15 dicembre – DENTRO IL LOCKDOWN – le disuguglianze tra “pregresso” e “futuro” parte 1

DENTRO IL LOCKDOWN – le disuguglianze tra “pregresso” e “futuro”

Non ci voleva la sfera di cristallo per capire che con la diffusione del contagio e le scelte sacrosante del Governo nel voler limitare al massimo la circolazione delle persone e del virus una parte della popolazione italiana avrebbe subìto gravi contraccolpi economici, per tutta una serie di motivi.

In primo luogo, come mi ostino da un po’ di tempo in qua a evidenziare, va considerato il “pregresso”. Non possiamo dimenticare infatti che in Italia una gran parte del “lavoro” non è svolto alla luce piena del sole: la piaga del “lavoro nero”  è pratica diffusa, lo è stata e lo era anche quando la pandemìa ha prodotto i suoi effetti negativi sulla “nostra” società.

Chi lavora in modo irregolare totalmente senza coperture assicurative previdenziali è stato condizionato in modo tale da non poter vantare le giuste coperture statali (i cosidetti ristori); laddove poi il datore abbia eluso la dichiarazione di una parte del tempo lavoro l’operatore dovrà contare solo su quel che è stato dichiarato che molto spesso è una parte minima del totale ricevuto.

In una realtà come quella del nostro Paese in cui non si sono  ricercati metodi per abbattere questa piaga il risultato della chiusura per alcuni mesi di molti esercizi commerciali e di tante altre attività artigianali ed industriali è stato drammatico per tante famiglie.

Si sono fermate anche tutte le attività collegate al Turismo, al Teatro, alla Cultura in generale. Le città si sono svuotate e si è diffuso il pessimismo, temperato solo da una forma quasi naturale di resilienza, che in larga parte della società è riuscita a creare anche qualche progettualità innovativa.

Senza dubbio, però, alcuni errori fondati essenzialmente su egoismo e scarso senso pratico di prospettiva hanno prodotto immensi danni aprendo le porte alla “ripresa” di una pandemìa che a questo punto ha decimato la popolazione soprattutto quella anziana. Le immagini della coda della nostra estate con le discoteche piene di giovani festanti sono state l’annuncio dei danni che sarebbero stati inferti dalla diffusione dei contagi. Può anche darsi che non siano stati “solo” quei giovani, come spesso sentiamo dire da chi non vuole gettare la croce sul desiderio di socialità che emerge da quelle immagini, ma è un dato di fatto che la stragrande maggioranza delle persone adulte o in ogni caso rispettose delle prescrizioni,  e soprattutto quelle “anziane” come me, ha mantenuto una condotta di vita super prudente, tenendosi lontano da quelle tentazioni.

Ritornando al “tema” richiamato dal titolo passerei ad evidenziare l’urgenza di procedere ad una revisione dei nostri stili di vita. Se da una parte la piaga del lavoro nero ha contribuito a creare “povertà” dall’altra sono state le nostre abitudini a produrre un vero e proprio disastro “a catena”: moltissimi hanno vissuto al limite o superando il limite delle proprie possibilità, spendendo quanto guadagnavano o addirittura di più. Questo stile ha ovviamente creato una “cultura” dello sperpero cui sono state date naturalmente risposte da parte degli esercenti, per cui molte attività commerciali si sono diffuse “al di là del reale bisogno” . La pandemìa ha ovviamente creato un vuoto che ora difficilmente potrà essere colmato senza una vera e propria restyling delle nostre abitudini.

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