Quel che il “tempo” ci chiede di “fare” parte 1

Quel che il “tempo” ci chiede di “fare” parte 1

“Ho pensato a te!” fa sempre piacere sentirselo dire; anche se, alla mia età, il pensiero non va a toccare temi che avrebbero fatto piacere ad un “uomo-maschio” giovane o appena sulla soglia della maturità. Anzi, c’è la preoccupazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e il dialogo, telefonico, non riesce a porre in evidenza il senso di smarrimento dovuto ad una incomprensibilità.

Ma questa volta chi ha “pensato a” me lo ha fatto per un’ottima ragione, auspicabilmente definitiva, anche se inevitabilmente “provvisoria”.

E’ il riconoscimento di aver avuto ragione allorquando sono uscito dal Partito Democratico.

Non so tuttavia se la persona che mi ha dato “ragione” sia uscita anch’ella dal Partito o stia per farlo. Se è vero che ben poco mi importa sarei tuttavia molto perplesso sul livello di coerenza del “suo” pensiero “resipiscente”.

Il suo è il riconoscimento delle buone ragioni che mi spingevano a ritenere finita ogni possibile speranza di rinnovare le pratiche politiche nel segno della democraticità, della partecipazione, della condivisione, dopo l’avvento della fase renziana con tutto ciò che è riuscita a tirar dentro il Partito Democratico. Anche prima che Renzi si presentasse alle Primarie (anche le “prime”) il Partito non godeva di buona salute: molti di noi avevano faticato a costruire il Partito nuovo (non un “nuovo” Partito) e la documentazione di quella parte di Storia è ricchissima; anche su questo mio Blog ripercorro alcune fasi (locali e nazionali), sin dagli albori del PD.

E quel “riconoscimento” era maturato intorno alle ultime vicende nazionali che hanno visto Matteo Renzi, ormai anche lui “fuoruscito” dal PD, mettere in crisi l’attuale Governo per pura vanagloria “personale”. L’ha fatta così “grossa” da spingere il resto della coalizione (M5S, PD e LeU) a dichiarare che “mai più” avrebbero fatto un Governo con la “sua” formazione (“Italia Viva”).

Mi prendo il “riconoscimento” ma temo che quel “mai più” finisca ben presto nel dimenticatoio. “Temo”: perché la lezione della Storia molto spesso ci ha costretti ad affermare che “in Politica non si è mai certi in modo definitivo” delle vie d’uscita.

E’ pur vero che dopo l’uscita dalla “maggioranza”, accompagnata da discorsi furenti e fuori misura “contro” il Presidente del Consiglio, c’è stato un coro unanime di sdegno verso quella scelta da parte soprattutto dei componenti politici nazionali e locali, nonché degli iscritti ed elettori, del PD, forza politica dalla quale sia lui che tutti gli altri membri di Italia Viva furono eletti nel marzo 2018.

Un segnale “per ora” inequivocabile.

Il dibattito è stato fervido. Ciascuno dei partecipanti ha fatto ruotare intorno a sé le ragioni dello sdegno. Non ne sono esente; ed è per questo motivo che sottolineo, per ora, due questioni che mi stanno a cuore e che, prima di analizzarle, sintetizzo.

  1. Se si continuasse a porre in evidenza la differenza di “correttezza” e di “coraggio” tra chi “è uscito” e chi “è rimasto” non potremmo andare avanti verso una ricomposizione del Partito Democratico “post renziana”.
  2. Chi richiama alla necessità di “un pensiero lungo” che mancherebbe all’attuale Partito farebbe bene a riprendere in mano tutti i documenti “ufficiali” della fase di costruzione del PD e avviare una revisione di tutto ciò che non ha funzionato.

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