IL RISCHIO DELLA DIMENTICANZA parte 1

IL RISCHIO DELLA DIMENTICANZA parte 1

Ho imparato nel corso del tempo a saper ascoltare le persone più grandi; l’ho imparato – come tutti i “giovani” quando erano tali – un po’ tardi. Ma negli anni non ho incontrato tanti saggi “accademici”, a fronte di coloro che, senza titoli o lauree, erano in grado di suggerirti non necessariamente in modo diretto la strada da percorrere.

Senza dover ricorrere alle figure morettiane di “un pastore abruzzese”, “un bracciante lucano”, “una casalinga di Treviso”, mi soffermerò su realtà a me più vicine, riferite in ogni caso a persone reali, non personaggi, rappresentativi della capacità pratica: il primo, senza sorprese, è stato mio padre. Nato nel 1916 aveva con difficoltà superato la terza elementare ma era in grado di fare calcoli alla pari con geometri ed ingegneri e di organizzare la gestione di cantieri importanti come quello della Funicolare di Montevergine e di tanti complessi abitativi nella Provincia di Napoli e di Caserta e Avellino. Aveva vissuto la parabola del Fascismo senza mai compromettersi con quello ed aveva acquisito una particolare idiosincrasia per il mondo politico, che in definitiva non stimava.

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Un secondo personaggio al quale tengo molto è il proprietario della casa di Feltre nella quale ho vissuto anni intensi di apprendistato per il mio lavoro didattico educativo. Dopo un primo contatto caratterizzato da un certo sospetto pregiudiziale unilaterale (ero pur sempre un “terrone” e quelli erano gli anni che non solo nell’Alto Veneto “non si affittava a terroni”) la simpatia ma soprattutto il desiderio reciproco di essere “come un figlio ed un padre” hanno prodotto un rapporto di fiducia reciproca. Da lui ho imparato che non esistono differenze insormontabili e che la dignità degli uomini è un bene prezioso di cui essere fermamente difensori e custodi.

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Un terzo personaggio da cui ho imparato ascoltando le storie della sua vita avventurosa è un signore che accoglieva nella sua fattoria i nostri bambini qui a Prato ed aveva grande disponibilità. Credo di avere da qualche parte una serie di testimonianze audio che la mia bimba maggiore volle registrare e non appena le ritroverò proverò a riportarle su questo Blog.
Sia il secondo che il terzo non avevano titoli di studio così come il primo, cioè mio padre. Ma possedevano quella capacità pratica di saper raccontare in modo preciso e con una forma letteraria congenita molti eventi storici: tutti avevano vissuto gli anni della seconda guerra mondiale in realtà così diverse e lontane tra loro (la Campania, il Veneto nord asburgico, la Toscana) e riuscivano da punti di vista eterogenei a raccontarne le sfumature.
Storie fondamentali di vita che sarebbe molto bello raccontare in modo più profondo.
Scrivere questo post, oggi 11 marzo 2020, significa anche dover avviare una riflessione sulla necessità di utilizzare tutti i tasselli di una vita nel momento del declino; ma in particolare sono spinto a farlo perché ritengo indispensabile dover ripetere di non dimenticare mai ogni piccolo aspetto dell’esistenza e della storia – quella massima e quella minima – in un periodo nel quale c’è il rischio di non ricordare anche elementi molto vicini a noi. In tempi di “coronavirus” c’è il rischio di essere afflitti anche da una epidemia di “oblio”.

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PESI E MISURE ……continua

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PESI E MISURE ……continua

La giornata di ieri è stata intensamente contrassegnata da tutta una serie di vicende collegate al susseguirsi di argomentazioni e riflessioni intorno alla crisi epidemica che va travolgendo le nostre abitudini. Siamo tutti, soprattutto noi anziani che disponiamo di un maggiore spazio di tempo libero, incollati ai programmi televisivi che cpntinuano a trasmettere bollettini di guerra ed a dispensare consigli, più o meno sempre gli stessi.
Questo “preambolo” è utile a giustificare l’assenza dal Blog per alcune ore e per tutta la giornata di ieri.
Anche se ormai è storia passata (da ripassare in rassegna – per trarne lezione di vita – una volta conclusa questa vicenda) vorrei sottolineare la mia vicinanza a coloro che, all’annuncio della decisione del Governo di considerare “zona arancione” la Lombardia ed altre quattordici province del Nord Italia, hanno deciso in un battibaleno di prendere il primo mezzo utile e tornare alle loro famiglie.
Ho rilevato intorno a quell’evento una insolita severità e la considero il frutto di una profonda incapacità di comprendere la drammaticità nel suo complesso. E’ tipico, questo comportamento, di chi è garantito da una condizione di partenza già perlomeno sufficiente a mantenere un tenore di vita dignitoso. Mi spiego meglio portando un esempio: la signora Elsa Fornero nel pieno del suo impegno ministeriale, tra le lacrime ed i sorrisi, ebbe modo di avanzare una riflessione acuta sui benefici del lavoro in agricoltura. Le sue argomentazioni rivelavano il livello di cultura rappresentata dalla concezione snobbistica borghese da vera e propria “madamin”, che dall’alto della condizione economica personale poteva guardare all’agricoltura come un hobby.

Potete trovare parte delle sue dotte argomentazioni nel seguente articolo:

https://www.ilgiornale.it/news/interni/i-contadini-restano-giovani-fornero-ora-consiglia-andare-853630.html

Ho preso l’esempio della Fornero, perché ritengo più o meno simile il livello culturale di chi (anche persone che stimo per tanti versi) non ha avuto un minimo di comprensione verso chi, preso dal panico, cercava in tanti modi di ritornare a casa. Queste persone così rigide non si nascondano dietro lo stato di necessità unilaterale ma osservino la totalità delle problematiche. In questi giorni una parte del nostro popolo non ha soltanto il problema medico sanitario da tener d’occhio, ha anche un problema economico personale senza la soluzione del quale può essere molto difficile affrontare il primo. Molti hanno perso il lavoro, molti erano nei territori del Nord alla ricerca del lavoro, erano sulle spese per l’affitto e per la minima sussistenza personale: cosa avrebbero dovuto fare?
Sono ritornato a trattare quel tema, e penso che sarebbe stato meglio invece, anche da parte degli occhiuti censori di cui sopra, rivolgere il nostro biasimo a quei giovani che in diversi luoghi ed occasioni hanno affollato i luoghi delle “movide”. Il mio biasimo non è solo verso di loro, ma soprattutto verso i loro genitori, evidentemente incapaci di trasmettere rigore soprattutto nel momento in cui questo risulta necessario.
In realtà, anche io l’altro giorno, arrivando alla Coop di Prato sono stato colpito dal modo in cui persone adulte facessero capannelli senza curarsi delle prescrizioni generali. Probabilmente tra quei signori c’erano anche alcuni dei genitori “modello” dei “vitelloni” del nostro tempo.

Joshua Madalon

TEMPI NUOVI…. pesi e misure

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TEMPI NUOVI ….pesi e misure

Non ho mai sottovalutato la difficoltà e la pericolosità del momento che stiamo vivendo: sin dai primi segnali “internazionali”, forse anche perché viviamo a stretto contatto con una delle “comunità” cinesi più numerose e concentrate d’Italia e forse d’Europa, ho osservato con attenzione il processo dell’epidemia.
Ed in questo modo ho potuto convincermi che nella nostra città, dove ancora permaneva una certa forma di discriminazione o avversione contro i cittadini cinesi, non sarebbe accaduto nulla che potesse essere riferibile alla loro responsabilità. Immediatamente, infatti, hanno scelto di mantenere alta la guardia, rinunciando addirittura a celebrare una delle festività più attese del loro calendario: il Capodanno, che si era annunciato ricco di sorprese; hanno poi continuato ad osservare più di quanto fossero stati capaci prima le norme di igiene e di sanità personale e collettiva.

Capodanno cinese

E’ probabile che nel ragionare sul mio Blog io mi vada ripetendo.
Tuttavia quello che scrivo, che ribadisce ciò che ho già scritto, può essere ancor più utile, affinchè quel che accade nel suo tragico proporsi sia foriero di un cambiamento di clima nei prossimi tempi, quelli migliori che dobbiamo auspicare arrivino presto.
Detto questo, non posso non rilevare una parziale divergenza rispetto agli aspri rimproveri che sono stati diretti nei confronti di coloro che, avvisati da una serie di comunicati giornalistici, peraltro molto vicini al vero, dell’imminente chiusura di un ben più vasto territorio del Nord comprendente l’intera Lombardia e gran parte del Piemonte, del Veneto, dell’Emilia Romagna e di un lembo di Marche, hanno preparato in gran fretta e furia i loro bagagli ed hanno letteralmente occupato i treni che da Milano proseguono verso Sud. Mi sono detto: cosa avrei fatto io? Seguendo la mia esperienza pluriennale e le mie conoscenze attuali, avrei scelto quasi certamente di fare lo stesso. Ragioniamoci finché la testa ci aiuta! Davanti ad un allarme di questa portata, di cui non si intravede la parte finale, e davanti ad una situazione “occupazionale” incertissima (io spero che i censori di quel comportamento abbiano ben presente che centinaia e forse migliaia di persone hanno perso il lavoro o ne vedono la reale possibilità di perderlo ad horas) avrei di gran lunga preferito fare la fame a casa dei miei – forse in una situazione sanitaria naturalmente migliore – piuttosto che vivere nell’angoscia quotidiana dell’incertezza futura lontano dai miei affetti più cari. Detto ciò, ritengo che sia doveroso da parte di chi si è spostato così repentinamente mettersi a disposizione immediatamente delle autorità sanitarie locali affidandosi ad esse, proprio nel rispetto delle comunità nelle quali si sceglie di proseguire la propria vita, semmai per lo stretto tempo necessario – forse lungo speriamo breve – della crisi epidemica in atto.
Ben diverso è il mio giudizio nei confronti di quanti non hanno accolto in modo ristretto le indicazioni del Governo e della comunità scientifica.
Ne riparleremo certamente in uno dei prossimi post.

Joshua Madalon

TEMPI NUOVI ….ci risiamo

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TEMPI NUOVI ….ci risiamo

Tempi nuovi. Lo dicevo ieri; lo ripeto oggi. Sicuramente questo grande evento cosmico (la “pandemia” non è stata ancora annunciata, ma di ciò si tratta) sconvolgerà le nostre esistenze. Inatteso come è giusto che sia, anche se le avvisaglie c’erano tutte ma fa parte dell’essere umani non riconoscerle o quantomeno, fingendo di non curarsene, esorcizzarne gli esiti.
Bisognerà in ogni caso resettare molta parte delle nostre giornate e guardare al futuro con una grande disponibilità a rivedere continuamente e progressivamente le nostre attività.
Ho di certo, per l’età, bisogni diversi da quelli dei miei figli e degli amici più giovani; ma sento il dovere di contribuire a far sì che anche per loro questa revisione possa essere meglio sopportabile, costruendo alternative utili, con la speranza che, poi, proseguano a praticarle.
Nel 2020 ci troviamo davanti alla chiusura delle scuole per un periodo – per ora – previsto di 11 giorni, ma che si annuncia essere molto più lungo (a cosa servirebbero 11 giorni? Forse è il “tempo” utile per avviare un resettaggio delle modalità didattiche): d’altronde è il 2020 ed in tantissime altre occasioni la letteratura distopica ha tentato di porci di fronte alle responsabilità che nel futuro sarebbero state necessarie di fronte ad eventi simili – ben peggiori – a questi.
In “tempi” diversi, alcuni anni addietro, in situazioni di “non emergenza”, ho anche io utilizzato le nuove tecnologie ( sono ancora presenti dei “gruppi” su Facebook che afferivano a classi di ragazze e ragazzi con cui si interloquiva annunciando temi, proponendo argomenti corredati da link: avevano dei “limiti” collegati essenzialmente al fatto che non tutti accedevano, per motivi diversi, a quelle piattaforme ) e ritengo che – nel pieno rispetto dei ruoli e dell’età – funzionassero come stimoli, pur nei limiti sopra esposti.
Da allora è trascorso poco meno di un decennio (le prime erano del 2010-2011, una terza, una quarta ed una quinta A ed una terza B) e le tecnologie sono migliorate. Guardate cosa fanno alcuni docenti (nella foto collegata all’articolo de “Il Tirreno” riconosco Marcello Contento) nella scuola dove ho insegnato per trenta anni.

https://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2020/03/07/news/il-dagomari-non-si-ferma-lezioni-a-distanza-grazie-a-un-applicazione-1.38559565

Dagomari
Quel che è importante è che ciascuno dei membri (sia docenti che allievi) possa partecipare in modo attivo e propositivo.
Tra le altre questioni che mi preme mettere all’attenzione è la consapevolezza “positiva” dei limiti umani di fronte ad eventi così drammatici (utilizzo il termine nella sua accezione catartica senza negatività). Gli stessi cinesi utilizzano lo stesso ideogramma per i concetti di “crisi” ed “opportunità”. Dunque, perchè non approfittarne in questo comune travaglio per coglierne insieme il senso?
E’ per questo motivo che la lettura dell’articolo del Corriere – sull’inserto culturale “7” – del 25 gennaio scorso sembra tagliato proprio intorno alle riflessioni che da qualche tempo ci perseguitano, al di là del Coronavirus. Quell’articolo merita un supplemento di indagine, partendo dalla mia realtà contingente, casualmente collegata all’epidemia in corso. Da un po’ di tempo trascorro ore ed ore, senza tuttavia trovare il bandolo della matassa, per mettere ordine nelle mie cose. Anche io ho accumulato fogli e fogli, libri e libri, immagini ed immagini.
Ne riparleremo, poprio a conferma dell’impossibilità di tale impresa.

https://www.corriere.it/sette/opinioni/polito/20_gennaio_25/pulizie-morte-diventare-grandi-quando-scompaiono-genitori-6255f93e-3fb7-11ea-9d81-62d1a4802e12.shtml?fbclid=IwAR3sqY59xB7grK0ts7TukWI5EMkDNdSLS1La_-Ocx2qRDTWJ3pVHQ1iJb90

TEMPI NUOVI

TEMPI NUOVI

Può darsi che questa emergenza, superati gli aspetti negativi, produca effetti positivi sulla società. Di solito accade, ma tutto dipende dalla qualità degli uomini e delle donne (delle donne e degli uomini) del nostro tempo. Se devo riferirmi a quel che ho visto e sentito negli ultimi tempi, le speranze che una revisione etica positiva si verifichi, sono al minimo termine. Tuttavia, occorre uno sforzo comune di buona volontà, al quale voglio a modo mio partecipare. Stamattina in uno dei commenti familiari intorno ai primi caffè rilevavo che negli ultimi giorni c’è una sorta di “pax mediatica” su Facebook: i commenti beceri si contano sulle dita di una sola mano. Segno è che il Coronavirus limita le acredini e tiene lontano le buzzurrate. Tuttavia, partecipando alla lettura dei quotidiani attraverso i canali televisivi non ho potuto esimermi dal provare un profondo disgusto nel leggere il titolo di prima pagina de “Il Giornale” che, commentando l’intervento a reti televisive unificate del Presidente della Repubblica, lo giudica come una sorta di “commissariamento” nei confronti del Presidente del Consiglio.

Non è solo un modo ignobile di accostarsi ai temi, ma dimostra la profonda ignoranza del dettato costituzionale relativamente al rapporto ed ai ruoli dei diversi principali soggetti istituzionali. Tra l’altro, proprio per la caratteristica dei meccanismi elettivi che conducono alla scelta del Capo dello Stato, non vi è alcun dubbio che spetti soprattutto a lui il compito di richiamare all’unità e ad un certo tipo di “ordine democratico” necessario nel momento delle maggiori difficoltà del Paese. Aggiungerei addirittura che sarebbe stato quasi fuori luogo che quel discorso lo avesse pronunciato il Premier.

Il Giornale 6 marzo

Il titolo “MATTARELLA IN CAMPO – CONTE DIMEZZATO” sta a sottintendere non del tutto velatamente il profondo desiderio, inconscio e non, di portare il Paese verso un baratro davvero profondo, cercando di scaricare responsabilità che, umanamente, potrebbero essere di molti – e diversi – rispetto a quanto da loro, in modo scellerato, auspicato.

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Ieri la leader di “Fratelli d’Italia” ha lanciato dardi malèfici contro il Premier, accusandolo di essere un “criminale”. Si è poi parzialmente corretta, aggiungendo che “ha avuto un atteggiamento criminale” mettendo il Paese in difficoltà, allorquando – alle prime avvisaglie del morbo -ha avanzato una critica nei confronti della sottovalutazione dei primi casi. Indubbiamente quel rilievo è apparso un atto d’accusa verso quelle strutture sanitarie regionali del Nord Italia, i cui governatori – tutti appartenenti al blocco del Centrodestra – avevano voluto mostrare una grande capacità di autonomia non del tutto poi rispondente alla necessità del caso. Ho peraltro già scritto che sarebbe stato doveroso, anche nel rispetto dei cittadini e dei lavoratori di quella zona “lombarda”, ammettere tale debolezza: ciò non avrebbe inficiato sostanzialmente il riconoscimento dell’eccellenza di quella Sanità. Capisco perfettamente che “non sia il momento”, che “non lo fosse nemmeno allora”; ma, quindi, evitiamo di trascendere in polemiche inutili alla stregua dei “polli di Renzo”, che – disgraziati loro – vivevano in quella parte di Italia ed in un abbastanza simile periodo di difficoltà sanitarie.
Fermiamoci dunque alle parole del Capo dello Stato.

“Qui sono tutti matti” a partire da me

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“Qui sono tutti matti” a partire da me

Qualche giorno fa commentando alcuni dati sull’incidenza del Coronavirus rispetto ad altre patologie una mia amica oncologa concludeva: “Qui sono tutti matti!”. Ricevendo questo messaggio, non riuscivo però a comprendere chi fossero i “matti”. In realtà non avrei potuto comprenderlo, avendo io involontariamente (la mia non è una scelta condizionata dalla diffusione del virus) utilizzato una sorta di “quarantena” culturale: me ne sto per gran parte della giornata in casa in mezzo a migliaia di stimoli culturali, che mi distraggono dalla “catastrofe” mediatica. L’altra mattina Mary, svegliandosi un po’ più tardi del solito mi chiedeva i dati aggiornati sul contagio ed io le ho risposto che “non se ne può più…non c’è uno spazio libero dai bollettini di guerra…la tv non fa altro che questo…e io stamattina non l’ho proprio accesa!”.
Così, un po’ alla volta, sto comprendendo a cosa si riferisse la dottoressa, parlando di “matti”. Sono perfettamente convinto che quel che sta accadendo sia molto serio e grave: pur tuttavia occorre mantenere la calma e non farsi prendere dal panico, contribuendo ad aumentare così il numero dei “matti”.
Le isterie colletive non aiutano a superare la crisi. Occorre certamente rispettare le norme igieniche, anche se sarebbe stato bene farlo da sempre; ma non è mai troppo tardi per imparare. Sono quelle cose che ci aiutano a giustificare quel che ci appare come un sacrificio insormontabile. Ovviamente alcune indicazioni, come quella della “distanza di uno o, meglio, due (facciamo uno e mezzo) metri” non vanno interpretate in modo rigoroso: sarebbe molto comico vederci zigzagare per la strada o nei corridoi del supermarket alla ricerca di uno spazio di sicurezza. Intanto si evitino i luoghi pieni e si privilegino quelli meno affollati. Bene, perciò, aver chiuso le scuole; così, con l’accortezza di uscire poco, e con gli strumenti tecnologici sempre più avanzati utilizzati soprattutto dalle nuove generazioni, si potrebbero studiare forme alternative di trasmissione del sapere, sperando tuttavia di non dover corrispondere alle assurde pretese di quel Dirigente (!) preoccupato per il fatto che la chiusura straordinaria delle scuole avrebbe comportato un danno alla preparazione didattica dell’Istituto. A proposito di “matti” ci sono anche queste tipologie, che assestano un colpo di credibilità fortissimo alla validità della preparazione scolastica dei nostri studenti: basta lavorare sul “sapere” in modo esclusivo ed avviare invece un “saper fare”, che nella scuola italiana è fortemente carente. In Italia c’è ancora troppa accademia e troppi parrucconi vetusti a dettar legge. Chissà che un “virus” anche tanto pericoloso non ci aiuti in quella direzione.
E poi la grande confusione che alberga sovrana è dovuta proprio a questo analfabetismo civile che caratterizza il momento. L’altra sera ho ricevuto la richiesta da parte di una giovane amica supplente temporanea di farsi accompagnare alla Guardia medica. Forse non era necessario ma la solitudine fa brutti scherzi e quindi mi sono prestato per accontentarla. Aveva seguito le indicazioni prescritte dal giorno prima, per cui per accedere occorreva prenotare telefonicamente l’appuntamento. Ed era tutto in regola: niente di che, solo un mal di gola persistente, qualche linea di febbre. Ma mentre attendevo che uscisse dall’ambulatorio sono passate altre persone che non avevano tuttavia prenotato e le Guardie giurate le informavano su come fare, commentando in modo improprio che “la legge non ammette ignoranza”. Purtroppo non di “legge” si trattava, ma di una prescrizione temporanea di tipo organizzativo tesa ad evitare assembramenti pericolosi per la diffusione della patologia virale; e poi solo da poche ore era stata comunicata: fino al giorno prima chi aveva bisogno in giorno festivo o feriale notturno di un controllo ne poteva usufruire senza alcun preavviso. Ecco, dunque, che – guardandosi intorno – i matti li scopriamo un po’ dappertutto, a partire da noi stessi, ovviamente.

Joshua Madalon

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LA (nostra) VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (dall’osservatorio di Prato) ….continua……

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LA (nostra) VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (dall’osservatorio di Prato)……continua…..

Mentre rileggo il mio post di ieri seguo uno dei programmi di informazione del canale La7, Tagadà, e sono preso da un desiderio di esprimere pubblicamente il mio profondo disgusto verso un giornalista, tale Francesco Borgonovo, che pretende anche di esprimere “La Verità” ( è questo il nome del giornale di cui è caporedattore ). Nazionalista e sovranista convinto, non perde occasione, anche in questi frangenti critici, di lanciare attacchi alla comunità cinese e a coloro che in occasioni diverse ne hanno sottolineato la civiltà. Più o meno, egli dice che come nel momento della crisi più acuta vissuta in Cina qualcuno ha solidarizzato con la comunità in Italia entrando nei locali gestiti da quella, ora quelle stesse persone dovrebbero riempire i locali dei nostri connazionali, che invece sono vuoti. Lo fa con acredine: d’altra parte è la sua prossemica naturale che esprime tale sentimento: a mio parere, dovrebbe avere una grande difficoltà a reggere il suo stesso sguardo allo specchio.
Ebbene, ritorno su temi già trattati: il nostro Paese non si risolleverà dalla crisi profonda già precedente a questa “tragica” situazione epidemica. Ho la sensazione che se non si ritroverà uno spirito unitario, umile e rispettoso della libertà di ciascuno, limitata solo dagli accenti violenti e minacciosi, nei quali la forma critica oppositiva non possiede elementi di razionalità e di opportunità (non “opportunismo” come purtroppo è solitamente appannaggio di personalità politiche alla ricerca di consensi).
Una delle formulazioni sciovinistiche nazionali recita che “di fronte alle difficoltà emerge il carattere degli italiani”. A volte quel che si intravede è la parte buona, la migliore; in altre occasioni, invece, è quella peggiore. Nel caso di personaggi come Salvini e Borgonovo, che – credo – sia un collega molto stretto del primo, quel che viene fuori è proprio il peggio. E, dunque, se ne ricava che siano proprio queste esternazioni a rivelarne la vera natura.
Allo stesso tempo, da un osservatorio molto particolare che è quello della città di Prato, zona piena Chinatown (via Filzi e via Pistoiese con annessi e connessi), emerge un atteggiamento di profondo rispetto verso la comunità cinese, in grado autonomamente di regolarsi, dimostrando profonda cura e rispetto per le regole restrittive che comunemente dobbiamo seguire.
Bisognerà pure studiare sociologicamente questo periodo, quando arriveremo in fondo; credo che solo a quel punto potremo confermare le nostre opinioni che in questo momento sono “libere” e comprovarle o metterle in discussione. Per ora, ho la sensazione che questa esperienza ci consentirà di avere una migliore interlocuzione tra le due comunità maggiori della città.

Joshua Madalon

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LA (nostra) VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (dall’osservatorio di Prato)

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LA (nostra) VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (dall’osservatorio di Prato)

Sì, certamente! La vita al tempo del Coronavirus va un po’ cambiando. Non credo che avremo l’opportunità di abituarci a questa forma di socialità, anche se, con gli opportuni “tagliandi”, non sarebbe male che ciò si verificasse. Uno degli aspetti su cui punterei potrebbe essere quello dell’essenzialità. E soprattutto – mi sia consentito – modificherei l’uso strumentale di lunghi dibattiti e discussioni intorno a quel che vien detto “sesso degli angeli”. E’ stata, e purtroppo è, l’abitudine che ha contraddistinto molti tra noi – la critica è “autocritica” – appartenenti alla Sinistra.

Ovviamente, la mia è una semplice speranza e nell’auspicare tali cambiamenti mi affido al destino di un’epidemia che possa aiutarci a cambiare. Come dicevano gli avi “Non tutto il male viene per nuocere” ed anche questo Coronavirus potrebbe essere un elemento positivo che ci faccia ritrovare la giusta misura dell’esistenza, minimalistica al punto giusto, facendoci evitare gli sciovinismi ed i bizantinismi pelosi ai quali ci siamo abituati in tutti questi anni.
In questi ultimi giorni si esce meno di casa, ci si riappropria di spazi riflessivi, si dedica più tempo alla lettura. E’ pur vero che tutto questo posso farlo io che sono in pensione e che, tutto sommato, ho più tempo a disposizione. Ed è vero che per la stragrande maggioranza delle persone adulte in età da lavoro, sia esso autonomo o dipendente, la situazione sta provocando nell’immediato dei danni che comporteranno ulteriodi difficoltà, soprattutto economiche con tutto quello che ne consegue. Anche se, con gli opportuni accorgimenti, una parte del mondo del “lavoro” potrebbe strutturarsi in modo diverso ed innovativo, utilizzando le modernissime tecnologie informatiche: un primo immediato vantaggio consisterebbe nel minor utilizzo dei mezzi di trasporto e conseguenti risparmi energetici e minor impatto ecologico. Il lavoro sarebbe anche meno stressante e più sereno.
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Intanto una lezione di civiltà formidabile ci è stata impartita da questa epidemia: siamo tutti uguali (ve la ricordate “ ‘A livella “ di Totò? ). Ed è così che ci si guarda – al di là delle appartenenze etniche e nazionali – condividendo preoccupazioni e sorridendo partecipi. Facendo la fila alle casse dei supermercati schizofrenici per l’alternanza di affollamenti e saccheggi contemperati da desertificazioni: e già…una volta fatto il pieno delle provviste vi si ritorna solo per l’essenziale di cui semmai si avverte la mancanza; sostando all’esterno dell’ufficio postale – tanto non piove – dopo aver preso il numeretto per l’operazione in scadenza; tenendosi a distanza di un metro come suggeriscono gli epidemiologi; e poi, la mascherina: cosa si fa con la mascherina?
Fino ad ieri non ci si chiedeva mica cosa facessero per la strada principale della Chinatown pratese tanti cinesi con la mascherina. Ora invece siamo là a chiedercelo: fanno un’operazione di puro marketing.
In realtà non sono infettati: a Prato non c’è nemmeno un caso sospetto, nè cinese nè di altra etnia nè tantomeno – come si dice – “nostrano”.
La mascherina, dicono gli esperti, serve a coloro che hanno contratto il virus e devono evitare di infettare le altre persone con cui entrano in contatto. Dunque è una forma di salvaguardia per tutti quelli che vengono incontrati casualmente per strada o che utilizzano dei servizi nei tanti negozi gestiti da personale cinese.
Anche questo comportamento sta contribuendo a far modificare la percezione reciproca in una città nella quale i rapporti tra la comunità autoctona e quella orientale non sono stati sempre facili.
Il caso di Prato potrebbe dunque avere anche su questi temi sociologici una particolare attenzione di studio.

Joshua Madalon

MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 5 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio e la numero 4 del 17)

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 5 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio e la numero 4 del 17)

ND.: E magari eravate tutti un po’ così amici in una zona come questa.
E.T.: Qui, oltre a essere amici nella zona, eravamo amici anche dentro il palazzo dove abito. Perché prima eravamo quasi tutti, io son del Casentino, non son fiorentino, son di Poppi; quindi quando son venuto qui a Firenze eravamo tutta gente di qui che ci conoscevamo e ci scambiavamo anche delle visite, diciamo così; oggi anche qui dentro è diventata come la casbah di Algeri: non ci si conosce più nessuno. Son venuti di fuori, non so, ci sono persone che qualificherei come non troppo desiderabili, ecco.
ND.: E allora, se lei avesse bisogno di una cortesia, non c’è modo di averla.
E.T..: La cortesia, posso dire che ci ho un’inquilina qui accanto, giovane, carina: se si ha bisogno di qualcosa, alle volte ho bisogno del latte o che mi manca qualcosa ed è a lei che mi posso rivolgere…
ND.: Meno male, meno male, signor Eugenio, perché questi famosi ceno gradini, ecco, quante volte al giorno li fa, lei?
E.T..: Anche tre volte al giorno.
ND.: Perché?
E.T..: E perché ho bisogno di uscire prima per fare la spesa, perché non c’è nessuno che me la fa e, poi, per andare, anche per me andare a fare una passeggiata oppure andare a portare della roba, per esempio io come lavare faccio far tutto in tintoria, e quindi bisogna che vada anche lì, non ci andrò tutti i giorni; insomma una volta alla settimana bisogna che vada anche lì.
ND.: Lei ha parlato di passeggiate: come fa a passeggiare in questo centro così caotico, nonostante ora abbiano un po’ dimensionato il traffico?
E.T.: La mia passeggiata non è che la faccia proprio nel centro: vado qualche volta anche nel centro, per forza di cose dobbiamo andarci; però io preferisco andare nel Lungarno oppure là in quel piccolo giardino, là a San Niccolò…perché si respira un po’ meglio… in centro non è possibile starci tanto. Ora meno male che hanno messo la zona verde, un po’ più si respira, ma c’è pericolo, per esempio la mattina, prima che scatti la zona verde o la sera dopo le sei che comincia il traffico un’altra volta ed è una fornace di gas.
ND.: E qualche amico oppure qualche luogo, diciamo non so, un centro sociale o qualcosa del genere dove scambiare quattro chiacchiere?
E.T.: Ma, e io veramente ci sarebbe la Casa del Popolo della Sinigaglia, ma io non posso lasciare mia moglie perché mia moglie è malata a letto e io bisogna stia sempre con lei; se vo un’oretta fuori, come ripeto, per fare due passi per via di non farmi atrofizzare le gambe, se no io sto in casa.
ND: Signor Eugenio, lei ha parlato della malattia di sua moglie. Qui vedo una ricetta veramente nutrita: sono molte le medicine che deve prendere, paga molto di ticket?
ET.: Ultimamente ho pagato quarantamila lire.
ND.: Quarantamila lire ogni quanto?
E.T.: No, non sempre quarantamila lire ma sulle ventimila quindici ventimila lire ogni quindici giorni bisogna che io faccia questo lavoro.
ND.: Cosa ne dice di questi ticket?
E.T.: Mah, questi ticket per me sarà la salvezza, non so, di come si chiama….di Galloni o come si chiama…di Donat Cattin, ma non che sia una cosa che faccia bene a chi ci ha una pensione, per me son di molto dolorosi.
ND.: Io, signor Eugenio, a questo punto la saluto, la ringrazio di averci ospitato; le auguro di essere sempre così come la vedo adesso.
E.T.: Grazie tante della visita: ho avuto piacere anch’io di poter comunicare con voi, non so potrà fare comodo ad altri, per me la vita….
ND.: No, questo non lo dica: lei è un bell’esempio di “ragazzo del ’99.

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