31 gennaio – CINEMA – Storia minima 1938 parte 14 (per la parte 13 vedi 11 gennaio)

CINEMA – Storia minima 1938 parte 14

Per la prima volta accennerò ad un autore, la cui carriera era cominciata nella sua terra natale, l’Ungheria, fin dal 1912, a 26 anni. Tra l’Ungheria, l’Austria e la Germania girò una settantina di film fino a quando non emigrò negli Stati Uniti dove sia da un punto di vista realizzativo sia da quello artistico di primissimo livello realizzò film che saranno ricordati per sempre come punti di riferimento per i cinefili, uno per tutti quel “Casablanca” così amato dai cinèfili. Negli USA era arrivato nel 1926 con un bagaglio tecnico invidiabile. Il film di cui trattiamo, pur brevemente, è La leggenda di Robin Hood (The Adventures of Robin Hood). Il film che vide la collaborazione di William Keighley è ovviamente basato sulla classica vicenda ambientata nell’Inghilterra a cavallo tra XII e XIII secolo al tempo di Riccardo Cuor di Leone e dell’usurpatore Giovanni Senzaterra. La figura del cavaliere Robin Hood che sceglie di farsi ribelle per passione civile e sete di giustizia – e per l’amore verso la dolce Lady Marian – mescolandosi con altri compagni in lotta contro lo Sceriffo di Nottingham, è interpretata da Errol Flynn. Il film ottenne i massimi riconoscimenti con tre Oscar nel 1939migliore scenografiamiglior montaggio e migliore colonna sonora

Nello stesso anno, il 1938, Michael Curtiz gira un altro dei suoi film memorabili e che hanno utilizzato al meglio gli attori che lo interpretarono, caratterizzandone anche nello stesso titolo il futuro: ne “Gli angeli con la faccia sporca” i protagonisti Rocky Sullivan e James Frazier sono interpretati da due “mostri sacri” della scena cinematografica, James Cagney e Humphrey Bogart. Il film non ottiene gli stessi riconoscimenti del precedente, pur avendo avuto tre candidature agli Oscar del 1939: al miglior film, miglior attore protagonista a James Cagney, miglior sceneggiatura originale.

Altro film di rilievo nel 1938 fu “L’eterna illusione” di Frank Capra, che ottenne invece sempre nel 1939 due premi Oscar, il primo al Miglior film assegnato alla casa produttrice, la Columbia University ed il secondo a Frank Capra come miglior regista. “L’eterna illusione” si inscrive in quel filone tipicamente americano di cinema populista, buonista, che riesce a ben rendere  la tipologia del “sogno americano” che domina il rapporto interclassista che potrebbe dividere i due protagonisti interpretati da James Stewart, che in questo film avviò una collaborazione con Frank Capra, e da Jean Arthur, artista più matura ed esperta rispetto al giovane Stewart: con il regista aveva già interpretato il ruolo di protagonista in “E’ arrivata la felicità” del 1936, per il quale film era stato assegnato a Capra l’Oscar nel 1937.

Per l’anno 1938 c’è da segnalare la realizzazione di un capolavoro assoluto della cinematografia sovietica – e non solo. Al ritorno in Unione Sovietica dopo la non esaltante esperienza in Occidente, il grande Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, gira “Aleksandr Nevskij”, una epopea celebrativa di un classico eroe nazional popolare, che, abbandonato il tono dimesso pacifista di dedizione alla gestione ordinaria del suo popolo di pescatori e cacciatori, accoglie l’invito di alcune realtà già occupate ed altre minacciate dall’aggressione mongola e si pone alla guida di un esercito rabberciato alla meglio e con esso riesce a sbaragliare i nemici.

…14…

30 gennaio – reloaded mio intervento su Coronavirus – 2 marzo 2020 (a Prato non c’era ancora alcuna evidenza)

LA (NOSTRA) VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (DALL’OSSERVATORIO DI PRATO)

2 MARZO 2020 


LA (nostra) VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (dall’osservatorio di Prato)

Sì, certamente! La vita al tempo del Coronavirus va un po’ cambiando. Non credo che avremo l’opportunità di abituarci a questa forma di socialità, anche se, con gli opportuni “tagliandi”, non sarebbe male che ciò si verificasse. Uno degli aspetti su cui punterei potrebbe essere quello dell’essenzialità. E soprattutto – mi sia consentito – modificherei l’uso strumentale di lunghi dibattiti e discussioni intorno a quel che vien detto “sesso degli angeli”. E’ stata, e purtroppo è, l’abitudine che ha contraddistinto molti tra noi – la critica è “autocritica” – appartenenti alla Sinistra.

Ovviamente, la mia è una semplice speranza e nell’auspicare tali cambiamenti mi affido al destino di un’epidemia che possa aiutarci a cambiare. Come dicevano gli avi “Non tutto il male viene per nuocere” ed anche questo Coronavirus potrebbe essere un elemento positivo che ci faccia ritrovare la giusta misura dell’esistenza, minimalistica al punto giusto, facendoci evitare gli sciovinismi ed i bizantinismi pelosi ai quali ci siamo abituati in tutti questi anni.
In questi ultimi giorni si esce meno di casa, ci si riappropria di spazi riflessivi, si dedica più tempo alla lettura. E’ pur vero che tutto questo posso farlo io che sono in pensione e che, tutto sommato, ho più tempo a disposizione. Ed è vero che per la stragrande maggioranza delle persone adulte in età da lavoro, sia esso autonomo o dipendente, la situazione sta provocando nell’immediato dei danni che comporteranno ulteriori difficoltà, soprattutto economiche con tutto quello che ne consegue. Anche se, con gli opportuni accorgimenti, una parte del mondo del “lavoro” potrebbe strutturarsi in modo diverso ed innovativo, utilizzando le modernissime tecnologie informatiche: un primo immediato vantaggio consisterebbe nel minor utilizzo dei mezzi di trasporto e conseguenti risparmi energetici e minor impatto ecologico. Il lavoro sarebbe anche meno stressante e più sereno.

Intanto una lezione di civiltà formidabile ci è stata impartita da questa epidemia: siamo tutti uguali (ve la ricordate “ ‘A livella “ di Totò? ). Ed è così che ci si guarda – al di là delle appartenenze etniche e nazionali – condividendo preoccupazioni e sorridendo partecipi. Facendo la fila alle casse dei supermercati schizofrenici per l’alternanza di affollamenti e saccheggi contemperati da desertificazioni: e già…una volta fatto il pieno delle provviste vi si ritorna solo per l’essenziale di cui semmai si avverte la mancanza; sostando all’esterno dell’ufficio postale – tanto non piove – dopo aver preso il numeretto per l’operazione in scadenza; tenendosi a distanza di un metro come suggeriscono gli epidemiologi; e poi, la mascherina: cosa si fa con la mascherina?
Fino ad ieri non ci si chiedeva mica cosa facessero per la strada principale della Chinatown pratese tanti cinesi con la mascherina. Ora invece siamo là a chiedercelo: fanno un’operazione di puro marketing.
In realtà non sono infettati: a Prato non c’è nemmeno un caso sospetto, nè cinese nè di altra etnia nè tantomeno – come si dice – “nostrano”.
La mascherina, dicono gli esperti, serve a coloro che hanno contratto il virus e devono evitare di infettare le altre persone con cui entrano in contatto. Dunque è una forma di salvaguardia per tutti quelli che vengono incontrati casualmente per strada o che utilizzano dei servizi nei tanti negozi gestiti da personale cinese.
Anche questo comportamento sta contribuendo a far modificare la percezione reciproca in una città nella quale i rapporti tra la comunità autoctona e quella orientale non sono stati sempre facili.
Il caso di Prato potrebbe dunque avere anche su questi temi sociologici una particolare attenzione di studio.

Joshua Madalon

29 gennaio 2021 – IL MOTIVO DI MANUTENERE UN BLOG – il mio blog

IL MOTIVO DI MANUTENERE UN BLOG – il mio blog

Il mio Blog è soprattutto un Archivio. Il motivo fondamentale per cui è nato è stato quello di mantenere in piedi una mia “testimonianza attiva” per quel che ho fatto nel corso degli anni e per quello che penso di alcuni aspetti della realtà, soprattutto quella politico culturale, antropologica, sociale. Quasi assente – per deficit culturale personale – l’aspetto economico.

Anche se “mi” propongo, utilizzando canali social (ho anche una mia pagina Facebook dove travaso i miei post quotidianamente), ad un gruppo di amici, non presumo di possedere neanche “minuscole e parziali parti di verità”. Nondimeno però quel che scrivo lo penso e non mi lascio sedurre da “guru” soprattutto ideologici, nemmeno quando si dichiarano “di Sinistra”.

Dal 19 giugno 2014 ho cominciato a scrivere, in modo particolare di esperienze culturali: il mio primo “post” è particolarmente indicativo. E’ dedicato ad un libro “al femminile”: “Le donne della Cattedrale” che parla di un’esperienza socio culturale antropologica palermitana originata in coda al G8 di Genova del luglio 2001 della quale sono protagoniste le donne. Scrivevo tra l’altro: “Negli ultimi anni mi appassiona sempre più il taglio antropologico dell’analisi della società e mi piace questa tecnica della narrazione attraverso la quale far emergere le dinamiche sociali anche le più aggrovigliate e controverse”.

In quello stesso giorno, il 19 giugno 2014, pubblicavo un altro post, riservato ad un episodio apparentemente marginale nel quale era stata coinvolta una mia ex allieva, diventata consigliera comunale per il nascente M5S. La redarguivo, la ammonivo, segnalandole che in un luogo come la Sala del Consiglio comunale (e che Sala è quella di Prato!) occorre un grande rispetto per l’Istituzione e non ci si possa andare come se si fosse su una spiaggia.

Il giorno successivo – 20 giugno – uscivo con una riflessione amara su “La mutazione antropologica” in atto dopo il ventennio berlusconiano e con questo primo mio intervento esplicativo sugli intenti da me prefissati per la conduzione del mio Blog.

QUESTO BLOG APPARTIENE A GIUSEPPE MADDALUNO ED OGNI SCRITTO E’ DI SUO PUGNO (E LA RESPONSABILITA’ DI QUANTO SCRIVE E PUBBLICA E’ SUA) A MENO CHE NON VI SIA CHIARAMENTE SCRITTO IL COGNOME ED IL NOME DEL PROVVISORIO COLLABORATORE O LA FONTE DA CUI LO SCRITTO DERIVI

Cara amica e caro amico questo BLOG può essere anche “tuo”! Si occuperà di CULTURA in tutte le sue declinazioni: CULTURA scientifica, CULTURA ambientale, CULTURA economica, CULTURA sociale, CULTURA letteraria, CULTURA storica, teatrale, cinematografica… CULTURA in ogni senso. L’Italia, il nostro Paese ha vissuto e sta vivendo una profonda crisi per mancanza di CULTURA, per l’incapacità e la rapacità di una classe dirigente politica ed imprenditoriale che ha generato i populismi di Berlusconi, Grillo e Renzi che sono stati e sono i profondi persuasori di un popolo che non riesce più a decifrare i processi storici e politici per una profonda mancanza di riferimenti culturali.E’ chiaro che non posso nascondere la profonda delusione che provo nel conoscere la caratteristica di una parte dei “riciclati” e degli “imbucati” nelle diverse “squadre” che sostengono a livelli diversissimi il nuovo leader del Partito Democratico. Ed è anche per questo che non mi ci riconosco più! Punto

Questo Blog è dunque uno dei tentativi di fare “resistenza” a questo appiattimento generalizzato che si va diffondendo all’interno di una mutazione antropologica peggiore di quella di cui parlava Pasolini. Passi indietro in un baratro di ignoranza.

Ho scritto più di 2000 post da quel 19 giugno 2014, molto spesso con cadenza quotidiana. Non l’ho fatto per vanagloria, nè con l’intento di diventare un vero “blogger” o, come troppo spesso leggo per quanto riguarda altri, “influencer”. Non ho mai cercato di trovare “sponsor pubblicitari” nè tantomeno ho comprato spazi sui “social”. L’ho fatto perchè ritengo che, pur se poco e non sempre “buono”, qualcosa ho fatto: non più di altri che semmai non hanno il coraggio di mostrarsi, la “faccia tosta” che sin da ragazzo ho avuto. Ricordo qui che ho tentato di svolgere molte attività “artistiche” compreso quella musicale, della quale però non posseggo la minima qualità. La “voce”, a detta di un “maestro di musica” della Scuola media era promettente, ma non l’ho curata, anche se poi quando si stava in compagnia cantavo e non proprio male. Mi sono accostato a gruppi musicali davvero “naif”, partecipando anche a “concerti happening” di poesia e musica folk, che in quegli anni Sessanta andavano di moda tra le giovani generazioni, ma senza grande successo. Un po’ di più ha funzionato la recitazione e la riscrittura e scrittura di testi.

In questo spazio (il Blog)  ovviamente parlo di tante cose; recupero ricordi, anche attraverso – laddove è possibile – documenti stampati o scritti a mano, relativi alla mia attività professionale, culturale, sindacale e politica amministrativa. Non ho mai smesso di occuparmi sin dagli Anni Sessanta della vita politica del nostro Paese, attraversando molte “stagioni” e vivendo molte esperienze. Non sono ancora stanco, anche se avverto il bisogno di mettere a punto quel che è accaduto in questi anni, di cui sento di essere in quota parte responsabile. Anche su questo si potrebbe pensare che io sia affetto da megalomania: “quota parte” limita questo tipo di sospetto. Intendo dire che alcune scelte “mie” hanno indubbiamente contato non solo per me ma anche per una serie di persone con cui abbiamo tutto sommato condiviso il cammino.

Su questi temi non sarebbe molto difficile per un curioso perditempo ritrovare il bandolo della matassa nei circa 2000 post; per l’appunto “un curioso perditempo” che volesse addentrarsi in questa selva di elucubrazioni molto personali su tutta una serie di argomenti di carattere politico e sociologico, finanche antropologico.

Uno spazio ho però voluto dedicare a alcune mie passioni, forse un po’ più vere sentite e serie delle altre: la scrittura, la lettura, l’elaborazione cinematografica, il teatro – un teatro militante, però, legato molto spesso alla Politica ed agli eventi contemporanei.

Ho svolto compiti molto collegati alla metanarrazione, rielaborando ricordi diretti in forma letteraria. Ho accompagnato alcune letture con una stesura critica originale nel corso di iniziative culturali da me curate insieme ad altri partner appassionati di letteratura. Ho creato “format” a questo scopo, come “Il domino letterario” e “Anniversari” che hanno ottenuto fin quando sono stati in piedi un certo seguito.

La passione per il Cinema ha accompagnato la mia esistenza sin dalla più tenera età: ho visto tante opere, ho conosciuto tanti autori, ho realizzato un format nel corso degli anni Ottanta, “Film Video Makers toscani”, del quale sono molto fiero. Ho costituito alcune Associazioni, in primo luogo proprio quella, “Film Video Makers toscani”, e poi alla fine del primo decennio del nuovo secolo, “Dicearchia 2008”, che ricorda la mia terra di provenienza, alla quale ho dedicato molti spazi metanarrativi sia legati ai ricordi che ai viaggi di ritorno nei Campi Flegrei.

Questo, ad ogni modo, è il mio Blog dove continuo a praticare la mia testimonianza di cittadinanza attiva, aperta a 360 gradi.

Ho pubblicato a volte più post quotidiani; non sempre ho programmato gli interventi, ed in alcuni momenti ho abbandonato per lunghe giornate la pratica. Negli ultimi mesi, invece, l’emergenza pandemica ha condizionato il ritmo della mia presenza, più sul Blog che sull’account e la pagina Facebook che “curo” e le uscite sono state più regolari. Pochi “buchi” nei mesi da febbraio ad oggi in quest’anno bisestile (il 23 ed il 28 febbraio, il 4 e il 9 marzo, il 17 maggio, il 20 giugno sono state le uniche 6 giornate in cui non è apparso un mio intervento). In generale, in questo periodo, per l’appunto, ho progettato “recuperi” della memoria ed in questo momento ho già più di venti post già pronti per essere pubblicati. A dilatare lo spazio contribuiscono gli eventi “contemporanei” che non mancano mai. Inevitabilmente in un Blog come questo c’è il rischio di ripetizioni involontarie; e qui mi ripeto: scrivere di me non ha molto a che vedere con una sorta di egocentrismo; avessi voluto farlo, avrei potuto allargare il mio plafond di followers (così si chiamano coloro che – in qualche modo – seguono le peripezie di un “blogger”) acquisendo spazi e dando il consenso ad inserzioni pubblicitarie. L’ho fatto e continuerò a farlo fin quando mi sarà possibile, soprattutto perché – alla fin fine – ci deve essere un ruolo nella “microstoria” per ciascuno di noi: è l’ “insieme” che fa il “tanto”.

Mi rifaccio alla parte conclusiva del secondo post, quello pubblicato lo scorso 4 novembre. Cittadinanza attiva. Se portate attenzione a quel che scrivo non potrete non rilevare che andando a recuperare spazi della mia esperienza civile politica ed amministrativa vado sottolineando l’importanza che avevano le strutture amministrative decentrate qui a Prato.

Spero si sia in grado di sgombrare qualsiasi dubbio circa il mio personale interesse attuale; non ho alcun desiderio di ritornare a fare politica nelle istituzioni, anche se continuo a mostrare interesse per la partecipazione diretta.

Ho premesso quanto sopra proprio perchè deve essere chiaro e preventivo che quanto sto per dire non nasconde scopi personalistici.

In questi giorni orrendi mi sono più volte chiesto come sarebbe stato molto più facile la gestione totale dell’emergenza sui territori pratesi con la presenza delle Circoscrizioni comunali o qualcosa di consimile.  Da quando sono state abolite, appoggiando tale scelta su criteri oggettivi ma non prescrittivi, è venuto a mancare un presidio democratico efficace e ad esso si sono sostituiti individualità non sempre all’altezza dei compiti, molto spesso interessati semplicemente a incassare consensi generici ed occasionali.

Una struttura decentrata “democratica” (vuol dire rappresentativa di ampi e vari interessi politici e sociali) avrebbe potuto organizzare anche presidi diffusi per microquartieri (a Prato andrebbe a significare, in alcune parti del territorio, “paesi”) o ancor più tutte le diverse parti di questi, utilizzando gli stradari che le vecchie strutture politiche (penso al PCI) avevano allestito per preparare le diverse “campagne” informative (la diffusione de “l’Unità” ad esempio) ed elettorali.

Tali “presidi” – solo per fare un piccolo esempio – avrebbero mantenuto costantemente informati i cittadini, avrebbero potuto ascoltare – o in ogni caso essere già preventivamente a conoscenza de – i loro problemi, piccoli medi e grandi.

Si fa un gran “dire” che non tutto il male venga per nuocere e che dalla necessità provenga una indubbia virtù, si dice anche andrà tutto per il meglio, che passerà questa nottata. Se scrivo è perché non ho più una gran fiducia che tutto andrà bene, che ne usciremo migliorati; e tutto questo lo “scrivo per degli amici” (a partire da quello che mi osserva dallo specchio) affinché non ci sia chi potrà dire che nessuno vi aveva consigliato come poter mantenere vivo un rapporto con la popolazione in un momento di così alta difficoltà e solitudine.

28 gennaio UNA RIPROPOSIZIONE di alcuni miei post sui temi della GIORNATA DELLA MEMORIA

UNA RIPROPOSIZIONE di uno dei miei post sui temi della GIORNATA DELLA MEMORIA

Pubblicato oggi 28gennaio, il giorno dopo quella che è “solo” una ricorrenza, perché è e deve essere, “ogni giorno”, utile alla “MEMORIA”

Bisogna parlare,/addestrare la memoria/per ricordare. ANNIVERSARI 2018 – VERSO IL GIORNO DELLA MEMORIA (27 GENNAIO 1945 – 27 GENNAIO 2018) (la data non è sbagliata: si riferisce ai miei post)

UNA RIPROPOSIZIONE di uno dei miei post sui temi della GIORNATA DELLA MEMORIA

Pubblicato oggi 28gennaio, il giorno dopo quella che è “solo” una ricorrenza, perché è e deve essere “ogni giorno” utile alla “MEMORIA”

Bisogna parlare,/addestrare la memoria/per ricordare. ANNIVERSARI 2018 – VERSO IL GIORNO DELLA MEMORIA (27 GENNAIO 1945 – 27 GENNAIO 2018)

ANNIVERSARI 2018 – VERSO IL GIORNO DELLA MEMORIA (27 GENNAIO 1945 – 27 GENNAIO 2018)


Bisogna parlare,/addestrare la memoria/per ricordare.

ANNIVERSARI 2018 – VERSO IL GIORNO DELLA MEMORIA (27 GENNAIO 1945 – 27 GENNAIO 2018)
La Cultura salverà la nostra personale umanità, quella cui nella prima metà del secolo scorso attentarono uomini (e donne) obnubilate da miti nazionalistici che prefiguravano una superiorità di “razza” (termine purtroppo utilizzato nuovamente per costruire discriminazione e separatezza). Quel periodo fu contrassegnato da un abbassamento del livello di attenzione in un tempo di crisi economica, sociale e politica generalizzata prodotta allo stesso tempo da leadership nazionali che non vollero – o non ne furono capaci di – riconoscere che occorrevano interventi strutturali complessivi che tendenzialmente e progressivamente abbassassero il livello di odio che era susseguito alla prima Guerra mondiale.
Oggi – come accennato prima – sembra di rivivere quei tempi “non così lontani da noi”. LA CULTURA CI SALVERA’? dobbiamo solo sperarlo? o dobbiamo provare con tutte le nostre residue forze?
In una serie di post da qui al 27 gennaio pubblicherò e commenterò alcuni testi sia originali che non relativi ad un mio lavoro di venti anni fa.
Tra il 1997 ed il 1998, mentre ero consigliere comunale di Prato, con il “Laboratorio dell’Immagine Cinematografica che era da me diretto, realizzai un “Progetto” che riuscì a coinvolgere studenti di molte scuole superiori della città, a partire dall’ITC “Paolo Dagomari” nel quale insegnavo. Giovani studenti del Liceo Classico “Cicognini”, del “Datini”, del “Copernico” furono da me coordinati nella realizzazione del videofilm “Appunti sull’umana follia del XX° secolo: la deportazione”.
A dare un particolare sostegno al Progetto ci fu il prof. Antonello Nave con il suo gruppo “Altroteatro”; insieme a lui collaborarono i professori Mauro Antinarella, Giuseppe Barbaro e Giorgio de Giorgi. Gli studenti che furono impegnati sono in ordine alfabetico Irene Biancalani, Lorenzo Branchetti, Alberto Carmagnini, Juri Casaccino, Cristina Isoldi, Simone Lorusso, Stefano Mascagni, Lisa Panella, Monica Pentassuglia, Annarita Perrone, Daniele Peruzzi, Linda Pirruccio, Giulia Risaliti e Luca Vannini. Alcuni di loro (Lisa Panella e Luca Vannini) produssero anche dei testi originali. Il gruppo del “Cicognini” si impegnò prioritariamente a mettere in scena una libera interpretazione de “Le Troiane” dal titolo “Non posso tacere gli orrori” di Antonello Nave che fa da preambolo al film; nel video c’è, ispirato alla rielaborazione del prof. Nave, un testo da me scritto con il quale il lavoro si chiude.
Nella realizzazione del videofilm ebbi la collaborazione oltre che dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Prato, anche del Teatro di Piazza e d’Occasione – TPO attraverso la figura di Marco Colangelo – e della Fondazione Teatro Metastasio ed in modo particolare Renzo Cecchini, Teresa Bettarini e Gabriele Bologna Mazzara. Fu nostro consulente costante Mario Fineschi della Comunità ebraica toscana.
Le musiche furono vagliate e scelte in modo coordinato: da Bach, “Passione secondo Matteo” a “Canti e Musiche Tradizionali ebraiche” di Moni Ovadia, alla colonna sonora de “Il paziente inglese” di Gabriel Yared a “Songs From A Secret Garden” di R. Lovland.
Le riprese ed il montaggio furono realizzate da Pippo Sileci di Filmstudio 22.
Nei prossimi giorni, come sopra annunciato, in concomitanza con la data del 27 gennaio (giorno della Memoria) giorno in cui vennero abbattuti dall’Armata Rossa i cancelli del campo di Auschwitz pubblicherò alcuni dei testi riferibili a quel lavoro.

Come tante volte accade, con l’avanzare del tempo e l’usura delle sinapsi, ho commesso qualche piccolo errore nel post precedente. Errori sostanziali riferiti al titolo del lavoro, eccellente, del professor Antonello Nave. Il testo cui ci si ispirava è “Fra Troia e la Bosnia: Agamennone e la guerra inutile – Un allestimento della tragedia di Eschilo nel “teatro della scuola” “ prodotto dall’Associazione Culturale “Nuova Colonia” (associazione precedente all’attuale “Altroteatro”) per il Liceo Classico “Cicognini” di Prato, dove l’amico Nave ha svolto la sua professionalità fino allo scorso anno. Il testo che noi abbiamo concordemente utilizzato non è l’ “Agamennone” di Eschilo, prima parte dell’Orestea che nel libro viene tradotto e reinterpretato contestualizzandolo alle tragedie balcaniche di quegli anni; è invece “Le Troiane” di Euripide. Il motivo per il quale noi utilizzammo l’angoscia delle donne troiane in attesa di conoscere il loro destino di “deportate”, una volta che i loro “uomini” erano stati annientati, uccisi come Priamo ed Ettore o come il piccolo Astianatte o scappati come Enea, era collegato allo stesso identico sentimento delle donne, ebree o dissidenti o appartenenti a categorie discriminate, al tempo delle deportazioni nazifasciste.

Dallo stesso libro, però, traemmo spunto da un testo finale scritto a più mani il cui titolo è “NON POSSO TACERE GLI ORRORI” (per Suada e gli altri) scrittura drammaturgica in un atto fra la guerra di Troia e quella di Bosnia a cura di Antonello Nave. Da questo prendemmo il settimo movimento e ne traemmo una parte – le prime dieci righe – che riportava il “lamento” di Ecuba su un bambino ammazzato. Per noi, così come per l’amico Nave ed i suoi allievi, si trattava di una trasposizione, un collegamento, tra la tragedia antica e quella attuale, balcanica, passando ovviamente per quell’altra ugualmente tremenda dell’Olocausto. Il riferimento del titolo a Suada è alla prima vittima della guerra di Bosnia. Suada Deliberovic morirà la mattina del 5 aprile 1992 mentre insieme ad una folla di manifestanti protestava contro le barricate serbe.
La settima parte del testo collettivo cui ci riferiamo è collocata nel videofilm a chiusura. Ecco qui di seguito come promesso il testo (Giulia è l’interprete, Giulia Risaliti ed il riferimento al bambino è al piccolo Astianatte, figlio di Ettore ed Ecuba: Ettore è stato ucciso nel celebre duello con Achille):
Giulia-Ecuba: lamento su un bambino ammazzato
“Tu piangi, bambino? Hai dei tristi presentimenti? Perché ti avvinghi a me, ti stringi alle mie vesti, perché ti getti sotto le mie ali come un uccellino? Ettore non uscirà da sottoterra, impugnando la lancia per salvarti; la famiglia di tuo padre e la forza di questa città non esistono più. Non ci sarà pietà: precipiterai con un salto orribile dalle mura, sfracellato esalerai l’ultimo respiro.
Cosa aspettate?! Su, forza, scaraventatelo dalle mura, se avete deciso così: spartitevi le sue carni. Perché gli dei ci annientano e noi non possiamo impedire la morte di questo bambino.
Perchè vi siete macchiati di un delitto tanto mostruoso? Per paura di un bambino? Temevate che avrebbe resuscitato Troia dalle sue ceneri?…..”
Giulia Risaliti nel videofilm interpreta questo passo con un’intensità straordinaria che ancora oggi mi commuove. La vediamo muoversi tra le rovine della città consapevole dell’ineluttabilità del dramma che sta vivendo e dell’incertezza del futuro per lei e le altre donne “troiane” il cui destino è nello sradicamento della deportazione e dell’annientamento psicologico totale.
In un prossimo post tratteremo di altri documenti che ci aiutarono a scrivere il videofilm e parleremo del realismo scenografico nel quale ci trovammo a girare quelle scene.

Avviammo a lavorare intorno al progetto all’avvio dell’anno scolastico 1997/98; chiesi la collaborazione di tutti gli Istituti medi superiori della provincia di Prato, ottenendo la partecipazione, oltre che della scuola dove insegnavo (ITC “Paolo Dagomari”), del Liceo Scientifico “Niccolò Copernico” con allievi coordinati dal prof. Giuseppe Barbaro che curarono la parte relativa al “Diario di Anna Frank”, dell’Istituto Professionale “Datini” coordinati dal professor Mauro Antinarella, del Liceo Scientifico “Carlo Livi” coordinati dal professor Giorgio de Giorgi, del Lieco Classico “Cicognini” coordinati dal professor Antonello Nave.
Dopo una riunione preliminare in assessorato alla Cultura con i funzionari avviammo gli incontri di presentazione in ogni scuola che aveva aderito confrontandoci in modo aperto e coinvolgente.
Avevamo pensato di realizzare un teaser da presentare pubblicamente come annuncio alla stampa poco prima dell’inizio delle festività natalizie, durante le quali avremmo dovuto lavorare con gli studenti in un’impresa che appariva complessa ma possibile. L’idea era quella di portare il prodotto finito entro la data canonica del 27 gennaio 1998.
Non ci riuscimmo anche perchè come molto spesso si dice “il diavolo ci mise la coda”.
In quel periodo ero consigliere comunale e mi occupavo in primo luogo di Scuola e Cultura, settori per i quali potevo vantare qualche credito visto quel che facevo e quel che avevo già fatto. In particolare quelli erano gli anni della “battaglia” per il riconoscimento di “Teatro Nazionale Stabile” per il “Metastasio” e mi stavo battendo anche contro le posizioni della maggioranza del mio Partito, PDS, che era piuttosto tiepida in quella scelta. Alla Presidenza c’era Alessandro Bertini, architetto con esperienze acquisite nel campo della scenografia ed alla Direzione amministrativa c’era Teresa Bettarini. Il Direttore artistico era il grande compianto Massimo Castri, regista annoverato nella triade che comprendeva Luca Ronconi e Giorgio Strehler, il primo dei quali peraltro aveva messo in scena a Prato molte delle sue straordinarie mitiche regie.
Avevo richiesto la cooperazione del Teatro, che in quel periodo, come ancora oggi ma in ben diverse migliori condizioni, possedeva le chiavi del complesso “Magnolfi” in via Gobetti. Per chi non è di Prato consiglio di consultare il sito http://www.magnolfinuovoprato.it/it e di leggere il libro “il MAGNOLFI nuovo” prodotto dal Comune di Prato nel 2004 nel quale, tra le altre ben più importanti, troverete una mia introduzione dal titolo “UN AMICO RITROVATO”.
E fu così che, in una mattina di fine ottobre, insieme a Gabriele Mazzara Bologna che in quel periodo svolgeva attività di “tecnico teatrale” presso il Metastasio, mi recai a svolgere un sopralluogo nelle stanze del Magnolfi che era stato parte di un convento dei Carmelitani Scalzi e poi sede di un Orfanotrofio dal 1838 fino al 1978, dopo di che fu sede del quartiere (quando questi in città erano 11), della Guardia medica, alloggio provvisorio per sfrattati, sede di varie Associazioni e del famosissimo Laboratorio teatrale di Luca Ronconi.
Dopo questo periodo culturalmente stimolante dagli inizi degli anni Ottanta lo spazio era stato occupato da gruppi che afferivano all’esperienza dei “centri sociali”.
Non mi aspettavo di vedere ciò che vidi. Ne parlerò nel prossimo post.

Su via Gobetti c’è l’ingresso principale del complesso Magnolfi, e c’era anche venti anni fa, ma il portone non era accessibile; per poter entrare occorreva procedere a sinistra per un viale sterrato che introduceva ad un ampio cortile occupato in quel tempo – non so ora cosa vi sia – da auto in attesa di essere aggiustate in tutti i sensi (carrozzeria, motore, suppellettili varie).
Vi era un gran disordine.
Per andare all’interno del complesso dopo aver costeggiato le mura sormontate da ampi finestroni polverosi e sconnessi sia negli stipiti che nei vetri, che presentavano ampi squarci, vittime di chissà quali monellerie locali, si accedeva da una porticina. Gabriele che mi accompagnava, tirò fuori da un borsello un mazzo di chiavi e provò a lungo prima di riuscire ad aprire.
Verosimilmente quella porta non era stata aperta da un pezzo ed infatti fece ulteriore resistenza quando, dopo aver sentito l’ultimo scatto della serratura, dovemmo spingerla per attraversarla. E già con quell’azione si alzò un primo piccolo polverone ed un odore tipico della muffa umida dell’abbandono colpì le nostre narici.
Dentro era buio e, come prevedibile, non vi era alcuna possibilità di illuminare gli ambienti in modo artificiale, per cui provvedemmo alla meno peggio con delle torce, non osando procedere nell’apertura di qualche imposta, visto i precedenti.
Davanti avevamo un grande corridoio che portava verso un altro altrettanto grande largo passaggio che sulla destra arrivava fino al portone di ingresso principale, quello di via Gobetti.
A sinistra c’era una porta più piccola e Gabriele mi disse che era quella del Teatro. La aprì senza grandi sforzi e mi precedette. La austera struttura ottocentesca mi apparve nel suo totale abbandono. Fui colpito da un cumulo di residui di varia natura: calcinacci, stracci, legni di varia misura che erano appartenuti ad oggetti inqualificabili, e sulle pareti scritte di vario genere ed una svastica di grandi dimensioni.
L’abbandono era evidente, ed anche lo smarrimento della ragione: a me appariva un ritorno in una dimensione che non avevo conosciuto ma della quale avevo sentito argomentare e che aveva prodotto in me profondi turbamenti: immaginai per un attimo di trovarmi in un luogo che era stato attraversato dalla violenza e misuravo i miei passi. Salimmo con trepidazione intellettuale ai piani superiori, là dove c’erano state le aule e le camerette degli orfani.
Tutto sossopra e tanta polvere, porte scardinate, mura sgretolate ed in fondo, in un angolo di una stanza buia, una culla, a segno di una presenza infantile non troppo tempo addietro.
Da altre scale ci spingemmo poi al piano superiore, l’ultimo e più alto fatto di sottotetti ampi ed abitabili. Qui la confusione era minore, forse non era stato accessibile negli ultimi tempi! C’erano delle finestre oblique che spingevano la mia curiosità. Mi allungai salendo su un tavolo ed allungando lo sguardo al di là dei vetri osservai lo skyline del centro di Prato con i vari campanili svettanti. Osai scendere dal tavolo con un salto e mi ritrovai con una lussazione alla caviglia destra. Scesi dolorante le scale ed andai al Pronto Soccorso, evitando di menzionare compagnia e luogo dove mi ero infortunato, non essendo possibile alcuna copertura assicurativa per un’impresa di quel genere.
Essenzialmente per questo motivo rinviai le riprese alla primavera successiva.

Il fumo delle fiamme ormai sopite si diffonde sulle rovine della città. Tutto intorno è distruzione. Le donne si muovono come ectoplasmi tra cumuli di macerie. La tragedia di Euripide, “Le Troiane”, quella che narra degli ultimi istanti della permanenza delle donne nella loro città, mentre attendono il compimento del loro destino di schiave “deportate” alla corte degli Achei (Cassandra viene data ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo ed Ecuba a Ulisse), appariva la più adatta ad essere un riferimento con un’analoga vicenda tragica del XX secolo che ci apprestavamo a ricordare.
Il sopralluogo che aveva lasciato il segno sulla mia caviglia ne aveva tuttavia impresso uno più solido nel mio animo: quelle immagini di abbandono, quell’odore intenso di muffa, quella polvere che si sollevava naturalmente ad ogni passo ad ogni spostamento di infissi, quegli oggetti che parlavano di vite che erano di là transitate apparivano nella mia memoria una naturale location per una messinscena teatrale utile a rinnovare il ricordo per le nuove generazioni ai quali intendevo dedicare il mio impegno intellettuale.
il lavoro di costruzione della sceneggiatura era stato continuato ed avevamo fatto crescere l’attesa per il giorno in cui avremmo avviato le riprese. Avevo temuto che qualcuno avesse potuto recarsi all’interno del complesso “Magnolfi” a ripulire gli ambienti: la fiducia era ovviamente e per fortuna mal riposta.
Facemmo un nuovo sopralluogo con l’operatore ed il tecnico del Metastasio. Pippo Sileci mi accompagnò, insieme ad un primo gruppo di giovani del “Cicognini” e del “Dagomari”. Avvertimmo tutti di essere molto attenti nel procedere: sapevamo di avere una responsabilità che andava oltre il lecito. In quel luogo cadente poteva accadere anche qualcosa di pericolosamente irreparabile. In effetti trovammo tutto nello stesso ordine in cui quattro mesi prima avevamo lasciato quegli spazi: la stessa polvere – forse qualcosa di più non certo di meno – e gli stessi oggetti, gli stessi orrendi graffiti. La foto che allego riprende un momento di quel sopralluogo.

Chiedemmo al tecnico teatrale di poter avere un minimo supporto con una macchina del fumo ed un generatore elettrico per l’illuminazione artificiale.
Decidemmo poi insieme ai giovani la data per le riprese. Quella parte del testo che doveva fare da introduzione era praticamente già pronta nella recitazione. Occorreva impostare i movimenti e scegliere le diverse posizioni scenografiche.
Questo è il testo da “Le Troiane” di Euripide, che viene recitato da Irene Biancalani (Coro), Stefano Mascagni (Taltibio) e Giulia Risaliti (Ecuba).
Coro. “Povera madre, che ha visto spegnersi con te le speranze più belle. Ti credevamo felice, perché disceso da una stirpe grande; e atroce fu la tua morte. Vedo in alto alle mura braccia che muovono fiamme nell’aria. Il fato vibra un altro colpo su Troia.”
(Rientra Taltibio seguito da guardie)
Taltibio.
“Ordino a voi, uomini prescelti a distruggere la città di Priamo, di appiccare il fuoco alle case, affinché dopo aver tutto annientato e bruciato, possiamo salpare liberamente da Troia. Voi, figlie dei Troiani, appena sentirete uno squillo oscuro di tromba, recatevi alle navi degli Achei per partire con loro. E tu seguile, infelicissima vecchia. Costori son venuti a prenderti da parte di Ulisse, di cui ti fa schiava il destino.”
Ecuba.
“Misera me. Ecco l’estrema, veramente il colmo, di tutte le mie sciagure: mi spingono fuori, lontana dalla patria che brucia. Vecchio piede, affrettati, con il corpo stanco: affrettati veloce a rivolgere l’ultimo saluto alla povera patria. Troia, che un tempo respiravi di grandezza, tu perdi il tuo nome superbo. Tu ardi e noi ti lasciamo. Voi, o dei… Ma perché invoco gli dei? Essi non odono. Nè mai hanno udito la mia voce, che pure fu alta. Su, corriamo dove l’incendio arde. La morte più bella per me è là, con le fiamme della patria.”

Il videofilm ha inizio con il buio. Scegliemmo congiuntamente quella forma, seguita subito dopo dall’ouverture corale della Passione secondo Matteo BWV 244 di Johann Sebastian Bach
Kommt, ihr Töchter, helft mir klagen
Kommt, ihr Töchter, helft mir klagen,
sehet! – Wen? – Den Bräutigam.
Sehet ihn! – Wie? – Als wie ein Lamm.
Sehet! Was? – Sehet die Geduld!
Sehet! – Wohin? – Auf unsre Schuld!
Sehet ihn aus Lieb und Huld
Holz zum Kreuze selber tragen!
Venite, figlie, aiutatemi a piangere…
Guardate! – Chi? – Lo sposo.
Guardatelo! – Come? – Come un agnello.
Guardate! – Che cosa? – Guardate la pazienza!
Guarda! – Dove? – Per nostra colpa!
Guardatelo come per l’amore e per la grazia
porta egli stesso il legno della croce!
Quando arriva la luce ci troviamo nella platea del Magnolfi con una breve carrellata sulle macerie e sulla svastica disegnata in modo grossolano sopra una delle pareti. Ci si sposta poi ai piani superiori dove il Coro, Taltibio ed Ecuba con altre ancelle-donne si muovono nell’esprimere il senso fatale del loro destino di oppressori ed oppressi.
Al termine del testo euripideo Ecuba si allontana nell’ombra divenendo anch’essa ombra errante. Il buio ritorna ad essere forma e in lenta dissolvenza lascia il posto al segno del tempo che scorre fino ad una deflagrazione espressa attraverso le immagini di Zabriskie point del maestro Michelangelo Antonioni sotto le quali voci confuse di idioma germanico sovrapposte indicano l’avvento del nazismo con le sue minacce nei confronti della libertà e della democrazia.

Ecuba ritornerà nella scena finale come ombra solitaria che ripercorre le stanze della patria abbandonata, memore della tragedia consumata con la morte atroce del piccolo Astianatte. Ci aiutarono moltissimo le parole del testo (“NON POSSO TACERE GLO ORRORI – per Suada e gli altri) elaborato insieme al professor Antonello Nave in una scrittura drammaturgica in un atto fra la guerra di Troia e quella di Bosnia, che qui di seguito riporto:
(il brano è il numero 7)
Giulia-Ecuba: lamento su un bambino ammazzato.
“Tu piangi, bambino? Hai dei tristi presentimenti? Perché ti avvinghi a me, ti stringi alle mie vesti, perché ti getti sotto le mie ali come un uccellino? Ettore non uscirà da sottoterra, impugnando la lancia, per salvarti; la famiglia di tuo padre e la forza di questa città non esistono più. Non ci sarà pietà: precipiterai con un salto orribile dalle mura, sfracellato esalerai l’ultimo respiro.
Cosa aspettate?! Su, forza, scaraventatelo dalle mura, se avete deciso così: spartitevi le sue carni. Perché gli dei ci annientano e noi non possiamo impedire la morte di questo bambino.
Perché vi siete macchiati di un delitto tanto mostruoso? Per paura di un bambino? Temevate che avrebbe resuscitato Troia dalle sue ceneri?….”
A questo testo in uno dei miei commenti avevo fatto precedere un’elaborazione ispirata dal titolo “NON POSSO TACERE GLI ORRORI” dei testi sopra riferiti.
“Io, io non posso tacere gli orrori
non posso tacere l’umana perversa follia
non posso tacere le infinite tragedie delle guerre che chiamano “civili”
non posso tacere l’arrogante presunzione dell’animo umano.
Non posso tacere l’ottusa intolleranza
non posso tacere le umiliazioni, le torture,
la volontà di annientamento totale dell’avversario
le “pulizie etniche”,
il fanatismo ideologico e religioso
non posso tacere la stupidità di chi, senza mai dubitare, acconsente.
Non posso tacere gli orrori di questo secolo che si compie.”
Queste parole vengono pronunciate da Giulia Risaliti mentre percorre le stanze e vi fanno eco gli altri componenti (Irene Biancalani, Stefano Mascagni e Linda Pirruccio)

                  Più di venti anni fa, più o meno un anniversario perché fu nella prima parte del 1998 che girammo quel videofilm sull’Olocausto, tra i giovani studenti collaboratori per la scrittura della sceneggiatura ci furono anche due poeti, Luca Vannini del Liceo “Cicognini” (quello collegato al Convitto in Piazza del Collegio) e Lisa Panella dell’ITC “Paolo Dagomari”.
I loro versi arricchirono di un valore superiore la sceneggiatura, accompagnando immagini di repertorio, quelle più crude e drammatiche dei campi di sterminio. Ai diffusori di menzogne e creatori di scetticismi diffusi consiglio di vedere quei reportage che furono ripresi “in diretta” dagli operatori che accompagnarono la Liberazione; proprio per evitare che quel genocidio perpetrato nei confronti degli Ebrei, delle minoranze e degli oppositori politici al regime nazifascista fosse occultato agli occhi della società locale, i membri di quest’ultima furono invitati a visitare quei luoghi: dalle riprese di operatori, tra i quali va ricordato Alfred Hitchcock, notiamo in un primo momento il loro atteggiamento come visitatori comuni in gita di piacere e poi, di fronte alle cataste umane di morti e semimorti, scheletri vaganti, il raccapriccio e l’orrore.

Qui di seguito trascrivo una delle poesie di Luca Vannini riportata a pagina 37 del suo libro “La Disperazione Di Non Esistere” edito nel 1996 da Attucci. Il titolo è
“CIVILTA’”
Ho seguito centinaia di processioni,
Ho preso parte al più misero
Dei riti funebri.
Nella mia giovane vita
Ho visto crocifiggere
L’innocenza
Da giovani ariani,
Che protendevano il loro braccio
Verso il paese in cui
Non sorge più il sole;
Ho visto seppellire
La Libertà
Sotto il putrido fango
Dell’intolleranza e dell’odio:
Ho visto squallidi becchini
Vomitare il loro disprezzo
Sulla tomba dell’eguaglianza.
Ho visto la carcassa putrefatta
Della giustizia,
Scarnificata dall’ingordigia
Di luridi vermi.
Ho visto il cadavere
Della solidarietà
Penzolare inerte
Dal cappio dell’egoismo.
Ovunque l’uomo.
Ovunque la morte.
Non so cosa mi spinga
A vivere in questo
“Olocausto”.
Questi versi portano in calce una data, il 28 gennaio 1995, a conferma che l’ispirazione sia stata collegata proprio al giorno precedente, il 27 gennaio. Da ricordare che l’istituzione ufficiale di una Giornata da dedicare alla Memoria dell’Olocausto nel nostro Paese è datata 20 luglio 2000; l’ONU l’ha istituita il 1° novembre del 2005. Storicamente e nella sensibilità diffusa si operava nei contesti scolastici e nella società sulla data del 27 gennaio già negli anni precedenti al suo riconoscimento.
Un’altra delle poesie di Luca Vannini accompagnò proprio le immagini dei “visitatori” autoctoni al campo di Auschwitz, quelli di cui si dice sopra. Il titolo è esemplificativo dell’atteggiamento di questi, vestiti a festa come se si trattasse di una piacevole escursione.
“GIORNI DI FESTA”
Ora, ora che i giorni trascorrono
Vuoti, immutabili, spenti,
Ora che la solitudine è la mia
Unica compagna,
Ora che la melanconica e atroce
Vacuità dell’esistenza si fa viva,
Comprendo quale triste e disperato
Destino ci sia riservato.
E non so se andarmene
O se restare: se fuggire
Quest’ultimo, inutile giorno di festa.
L’altra poeta, Lisa Panella, compose in diretta due testi senza titolo. Ne ripropongo uno.
Quando l’odio sprofonda
nelle menti deboli,
la passione spietata
pervade nei diletti pensieri.
Pastori superiori,
questi schiavi del male,
disegnano progetti corrotti:
concentrano…
correggono…
cancellano….
finiscono l’intento
…e muoiono.
Così
si confondono
i lamenti innocenti
con lo sfondo dell’universo.
Non riconosci le voci?
Gli uomini
vestiti tutti uguali
vivono
e piangono preghiere,
ingoiano il silenzio
lentamente.
Ogni palpito diventa un grido,
ogni attimo, tremito ardente.
Ancora adesso
mi affonda nel cuore
l’inquietudine
di quegli sguardi languidi.
Bisogna parlare,
addestrare la memoria
per ricordare.
Riprenderemo da questo in un prossimo post: Bisogna parlare,/addestrare la memoria/per ricordare.

Quel che il “tempo” ci chiede di “fare” parte 3

Quel che il “tempo” ci chiede di “fare” parte 3

“Forse”

“Forse”. Vado precisando quell’ultima mia frase del blocco 2.

“Forse è il momento di assumersi delle responsabilità” non solo individuali ma anche e soprattutto “collettive”, di gruppo, o – per meglio dire e specificare – di “sodali”.

A patto che vi siano le condizioni. Le quali sono molto chiare da parte mia e di quanti nel corso di questi ultimi anni sono “usciti” dal PD per le ragioni sopra esposte.

Non dunque a tutti i costi.

Il tempo che abbiamo a disposizione è sempre più ridotto e va speso per progetti che valga la pena di condividere, con proposte da parte di ciascuno di noi.

Non siamo stati con le mani in mano in questi anni e siamo stati co-protagonisti dei tentativi di aggiornamento e di sviluppo delle nostre idee di Sinistra. Abbiamo anche lottato contro forme di integralismo sciovinista fondamentalmente portato a difendere un passato impossibile da riproporre senza una vera e propria rivoluzione. Ma, qui ripeto ciò che ho detto in altro post, chi la farebbe questa “rivoluzione”? si pensi piuttosto che, laddove di “rivoluzione” si parlasse questa – per conferma “storica” – non porterebbe alcun vantaggio alle classi più povere. Bisogna averne contezza e lavorare per coinvolgere la parte più sana dell’imprenditoria, della finanza, dell’economia; questo ruolo operativo dovrebbe toccare all’intellighentia illuminata cui il mondo politico più avanzato dovrebbe proporre un “patto” per il futuro, per costruire quello “sguardo lungo” post pandemico. Bisognerebbe affidare gran parte di questo “progetto” a quelle giovani generazioni che per rincorrere i loro sogni vanno all’estero, anche e soprattutto perché nel nostro Paese è ormai invalsa l’abitudine malsana di strutturare gli organigrammi con persone “affidabili” su base clientelare, spesso anche parentale.

“Next generation” non può essere un titolo, una parte di uno slogan, vuoto di contenuti.

Lo stesso metodo andrebbe applicato all’interno delle forze politiche della Sinistra: largo a chi possiede competenze, anche quelli che, per riuscire a convincerli che il “rinnovamento” sia possibile, starebbero a richiedere adeguamenti e revisioni profonde, soprattutto con il rispetto di elaborazioni critiche, aspre e severe se necessario, basate su dati accertati in dibattiti aperti. Non appena sarà possibile si riaprano i luoghi delle pubbliche discussioni, non quelle rituali in cui è tutto preordinato e per questo motivo  si sa già prima più o meno come andrà a finire; noi – e qui ripropongo una modalità con la quale a San Paolo di Prato ci presentavamo alla cittadinanza – potremmo riprendere a lavorare sui territori con meccanismi come “La Palestra delle Idee”.

Anche in quelle occasioni verificavamo il “fastidio” da parte dei componenti – una vera e propria casta chiusa in se stessa – dell’apparato partitico.

Molti, a partire da me, non hanno nulla da chiedere nella modalità purtroppo abusata nei vecchi schematismi di una sorta di “partecipazione con punteggio” (una sorta di “carriera” computata a seconda degli anni di militanza)  come nei supermercati.

Molti, tra cui me stesso, devono solo essere convinti che si intenda davvero cambiare rotta e che si avvii una Politica di Sinistra, non dogmatica ma nemmeno ultrariformista, non radicale ma neanche in qualche modo succube dei poteri forti che finiscono, pur non essendone direttamente responsabili,  per condurre verso profonde limitazioni della dignità e dei diritti della parte più debole della società.

“Amara” è l’autrice di questa grande proposta: Fiorella Mannoia l’ha interpretata e l’ha fatta diventare quel che merita. “Grande”

A questo punto è anche, io credo, molto chiaro che il Partito cui aspirerei di appartenere è molto distante da quello che “oggi” si chiama PD ma molto simile a quello che era nelle idee e nei cuori di coloro che ne prepararono, fuori dagli apparati, la nascita. Quello attuale è ancora troppo legato a quella figura che lo ha umiliato ed ha umiliato tanti tra i suoi fondatori. Questi “post” servano, insieme a tante altre testimonianze, “a futura memoria”.

Quel che il “tempo” ci chiede di fare – parte 2

Quel che il “tempo” ci chiede di fare – parte 2.

Quanto al primo punto, noto che troppo spesso ci si limita alla constatazione con una superficialità che spinge a non accreditare fiducia e consenso a chi la esprime. La scelta di uscire non è più facile rispetto a quella di chi decide di rimanere in un gruppo, pur non condividendone alcuni aspetti: non si può pensare che la quantità ed il peso degli aspetti che non si condividono siano uguali per tutti. Questi ultimi pesano anche in modo diverso rispetto alle aspettative ed ai tempi di sopportazione. Nel caso di cui parliamo chi è uscito, laddove non ha deciso di deporre l’impegno e non si è ritirato in solitario eremo, è di certo in buona compagnia. E chi è rimasto, in posizione critica, troppe volte è stato condizionato a limitare la propria azione “democratica”, non avendo riconoscimenti di primo o secondo piano, spesso strumentalmente utilizzato e poi emarginato. Chi è uscito e non ha limitato il suo impegno ha cercato di costruire realtà alternative dove la denuncia si è accompagnata alla progettualità, facendo circolare idee libere se non anche “nuove” che potevano essere utili alla collettività.

Quasi certamente non è un buon metodo, quello di continuare ad accusare chi è uscito, come se si trattasse di traditori. In un gioco delle parti, sterile, tali forme di accuse potrebbero essere reciproche e tra loro molto simili.

Quanto invece riguarda il secondo punto riportato sopra sono perfettamente d’accordo con chi denuncia una navigazione a vista, con poche eccezioni, dell’attuale classe dirigente del Partito Democratico. Si è in un “guado” melmoso con rischio forte di insabbiarsi definitivamente, perdendo anche il senso di orientamento: si potrebbe dire che si corre il rischio di non essere in grado di distinguere ciò che è “sinistra” da quel che è “destra”. Ma è una esagerazione strumentale a far riemergere il senso dell’esistenza di una forza vera, possibilmente unica e forte, della Sinistra. Per poter recuperare la giusta direzione, bisogna riprendere in mano i “ testi sacri” elaborati al tempo della gestazione del Partito. Molta è la documentazione disponibile, anche se poi sarà necessario rivederla e riadattarla ai “tempi nuovi”, anche questi prodotti dalla crisi pandemica sopravvenuta a quella di carattere economico – oltre che morale – che già mordeva la nostra società. Quelle elaborazioni erano espresse da illustri “sacerdoti” molto spesso estranei al mondo della “Politica diretta” e spingevano il loro sguardo molto oltre l’immanente, pieni di speranza e di fiducia soprattutto sulle giovani generazioni. Non si può dire che non avessero una visione, uno “sguardo lungo” verso il futuro. Uno dei problemi molto seri che non ha consentito il rinnovamento sperato è stato in un primo tempo la “resistenza” degli “apparati” seguito poi dal convincimento “strumentale” che le “idee” fossero molto meno importanti rispetto alle “azioni” quotidiane. All’interno di questa modalità “politica” si sono inserite figure spurie, sempre più lontane dalle basi ideali dei Partiti della Sinistra ed hanno provocato un ”vulnus” mortale dal quale ci si potrà guarire solo riconoscendone le origini e condividendone gli esiti.

Scritta da Amara, una delle più promettenti cantautrici giovani del nostro tempo

Quel che il “tempo” ci chiede di fare continua,,,, perché forse è il momento di assumersi delle responsabilità! …2….

CASHBACK un’opportunità perduta perchè in gran parte “diseducativa”

CASHBACK un’opportunità perduta perchè in gran parte “diseducativa”

Una delle scelte dell’attuale Governo che meriterebbe una certa attenzione è quella del CASHBACK.

In linea di massima – viene detto – è un tentativo di limitare l’uso del denaro contante che molto spesso è collegato a prestazioni “a nero”. In realtà la maggior parte degli scontrini afferiscono, soprattutto in questo momento di profonde incertezze per il futuro, a spese necessarie di mero consumo o poco più (supermercati, farmacie, vestiario, elettrodomestici, generi vari): tutti collegabili ad operazioni che non avrebbero potuto essere “a nero”. Parlo del CASHBACK di Natale per il quale era molto facile raggiungere il limite di 10 transazioni (dopo tutto, come si sa, contribuivano al computo anche gli scontrini di pochi centesimi) ed ottenere il 10% di rimborso. Quello di Natale è stata una “prova” per far poi abituare un numero sempre più alto di persone all’utilizzo del Bancomat. E in un certo senso quella proposta poteva essere tollerabile.

Poi questa operazione ha avuto un prosieguo. E un regolamento diverso intorno al quale nutro delle forti perplessità.

Per il semestre gennaio – giugno di questo anno non c’è solo il reintegro del 10% fino ad un massimo di 150 euro ma un super premio (!) di 1500 euro per i primi (!) 100.000 contribuenti conteggiati sul totale delle spese delle quali saranno in grado di produrre scontrini.

La trovo una scelta profondamente sbagliata e diseducativa. Ad essere premiati alla fine dei conti sarebbero coloro che conducono un tenore di vita medio-alto, mentre tutti quegli altri dal 100001mo in poi si dovrebbero accontentare del minimo sindacale. In pratica si tratta di una gara tra “non pari”. Iniqua.

E’ stata una scelta infelice; nella prima parte di essa significativa ed equilibrata: non c’erano premi “super” e si sarebbe in ogni caso incentivato l’uso delle “carte” al posto dei contanti. Nella “seconda” invece si è tentato di stimolare ulteriormente la spesa ma si è ridotta drasticamente la possibilità di poter accedere a quel “bonus” di 1500 euro, a fronte di un ridottissimo plafond di 150 euro per sei mesi (mentre, va ricordato, i primi 150 o comunque 10% delle spese riconosciute si riferivano a tre sole settimane).

Quel che il “tempo” ci chiede di “fare” parte 1

Quel che il “tempo” ci chiede di “fare” parte 1

“Ho pensato a te!” fa sempre piacere sentirselo dire; anche se, alla mia età, il pensiero non va a toccare temi che avrebbero fatto piacere ad un “uomo-maschio” giovane o appena sulla soglia della maturità. Anzi, c’è la preoccupazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e il dialogo, telefonico, non riesce a porre in evidenza il senso di smarrimento dovuto ad una incomprensibilità.

Ma questa volta chi ha “pensato a” me lo ha fatto per un’ottima ragione, auspicabilmente definitiva, anche se inevitabilmente “provvisoria”.

E’ il riconoscimento di aver avuto ragione allorquando sono uscito dal Partito Democratico.

Non so tuttavia se la persona che mi ha dato “ragione” sia uscita anch’ella dal Partito o stia per farlo. Se è vero che ben poco mi importa sarei tuttavia molto perplesso sul livello di coerenza del “suo” pensiero “resipiscente”.

Il suo è il riconoscimento delle buone ragioni che mi spingevano a ritenere finita ogni possibile speranza di rinnovare le pratiche politiche nel segno della democraticità, della partecipazione, della condivisione, dopo l’avvento della fase renziana con tutto ciò che è riuscita a tirar dentro il Partito Democratico. Anche prima che Renzi si presentasse alle Primarie (anche le “prime”) il Partito non godeva di buona salute: molti di noi avevano faticato a costruire il Partito nuovo (non un “nuovo” Partito) e la documentazione di quella parte di Storia è ricchissima; anche su questo mio Blog ripercorro alcune fasi (locali e nazionali), sin dagli albori del PD.

E quel “riconoscimento” era maturato intorno alle ultime vicende nazionali che hanno visto Matteo Renzi, ormai anche lui “fuoruscito” dal PD, mettere in crisi l’attuale Governo per pura vanagloria “personale”. L’ha fatta così “grossa” da spingere il resto della coalizione (M5S, PD e LeU) a dichiarare che “mai più” avrebbero fatto un Governo con la “sua” formazione (“Italia Viva”).

Mi prendo il “riconoscimento” ma temo che quel “mai più” finisca ben presto nel dimenticatoio. “Temo”: perché la lezione della Storia molto spesso ci ha costretti ad affermare che “in Politica non si è mai certi in modo definitivo” delle vie d’uscita.

E’ pur vero che dopo l’uscita dalla “maggioranza”, accompagnata da discorsi furenti e fuori misura “contro” il Presidente del Consiglio, c’è stato un coro unanime di sdegno verso quella scelta da parte soprattutto dei componenti politici nazionali e locali, nonché degli iscritti ed elettori, del PD, forza politica dalla quale sia lui che tutti gli altri membri di Italia Viva furono eletti nel marzo 2018.

Un segnale “per ora” inequivocabile.

Il dibattito è stato fervido. Ciascuno dei partecipanti ha fatto ruotare intorno a sé le ragioni dello sdegno. Non ne sono esente; ed è per questo motivo che sottolineo, per ora, due questioni che mi stanno a cuore e che, prima di analizzarle, sintetizzo.

  1. Se si continuasse a porre in evidenza la differenza di “correttezza” e di “coraggio” tra chi “è uscito” e chi “è rimasto” non potremmo andare avanti verso una ricomposizione del Partito Democratico “post renziana”.
  2. Chi richiama alla necessità di “un pensiero lungo” che mancherebbe all’attuale Partito farebbe bene a riprendere in mano tutti i documenti “ufficiali” della fase di costruzione del PD e avviare una revisione di tutto ciò che non ha funzionato.

….1…..

23 gennaio PER UNA STORIA DEL PARTITO DEMOCRATICO – XIV una serie di documenti del Comitato di Prato per il Partito Democratico (per la XIII vedi 3 gennaio)

PER UNA STORIA DEL PARTITO DEMOCRATICO – una serie di documenti del Comitato di Prato per il Partito Democratico

14.

Conosciamo la “fatica” della politica, la pazienza nel costruire le relazioni, nell’intraprendere il confronto ed il dialogo, la capacità di saper ascoltare prima che del saper argomentare: è un lento processo nel quale bisogna far emergere le grandi doti politiche. Ad esso, ed in esso, dobbiamo formare le nuove generazioni di politici ed amministratori del futuro Partito Democratico. E per riuscire a far questo dobbiamo promuovere maggiormente la “partecipazione”.
Per far questo occorrerà che la Politica non presenti idee e progetti pre-confezionati ad uso e consumo dei pochi eletti; anche i programmi non possono essere scritti nel chiuso delle stanze dei Partiti con la partecipazione di qualche illustre professionista dei diversi settori, e basta. Se si continua di questo passo, aumenterà la solitudine di qualche amministratore e di qualche politico e la gente sarà ancor più delusa e frustrata.

Prato è la nostra città, è quella che meglio conosciamo; dunque, in essa dobbiamo impegnarci. Ed il silenzio che la pervade è anche dovuto al fatto che vi è una profonda stanchezza da parte di chi, a volte, più che una risorsa, è visto come un ingombro scomodo se nell’intervenire sottolinea quegli aspetti poco chiari o quelle parti che non lo convincono del tutto o per niente.

Questo stato di cose va affrontato anche all’interno di quel percorso di rinnovamento della Politica e di rinvigorimento del processo democratico che vuole essere il Partito Democratico.

Il Comitato intende da questo punto di vista accreditarsi in modo concreto come elemento catalizzatore di quest’ansia, giusta ed equilibrata, democratica di cambiamento, un elemento catalizzatore di tipo dunque né populistico né demagogico per la società civile.

Il Comitato vuole partecipare da protagonista a questo progetto inserendosi in un percorso di Coordinamento; noi non pensiamo di doverne avere il monopolio, la leadership o il copyright: saremmo felicissimi se a Prato si costituissero altre forme associative come la nostra aventi gli stessi obiettivi.

E’ importante avere gli stessi obiettivi ed infatti nel nostro Regolamento all’art. n.10 abbiamo sottinteso che il mutamento eventuale, laddove con un colpo di mano pur democratico si verificasse, dell’obiettivo equivarrebbe alla conclusione dell’esperienza dello stesso Comitato.

Il Comitato anche per questo intende agire da stimolo sia verso le forze politiche sia verso l’associazionismo organizzato sia verso le singole ed i singoli cittadini, e con tutte queste realtà intende cooperare per il raggiungimento dell’obiettivo. A tale scopo cercheremo di utilizzare tutti gli spazi, tutti i mezzi a nostra disposizione ed alla nostra portata per far procedere in avanti la costruzione del Partito Democratico. Ed è così che nel percorso da compiere verso l’obiettivo principale ribadiamo che non intendiamo affiancare i Partiti perché consideriamo ciò come limitativo della necessaria autonomia, necessaria per poter essere maggiormente entrambi funzionali alla società civile.

…fine parte 14…

22 gennaio – DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – decima parte – 2 (Trenta più cinquanta fa “Nouvelle Vague”) – per la parte 1 vedi 22 dicembre

DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – decima parte – 2 (Trenta più cinquanta fa “Nouvelle Vague”)

prosegue la riproposizione di un mio contributo del 1983 su alcune attività da me svolte in Toscana

Si lavora alla messa a punto di un grande Convegno sul cinema degli Anni Cinquanta (leggi “Nouvelle Vague”), corredato dalla presenza di qualche attore, qualche regista ed un gruppo di critici e dalla proiezione di opere filmiche e documentarie su questo periodo fecondo e fondamentale per la Storia del Cinema, mai del tutto studiato ed approfondito complessivamente.

In particolare sarà opportuno poter visionare gran parte di quelle opere che furono fonte ispiratrice degli Autori della Nouvelle Vague. Di questo scriveremo semmai in altra occasione in maniera più particolareggiata.

Ma l’interesse per il cinema francese non è limitato a queste due occasioni (la seconda peraltro non ha trovato ancora né Enti che la finanzino né ovviamente una città che la ospiti): ve ne sono delle altre. Per questa estate del 1983 a Firenze nei giardini del Palazzo dei Congressi si potranno seguire e conoscere, oltre che approfondire, altri aspetti del cinema transalpino (una personale sarà dedicata a Brigitte Bardot, un’altra a Jacques Tati e verranno presentate opere collegate ad alcuni generi specifici di quella cinematografia come il “film noir”); e poi verso la fine del 1983 inizio del 1984 nel Mugello sarà possibile vedere parte della produzione più recente di questo cinema con personali dedicate a Patrick Dewaere, Gerard Depardieu, François Truffaut ed altri , sempre collegati al genere dei “film noir, quella produzione che ha influenzato e che certamente continuerà ad influenzare del resto il Cinema di questi Anni Ottanta.

Andiamo per ordine, cronologico e matematico (si scherza, ovviamente). Qui ci tocca parlare innanzitutto degli Anni Trenta, ci preme accennare a questa Rassegna di Empoli, che ha costituito il punto di partenza delle successive, non ancora del tutto formalizzate e peraltro da realizzare in un futuro che si attende molto prossimo.

Ad Empoli ci si era riuniti una sera dello scorso novembre presso il Circolo Unicoop per discutere intorno alla possibilità di organizzare una serie di incontri di studio sull’arte cinematografica: ci si era soffermati su alcuni aspetti del linguaggio cinematografico, intendendo però concentrarsi sulla ricerca semiologica e sulla creazione dello stesso linguaggio comune, attraverso i vari generi più popolari dello stesso nostro cinema, dal dopoguerra ai giorni nostri. Ci si era in quella occasione confrontati con le diverse idee, si era parlato del più e del meno, della scuola, di come poterla maggiormente coinvolgere nello stesso progetto per avvicinare gli studenti al Cinema ed ognuno aveva espresso le sue proposte, le sue posizioni; poi, come capita spesso, vi era stata una delega per proseguire, tenendo conto di tutte le diversità, nella stesura del piano particolareggiato dell’iniziativa.

Qualche giorno dopo doveva avvenire il “deragliamento” dalle nostre primitive intenzioni.

…parte 2….