31 agosto PACE E DIRITTI UMANI – 22 (per la parte 21 vedi 17 agosto)

PACE E DIRITTI UMANI – 22

…Prosegue l’intervento della Signora Liviana Livi, delegata di Amnesty International

Relativamente alla pena di morte comminata ai minori, in agosto del 2000 la sotto Commissione delle Nazioni Unite sulla protezione e la promozione dei diritti umani ha dottato una risoluzione in cui si condanna l’esecuzione di minorenni all’epoca del reato, come una violazione del diritto internazionale consuetudinario. Secondo questo organismo, l’imposizione della pena di morte nei confronti di persone di età inferiore a 18 anni all’epoca del reato è contraria al diritto internazionale consuetudinario. La sotto Commissione condanna inequivocabilmente l’uso della pena di morte in questi casi e chiede agli stati di porvi fine al più presto. Nel frattempo ricorda ai giudici che l’imposizione della pena di morte contro questi imputati rappresenta una violazione del diritto internazionale. Il divieto di pena di morte nei confronti dei minorenni all’epoca del reato è diventato un principio di diritto internazionale e consuetudinario, accertato come legge e vincolante nei confronti i tutti gli stati, a prescindere dall’aver ratificato o meno i trattati in materia. Dal 1993 sono state 17 le esecuzioni dei minorenni all’epoca del reato, 12 delle quali nei soli Stati Uniti d’America, dove la Corte Suprema ha stabilito che la pena di morte può essere applicata anche nei confronti di persone che avevano 17 anni all’epoca del reato.
Sulla pena di morte negli Stati Uniti d’America posso fornire dati aggiornati: la pena di morte è prevista in 38 Stati ed in 2 legislazioni federali sia civili che militari. Nel periodo primo gennaio – 14 settembre 2000 sono state eseguite: 68 condanne a morte di cui 32 in Texas ed 11 in Oklahoma, il totale dal 1976 è di 666 esecuzioni, di cui 231 in Texas e 79 in Virginia; al rpimo luglio 2000 i prigionieri in attesa di esecuzione nel braccio della morte erano 3682, di cui circa il 46% bianchi ed il 43% afroamericani. Di essi 69 erano stati condannati a morte per reati commessi quando erano minorenni, 83 erano cittadini stranieri: dalla ripresa delle esecuzioni 41 condannati a morte hanno ottenuto la commutazione della pena ed 87 sono stati rilasciati perché innocenti. Quanto agli errori giudiziari, l’11 giugno sono stati pubblicati i risultati di uno studio approfondito sul tasso di errori verificatesi nei casi di pena di morte negli USA, tra il ’73 ed il ’95. L’indagine durata 9 anni e condotta da James Leiman della Columbia University School Law, ha preso in esame 5760 sentenze capitali e 4578 appelli che risalgono a 23 anni in questione. Durante il periodo preso in considerazione le corti d’appello hanno trovato errori gravi con conseguente annullamento della sentenza: in quasi 7 condanne a morte su 10, l’82% delle condanne a morte annullate sono state mutate in pene più lievi, mentre in 7 casi su 100 l’imputato è stato addirittura scagionato. Gli errori nei processi sarebbero talmente numerosi che occorrono in media 3 livelli di revisione giudiziale per trovarli tutti; lasciando, secondo gli autori, fortissimi dubbi che si riesca effettivamente a scoprirli tutti, la documentazione allegata illustra centinaia di esempi: avvocati addormentatisi in aula, cittadini afroamericani esclusi dalle giurie nei processi contro un imputato di colore, giudici che hanno screditato un imputato davanti ai mezzi di informazione nel corso del processo.

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Non ci sono difensori della Democrazia di serie A o di serie C (con un breve preambolo)

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Nelle ultime ore alcune persone, compagni di Sinistra, hanno pensato di poter assegnare “patenti” di autenticità democratica al sottoscritto. Rivendico la mia “libertà”: come sempre, ho svolto un ruolo di profonda autonomia. Devo aggiungere che non riconosco in alcuni di essi (quelli più radicali) il diritto di ergersi a giudici del “mio” pensiero. Ciò nonostante li rispetto per le loro libere scelte.

Giuseppe Maddaluno (Joshua Madalon)

Non ci sono difensori della Democrazia di serie A o di serie C

Sembra che le sorti della Democrazia siano collegate al numero dei rappresentanti nel Parlamento: perlomeno questo è quanto si va costantemente affermando tra i sostenitori del “NO” al quesito referendario al quale dovremo rispondere, come “cittadine e cittadini” di questo nostro Paese il 20 ed il 21 settembre p. v..
I sostenitori del “SI” dunque dovrebbero essere dei reazionari oligarchici o sprovveduti in balìa di un disegno oscuro.
Chi ha a cuore la Democrazia dovrebbe in primo luogo ragionare intorno alle insidie antidemocratiche e mettersi alla prova in modo diretto, a partire da una forma di autocritica che si incentri sul livello di Democrazia applicato ai propri “ristretti” ambiti e realtà sociali e politiche circostanti.
La realtà della nostra società non verrà modificata dalla vittoria del Si nè tantomeno la Democrazia, fosse essa in pericolo, potrebbe essere salvata dalla vittoria del NO. Sono molti – e ben – altri i motivi che fanno temere una deriva antidemocratica in Italia: tra questi c’è la netta prevalenza, rispetto alla Politica, il cui “Primato” traballa da tempo, degli interessi finanziari di grandi gruppi di potere che sono ormai i veri “regolatori” della vita sociale, culturale (sigh!), economica e…politica nel nostro Paese.
Non si può non rilevare che – in questa occasione (ancora una volta) – finiscano per emergere gli aspetti più deleteri delle costruzioni ideologiche veterocomuniste (non considero questa accezione negativa laddove chi se ne avvalga sappia declinare in chiave contemporanea i valori fondanti di quelle sacrosante impalcature). Si richiamano in vita in modo acritico ed astorico i vecchi fantasmi della P2, i cui progetti vengono utilizzati a scopo mistificatorio. Ho ripetuto in questi giorni, senza alcuna accentuazione, quali siano le “ragioni” per il “SI”, altrettanto convinto che non basterebbe una vittoria del “NO” per fermare un qualsiasi tentativo di attacco alla Democrazia.
Rilevo che alcune banalità, come quella del limitato “risparmio” derivante dalla riduzione del numero dei parlamentari, finiscono per essere ridicole. Si casca nella provocazione dei principali sostenitori del quesito, che hanno cavalcato populisticamente tale scelta. E così si risponde che il “risparmio” sarebbe irrisorio. Direi di più, se ci si ragiona: non ci sarebbe alcun risparmio. Ben presto le “caste” politiche troverebbero il modo per rimettere in gioco tali meccanismi e ciò che si guadagna con i “risparmi” finirebbe per essere dilapidato. Ovviamente, il giochino propagandistico degli oppositori (trovo altrettanto amena la contraddizione che emerge con un numero spropositato di oppositori che poco tempo prima erano anche tra i maggiori proponenti legislativi di tale “obbrobriosa” scelta) sarebbe quello di rilevare l’esiguità di tale risparmio. E’ un’altra forma di mistificazione non dissimile dalle numerose “fake-news” di cui si accusa l’Opposizione in lungo ed in largo.
Occorre dunque essere vigili, ma altrettanto fiduciosi nelle capacità istituzionali e popolari: bisogna aprirsi alle interlocuzioni non rinchiudersi inb ristretti ambiti, dei recinti ben delimitati dove sentire appagata la propria convinzione

A POZZUOLI metà anni Settanta del secolo scorso: COLLETTIVO TEATRALE ’75 “Ccà puntey ll’arbe!” “Per il decentramento culturale” – Presentazione

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A POZZUOLI metà anni Settanta del secolo scorso: COLLETTIVO TEATRALE ’75 “Ccà puntey ll’arbe!” “Per il decentramento culturale” – Presentazione

Negli anni Settanta ferveva l’attività culturale giovanile e sempre più la Cultura si avvicinava alla Politica militante. In quegli anni, prima che decidessi di cercare lavoro lontano (il mio primo incarico fu in un Istituto Tecnico Industriale di Bergamo con un “corso serale per operai”; il mio primo lungo incarico fu al confine con l’Austria, ad Auronzo di Cadore), avevo anche organizzato un riuscitissimo e frequentatissimo Cineforum nella Sala Parrocchiale di Arco Felice, la Parrocchia San Luca e Santi Eutichete ed Acuzio. Fu, questa, un’iniziativa di discrimine per la mia formazione. Il programma era di Sinistra, in quel tempo Sinistra vera, essendo collegati molti dei film ad autori che si riferivano direttamente al PCI. La mia fu una scelta “naturale” ed autonoma, non concordata con il Parroco, ch evidentemente aveva riposto in me la massima fiducia. Ed io, scegliendo quelle opere “militanti” tra cui un paio di documentari come “Napoli” di Wladimir Tchertkoff e “Il sasso in bocca” di Giuseppe Ferrara o film come “Seduto alla sua destra” di Valerio Zurlini sui movimenti per la liberazione ed indipendenza dei paesi africani, feci evidentemente una scelta non condivisa, tanto che, anche se fossi rimasto a Pozzuoli non avrei potuto ripeterla in quegli ambienti.
Per fortuna c’erano spazi, come il Centro Sociale Flegreo in Via Virgilio 8, disponibili ad ospitare eventi più o meno simili. Fu in questo luogo che ebbi modo di contribuire ad allestire un’operazione originale come la rielaborazione in dialetto puteolano di un classico popolare molto frequentato soprattutto (ma non solo) allora dalle compagnie teatrali amatoriali (“filodrammatiche”) del Sud, quella “Cantata dei pastori” che celebra in modo molto laico la nascita di Cristo, puntando l’attenzione allo scontro tra il Male ed il Bene ( i Diavoli e gli Angeli ) con personaggi appartenenti alla tradizione popolare, come Razzullo,uno scrivano, e Sarchiapone, un barbiere oltre al timido umile pastorello Benino, all’interno del viaggio di Giuseppe e Maria verso Betlemme.
Tra il 1974 ed il 1975 alcuni di noi, dotati di magnetofono portatile (io ne possedevo uno pesantissimo che mi trascinavo a tracolla), camminavamo tra i vicoli del porto di Pozzuoli alla ricerca di fonemi dialettali da utilizzare nella traduzione dall’italiano e dal napoletano. Tutto quel materiale fu poi ascoltato attentamente e si procedette al lavoro di adattamento, a partire da un titolo che aveva anche un intento beneagurale per le prospettive sociali culturali e politiche delle generazioni cui appartenevamo.

Nel prossimo post riporterò il testo di presentazione del nostro lavoro. In quell’impresa furono protagonisti gli artisti Giuseppe La Mura e Giancarlo Tegazzini, che avevano seguito lo stesso mio percorso creativo, di cui ho trattato di recente con i due post dedicati a “Il piccolo caffè”.

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PERCHE’ AL REFERENDUM sulla riduzione del numero dei parlamentari voterò SI – tre miei post del febbraio u.s.

PERCHE’ AL REFERENDUM sulla riduzione del numero dei parlamentari voterò SI – tre miei post del febbraio u.s.

POST del 16 febbraio 2020

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VERSO IL REFERENDUM SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI – 29 MARZO

Il 29 marzo andremo a votare per un referendum per confermare o rigettare il taglio dei parlamentari. Come tanti sono in grande imbarazzo: comunque vada, mi dico, continueranno a dettar legge i soliti apparati. Se viene fermato il taglio canteranno vittoria la gran massa dei politici di mestiere, soprattutto quelli che non hanno un loro passato professionale “normale” avendo vissuto solo di “politica”. Strano a dirsi ma accadrà la stessa cosa, se invece il “taglio” sarà confermato. Nei primi giorni di ottobre dello scorso anno (il 2019) una maggioranza ”bulgara” vicina al 100% ha approvato il taglio (vedi foto in evidenza). E’ molto strano, paradossale, davvero assurdo che, poi, molti di quelli che hanno votato per il taglio, oggi si impegnino a partecipare al referendum sostenendo proprio il contrario di quella scelta. Ma la Politica, conosciuta come Arte del possibile ( e, dico io, dell’impossibile ), è fatta così.

Mi sento – e lo sono – un comune cittadino informato e consapevole. Ed esprimo i miei dubbi.
La chiamano “Democrazia”, ma il “demos” è sostituito da una congerie di lobbies, veri e propri potentati economici o subeconomici che mirano a realizzare macrointeressi di classe concedendo benevolmente poco più che briciole al “popolo”, ovvero alla parte più debole di un Paese.

La rappresentanza indiretta stabilita dalla nostra forma di “repubblica parlamentare” non consente il pieno esercizio della “democrazia” da parte dei cittadini. Occorre dunque prevedere una regolamentazione che permetta una vera partecipazione popolare alle fasi di reclutamento e di accesso alle liste o perlomeno si abbia la possibilità di esprimere delle preferenze e semmai di poter utilizzare la forma del voto disgiunto. Invece sia nella scelta del personale politico rappresentativo sia in quelle di carattere politico ed economico generale pochi sono coloro che gestiscono il potere quasi sempre a proprio esclusivo vantaggio ed a danno dei molti.
Tra qualche settimana andiamo a votare per il referendum che tratta del “taglio del numero dei parlamentari italiani”.

Sottopongo al lettore una (la n.5 su 9 pubblicate su
http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/2020/02/12/faq-sul-referendum-costituzionale-del-29-marzo-sul-taglio-dei-parlamentari/) delle FAQ preparate dal Comitato per il NO al taglio. Intendo rilevare che nella risposta, peraltro convincente se tutto quel che si scrive dipendesse da “altri” (un “nume” cattivo, un “despota” sanguinario), vi è la “soluzione”: chi viene eletto quasi sempre “non “ rappresenta i propri elettori nel senso vasto, ma quella piccola parte “di potere” che gli ha consentito di poter essere eletto. Ragion per cui anche se i parlamentari si riducessero, poco cambia per il “popolo” se non vengono realizzati dei correttivi metodologici utili alla costruzione di un vero e proprio rapporto con i territori.
Questa la domanda assertiva
A: La riduzione del numero dei parlamentari non incide sulla rappresentanza, anzi la rende più autorevole.
Questa è invece la risposta
B: Completamente falso. Se si riduce il rapporto fra cittadini e parlamentari si incide profondamente sulla rappresentanza politica, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.Perché si realizzi una vera rappresentanza politica, bisogna che i singoli parlamentari abbiano una relazione reale e continua con i problemi del territorio in cui è avvenuta la loro elezione e dei cittadini che ci vivono, nonché un rapporto costante, non limitato al momento del voto, con i propri elettori. Meno sono gli eletti e più difficile è realizzare quel rapporto. Questo inevitabilmente nuoce all’azione dei parlamentari sul piano qualitativo perché riduce la possibilità di una conoscenza dei problemi concreti.Quindi la rappresentanza politica ne risulta peggiorata.

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Ne riparleremo

Joshua Madalon

26 febbraio
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I VASI COMUNICANTI, MACHIAVELLI E IL NUOVO PRINCIPE perchè NI o forse SI

Tra poco più di un mese si dovrebbe votare (Coronavirus permettendolo) per un referendum sul taglio dei parlamentari. Come ho già scritto, sono in forte imbarazzo: forse non partecipo al voto, forse mi astengo o…forse voto SI. La qual cosa mi porrebbe ancor più in disaccordo con il mio gruppo di riferimento attuale che è “Prato in Comune”. Eppure, non ho fatto nessuna mossa per far prevalere la mia posizione, lasciando che altri esprimessero la loro; ancor più, una volta espressa da maggioranza molto netta la scelta per il NO, ho comunicato personalmente al coordinatore pratese del Comitato per il NO l’adesione dell’Associazione.
Ho anche aggiunto che nessuno di coloro che ha optato in nuna rapida consultazione per il Ni o per il SI, avrebbe dovuto partecipare per rispetto della maggioranza ad una campagna favorevole al SI.
Non posso tuttavia esimermi dal rappresentare le motivazioni per cui in controtendenza rispetto a tanta parte della Sinistra sono più orientato a non seguire le indicazioni comuni.

Una visione elitaria
Ho parlato di paradossi e contraddizioni in un altro post dove in qualche modo sottolineavo l’incoerenza che emerge tra il voto dei primi giorni dell’ottobre scorso (circa cinque mesi fa) e la decisione di andare a referendum. Il primo paradosso è evidenziato dalla sottolineatura di una riduzione numerica della rappresentanza, come se quella attuale composizione di eletti non dovesse essere riconosciuta come “rappresentativa” mentre lo sarebbe la “futura” semmai numericamente (ma, dico io, non solo numericamente) omogenea. Credo che la “rappresentatività” è – sì certamente – limitata, ma non certo per il numero dei rappresentanti. Ben altri sono i problemi della nostra “Democrazia” e non sarebbero portati a soluzione nè con 945 (630 + 315) nè con 600 (400 + 200) parlamentari. D’altra parte i 945, se fossero riconosciuti come rappresentativi, dovrebbero avere il rispetto democratico dell’intera popolazione rappresentata e di conseguenza delle scelte portate a compimento così altamente “rappresentative” (il 97 circa di percentuale).
L’altro paradosso è dato dalla scelta di porre in evidenza il fatto che la riduzione avvantaggerebbe chi ha più mezzi e più risorse, i più ricchi e possidenti. Sono perfettamente d’accordo, ma mi impunto sui pilastri della mia polemica, che – lo ribadisco – è da Sinistra, senza “se” e senza “ma”. C’è qualcuno che vuole farci credere che sarebbe il numero (un compagno mi ha detto che lui sarebbe favorevole anche a raddoppiare, triplicare il numero dei parlamentari) a decretare l’applicazione democratica della Carta o la presa in carico degli interessi dei più deboli tra i rappresentati? a far sì che ad essere rappresentanti possano essere chiamati figli del popolo come volevano alcuni nostri “padri” storici e costituenti?
Ciò che è drammatico – a me pare – è che nessuno tra i sostenitori primari del mantenimento dell’attuale numero di parlamentari, nessuna forza politica, ivi compresa la Sinistra ed il Movimento 5 stelle, abbia una visione aperta e democratica pronta a rivedere i meccanismi primari nella scelta dei propri “rappresentanti”. Trovo sia elitaria dappertutto: come si scelgono i rappresentanti del popolo? Con quale legge elettorale? Vedo listini bloccati e candidature uniche nei quali e nelle quali gli aspiranti “eletti” sono inseriti dall’alto delle Segreterie con decisioni tutte all’interno di chiuse stanze su undicazioni degli apparati, quelli macro e quelli micro, quelli interni e quelli esterni, ma sempre “tali” sono.
D’altronde chi naviga, chi – come me – ha navigato nel mare della Politica sa perfettamente che non è consentito per limiti oggettivi la pratica della Politica amministrativa e parlamentare a chi non abbia risorse proprie o a suo sostegno, a meno che non si abbiano “padrini” illuminati alle spalle, che prima o poi, però, potrebbero passare all’incasso, per sè o per i suoi.

Il titolo “ I VASI COMUNICANTI, MACHIAVELLI E IL NUOVO PRINCIPE” può apparire fuorviante ma, leggendo il post n.2 forse riuscirò a spiegarlo.

Joshua Madalon

27 febbraio 2020

I VASI COMUNICANTI, MACHIAVELLI E IL NUOVO PRINCIPE perchè NI o forse SI parte 2

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Nel post di ieri non era chiaro il riferimento al titolo. Qui, dopo alcune righe di ulteriore commento alle ragioni del NO e quelle del NI o forse del SI, brevemente illustro il senso del titolo.

“o Franza o Spagna, purché se magna”

In linea di principio il ragionamento di chi propende per il NO non fa una grinza, tuttavia…..pecca di concretezza, disegnando un Paese assai lontano dalla realtà e ad esso rapportandosi nelle analisi e nelle prospettive. Costruito intorno ad un’ utopia ideologica. Purtroppo è uno dei difetti periodici della Sinistra, quello di assumere come propria la difesa di fortini dentro i quali si annidano poi molti dei suoi nemici, ipocriti e ciarlatani, ingannatori. E’ così che tanta gente per bene, convinta di partecipare ad una sacra crociata si trova ad essere fantoccio inconsapevole del Potere, quello senza distinzione di colore o casacca, che nel mentre si lancia contro il qualunquismo, se ne avvantaggia crogiolandosene al suo interno.
L’incauto ingenuo sostenitore di tali pseudo difensori della Democrazia e della Libertà utilizza, pensando a propri ideali vantaggi, una costante sopravvalutazione dell’elemento ideologico fondamentalmente acritico ed improduttivo a asvantaggio della concretezza. C’è chi è convinto di porre un argine alla Destra ma non si rende conto che va sostenendo forme ormai indistinte di governo.
Comunque vada i conti per chi conta andranno a gonfie vele. Ecco il riferimento ai vasi comunicanti. O si vota o non si vota i vuoti si riempiranno, gli spazi saranno coperti sempre dalle stesse persone, quelle che verranno scelte al di là di quanto uno, o più di uno, avrebbe desiderato.
Si fa un gran argomentare di rappresentanza ma nulla si dice e nulla si è fatto e si fa nel concreto per riformare la modalità di reclutamento e di inserimento nelle liste dei candidati. Gli esempi concreti non mancano: a Prato, città nella quale vivo e dalla quale scrivo, gli elettori del Centrosinistra, di quel PD rosa pallido, alle ultime elezioni politiche avevano l’unica possibilità di votare un candidato davvero spurio, lontano dal territorio e “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. E nel meccanismo elettivo regionale nella prossima occasione ci saranno ancora una volta listini bloccati.
Si parla molto per slogan e non si scende mai nel concreto. Al di là dei numeri dei parlamentari ci sarebbe davvero da riformare il meccanismo rappresentativo, rendendolo più legato ai territori ed in grado di corrispondere maggiormente ad una sua diretta rappresentanza.
Inoltre sarebbe opportuno avere rappresentanze più diffuse sui territori e meno nel Parlamento. Chi oggi si impegna a mantenere (o, come dice un compagno ad aumentare addirittura) il numero di “parlamentari”, dovrebbe nel contempo impegnarsi – MA NON A CHIACCHIERE – a realizzare un DECENTRAMENTO operoso più collegato ai territori periferici.

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Allorché richiamo la figura di Machiavelli mi ricollego essenzialmente al suo “pessimismo”, quello con il quale egli interpreta il conformismo degli intellettuali e l’”utilidiotismo” dei suoi contemporanei, nessuno escluso.
Certamente la figura “forte” che a volte si auspica da parte del “popolo” sarebbe una reale punizione della dabbenaggine comune e della incapacità a concretizzare un discorso più ampio e collettivo di tipo riformatore che parta davvero, però, dai bisogni dei tanti: se ne avvantaggerebbero “tutti”, non solo i più potenti, perché vivere in un mondo più felice rende tutti felici.
Uno dei rischi, forse il più duro per chi crede negli ideali, sarebbe la rivalutazione del “qualunquismo”, del disimpegno. Una Democrazia che tuttavia non vede la partecipazione dei cittadini (vedi Napoli e poi pensa anche al referendum nel quale il “quorum” non sarà significativo per il raggiungimento del risultato) andrebbe riformata. Ovviamente occorrono dei “correttivi” democratici rispettosi della ragione di una possibile maggioranza. Oggi tutto ciò non è possibile, ma un legislatore dovrebbe intervenire in merito, non fermarsi all’immanenza degli eventi.
Ecco alcune delle ragioni per cui mi sento molto lontano da coloro che, senza costruire progetti e prospettive ragionevoli, affermano che occorra votare contro il taglio dei parlamentari.

Joshua Madalon

LA SCUOLA AL TEMPO DI BERLUSCONI – PARTE 11 25 anni dopo ”Le colpe dei padri ricadranno sulle spalle dei figli” per la parte 10 vedi 16 agosto

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LA SCUOLA AL TEMPO DI BERLUSCONI – PARTE 11 25 anni dopo ”Le colpe dei padri ricadranno sulle spalle dei figli”

Chi ci ha governato – e chi ci governa – in questi anni non ha modificato in meglio ciò che pure molto spesso ha criticato. Dopo Berlusconi, la Moratti e la Gelmini sul comparto Scuola (e Università) si è prodotto un progressivo incessante intervento mortificatorio delle competenze e vessatorio nei confronti di coloro che nella Scuola (e nell’Università) operano o ne sono fruitori diretti ed indiretti.
Attualmente a causa delle difficoltà sopraggiunte con la crisi pandemica si procede a tentoni e il Governo Conte, che pur ha grandi meriti, mostrando una grande padronanza dei propri mezzi, che nasconde tuttavia una incapacità progettuale, che non produce effetti benefici nè a breve nè a medio termine, non è riuscito a rimettere in moto le energie positive che nella Scuola non sono mai mancate.
In questi post (“La scuola….” e “I conti non tornano”) ho riportato quel che avveniva non solo per demerito delle Destre ma anche per quelli della Sinistra intorno agli anni Novanta del secolo scorso e nell’approccio non ho notato differenze “ideologiche” ma un’opera costante di smantellamento della libertà di coscienza perpetrata a danno delle future generazioni. Non c’è stato mai una seria presa in considerazione delle urgenze denunciate (l’abbandono scolastico, la inadeguatezza delle strutture scolastiche, un reclutamento per meriti a partire dal giusto riconoscimento delle competenze acquisite in modo diretto da parte del precariato “anziano”, sempre più anziano ed una retribuzione dignitosa) ed oggi, il “futuro” di ieri, se ne pagano le conseguenze, sia per i “morsi” della pandemia sia per l’abbassamento del livello culturale generale prodotto in questi anni di abbandono ed incuria. E’, se vogliamo essere buoni e concedere ai “contemporanei” la buona fede, il classico “piangere sul latte versato” ma, a ben vedere, neanche i “nostri” di oggi sembrano essere in grado (o fingono di voler cambiare le “cose” ma non ne hanno nemmeno tanta voglia!) di procedere verso un cambiamento.
Ho scritto più volte sui temi della Scuola; a favore del Ministro posso dire che si sta trovando ad operare in un terreno molto difficoltoso, pieno zeppo di insidie: a suo sfavore – qui mi ripeto – sta il non aver compreso (almeno a me così sembra) che l’assunzione delle responsabilità pregresse non può essere addossata a questo Governo, poichè per la maggior parte non le appartengono. Di certo una parte di questo Esecutivo ha grosse colpe ma non sarà semplice fargliene riconoscere alcuna: le parole “pentimento” ed “autocritica” sono sconosciute nel ceto politico corrente. Mostrare una grande sicumèra come fa la Azzolina di fronte alla catastrofe, lasciando credere che “tutto andrà bene” (questo poteva servire come “placebo” durante il “lockdown” ma ora è il tempo delle scelte), e magicamente a settembre tutto funzionerà alla perfezione, è da “irresponsabili”. Occorre avere il coraggio di dire che la situazione è tragica a causa dell’incuria di decenni, della quale sono corresponsabili Governi di Centrodestra e di Centrosinistra. Il problema serio è che se non c’è “condivisione” nella compagine nel riconoscere tali trascuratezze ed inefficienze si rischia di rompere la maggioranza. Bene! Di fronte a tali possibili scenari preferirei la “chiarezza” e non la sopravvivenza in questa fetida palude dell’ignavia

Joshua Madalon

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CINEMA – Storia minima 6 – Primi anni Trenta – continua (per la 5 vedi 14 agosto)

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CINEMA – Storia minima 6 – Primi anni Trenta – continua (per la 5 vedi 14 agosto)

Oltre a Dreyer, in Germania, abbiamo la presenza di quel grande autore di origine austriaca, Georg Whilhelm Pabst, che aveva esordito nel decennio precedente alla fine del quale aveva ottenuto un grande successo con “Il vaso di Pandora”. Egli prosegue con una serie di successi, collegati all’introduzione del sonoro.

Dopo Westfront (Westfront 1918) che , nel 1930, primo suo film sonoro, racconta la tragedia vissuta negli ultimi anni della prima guerra mondiale dai soldati sul fronte Ovest, Pabst realizza nel 1931 sia “L’opera da tre soldi”, derivato dal dramma brechtiano sia “La tragedia della miniera” che, come “Westfront” è un invito a privilegiare una visione politica internazionalista, inneggiante alla pace dei popoli, di fronte al preannuncio di tutt’altra direzione da parte dei poteri fascisti e nazionalsocialisti.

Del 1931 va ricordato il documentario narrativo “Tabu – una storia dei mari del Sud” di un Murnau che non ti aspetti dopo il periodo espressionista. “Tabu” risulterà un capolavoro assoluto: il risultato così eccelso è dovuto anche alla collaborazione con uno dei maggiori documentaristi della storia del Cinema, Robert Flaherty.

Tra le produzioni di quell’ anno in Germania è da segnalare, anche per la originalità del tema trattato (l’omosessualità), il film “Ragazze in uniforme” per la regia di una donna, Leontine Sagan, che dopo questo film che ebbe un destino travagliato, emigrata in Gran Bretagna, non riuscì ad emergere.

Sempre sull’onda del pacifismo internazionalista, è nel 1932 che negli Stati Uniti esce la prima edizione cinematografica del capolavoro di Ernest Hemingway “Addio alle Armi”, che era uscito appena due anni prima. La regia del film è di Frank Borzage, e si avvale di una grande interpretazione da parte di un divo della celluloide, Gary Cooper.
Negli stessi States sempre nel 1932 una nota coppia di tedeschi come il regista Joseph von Stenberg e la “diva” Marlene Dietrich, reduci dal successo de “L’angelo azzurro”, realizzano un nuovo film, che da un punto di vista qualitativo e storico non è un capolavoro ma risulterà essere campione di incassi in quell’anno: si tratta di “Shangai Express”.

Ritornando a Pabst molto interessante è la ripresa di un romanzo già trasformato in film nel 1921 da Jacques Feyder: si tratta di “L’Atlantide” di Pierre Benoit, che Pabst rielabora affidando il ruolo della protagonista a Brigitte Helm, straordinaria interprete del personaggio di Maria e del suo “alter ego automa” in “Metropolis”.

In quello stesso periodo si erano fatti strada cinque fratelli (Chico, Harpo, Groucho, Gummo e Zeppo “MARX”) che avevano praticato il “vaudeville” e la satira acuta e sferzante in alcuni film che sono rimasti nella storia del Cinema. Nel 1932 i fratelli Marx presentarono infatti “I fratelli Marx al college”. Non è loro la regia ma è molto facile riconoscere che le loro interpretazioni non abbiano bisogno di un contributo esterno: la loro carriera cinematografica è appena agli esordi ed in questo film sono in quattro (manca Gummo, il penultimo della serie). In seguito alcuni di loro lasceranno la scena, come Zeppo che già a metà degli anni Trenta si limiterà a far da manager alla “famiglia” artistica.

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La Democrazia e le Ideologie ( modeste riflessioni in attesa del Referendum sulla riduzione dei parlamentari)

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La Democrazia e le Ideologie ( modeste riflessioni in attesa del Referendum sulla riduzione dei parlamentari)

Non solo negli ultimi tempi, ma forse da molti decenni, si è parlato, non sempre in modo corretto, del “tramonto delle ideologie”. Nella società contemporanea si fa uso sempre più dei mezzi di comunicazione di massa, la cui forza di radicamento si è andata accrescendo in forma inversamente proporzionale con il livello culturale medio generale della popolazione italiana. Coloro che posseggono le leve della trasmissione dei messaggi – una minoranza sempre più ridotta – pur avendo un livello culturale molto più basso rispetto ai loro predecessori diffondono agevolmente notizie false e tendenziose allo scopo di convincere le diverse platee in merito alle loro idee. In realtà queste azioni servono a creare disorientamento, assuefazione, rassegnazione e poi, sdegno, rabbia, aggressività. C’è di sicuro un elemento di verità che tuttavia sfugge sia a coloro che sostengono la fine delle ideologie sia a quelli che invece ne contestano la crisi. Questi ultimi sono ben rappresentati dagli “ultimi giapponesi” quei soldati che resistettero (o credettero di resistere) alla resa a conclusione del secondo conflitto mondiale. I primi a volte sono soltanto mesti ripetitori, rimasticatori delle idee che provengono da settori che hanno personali interessi nel rendere piatta ed omologata la società da controllare e gestire.
Pur tuttavia sono sempre più convinto che ad un onesto democratico la “fine delle ideologie” non debba far temere di conseguenza grandi cambiamenti negativi, a patto che permanga integro – e si elevi – il livello di “Democrazia” in questo Paese e che si elevi parimenti il livello culturale generale. Ed è proprio questo il discrimine su cui avanzare delle riflessioni. E’ forse proprio questo il gradino “utopico”, alto come un muro contro il quale si infrangono i sogni. Fino ad oggi le Ideologie non hanno aiutato a crescere la Democrazia, non l’hanno aiutata neanche a mantenersi in vita, sana. Capisco perfettamente che vado affermando un pensiero “eretico”, e so perfettamente che, pur non avendo le qualità dei Santi Eretici che ci hanno preceduto, nonostante le mie affermate modeste qualità qualche solone trasecolerà indignato. In pratica, il mio parere è che le Ideologie hanno mortificato la Democrazia, l’hanno limitata, perché si sono ristrette in gruppi sempre più minoritari nei quali non circolava la discussione ma ci si fermava ai dogmi, condizionando le necessarie positive trasformazioni. In pratica “così è in modo indiscutibile” né più né meno come quelle affermazioni “talebaniche” appartenenti a diverse “religioni” dove il dubbio è perennemente negato.
Uno dei temi “attuali” su cui mettere alla prova quel che dico è il “referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari”. In modo netto ci si ferma al collegamento tra “numero” e “Democrazia”, come se fino ad oggi il livello della Democrazia italiana (che si può dire abbia dovuto fronteggiare molti attacchi e non se la passa proprio bene) sia stato mantenuto alto dal numero dei rappresentanti (e solo da questo) nel Parlamento. Chi sostiene la difesa dell’attuale “numero” non discute dei “limiti” ed eventualmente (così finisce per apparire) difende l’attuale “casta” in toto, escludendo dunque di avviare una riflessione complessiva su come incentivare la Democrazia nel nostro Paese, pur riducendo – solo – il numero dei rappresentanti nel Parlamento.
La colpa di chi osteggia tale Riforma (meramente “numerica”) sarà immensa di fronte alla vittoria dei sostenitori della riduzione, soprattutto e proprio perchè contestualmente al loro rifiuto non vi è stata alcuna controproposta a favore della “Democrazia”, applicata e reale, da mettere sul piatto della discussione. Se c’è un “vulnus” democratico reale, questo è legato alla crisi della partecipazione democratica periferica ma diffusa sui territori, non di certo quella fasulla ed ingannevole costruita allo scopo di far approvare scelte già decise all’interno di stanze molto lontane e separate dal contesto comune.

….prosegue….

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UN MIO AMPIO INTERVENTO – parte 13 e ultima (per la 12 vedi 12 agosto) – a breve il testo intero

UN MIO AMPIO INTERVENTO – parte 13 e ultima (per la 12 vedi 12 agosto)

Per andare verso la conclusione dico che sul Teatro e sul ruolo che esso deve avere nella nostra società mi appaiono illuminanti e precise le affermazioni generali rese da Luconi in Consiglio comunale nella prima parte del testo, soprattutto quando parla di un Teatro aperto; mentre per quel che riguarda la produzione ritengo indispensabile far riferimento ad alcune pagine sul Teatro (pagg.8,9) di un documento fornitomi dal precedente Assessore alla Cultura, prima della campagna elettorale del 23 aprile (1995). Un’altra questione di fondamentale importanza nell’ambito delle politiche culturali è a mio parere il Teatro Ragazzi. Si tratta di uno dei settori culturali più avanzati che la città di Prato abbia prodotto negli ultimi 15 anni. Il Teatro Ragazzi, per opera del “Teatro di Piazza e d’Occasione” ( TPO ) ha raggiunto risultati considerevoli di rilevanza nazionale ed internazionale, ottenendo svariati riconoscimenti nel settore produttivo e finanziamenti statali, svolgendo un ruolo prezioso soprattutto di tipo didattico. Ci sono dati incontestabili sul lavoro svolto e sui risultati ottenuti, che non lasciano alcun dubbio.

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In questi ultimi tempi, però, la storia del Teatro Ragazzi si è andata intrecciando con le problematiche connesse all’atavica mancanza di strutture culturali nella nostra città ed al destino del Teatro Santa Caterina, sede “storica” di questa attività.
Proprio negli ultimi giorni, poi, dovendo il Comune procedere al restauro del Santa Caterina, il dibattito, diciamo così, è entrato nel vivo, cosicché all’interno della Giunta si sono fronteggiate due tipi di scelta sul futuro di quella struttura: la prima che prevederebbe l’uso per uffici comunali, l’altra che riterrebbe più opportuno un uso culturale polivalente. Fatto sta che soprattutto l’una ma anche l’altra non consentirebbero, pur prevedendola a parole, la sopravvivenza dell’esperienza del Teatro Ragazzi e, di riflesso, del TPO, che ne è l’anima, il cuore. Infatti tra le proposte avanzate al TPO, da quel che ci risulta, ci sarebbe quella di rimanere nella struttura con un compito umiliante di “portierato”: posso pensare che una tale proposta la avanzi chi non si intende di “Teatro”, ma mi ha molto sorpreso sapere che una simile proposta fosse stata avanzata invece da chi si occupa prevalentemente di Teatro e da chi afferma di amare il Teatro. Io non voglio fermarmi alla denuncia: chiedo che con urgenza si affronti questo problema, con la necessaria massima serietà, sapendo che occorre difendere ciò che di buono è stato realizzato in questa città. Una delle forme possibili potrebbe essere quella di una convenzione temporanea con il TPO con l’uso di una sede per le attività e l’affidamento di una struttura “provvisoria” adeguata ai bisogni in attesa del reperimento di una “definitiva”.
Vado alle conclusioni per davvero. E dico anche con un certo imbarazzo alcune cose, che preferisco lasciare al ricordo scritto. Ho sentito più volte rivolgermi da parte di Luconi un invito “accorato e caloroso” a collaborare, senza mai chiaramente poter capire, forse per mia difficoltà, come ciò potesse essere possibile in pratica. La mia indole e la mia esperienza vorrebbero sempre accettare, il mio attuale ruolo mi dissuade – mi si creda – con molta amarezza. Sono cresciuto come operatore culturale e nell’organizzazione sia teatrale, sia cinematografica sia da poco quella musicale ho realizzato momenti anche entusiasmanti. Potrei indubbiamente dare una mano a qualcuno con cui condividere un progetto, ma per altri due motivi proprio non ci riesco, non posso: il primo, perché per ora non intravedo ancora un progetto; il secondo, perché per poterlo realizzare concordemente occorrerebbe un’investitura istituzionale che non caldeggio e che comunque non accetterei senza il superamento del primo dei due motivi.
Una questione finale: tra poco più di un mese il nostro Partito (ndt.: il PDS) dovrà tenere la Conferenza-Congresso allo scopo si rinnovare il gruppo dirigente ed il suo Segretario. Bene, io credo che non vi possa essere né Segretario né Gruppo Dirigente che non si ponga il problema di affrontare le tematiche qui da me trattate e non le avvii a soluzione. Voglio – proprio per questo – lanciare qui una sfida “culturale” ai compagni che sono o saranno candidati al ruolo di Segretario del Partito qui a Prato: comincino ad esprimersi fin da ora sulle questioni fondamentali della Cultura; io infatti credo che solo così facendo noi potremo trovare il giusto Gruppo Dirigente per affrontare il nostro immediato futuro.

Prato 20 ottobre 1995 Giuseppe Maddaluno

23 agosto Un progetto per il cinema – Prato 2 gennaio 1984 parte 7 – per la parte 6 vedi 11 agosto

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Un progetto per il cinema – Prato 2 gennaio 1984 – parte 7 – per la parte 6 vedi 11 agosto

Esistono poi alcune sale, dove si proiettano film commerciali detti “per famiglie”, che però niente hanno a che vedere con un approfondimento della storia e della tecnica del cinema. Se, però, si calcolasse una tipica ricerca di mercato la necessità di coprire questa assenza, sulla base di dati facilmente rilevabili dalla frequenza nell’istruzione superiore ed universitaria dei giovani, dall’attività scolastica svolta negli ultimi anni intorno all’arte cinetografica ed affini, dalla frequenza ed afflusso dei giovani pratesi nei locali cinematografici della città e della provincia (in particolare Firenze), dall’interesse che nei quartieri e nei vari Circoli ricreativi e culturali, Case del Popolo ed affini, si mostrasse verso il Cinema e dalla domanda che va omogeneamente aumentando quanto alla conoscenza di quest’arte, si potrebbe avere la netta sensazione che risulta indispensabile – anche se in ritardo – intervenire per ottemperare a questa richiesta complessiva con la creazione di un “Centro” che sia in grado di assolvere a questo compito;
2) Un’ulteriore “assenza” a Prato è data dalla inesistenza di uno studio approfondito sul “corpo vivo” dello spettatore cinematografico: è un’ ”assenza”, la seconda, molto legata alla prima. Abbiamo di fronte, oggi, il problema di dover intervenire in questo settore e non sappiamo, se non in maniera approssimativa e soggettivamente parziale, quali sono le effetive preferenze dello spettatore medio e di quello – il cinefilo – che pure ci interessa più da vicino, non abbiamo valutato quali siano le ragioni – io le giudico frutto di provincialismo – che spingono lo spettatore medio alto ad emigrare temporaneamente nei cinema e cineclub fiorentini, disertando i locali pratesi rei – a loro dire – di programmare in ritardo le prime visioni e di boicottare volontariamente la produzione d’essai: la diserzione in campo cinematografico vale come reato quanto le altre (diserzioni). Ci interesserebbe conoscere la frequenza degli spettatori divisa per giornate e periodi, il passaggio delle pellicole, la durata della tenitura, la qualità ed il genere dei film presentati; sarebbe anche importante affrontare uno studio accurato delle motivazioni che costringono, negli ultimi anni, un numero sempre più alto di apettatori a disertare le sale (pigrizia fisica e mentale, riflusso, prezzo del biglietto, ecc..). Una ricerca utile non si limiterebbe solo a questo, perchè non credo di essere stato completo ed esauriente, ed interesserebbe anche altri gruppi che lavorano nei vari settori dello spettacolo;
3) Manca a Prato un progetto “ideativo e pratico” che affronti, partendo dalla conoscenza di questa realtà, tutta la problematica inerente ad un intervento serio ed incisivo nel settore cinematografico. Finora, mi è parso, sono stati realizzati interventi sporadici, disarticolati e molto settoriali, ai quali comunque mancava l’apporto di un progetto complessivo di analisi, il che ha contribuito a onfondere sempre più le idee anche a chi eventualmente cominciava a chiarirsele, ha frustrato l’entusiasmo di alcuni, ha prodotto un effetto negativo “a catena”, facendo in modo che venissero sovvenzionate spesso realizzazioni sporadiche che, oltre a non possedere un progetto solido alla base – come si diceva dianzi – erano, e sono, semplicemente “avventurismi” ai quali occorrerebbe negare qualsiasi consenso politico culturale.

Fine parte 7

A POZZUOLI primissimi anni Settanta del secolo scorso – il GUAP: “Il piccolo caffè” di Tristan Bernard nella rielaborazione dialettale di Enzo Saturnino (parte seconda e ultima) per la parte prima vedi 15 agosto

A POZZUOLI primissimi anni Settanta del secolo scorso – il GUAP: “Il piccolo caffè” di Tristan Bernard nella rielaborazione dialettale di Enzo Saturnino (parte seconda e ultima)

C’è poi un signore pazzo, un personaggio un po’ strano, bislacco e rivoluzionario.
Non ci sono dubbi! Lo interpreto io, ma di me preferisco che si sappia ben poco e per questo ritorno nell’anonimato del narratore.
Il figlio del giornalista “Lodicoapapà” viene reso perfettamente da quel bravo ragazzo che ho imparato pian piano a stimare e al quale devo tante scuse per il tempo che talvolta gli ho fatto perdere: sto parlando di Francesco Romeo. Le sue qualità artistiche sono poliedriche e ha fatto bene il nostro regista Enzo Saturnino a dargli fiducia. La piccola Patrizia Basile nelle sue poche battute peraltro essenziali per la costruzione di un personaggio dimostra che con il prossimo anno, varcate di certo le soglie dell’Università, potrà ben dedicarsi con una maggiore disponibilità di tempo anche all’interpretazione di ruoli più definiti e consistenti.
Nel ruolo di un “habituèe” di un locale alla moda, Rosario Testa, altro esordiente di buone speranze. La signorina Varzi con arte quasi consumata darà un’interpretazione magnifica (ve l’assicuro) di un personaggi di quelli che siamo abituati a vedere molto spesso ( e fanno tanto colore!) come quelle vecchiette bisbetiche e tutto pepe, curiose ed indiscrete.
La signorina Miriam Valli non è da meno nella resa artistica di una donna alla ricerca di un’elevazione sociale che si dà tante arie e fa un uso frequente di ipercorrettismi. La giovane Leda Pandolfi è anche lei agli esordi. Il suo ruolo le è efficacemente congeniale, pur essendo breve. Il mio augurio sincero è quello di una carriera futura colma di belle soddisfazioni. Gennaro Testa (lo ricordate come cameriere in una precedente commedia?) ha dovuto imparare velocemente una nuova lingua, straniera, per poter recitare. Ha dovuto sudare più di sette camicie ed ora darà il suo esame di fronte al pubblico. Sarà promosso? Noi tutti lo speriamo. L’amico che mi è accanto in questo momento, mentre scrivo, mi prega di non nominarlo ma vi assicuro che comunque vada nel complesso lui sarà una rivelazione nel ruolo di fattorino: parlo di R. Dolfi, pseudonimo che nasconde un cognome pressochè simile.
Osvaldo Renzi come anche Maurizio Carli sono altri pseudonimi dietro cui si nascondono noti personaggi della vita locale che debuttano con questa commedia come attori nel Teatro Puteolano. Il simpatico Gianni Pidota, peronaggio popolare della Pozzuoli bene, interpreta un ruolo per il quale merita una menzione speciale, in quanto rivela un certo spirito e dovrebbe certamente riuscire ad avere un certo successo insieme a tutta la sua personale “troupe” di comparse. Per Carlo Nasprato non ci sono parole adeguate. Il suo personaggio, fondamentale per il teatro universale, è reso in maniera ricca dal bravo Carlo che già in precedenza ha dato prova della sua abilità scenica. Non bisogna però dimenticarsi di tutti coloro che, pur lavorando per la riuscita complessiva del lavoro, saranno nascosti dietro le quinte nel momento dell’attuazione. Intendo riferirmi agli scenografi Peppino La Mura e Giancarlo Tegazzini, che durante tutto il periodo delle prove hanno preparato numerosi bozzetti, tra i quali sono stati scelti i due che serviranno come scene del nostro lavoro. I bozzetti per i costumi sono stati disegnati dal caro amico Enzo Maiorano, che si è molto adoperato come gli altri suoi amici e collaboratori sia alla riuscita tecnica della commedia sia alla promozione pubblicitaria. Le luci e gli arredamenti sono curati rispettivamente dal signor Conte e dal professor Mirabella.
Sperando di potervi e poterci divertire interrompiamo questa “breve” panoramica sui protagonisti del lavoro augurando a tutti voi di poter trascorrere una buona serata in nostra compagnia e ARRIVEDERCI ALLA PROSSIMA RAPPRESENTAZIONE.
G.M.