincrasia per il mondo politico, che in definitiva non stimava.

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Un secondo personaggio al quale tengo molto è il proprietario della casa di Feltre nella quale ho vissuto anni intensi di apprendistato per il mio lavoro didattico educativo. Dopo un primo contatto caratterizzato da un certo sospetto pregiudiziale unilaterale (ero pur sempre un “terrone” e quelli erano gli anni che non solo nell’Alto Veneto “non si affittava a terroni”) la simpatia ma soprattutto il desiderio reciproco di essere “come un figlio ed un padre” hanno prodotto un rapporto di fiducia reciproca. Da lui ho imparato che non esistono differenze insormontabili e che la dignità degli uomini è un bene prezioso di cui essere fermamente difensori e custodi.

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Un terzo personaggio da cui ho imparato ascoltando le storie della sua vita avventurosa è un signore che accoglieva nella sua fattoria i nostri bambini qui a Prato ed aveva grande disponibilità. Credo di avere da qualche parte una serie di testimonianze audio che la mia bimba maggiore volle registrare e non appena le ritroverò proverò a riportarle su questo Blog.
Sia il secondo che il terzo non avevano titoli di studio così come il primo, cioè mio padre. Ma possedevano quella capacità pratica di saper raccontare in modo preciso e con una forma letteraria congenita molti eventi storici: tutti avevano vissuto gli anni della seconda guerra mondiale in realtà così diverse e lontane tra loro (la Campania, il Veneto nord asburgico, la Toscana) e riuscivano da punti di vista eterogenei a raccontarne le sfumature.
Storie fondamentali di vita che sarebbe molto bello raccontare in modo più profondo.
Scrivere questo post, oggi 11 marzo 2020, significa anche dover avviare una riflessione sulla necessità di utilizzare tutti i tasselli di una vita nel momento del declino; ma in particolare sono spinto a farlo perché ritengo indispensabile dover ripetere di non dimenticare mai ogni piccolo aspetto dell’esistenza e della storia – quella massima e quella minima – in un periodo nel quale c’è il rischio di non ricordare anche elementi molto vicini a noi. In tempi di “coronavirus” c’è il rischio di essere afflitti anche da una epidemia di “oblio”.

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