L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA a proposito dei miei ripro”post” (i “post” riproposti)

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L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA a proposito dei miei ripro”post” (i “post” riproposti)

Lo sapevano perfettamente già gli “antichi” quando suggerivano di superare la corta memoria con dei pensieri scritti. Nel post che ho riproposto ieri scritto a metà marzo rilevavo che il “virus” ha scorazzato in lungo e in largo, soprattutto nelle realtà “super” operose del Nord Italia, in quelle realtà che sottovalutavano il decorso dell’epidemia, facendosi forti delle loro scelte in materia di Sanità. Nessuno nega che in quelle realtà il livello delle cure sia eccellente, ma – rifacendoci alla saggezza popolare – non ci si può affidare agli “allori” conquistati e per questo – probabilmente – la pandemia qualcosa di buono ci avrà insegnato. La Natura si sveglia e ci risveglia, ci dà la sveglia. E ci fornisce l’opportunità di un “bonus” di riflessioni. E le riflessioni devono necessariamente partire da un dato di fatto: la risposta ai problemi creati dalla pandemia tra fine febbraio e metà marzo in Lombardia non è stata adeguata. Pian piano i tasselli si stanno componendo e non si può bloccarsi semplicemente per fare strada da una parte ad uno sciovinismo campanilistico e dall’altra ad una forma di contrapposizione critica basata su pregiudizi: entrambi gli atteggiamenti sono esecrabili ed inutili per la costruzione di un futuro prossimo che ci garantisca “tutti”.
Ieri ricordavo la difficoltà di fornire risposte a tutti coloro che chiedevano alle strutture pubbliche (ricordo che negli ultimi anni, non solo in Lombardia, la Sanità pubblica ha delegato al privato molte competenze, depauperando le strutture territoriali) di essere ascoltati. Non si trattava solo di una psicosi di genere ipocondriaco; a volte i sintomi erano pur solo accennati ma preannuncio di aggravamenti. Anche nella nostra altrettanto operosa città di Prato agli inizi di marzo è stato sollevato il caso di un paziente (ma posso assicurarvi che di storie simili ne ho sentite altre) che aveva più volte chiesto, attraverso il suo medico di base, che aveva riconosciuto i sintomi premonitori del Covid19, di poter avere l’esame del tampone e solo dopo vibrate pubbliche esternazioni da parte della sua dottoressa era riuscito ad ottenerlo.
Quel periodo così intensamente drammatico con il susseguirsi di bollettini di guerra quotidiani che scandivano il ritmo delle giornate sembra essere alla fine. In quei giorni chiamavamo gli amici, ne compulsavamo gli account sui social, utilizzavamo le videochiamate per abbattere il sentimento di solitudine, ci rallegravamo della nostra buona salute, ci rattristavano le notizie su amiche ed amici che combattevano con il virus (c’è chi non ce l’ha fatta, sia per il virus sia per gli acciacchi non semplici di cui si soffriva) e partecipavamo al dolore per la sorte anche di tante altre persone abbandonate inevitabilmente ad un destino molto spesso severo e nefasto nelle solitudini delle camere dove erano state dislocate le terapie intensive.

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Tutte erano amici e parenti, di tutti noi, compartecipi nel saluto commosso e distante di fronte alle lunghe file di camion militari con una infinita serie di bare.

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Abbiamo ancora, oggi a tre mesi circa di distanza, una buona memoria. Sembrano immemori invece molti di coloro che si spingono oggi a negare che vi sia stata la necessità di interventi rigorosi, spingendosi a equiparare la pandemia ad una semplice influenza stagionale. E’ uno dei tanti misteri dell’animo umano che porta all’obnubilamento per motivi ideologici, una sorta di incubo che ci riporta alla mente una oscura profezia orwelliana, con l’ irrazionalismo sociale totalitario. Addestriamo la memoria per combattere gli errori o, forse, gli “orrori”.

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J.M.

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