16 marzo – TEXPRINT di Prato – una “storia” esemplare e…paradossale – parte 1

TEXPRINT di Prato – una “storia” esemplare e…paradossale – parte 1

Questa “storia” della Texprint di Prato potrebbe assumere un significato esemplare ma rischia di diventare paradossale l’approccio, da parte soprattutto dei politici difensori della legalità, che appare (intendo riconoscere la buona fede da parte soprattutto dei “giovani” democratici) non del tutto convinto, per una sorta di naturale gioco delle parti, di cui si legge in modo diffuso da qualche tempo in qua nella cronaca locale.

Ho in più occasioni sottolineato la necessità di accostarsi all’argomento con spirito critico, mantenendo una certa distanza di tipo ideologico. Ho applicato questo sistema di frequente utilizzando la visione storica; l’ho fatto anche per non incorrere in errori dovuti a quelle forme di sciovinismo che portano a difendere a prescindere le persone e gli ambienti di cui ci si fida ciecamente, a partire da quelle proprio più vicine e non sempre sono stato compreso in questo sforzo, prendendomi sulle piattaforme dei “social” accuse inaccettabili: non mi ergo a difensore dei “datori di lavoro/padroni” ma non posso non rilevare che, laddove i luoghi di lavoro chiudessero per fallimento, a rimetterci sarebbero soprattutto i “prestatori d’opera/operai”.

Molti sono gli errori che si compiono, agendo in modo palesemente “partigiano”. Ed utilizzo questo termine in un’accezione contemporanea, non di certo collegabile alle nefandezze del periodo nazifascista.

In questa vicenda vi sono molti attori. In primo luogo, gli operai; poi bisogna tener conto dei datori di lavoro; dei sindacati; dello Stato, nel suo complesso.

Non si può partire dalla considerazione che gli unici ad essere oggetto di ingiustizia siano gli operai. C’è un meccanismo perverso che in definitiva pone sullo stesso piano tutte e quattro le posizioni. In una struttura del mercato del lavoro e della produzione come è quella contemporanea si finisce per essere tutti in possesso di armi spuntate. Quando si accenna (purtroppo il verbo è drammaticamente rivelatore della timidezza con cui ci si va muovendo a livello politico sindacale) alla necessità di modificare nel profondo il modello di sviluppo si finisce semplicemente per fare un’attività accademica “di scuola”, sterile.

In questo “agone” occorrerebbe la volontà di portare a galla i veri problemi senza arroccarsi in posizioni precostituite in un gioco delle parti davvero inefficace nel concreto.

A questo punto bisognerebbe partire da una delle posizioni. Quella degli “operai” è ovviamente la più delicata: appartiene alla parte più debole perché il loro lavoro molto spesso consente di poter avere per sè e la propria famiglia un reddito minimo per la sopravvivenza. In questa direzione sarebbe auspicabile che per tutti coloro che prestano opera vi sia un minimo garantito assoluto, sotto il quale non si può scendere. Allo stesso tempo ogni operaio dovrebbe avere la garanzia dei versamenti contributivi corrispondenti perlomeno al minimo garantito da una Legge dello Stato. Ovviamente per  creare diffusamente un trattamento in regola da parte del datore di lavoro il controllo dello Stato deve essere attento ed efficace dappertutto; questo si deve verificare  in quanto in un contesto “drogato” nel quale ad un controllo “a campione” non ne seguano altrettanti in tutte le strutture operative manifatturiere si finisce per condannare al fallimento le sole aziende interessate a quelle attente e minuziose verifiche.

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