SERI sì, ma non abbattuti e piegati – il Coronavirus ha già fatto tanti danni e bisogna limitarlo nella sua voracità!

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SERI sì, ma non abbattuti e piegati – il Coronavirus ha già fatto tanti danni e bisogna limitarlo nella sua voracità!

C’è poco da scherzare ma non si può nemmeno essere draconianamente fustigatori verso un “popolo” (del quale più o meno facciamo parte) che da un giorno all’altro è andato incontro ad un profondissimo radicale cambiamento di stili di vita e che è alla spasmodica ricerca di qualcosa che lo distragga (e non è per niente facile con i “bollettini di guerra costanti emanati dal tubo catodico).
Se ci è venuto da ridere, da sorridere, da rilassarci riflettendo su video o foto o altre composizioni varie, non possiamo né colpevolizzarci né tanto più lanciare la croce addosso a chi produce e diffonde queste amenità più o meno gradevoli o, se a qualcuno pare lo sia pure, di cattivo gusto.
Da sempre la “satira” ha diviso il mondo e non sarà certamente il Coronavirus a cambiarne la “mission”.

Ad ogni modo anch’io “oggi” sono “triste” e mal sopporto alcuni messaggi che mi sembrano delle grandi fesserie. Per non parlare delle “fake news” che circolano!

Già da qualche giorno pensavo che le battute, le ironie, le parodie scherzose, di fronte all’impietoso elenco dei contagiati e soprattutto di coloro che non ce l’avevano fatta a sopravvivere stessero diventando fuori luogo, e volevo parlarne. Vedo che ciò che pensavo, e che non avevo avuto la forza di esprimere, tutto di un botto è diventato in una parte di noi, amiche ed amici, compagne e compagni, urgente: accanto alla morte di tanti si è palesata quella di un compagno, che peraltro – oltre al comune sentire come vitale necessità quella di un profondo rinnovamento culturale e politico – era “giovane” e senza sintomatologie pregresse. Si sa, di quelli che vengono meno perché sono tra gli ottanta e i novanta e/o perché hanno importanti sintomatologie, si tende a farsene una ragione, anche se a nessun amico e parente puoi pretendere di chiederla. E infatti dopo le prime volte che da parte dei commentatori si faceva spallucce ora quasi sempre si dice l’età ma non si va oltre.
Il cattivo gusto però prosegue imperterrito a circolare sui nostri dispositivi e nelle diverse piattaforme social. Ho detto “cattivo gusto” perché il problema che abbiamo è nel suo complesso tremendamente serio. Non lo è diventato: lo è!!! Lo è stato e rimane tale; anzi va peggiorando.
Tuttavia – con grande sincerità – non mi piace mettere in croce coloro che affidano l’esorcizzazione della paura a scenette ironiche come la maggior parte di quelle che vado incrociando. Noi che abbiamo cominciato a soffrire in modo più diretto e che siamo diventati – pur lentamente – consapevoli della tragicità del momento non possiamo sanzionare tutti coloro che in un periodo di maggiore grande solitudine (su questo “termine” ovviamente discuteremo: in realtà si è più soli se non si sa variare il proprio sguardo o se non si è in grado di provare a farlo) trascorrono una parte del loro tempo in attività futili condividendo banali video scherzosi. Alcuni di questi video sono utilissimi a comunicare comportamenti “virtuosi” in modo leggero: sarebbe ottima cosa applicare quelle prescrizioni. Al limite, noi che riteniamo di essere più intelligenti e corretti dovremmo augurarci che, anche grazie a quei messaggi che oggi consideriamo troppo scherzosi ed ironici, tutto possa poi andare verso una conclusione felice e soprattutto nessuno possa essere colpito negli affetti più cari.

Joshua Madalon

MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 8 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio, la numero 5 del 1° la 6 del 13 e la 7 del 17 marzo)

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 8 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio, la numero 5 del 1° la 6 del 13 e la 7 del 17 marzo)

8.
Abbiamo scelto per accennare alla “manipolazione programmata delle giovani menti” due “poesie” tratte da un libro scolastico (l’articolo determinativo sarebbe più corretto, ma l’abitudine democratica dei nostri tempi ci condiziona: si trattava infatti di un “testo unico”, “il” libro, che nella ideologia fascista si accompagna al moschetto, uguale per tutte le seconde classi del 1938 – anno XVI dell’era fascista): in esse traspare una singolare naturalezza con una propensione all’odio ed alla violenza della quale erano dotati gli “amministratori” di quel periodo.

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Ninna nanna

Sono questi in pratica gli esempi di come si vorrebbe “controriformare” la scuola italiana, di come si vorrebbe intervenire sui “libri di testo” a partire da quelli di Storia?
Eugenio Tinti non ha conosciuto per evidenti limiti di età (nell’anno della Marcia su Roma aveva già 23 anni) la scuola fascista ma ha contrapposto il suo socialismo permeato di pacifismo alla evidente carica di violenza che il Fascismo trasmetteva nemmeno tanto velatamente addirittura alle giovanissime generazioni (bambini e bambine di appena 7 anni): il moschetto che ritorna in entrambe le “liriche”, il messaggio che viene inviato addirittura sotto forma di “ninna nanna”, quel “lotterem fino alla morte” che è giusto presagio dei disastri bellici nei quali l’Italia sarebbe stata spinta dal Fascismo. E questo è purtroppo solo un limitato esempio del ricchissimo florilegio di cui siamo a disposizione, per ricordare ai nostri giovani che cosa è stato il regime fascista e quali siano gli esempi cui oggi si ispirano alcuni “nostalgici” dell’Ordine e della Libertà.

Marite, la figlia di Eugenio Tinti, ci ha voluto raccontare un episodio che la vide protagonista insieme al fratello a Firenze nella casa in Borgo dei Greci: erano gli ultimi giorni prima della Liberazione e si era scatenata anche a Firenze la caccia al partigiano, ai politici ai sindacalisti. Eugenio aveva come amico il Segretario dei minatori della Camera del Lavoro fiorentina e lo aveva nascosto in casa: qualcuno aveva denunciato la cosa ai tedeschi ed infatti una mattina questi si presentarono alla porta del Tinti: andò ad aprire proprio Marite con l’incarico di temporeggiare (“Erano soldatini tedeschi molto giovani e fu forse più facile mostrarsi sorpresi e guadagnar tempo mentre mio padre ed il sindacalista scappavano su per i tetti” dice Marite). Questo episodio tragico ed epico ci riporta con la mente alle contrapposizioni frontali che caratterizzarono particolarmente gli ultimi anni del conflitto mondiale: la Storia ci ha insegnato che nel corso del secolo XX quegli eventi si sono periodicamente ripetuti in altre terre a noi molto vicine, qui alle porte dell’Europa. Animare lo scontro sociale, creare forti contrapposizioni in alternativa all’unità progettuale potrà rappresentare un vantaggio per pochi a danno di tutti gli altri; quindi la lezione del Novecento non dovrebbe essere dimenticata: lo scontro sul piano umano rappresentava sempre una forte drammaticità, ma era allora uno scontro fra chi propugnava la libertà per tutti (tanto che, al di là di pochi casi, chi era stato filofascista potè continuare ad affermare la propria identità all’interno di una vera “democrazia”; e questo, sia ancora una volta ben chiaro, addirittura a danno di una parte considerevole – che si era battuta fianco a fianco con gli altri antifascisti e che fu impunemente discriminata al tempo della guerra fredda) e chi come obiettivo prioritario esaltava le differenze ideologiche a vantaggio del Fascismo e teorizzava la limitazione e l’abolizione delle principali libertà dell’uomo.
Bisogna ricordare ed opporsi a quanti, anche recentemente, hanno ventilato l’ipotesi di “ritoccare” i libri di Storia.
prof. Giuseppe Maddaluno
presidente Commissione Cultura
della Circoscrizione Est
del Comune di Prato

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DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 15

Miseno

DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 15

….Più in là Miseno con i suoi ruderi sparsi ma non meno importanti (interessante uno degli ultimi ritrovamenti: alcune stature in un ninfeo di una villa), sede della flotta militare romana, dava ospitalità nelle sue ville prospicienti al mare a personaggi come Plinio il Vecchio, che di là spiccò il volo verso la morte, per amore della scienza, sulle pendici del Vesuvio in eruzione (79 d.C.). Plinio il Vecchio fu un esperto di scienze naturali ed era nato a Como nel 23 d.C.. Il nome che fu dato al nostro promontorio è quello del mitico figlio del troiano Eolo, che era stato trombettiere dell’esercito troiano. Egli, avendo seguito Enea nel suo viaggio da Troia verso l’Italia, cadde misteriosamente (sembra sa stato vittima di una delle maledizioni di Circe) nel mare nei pressi delle nostre coste e diede il nome al Capo che fu dunque chiamato “Miseno”.

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POZZUOLI

Ed ora tracciamo un po’ la storia di Pozzuoli.
Gli esuli di Samo nel 528 a.C. (per l’appunto 2500 anni fa) fondarono la nostra città e la chiamarono “Dicearchia” ( che nel greco antico significava “governo giusto” ), volendo forse operare un raffronto con il governo del loro paese che li aveva costretti all’esilio. Poche ed incerte cose sappiamo della Pozzuoli greca e sannita. Ma con la conquista romana iniziò la sua fortuna dovuta massimamente all’importanza strategica del suo porto. Sbocco marittimo principale dei Romani, collegata attraverso buone strade con Roma e con tutte le altre più importanti città, Pozzuoli fu fiorente sede di scambi commerciali. I monumenti che restano, quelli occultati volontariamente o per ignoranza da un popolo parimenti incolto, quelli trafugati o depredati da altra gente poco rispettabile, testimoniano la grandezza che questa nostra città raggiunse nel mondo antico. Ma con l’apertura del porto di Ostia e con il progressivo accentuarsi dei fenomeni bradisismici, il nostro territorio decadde ed a nulla valsero i numerosi tentativi fatti per riportarlo all’antico fulgore. Le invasioni barbariche diedero poi il colpo di grazia spopolando quasi completamente la città. Da quel periodo fino ad oggi il destino del nostro paese si è poi legato intimamente a quello della vicina Napoli e del suo Regno e così abbiamo avuto le dominazioni dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini, degli Aragonesi e dei Vicerè Aragonesi e poi i Borboni che si sono avvicendate attraverso guerre sanguinose al comando della nostra terra. Infine l’Unità d’Italia ed ancora poi la formazione di un Comune autonomo hanno fatto di Pozzuoli la bella cittadina che noi oggi possiamo vedere ed apprezzare. Del periodo vicereale resta ancora in piedi un vecchio palazzo, quello del Vicerè don Pedro di Toledo, nella zona dove si trovava fino a poco tempo fa il vecchio ospedale civile.
Durante il Medio Evo di Pozzuoli si parla poco, ma da quel poco possiamo capire come la sua popolazione vivesse. Molte testimonianze riguardano i suoi bagni termo minerali (di cui restano alcuni tuttora in funzione), che ebbero per secoli una grande importanza in tutta Europa.

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….VII….14

“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – quarta parte (vedi post 14 febbraio 2020)

“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – quarta parte (vedi post 14 febbraio 2020)

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A contribuire alla determinazione di Pietro Leopoldo era stata anche l’attività del Professore di diritto pubblico che era collega di Tanucci e che di lui riprese l’insegnamento e soprattutto l’esempio qui in Toscana. Francesco Maria Gianni, che poi fu, come si sa, l’estensore materiale del codice e di tutti i codici e gli editti e le ordinative di riforma che poi appunto passeranno alla storia con il nome del sovrano.

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Ma soprattutto il grande artefice della riforma del codice criminale insieme a Gianni fu Pompeo Neri, altro professore di Diritto penale, che era un sostenitore abbastanza determinato dell’applicazione e della consequenzialità dell’applicazione delle leggi di intendenza rispetto alla materia penale ed alla materia specifica della punizione della pena che si ritrovavano in quell’aureo libretto che è “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria.

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Ora non c’è stato mai probabilmente nella storia della cultura occidentale – almeno non ne abbiamo prove fino ad ora – un libro così esile; sono 97 pagine, è un testo smilzissimo, di poche pagine: appunto, nessuna delle edizioni che io conosco, supera le 100, non si è dato mai caso di un libro così smilzo e direi anche per certi aspetti di non facile lettura, ma anche così fondamentale. Leggendo il paragrafo ventottesimo dedicato alla pena di morte, vi accorgerete che appunto la lingua di Beccaria non è certamente una lingua corriva e semplice ma è una lingua complessa, molto articolata ed anche tutta piena di neologismi, tutta piena anche di echi francesi e dialettali, nonostante appunto si tratti di un libro di non facile lettura, di un libro molto complesso e molto articolato da un punto di vista teorico e filosofico, non c’è libro appunto nella storia della cultura occidentale che si possa paragonare a questo per il numero di effetti, per la conseguenza, per la vitalità,per la longevità della prospettiva e direi anche per la forza anticipatrice, per la dinamica ed esplosiva utopia che esso contiene, abbiamo quindi un libro molto breve e molto conciso, molto compatto che però ha fatto scuola a partire dall’anno della sua uscita che, vi ricordo, è il 1764, anno della prima edizione ma il libro ne conoscerà ben sette in vita di Beccaria e soprattutto conoscerà un destino singolare che merita forse un breve cenno, nel senso che la prima edizione di Beccaria del 1764 è un testo che circola appunto come afferente a Beccaria insieme a Pietro Verri, con cui il primo degli autori in realtà lo scrisse e lo articolò.
Giunta però in terra di Francia l’eco dell’importanza di questo scritto, il traduttore francese Andrea Morellet, non solo lo traduce ma lo riordina, dandogli una sequenza e anche una struttura probabilmente molto più sicura e molto più compatta rispetto alla prima edizione.
Beccaria approvò questa edizione Morellet e anzi non solo la approvò, ma se ne servì, tanto è vero che la sesta edizione, quella che di solito viene stampata, diciamo nelle edizioni non filologiche , è la traduzione italiana della traduzione francese di Morellet, tanto che noi abbiamo un testo che viene tradotto in un’altra lingua e ritradotto in italiano di modo che appunto migliori, venga sviluppato, venga meglio fatto conoscere attraverso questa forma di collaborazione non solo tra traduttore ed autore ma tra appartenenti a due lingue diverse, questo a dimostrare non solo lo straordinario quasi spasmodico interesse che “Dei delitti e delle pene” suscita nell’intellettualità europea, ma anche il fatto che il testo veniva incontro ad esigenze di riforma molto profonde, molto radicate, non solo nella cultura milanese del ‘700 ma anche nella cultura francese.

….quarta parte…..

MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 7 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio, la numero 5 del 1° e la 6 del 13 marzo)

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 7 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio, la numero 5 del 1° e la 6 del 13 marzo)

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Il nostro “ragazzo del ‘99”, che aveva praticamente potuto evitare, pur dichiarandosi sempre antifascista, le prigioni nel corso del Ventennio, ebbe modo pur se solo per 10 giorni, di sperimentare le prigioni “repubblicane”, dalle quali riuscì ad uscire abbastanza presto (ma 10 giorni per chi avverte di non aver commesso alcun reato sono tantissimi) soltanto per l’intervento di un importante legale del tempo, l’avvocato Bacci.
Eugenio Tinti uscì dalle prigioni repubblicane ma, sempre per la succitata Legge Scelba, perse il lavoro all’Istituto Chimico Farmaceutico: iniziò da allora in poi una battaglia legale di molti “discriminati” come lui per motivi politici per il riconoscimento dei diritti, primo fra tutti il lavoro e poi anche la pensione.
Quell’esperienza non di certo isolata dovrebbe essere un monito continuo a non abbassare la guardia: negli ultimi anni troppi sono stati i segnali di un attacco non sempre subdolo alle libertà acquisite; anche il richiamo ufficiale di una parte politica alle “libertà” è di certo un elemento su cui riflettere, visto che, al di là degli slogan, si avverte una forte volontà di “rivincita” di alcuni “poteri forti” sui lavoratori, per ottenere la quale, occorrerà ridurre il livello di libertà personale. Una delle affermazioni, infatti, che si sente sempre più spesso venire da quelle menti straordinarie, è che nel nostro Paese ci sia troppa libertà.
“Punti di vista” diversi certamente, visto che chi si richiama alla libertà in modo chiaro nella sua prioritaria accezione partitica, lo fa esclusivamente per avere maggiore libertà di decidere, puntando sul conseguimento di una maggioranza nel Paese, ciò che meglio gli aggrada: né più né meno quello che poi accadeva nel 1954.
I libri di Storia (a proposito, saranno rivisti e corretti?) ci parlano di quegli anni come quelli di una rimonta delle posizioni monarchiche e fasciste, ma anche di una forte riorganizzazione della classe operaia, svegliatasi finalmente dall’illusione che, con la Liberazione e con la scrittura della Costituzione repubblicana (a proposito, sarà anche essa, nelle sue parti fondamentali, rivista e corretta?), tutte le libertà fossero state definitivamente conquistate ed acquisite.
La Storia infatti ci racconta che non sarebbe neanche necessario modificare la Costituzione, basterebbe ignorarla! Ma i cittadini lo permetteranno?
Eugenio Tinti, dunque, ci trasmette anche questo messaggio: fate attenzione a chi parla di libertà, perché probabilmente pensa di ridimensionarla.

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Coronavirus, ipocondria e altre cose serie

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Coronavirus, ipocondria e altre cose serie

https://iltirreno.gelocal.it/prato/2020/03/15/news/l-odissea-per-avere-un-tampone-che-poi-e-risultato-positivo-1.38596809

http://www.notiziediprato.it/news/una-settimana-per-avere-il-tampone-che-poi-e-risultato-positivo-la-denuncia-della-vicepresidente-dei-medici-pratesi

Quel che è accaduto è gravissimo e, soprattutto, richiede un urgentissimo chiarimento da parte di tutte le autorità preposte al rispetto delle disposizioni impartite alla popolazione italiana. Quella popolazione alla quale si chiede di rimanere in casa per evitare la diffusione del contagio ma che allo stesso tempo vuole essere difesa nel momento del bisogno, soprattutto allorquando si tratta di cose serie e non semplicemente collegate a forme di ipocondria. Che ci stanno tutte pienamente e meritano attenzione e rispetto.
Occorre salvaguardare anche la dignità del lavoro degli operatori (in questo caso sembra trattarsi di un’operatrice) del 055 5454777. Non è del tutto fuori luogo che agli operatori abbiano dato indicazioni di non eccedere: io sono probabilmente in errore – ed in questa particolare situazione drammatica dovrei temporaneamente tacere -, ma di certo il comportamento della Sanità “pubblica” non è stato neutro in questa direzione ed agli stessi medici i vertici hanno contingentato prescrizioni di farmaci e di prestazioni, soprattutto per queste ultime riducendo all’osso il servizio “pubblico” a favore dei tantissimi “privati” che sono nati come funghi dopo le piogge autunnali.
Come scrivevo prima “non è il momento” e sono perfettamente d’accordo; ma non ce la faccio a tacere e vi dico anche perché: gli italiani hanno un grave difetto – sono di memoria “corta”. Arriverà il momento delle feste e finirà, come ci auguriamo, a tarallucci e vino. Mentre ce lo auguriamo, facciamo però un patto: la resa dei conti “totale” subito dopo le “feste” dovrà essere impietosa. Non è una minaccia rivolta ad una parte politica: lo è invece “rivolta” al mondo politico ed economico “in toto”.
Forse sarebbe bene ricordare che il nostro “sistema sanitario” stava scivolando lentamente ma progressivamente verso una vera e propria “americanizzazione”. Una volta l’America poteva anche essere un punto di riferimento, ma soprattutto negli ultimi anni la sentiamo molto lontana e Trump non fa nulla per farcela sentire vicina.
E non dimentichiamoci nemmeno che l’operosa Lombardia dopo i primi casi di Codogno e Lodi strombazzava, sostenuta da alcuni leader politici e dall’imprenditoria, che “Milano non si ferma”. E che dire di quello che hanno sostenuto poi i capi di Confindustria, riuscendo ad ottenere che le fabbriche, dopo la dichiarazione di chiusura completa di tutto il territorio nazionale da parte del Governo non si fermassero. E che dire di quelli che dalle zone rosse sgusciavano andando ad infettare altri territori ed altre regioni? Non erano solo “disperati” ma anche professionisti e piccoli imprenditori che per rincorrere il loro Dio, il “denaro” e il successo, non si sono fatti alcuno scrupolo a diffondere l’epidemia.
Con la mia ipocondria, che tuttavia riesco a tenere per la maggior parte del tempo segreta, già da alcuni giorni – soprattutto nelle ore notturne – ho riflettuto sulla grande difficoltà che hanno, non solo coloro che siano infettati da questo nuovo flagello, anche coloro che avessero seri problemi di salute immediati, urgenti, bisognosi di cure mediche ospedaliere di terapie intensive. Come dire? C’è il Coronavirus ma non è sparito l’ictus, l’infarto, un blocco renale o intestinale. Anche se, a sentire in giro, tutti i canali informativi parlano solo e soltanto di questo nuovo cataclisma. E cosa fanno i poveri cristi che avvertono, al di là delle paturnie ipocondriache, un malessere?

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DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 14

Tempio di Augusto e Morghen

DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 14

Vaso di Odemira

…Nascosto dal mare al di sotto del nuovo Molo puteolano si trova l’antico Molo Caligoliano che è dipinto sul famoso vaso di Odemira, reperto archeologico importantissimo per la conoscenza storica topografica della nostra città. Il molo caligoliano è riportato anche da una stampa del Morghen e per quel che si vede e che si sa doveva essere imponentissimo. Sul vaso di Odemira sono riportati tutti i più famosi monumenti puteolani, fra i quali anche il primo Anfiteatro, più piccolo di quello che oggi noi ammiriamo, e il teatro. Sull’ubicazione del teatro non abbiamo ancora notizie sicure, ma del primo Anfiteatro dove si tenevano solitamente spettacoli gladiatorii possiamo vedere i ruderi ai lati dei binari della Metropolitana subito dopo la stazione andando verso Napoli o facendo una passeggiata per via Vigna.

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Dopo l’incendio che distrusse la Cattedrale della nostra città nella notte tra il 16 e il 17 maggio 1964 vennero fuori colonne e capitelli di ordine corinzio facenti parte di un antico tempio, quello detto “di Augusto”. Oggi è impossibile accedere senza uno speciale permesso all’interno di questo tempio, dato che i lavori di restauro sono tuttora in corso. I ritrovamenti sono indubbiamente interessanti e non sono stati pochi. L’aspetto dell’antico tempio si può vedere da una delle stampe del ‘700 fatta da Raffaello Morghen anche se affidata alla libera immaginazione, non potendo più l’incisore in quel tempo controllare direttamente dalla realtà il tempio nascosto sotto uno stile diverso di costruzione.

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Antro Cuma

Nelle vicinanze di Pozzuoli Cuma resta una delle più importanti città dell’antichità. I suoi resti sono ben più cospicui di quelli di Pozzuoli e non ancora è stata portata completamente alla luce. Ingresso alla città è il famoso “Arco Felice” (cosa ben diversa e più lontana dalla località che oggi porta lo stesso nome), denominazione data dagli antichi Romani anche alla fertile terra campana: “Campania Felix”.

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L’Anfiteatro, fuori dalla cinta muraria, e l’Antro della Sibilla sono, accanto ai templi dell’Acropoli, le cose più interessanti da vedere. La fortuna di questa città fu grande e la ragione per cui essa decadde e finì è dovuta alla palude e all’aria malsana che infestò questa zona verso il 1200 d.C.. Da non molti anni il territorio di Cuma è stato liberato da questo gravoso incubo.

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Altra località da ricordare è Baia, così detta dalla forma che assume la sua costa, che rende ospitale la sosta alle navi con la sua rientranza naturale che la pone al di fuori del gioco dei venti più furiosi. Famosa nell’antichità per i suoi bagni termali, era qui che la parte più nobile ed intellettuale di Roma trascorreva le sue vacanze. Ci restano di quel tempo le Terme, grandiose per estensione e per tecnica, che danno una chiara visione di quel che poteva essere la Baia romana. Una strada ora sommersa dai movimenti bradisismici la collegava a Pozzuoli. Il mare ora la nasconde insieme ad una parte cospicua dell’antico centro abitato.

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – terza parte (vedi post 10 febbraio 2020) )

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – terza parte (vedi post 10 febbraio 2020)

Il prof. Maddaluno legge (paragrafo 51 del codice “criminale” leopoldino di cui si tratta bella relazione del prof. Giuseppe Panella):

“Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata legislazione era decretata la pena di morte per delitti anco non gravi. Ed avendo considerato che l’oggetto della pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico danno la correzione del reo figlio, anche esso della società e dello stato, della di cui emenda non può mai disperarsi, la sicurezza nei rei dei più gravi ed atroci delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il pubblico esempio che il governo nella punizione dei delitti e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci con il minor male possibile al reo. Che tale efficacia e moderazione insieme si ottiene più che con la pena di morte, con la pena dei lavori pubblici, i quali servono di un esempio continuato e non di un momentaneo terrore che spesso degenera in compassione e tolgono la possibilità di commettere nuovi delitti e nuova possibile speranza di veder tornare alla società un cittadino utile e corretto, avendo altresì considerato che una ben diversa legislazione potesse più convenire alla maggiore dolcezza e docilità di costumi del presente secolo e specialmente nel popolo toscano siamo venuti nella determinazione di abolire, come abbiamo abolito con la presente legge, per sempre la pena di morte contro qualunque reo, sia presente sia contumace ed ancor che confesso e convinto di qual si voglia delitto dichiarato capitale dalle leggi fin qui promulgate le quali tutte vogliamo in questa parte cessate ed abolite”.

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Riprende a parlare il prof. Giuseppe Panella:

“Come si era arrivati a questa determinazione da parte di Pietro Leopoldo, e soprattutto di che cosa era frutto questa esigenza di di riforma della legislazione criminale?
Non solo dell’azione dei ministri di Pietro Leopoldo, ma di un consimile e contemporaneo moto di riforme che attraversavano l’Italia e i diversi stati in cui l’Italia era divisa.
Era stata l’attività di un gruppo di giuristi dell’Università di Pisa tra i quali spiccano i nomi di Bernardo Tanucci che appunto da Pisa si sposterà a Napoli ove lungamente sarà Ministro di Carlo II e poi di Carlo III di Borbone e dove provvederà a tutta una serie di riforme e di razionalizzazioni dell’assetto giuridico amministrativo economico e politico del regno senza però poter arrivare appunto all’abolizione della pena di morte, grande cruccio dell’onestissimo ministro Tanucci del quale gli stessi contemporanei si stupivano dell’onestà e della capacità di mantenersi integro, pur tra le sollecitazioni e gli stimoli ad arricchirsi che gli venivano dal potere (Tanucci è rimasto famoso per questo e c’è una lapide a Stia in provincia di Arezzo dove egli è nato che dice appunto che Tanucci non solo in vita non si arricchì, ma lasciò la famiglia allo stesso livello di ricchezza nel quale l’aveva lasciata quando aveva assunto il titolo di primo ministro, cosa ripeto della quale non solo si stupiscono i contemporanei di oggi, ma si stupirono anche i contemporanei di Tanucci di come egli fosse stato integro al centro del potere).

Stia e Tanucci

….terza parte…..

(ritrascrizione a cura di Joshua Madalon)

MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 6 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio e la numero 5 del 1° marzo)

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 6 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio e la numero 5 del 1° marzo)

La libertà è un bene prezioso che gli uomini hanno cercato da sempre; per conquistarlo hanno sofferto, lottato, hanno sacrificato il loro tempo e la loro vita. Ma la libertà non è mai un bene acquisito per sempre, va curato, sostenuto, controllato, mantenuto, rinforzato: gli uomini che, dopo la Liberazione dal Nazifascismo, hanno creduto di avere acquisito la libertà, si sono ritrovati molto spesso a dover continuare a lottare per ottenerla pienamente e per difenderla. Eugenio Tinti è stato uno di questi: nel 1954 ha visuto un’esperienza tangibile di queste inequivocabili sofferenze; in un Paese che si diceva “democratico” era praticamente vietata la diffusione delle idee che non fossero funzionali al “potere” di allora. La Costituzione, ancora giovane, fu calpestata nei diritti naturali ed inalienabili e chi era “comunista” non aveva gli stessi diritti degli altri; non trovava lavoro e, se lo aveva, facilmente lo perdeva; se diffondeva le sue idee era equiparato ad un “terrorista”; peraltro la gerarchia ecclesiastica comminava (non solo minacciava) scomuniche a chi, da cattolico praticante, avesse affermato di essere comunista o di voler votare il Partito Comunista.
A mettere in pratica tutto ciò (tranne quel ruolo che non spettava allo Stato, ma alla Chiesa) fu la famigerata “Legge Scelba”, che porta il nome di un uomo politico della “Democrazia Cristiana”, Luigi Scelba, accanito “anticomunista”, dal 1947 in poi prima Ministro degli Interni poi, proprio nel 1954, anche (in quanto mantenne per sè il dicastero degli Interni) Presidente del Consiglio in una coalizione spostata verso la Destra della quale facevano parte, oltre alla DC, il PSDI, il PLI ed il PRI. Egli, cioè l’onorevole Mario Scelba, con il suo discorso programmatico di insediamento, con una serie di interventi e di successivi provvedimenti contro gli appartenenti al PCI, tentò addirittura di allargare la coalizione del suo Governo verso la Destra estrema. In quel modo egli, oltre ad impedire nei fatti la libertà di lavoro (peraltro sancita come diritto nei primi fondamentali articoli della Costituzione repubblicana) e quella sindacale, impediva e sanzionava come illegale la diffusione dell’organo ufficiale del Partito Comunista Italiano, il giornale “l’Unità”.

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P.S.: Nei prossimi giorni procederò rapidamente verso la conclusione

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DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 13

Anfiteatro

DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 13

CENNI ARCHEOLOGICI
La zona dei Campi Flegrei possiede anche altre ricchezze oltre al paesaggio naturale.
Le antiche vestigia dell’Anfiteatro Flavio, ora in restauro (il testo si riferisce al novembre 1971, data della pubblicazione del libretto “Passeggiata nei CAMPI FLEGREI – POZZUOLI”), si presentano subito al viaggiatore che arrivi nella nostra città, lungo la Domiziana. Sede di spettacoli gladiatorii, né più né meno nel modo in cui vengono descritti nelle trasposizioni cinematografichw, era fornito di posti distinti per ogni ceto sociale. Ma esso era più adatto in realtà alle cacce con tigri, leoni, pantere (le cosiddette “venationes”). Con speciali e per il tempo davvero sorprendenti ed avveniristici meccanismi le fiere venivano tirate su nell’arena dalle gabbie che si trovavano giù nei sotterranei, riportati in modo integro, e splendidamente conservati, alla luce da pochi anni. E’ fra i pezzi più noti della raccolta che si trova nell’Anfiteatro Flavio il famoso “Santo Mamozio” cosiddetto a causa della storpiatura popolare di un’incisione “MAVORTIO” sotto la statua acefala di un senatore romano (mancando la testa, essa fu sostituita con un’altra ben più piccola, la qual cosa spinse a collegare tale dissonanza scultorea alla demenza o stupidità, cosicchè “Mamozio” assunse il significato di “storpio” o semplicemente “brutto”: uno scarabocchio per intenderci.
Soggetto ora (ricordarsi sempre che siamo nel 1971) alla fase ascendente (negativa) ed ora alla discendente (positiva) del bradisisma, il Tempio di Serapide ha agito nel tempo, fin che ha potuto, da mareografo segnalatore. i piccoli buchi che si notano sulla superficie delle tre colonne ancora in piedi (la quarta giace supina nell’acqua) sono opera di alcuni animaletti marini detti “litodomi” (abitatori della pietra). Il suo nome è improprio in quanto si trattava certamente di un grande magazzino mercato forse anche a due piani e con una disposizione alternata degli ingressi nei vari reparti. Al centro, in un tempietto, fu rinvenuta la statua del dio fenicio Serapide che dunque impropriamente diede il nome al presunto Tempio.

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Serapeo