“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – settima parte (vedi post 27 marzo 2020)

Pace e diritti umani

“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – settima parte (vedi post 27 marzo 2020)

…Rinunciando al diritto di fare male agli altri permette però che il proprio diritto alla vita venga salvaguardato e questa è l’unica concessione di libertà che gli uomini sono disposti a fare. Di conseguenza per esempio la pena di morte è assolutamente assurda rispetto a questo principio, perché nessuno volontariamente cederà mai non solo una libertà superiore a quella di non fare il male ma non cederà mai a nessuno il diritto di decidere sulla possibilità di spegnere e di distruggere la sua vita, cioè nessuno cederà mai liberamente la libertà di disporre ad altri della propria vita, per cui la pena di morte già dal punto di vista teorico è illecita, perché nessuno permetterà mai agli altri di farlo in maniera spontanea, e di conseguenza la morte esercitata come pena altro non è che il ripristino di quel primitivo Stato di guerra, in cui tutti gli uomini si coalizzano, in cui tutti gli appartenenti alla società si coalizzano come a dire “sono in guerra” contro un elemento di essi che venga reputato nocivo o comunque molto pericoloso per le sue sorti. E’ questa poi la giustificazione della pena di morte precedente a Beccaria,per i teologi come San Tommaso d’Aquino o i filosofi che possono essere anche grandi esponenti della cultura filosofica dei secoli precedenti, da Bacone a Spinoza e che consideravano la pena di morte lecita proprio come strumento di difesa dalla parte della società.
Il paragone più frequente che viene fatto e viene poi ripreso è proprio quello del cane rabbioso, del cane ammalato di rabbia che va soppresso perchè il suo morso può contagiare e rendere gli altri a loro volta ammalati, quindi una funzione profilattica, una funzione di difesa della società nei confronti di un suo membro che sia negativamente inteso a minacciarne l’assetto, la struttura e la possibilità di propagazione e sviluppo.
L’obiezione di Beccaria è che appunto da un lato nessuno e vi leggo il passo dal paragrafo 28 di “Dei delitti e delle pene” nessuno accetterà mai di essere giustiziato in nome di un interesse pubblico così rilevato. Quale può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi, esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno, esse rappresentano sia la volontà generale che l’aggregato delle particolari, chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio di ucciderlo?
Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto come si accorda un tale principio con l’altro che l’uomo non è padrone di uccidersi e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera? Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre si è dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessario ed utile la distruzione del suo essere.

“Ma, se dimostrerò non essere la morte né utile, né necessaria avrò vinto la causa dell’umanità” dice Beccaria.

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seminario_beccaria_25maggio2015

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