30 aprile – “una storia apparentemente lontana” I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 22 (per la parte 21 vedi 13 marzo)

I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 22

prosegue il mio “promemoria” – in corsivo trovate l’introduzione pubblicata in apertura di un post del 6 ottobre 2020 I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 15 (per la parte 14 vedi…..) – i danni inferti alla Scuola pratese furono ingenti

In preparazione della seduta “comune” prevista per il 15 dicembre 1998 preparai una “Memoria” la più articolata ed appassionata possibile: riconfermo che ero in difetto, essendo parte principale in causa – o, meglio, interessato in modo diretto a ciò che difendevo – ma era inevitabile, anche perché ero pur sempre rappresentativo degli interessi di una parte e non potevo far finta di nulla. Spesso la Politica è anche un gioco delle ipocrisie; se un difetto mi può essere assegnato questo non era il disincanto, la terzeità: non avrei potuto ed ho preferito essere additato come “partigiano” piuttosto che come un’ameba. Nell’occasione della seduta mi limitai tuttavia a diffondere questa mia memoria, nella quale mettevo in dubbio dal punto di vista reale il termine “Dimensionamento”, applicato per l’appunto in modo difforme.

Se esistono margini di discussione che ci permettono di abbassare il livello di conflittualità in questa città, occorre che si sappia, così come occorre che si sappia che non vi è opposizione da parte di nessuno a spostarsi da una parte all’altra della città. L’importante, come ha detto ieri il preside del “Copernico”, prof. Lucherini, è che per nessuno vi sia un abbassamento del livello dell’offerta formativa. Ed io, guardi un po’, Assessore, sono proprio ma proprio d’accordo. Non posso dimenticare inoltre il tono del documento, positivo nel complesso, redatto dai docenti del “Gramsci”. Lo faccio mio, ma ciò che vale per gli altri deve essere valido in tutto e per tutto anche per allievi, genitori, docenti e non docenti delle altre scuole.

Voglio concludere aggiungendo qualcosa sul problema del Liceo Classico “Cicognini”. Anche in questa vicenda la politica amministrativa fa acqua: non si è in grado di promuovere un’iniziativa politica che apra le porte del Convitto di Piazza del Collegio. Vi è una chiusura a riccio da parte dell’attuale Rettrice, che ha fatto tornare indietro di qualche decennio quella struttura, ma non come presenze e prestigio, ma come burocrazia.

Pur tuttavia non capisco perché non si è avuto, non si abbia il sufficiente coraggio politico di chiedere espressamente in maniera pubblica  il rientro del Liceo Classico “Cicognini” nella sua sede naturale di Piazza del Collegio.

Alla fine non capisco, ma non sono il solo e sono davvero in ottima e numerosa compagnia, la razionalità di questo Piano, che a me sembra e così torno ellitticamente all’inizio, inficiato da un errore di partenza; ed è per questo che andrà, che lo voglia o no l’Assessore, rifatto.         

Gli elementi che ho messo a disposizione sono tanti e tali che non possono avere altra risposta che non sia caratterizzata da una vera e propria disponibilità a confrontarsi sul serio per raggiungere l’unico obiettivo che era caro agli Amministratori, ma che fino ad oggi è stato completamente mancato: la condivisione. CHI CONDIVIDERA’ QUESTO PIANO? Forse il “Copernico” che vedrà soddisfatte le proprie istanze? Forse il Provveditore? Forse qualche Preside? L’elenco è di poco più lungo. Gli altri non riusciranno a sentirlo come una loro vittoria.

Da parte mia forte della razionalità (sono altri a non avere i piedi per terra; noi non vogliamo la luna e non facciamo questione di numero civico, ma di razionalità) credo che continueremo nelle prossime settimane a lavorare anche contro questa profonda incomprensibile ingiustizia, che ha messo a nudo insensibilità insospettabili ed andremo fino in fondo con ogni mezzo lecito.

Penso che noi si debba fare un documento su questa situazione, su questo argomento e poi credo sia opportuno una discussione urgente, la più ampia possibile, domani stesso in Consiglio. La città deve sapere, deve essere posta in grado di giudicare, al di là di quanto ha già fatto.

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29 aprile – ripropongo un mio post del 21 NOVEMBRE 2020 – DENTRO IL LOCK DOWN – LA LEZIONE DI GRAMSCI

Il 27 aprile del 1937 moriva Antonio Gramsci – ho dedicato a lui ed all’ espressione del suo pensiero alcuni post rincorrendo gli “anniversari” ma questo che vi ripropongo è collegato direttamente al tempo “pieno” della seconda ondata di pandemia – quella legata alla dabbenaggine dei miei connazionali

Spero che questa riproposta sia un utile promemoria in questo “tempo” in cui sembrano ripresentarsi quelle condizioni “favorevoli”(!) ad una ripresa dei contagi

21 NOVEMBRE DENTRO IL LOCK DOWN – LA LEZIONE DI GRAMSCI

Sarebbe quantomeno opportuno in questo tempo in cui siamo maggiormente portati alla riflessione andare alla riscoperta di alcuni valori che, durante il lungo periodo dell’edonismo sfrenato cui ci siamo lentamente abituati (in realtà chi più chi meno ne ha usufruito) avevamo tralasciato di praticare. Sarà molto difficile una veloce e rapida presa di coscienza complessiva della nostra società, ma si rischia di dover fare i conti con le trasformazioni in modo molto più severo e drammatico man mano che si procederà giorno dopo giorno, settimane e mesi.

Dobbiamo renderci conto che da questo passaggio in poi nulla potrà essere come prima. E se dobbiamo anche continuare a far nostro quell’imperativo camuffato da “futuro” o futuro con desiderio di “imperativo” – “andrà tutto bene!” – che nella prima fase aveva accompagnato le nostre giornate, dobbiamo anche accogliere come prospettiva un profondo cambiamento del nostro stile di vita.

Verifichiamo quotidianamente (anche stamattina leggo un post  tristanzuolo pessimistico di una nostra amica) che non si accettano queste trasformazioni e si paventano in modo inappellabile privazioni accessorie del tutto superflue quasi inconsapevoli dei rischi profondi che si stanno correndo, quasi come si dovesse assistere ad una forma occidentale di Harakiri, un autolesionismo alla maniera dei lemming.

Troviamo davvero disdicevole che, soprattutto persone che posseggono doti intellettuali non comuni, non abbiano acquisito la consapevolezza dei propri limiti umani; lo trovo ancor più inaccettabile se si tratta poi anche di persone che posseggono una fede religiosa chiaramente espressa in tempi “normali”. Ecco! Certamente questi non sono tempi normali: ma nel “mondo” non ci sono stati dappertutto tempi “normali” come qui da noi. In altri luoghi hanno sofferto privazioni estreme: guerra, distruzioni, morti, carestie, epidemie. E’ come se i quattro cavalieri dell’Apocalisse abbiano voluto risparmiarci la loro visita “fino ad ora”.

Forse potrebbe anche bastare questa capacità di volgere lo sguardo sul resto del mondo, hic et nunc, oltre che heri nudius tertius, a renderci conto che siamo ancora tra i più fortunati. Dopo di che occorrerà affrontare tutto il prossimo futuro, facendo tesoro di una parte delle idee espresse da un nostro grande intellettuale, forse il più grande al quale alcuni di noi – a volte immeritatamente (a partire da me) – fanno riferimento: Antonio Gramsci. Forse sarà improprio ma applicare il motto, che Gramsci ricava da Romain Rolland, “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”, può oggi essere utile, soprattutto se si condivida l’idea che i tempi che stiamo vivendo sono destinati a segnare un profondo mutamento nei costumi nello stile di vita nei modelli di sviluppo.

http://www.maddaluno.eu/wp-content/uploads/2020/11/frasi-celebri-inquinamento-ambiente.jpg

Scrive Antonio Gramsci in una nota del primo dei “Quaderni del carcere”:

“Ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare gente sobria, paziente, che non disperi dinanzi ai peggiori orrori e non si esalti a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”  ed a noi sembra straordinariamente utile ad accompagnarci in questi giorni in cui possiamo impegnarci anche ad aiutare gli altri a sopportare le privazioni e ad attivare una ripresa consapevole per quello che troppo spesso solo in modo pedissequo chiamiamo “sviluppo sostenibile”. Quest’ultimo contiene invece proprio quegli esiti, diversi e lontani dagli stili di vita che abbiamo mantenuto in questi ultimi anni.

28 aprile – due miei post dell’aprile (24 e 27) del 2020

TEMPO DI CORONAVIRUS – domani del 24 aprile 2020

Ve le ricordate le file di persone, centinaia, che – all’annuncio della decisione governativa di indire la “zona rossa” in tutta la Lombardia – tra il 7 e l’8 marzo hanno scelto di ritornare verso il Sud?

Non ci furono solo i “benpensanti” del Nord (in tanti) e del Centro (ne conosco qualcuno) a stigmatizzare quella scelta; anche alcuni tra i governatori del Sud si scagliarono contro quella scelta preoccupati dalla possibilità concreta di una diffusione massiccia della pandemia nel Meridione. I secondi, non lo scrivo per scelta sciovinistica, avevano di certo molte buone ragioni. I primi, soprattutto quelli del Nord, avanzarono una riflessione ipocrita; quelli del Centro non erano in grado di comprendere le motivazioni di quella fuga.
Ad ogni modo, però, quella scelta certamente irrazionale, dettata dalla sensazione di dover sopportare un lungo periodo di difficoltà senza il conforto di una famiglia, senza il sostegno di un lavoro sicuro e dignitoso, senza la certezza di essere curato in un quadro di pandemia acuta, con il sentore di non essere in grado di poter fronteggiare l’emergenza, aveva una sua logica che forse poteva sfuggire a chi non è mai stato costretto ad emigrare in luoghi non sempre “ospitali”, freddi glaciali nei rapporti umani a volte posti in disparte di fronte a scelte di natura economica finanziaria. Fate pure ironia, Feltri e compagnia bella, sulla creatività umanistica dei meridionali, e tenetevi l’arido rincorrere il lavoro soprattutto per il guadagno e non per la valorizzazione della dignità umana (anche il “parcheggiatore abusivo” ha una sua dignità; avrei qualche dubbio su quella degli algidi compassati “businessman”).

Forse quelli del Nord dovrebbero anche ringraziare coloro che sono andati via di fretta e furia in quei primi giorni di marzo. Hanno evitato che nella pandemia vi fossero altre migliaia di morti; e tutto sommato non hanno prodotto grossi sconquassi nel Mezzogiorno. Forse, ad insegnamento futuro, qualche evento di questi mesi dovrebbe essere posto ad esempio. Non c’è alcun dubbio 1) che il contagio in Italia non sia venuto dai “cinesi”; 2) che in molte parti d’Italia il contagio sia partito dalla Lombardia (qui a Prato, da dove scrivo, è arrivato con un messaggero operatore sanitario che aveva frequentato l’hinterland milanese e sulla costa livornese è sopraggiunto sulle ali di alcuni lombardi proprietari di seconde case); 3) che l’aver trascurato la cura dell’Ambiente in quelle aree così operose ha prodotto condizioni favorevoli alla diffusione del virus; 4) che la capronite acuta che hanno mostrato alcune parti politiche che da un lato chiedevano maggiori controlli sui cinesi (che, per dirla tutta, non appena hanno avvertito il rischio del contagio si sono autoisolati in quarantena volontaria e permanente) e dall’altro minimizzavano e chiedevano di non chiudere i luoghi di lavoro.
Una cosa è certa: solo se su tutto questo riusciremo a svolgere una autocritica severa, analizzando tutti gli aspetti, anche quelli negativi che appartengono a nostri punti di riferimento politici, riusciremo a realizzare un mondo diverso, forse riusciremo a modificare in meglio i modelli di sviluppo sociali ed economici che ci hanno caratterizzato fino ad oggi.

27 aprile 2020

TEMPO DI CORONAVIRUS – INSOLENTI FALSIFICATORI o comunque adattatori di notizie a sostegno delle debolezze umane

In questo tempo di Coronavirus non mancano le notizie false o modificate ad arte per indurre una parte della popolazione ad avversare le scelte del Governo. Molti di noi si sono detti che da questa disastrosa situazione c’era la possibilità di uscirne migliorati. Ecco! Questi insolenti falsificatori stanno lavorando proprio per evitare che sia possibile un esito positivo da qui ai prossimi mesi; anzi, sono impegnatissimi nel gettare discredito su ogni scelta del Governo e dei suoi sostenitori. Indubbiamente, la realtà non è facile da governare ed anche all’interno dell’Esecutivo vi sono pareri discordanti che generano imbarazzo e provocano la sensazione che sia tutto più difficile da affrontare.
In questo periodo tra l’altro è molto semplice giocare con la sensibilità della gente. Il distanziamento imposto dalla diffusione del contagio ha prodotto in una parte di noi una forte sensazione di essere più soli; in realtà lo siamo, perchè ci mancano i contatti diretti ed il futuro soprattutto quello collegato allo “status” che siamo riusciti ad ottenere appare molto incerto. Per comprendere pienamente quello che ora siamo e ciò che proviamo non dobbiamo nella maniera più assoluta dimenticare quel che eravamo, quel che dicevamo “prima”. Il rischio della dimenticanza è molto forte ed è stato più volte denunciato. Molti rimpiangono il lavoro che avevano e che si è interrotto bruscamente. Non devono tuttavia dimenticare che a fronte di tanto lavoro svolto nel pieno rispetto delle regole ve ne era ad iosa fuori dalle regole o anche entro limiti di regole che venivano interpretate “solo” a vantaggio dei datori (ad esempio, quei contratti ad un numero di ore molto inferiori rispetto a quelle realmente prodotte). Anche quegli stessi operatori autonomi con Partita Iva che pure hanno trovato spazio nelle organizzazioni sindacali dovrebbero produrre proposte complessive non solo legate in modo esclusivo alle loro categorie. Verrebbe da esclamare in modo ormai demodè “Lavoratori unitevi!” ma non voglio nemmano lontanamente lasciare l’impressione di essere un vetero comunista.
Ovviamente non è solo il “proprio” lavoro a preoccupare, ma sono soprattutto le incognite relative alla riorganizzazione dei servizi (che sono parte importante del mondo stesso del lavoro) a misura di prevenzione che bisognerà mettere in atto. Come funzioneranno le scuole, come i trasporti, come i settori dello spettacolo e del turismo? Molto sarà da riorganizzare, ma tutto questo richiede partecipazione, condivisione, fiducia nel poter anche essere protagonisti attivi non solo in vista della ripresa ma in particolare in quella del rinnovamento e del cambiamento, al servizio dei beni comuni.
Coloro che invece “temono” tutto questo, che vorrebbero sì cambiare ma riportando indietro le lancette della storia in un tempo buio che potrebbe segnare la fine delle libertà, fanno di tutto per diffondere menzogne o ritoccare le notizie a proprio vantaggio operando in modo ossessivo sulle angosce, sulle paure dell’immediato futuro. Accade anche che per screditare chi governa si utilizzino fonti scarsamente scientifiche, poco più che illazioni provenienti da ambienti non abilitati ad esprimersi, già abbondantemente riconosciuti come inaffidabili. E si dà però il caso che alcune testate giornalistiche si diano da fare per diffonderle tra i loro lettori, che hanno nel corso degli anni avuto fiducia nei loro comitati redazionali. E questo genera un disorientamento complessivo che nuoce allo stesso concetto di “democrazia” riducendone la forza.
Il ruolo di chi difende la forza della Democrazia, della Ragione, del confronto dialettico ma ricco di contenuti, di chi non vuole soluzioni facili e a buon mercato, di chi vuole cambiare deve essere quello di rinnovare per migliorare le condizioni dei più deboli, operando anche da posizioni comode di guida. Ovviamente non si può costruire nulla di nuovo sulle macerie; bisogna partire da quello che siamo, da come eravamo, avviare una critica severa e profonda e procedere in avanti.

27 aprile – LE PAROLE CHIAVE (repetita iuvant?) – 1

un raffronto tra il testo “costituente” e l’attuale “Vademecum” di Letta

Forse, mi ripeto…ma non tanto quanto facciano le forze politiche che, di generazione in “generazione” (quest’ultimo termine è conteggiato in un periodo di 20/25 anni), sogliono ripetere gli stessi concetti che, a tutta evidenza, risultano non essere stati applicati in parte o, purtroppo come accade molto più di frequente, in toto, se non altro nella maniera in cui vengono conclamati nei programmi, utili – a tutta evidenza – ad agganciare gli ingenui.

Nulla di nuovo, dunque, sotto il nostro sole. Non so se è una tradizione italiana; ho vissuto sempre qui e confesso di avere avuto sempre una grande difficoltà ad acquisire abilità linguistiche straniere. E dunque non so davvero se in Francia, in Germania, in altri luoghi non tanto lontani e diversi da noi il linguaggio politico si presenti in modo sincero, meno ipocrita. L’Italia è la patria di Machiavelli e lui ha svelato gli inganni della Politica nel senso più ampio e complesso del termine, ma anche in quel caso il riferimento era totalmente “nostrano”. E quando il nostro “padre putativo letterario” Dante chiedeva un ausilio per risolvere le beghe italiche lo faceva ad uno “straniero” ed estranei erano anche i “podestà” al tempo dei Comuni e, venendo a noi, e superando fasi buie della nostra Storia lo sono quelli che chiamiamo “civici” o i Commissari Prefettizi così come lo è l’attuale Presidente del Consiglio, chiamato a dirimere i “capricci” della nostra classe politica, tutta intera (non salvo nessuno, proprio nessuno; e non credo di essere solo avvelenato nel profondo).

E’ accaduto di recente che nel principale Partito del Centrosinistra vi sia stata una “crisi” di gestione. Bisogna dire con tutta sincerità che la conduzione del Partito Democratico da parte di Nicola Zingaretti aveva avuto forti limiti collegati a quella che può essere a tutti gli effetti considerata una situazione come quelle denominate “anatre zoppe”. Riporto da Wikipedia: ” In Italia il termine Anatra zoppa è usato per indicare quei rari casi in cui un sindaco, pur eletto a maggioranza, si trova a “convivere” con un consiglio comunale la cui maggioranza è rappresentata da liste che avevano sostenuto un diverso candidato a sindaco.” Diversa è la connotazione del termine per quanto riguarda gli Stati Uniti.

Ritornando a noi, Zingaretti ha tentato di governare il PD senza avere una maggioranza sia all’interno che nelle amministrazioni (dal Parlamento ai Consigli comunali) che corrispondesse al cambiamento che peraltro è rimasto “solo” sulle carte.

In qualità di “fondatore” mi interessa discutere su questi temi. Anche perché alla base delle scelte personali vi sono motivi che dovrebbero essere riconosciuti come generali. Lasciamo stare quelli che sintetizzano le mie posizioni con “non condividi più niente con noi”: sono essenzialmente “strumentali” ad emarginare denigrando quelle che da tempo sono state le mie fondamentali critiche e che non sono mai state contrastate nel merito.

Anche in questo caso….e andiamo avanti con una analisi linguistica che intende evidenziare la fumosità dei temi che vengono proposti, soprattutto nella prospettiva che verranno poi disattesi. E le ragioni sono presenti con molta chiarezza anche nei primi “esiti” del dibattito, che essendo interno non mi ha visto, in modo ufficiale (e questo è un altro limite), partecipare.

…1….

26 aprile – I NODI VENGONO AL PETTINE – 2 con una tendenza all’applicazione di una rinnovata forma di eugenetica I RISCHI PER LA DEMOCRAZIA

I NODI VENGONO AL PETTINE con una tendenza all’applicazione di una rinnovata forma di eugenetica

I RISCHI PER LA DEMOCRAZIA

Mi ripeto….

Ho sempre più la certezza, superiore alla “sensazione”, che tutte le buone prospettive, i sani propositi che avevamo messo in campo all’inizio di questa fase storica, “pandèmica”, siano andati a farsi benedire. Molti tra i “nodi” che preesistevano sono pervenuti al pettine, alla resa dei conti.

Eravamo degli “illusi”, dunque. Volevamo infonderci ed infondere ottimismo.

Si è parlato di “un rischio ragionato”. Ho qualche dubbio su tale affermazione: forse nasconde un segreto progetto di moderna eugenetica. Ne ho accennato – pur con qualche timida remora – in altro post qualche giorno fa. Ma non è forse vero che se si riduce il numero della popolazione, quella considerata “inattiva, improduttiva” ma beneficiaria di un sostegno pubblico istituzionalizzato (l’assegno di pensione), lo Stato risparmia fior di quattrini? Cinico? Forse sì, sono cinico! Ma temo di aver svolto il ruolo del fanciullo della favola “Gli abiti nuovi dell’imperatore”. Scrivo questo, perché sono sempre più persuaso che da questa tragedia, così immensa, non ne usciremo se non che attraverso una vera e propria “rivoluzione”. Ho evidenziato il termine per sottolineare che non sarà necessariamente caratterizzata da “progresso”. Temo infatti che l’approdo sia una involuzione, un “regresso”.

Tutta questa pessimistica previsione è connessa all’insistenza con cui si vogliono riaprire tutti gli spazi nel mentre che allo stesso tempo si vanno dettando regole inapplicabili in “democrazia”. Beninteso, anche quest’altro termine sottolineato contiene una forma di sarcasmo negativo, in quanto la “democrazia” non è più tale anche quando a prevalere sia la “libertà”, che è sempre più una condizione soggettiva, gommosa, applicata sempre più ai propri individuali bisogni “primari”. Tra i quali c’è la necessità di sopravvivere in una società sempre più vittima del consumismo; e poi c’è quella forma di socialità becera, applicata da persone incapaci di andare “oltre” la primitività esistenziale non distinta da quella delle bestie.

E’ ben chiaro dunque che in una condizione di limiti “oggettivi”, cioè quelli che vengono “imposti” da decreti in larghissima parte assurdi e, per questo motivo, largamente trasgrediti, ne deriva una forma di anarchia che produce danni sia alla Salute pubblica sia alla Democrazia. Se chi legge ha già incrociato ed interpretato il mio pensiero, saprà che ho rappresentato una posizione non soggetta in modo acritico alla Democrazia, laddove per un breve periodo fossero necessarie delle restrizioni allo scopo di fronteggiare momenti delicati e drammatici come una pandemìa o una guerra. Sono invece molto preoccupato proprio dalla mancanza di un rigore necessario, pur se temporaneo. Come ho detto sopra: “Mi ripeto…”.

Nelle prossime settimane, pur procedendo nella campagna di vaccinazione, ci ritroveremo quasi certamente (vista l’aria festosa che ha già preceduto l’apertura delle attività in un’Italia quasi tutta strumentalmente riconosciuta come area “gialla” – colore che dovrebbe di norma suggerire “prudenza”) con un aumento dei contagi che finirà per colpire
peraltro in modo serio la parte maggiormente produttiva della popolazione e potrebbe non risparmiare i più giovani, con il rischio di contribuire alla creazione di “varianti” che già risultano non essere del tutto coperte dagli attuali sieri vaccinali.

25 aprile – IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte quarta (per la parte terza vedi 23 marzo)

….4….
continua l’intervento della prof.ssa Paola Giugni – Assessore alla Cultura della Provincia di Prato

Molte volte Pasolini ha corso il rischio di essere un uomo romanzato: penso ricorderete anche voi le molte trasmissioni televisive in cui si è parlato di Pasolini e della sua morte e non si è parlato di Pasolini e della sua opera, di quello che rappresentava ed ha rappresentato Pasolini anche dal punto di vista dell’approccio politico, del periodo storico in cui è vissuto, di cui è stato testimone, di cui ha scritto. Pasolini, mi sembra Corseri recentemente ha detto sul Corriere della Sera, è in fondo un fantasma. Si potrebbe dire di più un fantasma che ognuno ha tirato spesso dalla sua parte. Ma questi trent’anni non sono passati invano. Io penso che ormai siamo arrivati ad un punto in cui per il distacco, per gli anni che passano ci sia anche una maggiore serenità di giudizio che porta alla possibilità di approfondire l’uomo e l’opera. L’opera che è enorme. Tra l’altro è andata aumentando dopo la sua morte Perché si sono scoperti inediti, che vanno ancora approfonditi, vanno studiati. Pasolini che comunque non è mai stato dimenticato. Ricordiamo che credo che sia il terzo o il quarto autore più rappresentato nel teatro italiano. Quindi, quello che però appunto è mancato in questi anni è proprio una maggiore serenità nell’affrontarlo, tant’è vero che uno dei libri usciti ultimi che io non so se stamani c’è Tricomi, ecco non lo conosco, bene, è proprio scritto mi sembra molto, molto emblematico da un giovane che è nato l’anno in cui è morto Pasolini.

Quindi ben vengano questi convegni, questi dibattiti, queste giornate di studio Perché c’è bisogno di riflettere molto, di analizzare meglio la sua opera, che è poliedrica, che è enorme dalle poesie, ai saggi, al teatro, il cinema e anche l’uomo. Perché l’uomo e l’opera (parola non comprensibile)…in questo caso direi ancora di più sono uniti inscindibilmente e l’uomo Pasolini, e soprattutto per la mia generazione, è

anche il rappresentante di un periodo storico che poi è quello che ha riflessi enormi sull’oggi. Anche Perché sull’oggi, e ha detto molto bene il Professor Maddaluno, Pasolini aveva avuto delle visioni direi quasi profetiche. Ha parlato di consumismo, di una società basata sulla banalità, su un consumismo e liberismo, in un periodo – e se pensiamo a quello che ha detto della televisione – in cui questo non era chiaro a tutti come lo è oggi. Però appunto, come dicevo, Pasolini è anche stato sfruttato. E’ stato un personaggio anche romanzato. Quindi noi bisogna tornare a capirlo.

Molto velocemente concludo dicendo che noi abbiamo bisogno ora di approfondirlo con giornate come queste al di fuori anche del clamore dei trent’anni. Io credo, e lo ha detto il Professor Maddaluno, che questa non sarà l’ultima, ma deve continuare Perché Pasolini è un classico. Io so che questo è un termine che Tricomi mi sembra non apprezza, poi ce lo dirà lui, per me è un classico della nostra letteratura, poi discutiamo sul valore che si dà a questo termine. E’ comunque un artista con cui dobbiamo per forza confrontarci. Io non so se durerà, se invece è legato solamente a questo nostro mondo, però è un mondo in cui noi siamo ancora di più e quindi conoscerlo, approfondirlo se non altro ci facilita nel conoscere ed approfondire il momento in cui viviamo.

 Quindi io auguro buon lavoro a tutti e permettetemi di ringraziare chiaramente il Professor Maddaluno che ha perseguito queste giornate con forza ed anche con una notevole diciamo forza di carattere Perché non è facile con i tagli, a cui lui accennava, che sono stati fatti in questi ultimi anni alla cultura anche mettere su semplicemente una giornata come questa. E quindi lo ringrazio di nuovo e buon lavoro a tutti. >>

24 aprile – I NODI VENGONO AL PETTINE – parte 1

I NODI VENGONO AL PETTINE – parte 1

Ho sempre più la certezza, superiore alla “sensazione”, che tutte le buone prospettive, i sani propositi che avevamo messo in campo all’inizio di questa fase storica, “pandèmica”, siano andati a farsi benedire. Molti tra i “nodi” che preesistevano sono pervenuti al pettine, alla resa dei conti.

In questi ultimi mesi, ormai diventati “anni”, sono andato pubblicando alcune riflessioni sulla situazione degli edifici scolastici, che sin dalla loro “inaugurazione” (parola che denota la pomposità dell’atto “politico ed amministrativo”) presentavano delle inadeguatezze. L’ho fatto utilizzando un titolo, “I CONTI NON TORNA(VA)NO” con un imperfetto che diventa presente: purtroppo! Ed era “presente” nei blocchi iniziali a partire dal settembre 2016, quando ho avviato a pubblicare un “racconto morale” metanarrativo. In “I CONTI NON TORNANO” e nel precedente “I CONTI NON TORNA(VA)NO” ho messo in evidenza l’insensatezza del mondo politico, cui peraltro appartenevo, in una specie di “partita a scacchi” le cui pedine erano “edifici scolastici” tutti in definitiva inadeguati a contenere il numero degli studenti di allora (siamo alla fine del secondo millennio). Non va sottovalutato il costo abnorme di quel “tourbillon”, dato che negli anni successivi fino ad oggi (2021) si sono dovuti aggiungere spazi, che sono ancora insufficienti, non solo per il necessario “contingente” bisogno di fronteggiare la pandemìa, ma per una gestione ordinaria corrente adeguata.

Quando evidenziavo quelle disfunzioni ero considerato una sorta di Grillo (è solo una casuale omonimìa) parlante, il cui destino è stato da sempre segnato sulla scorta della narrazione collodiana. Eppure vi erano in modo oggettivo (le rammento così alla rinfusa)  aule insufficienti a contenere il numero di allievi che i vari Governi di Destra e di Sinistra decidevano progressivamente di aumentare; corridoi stretti; aule comuni come bar mense e palestre – soprattutto gli spogliatoi – inidonei a dover fronteggiare eventi ordinari; criteri di sicurezza rispondenti ai valori minimi necessari piegati in modo forzato.

Allorquando in questi frangenti recenti sono andato sottolineando la necessità di ridurre la presenza di allievi nelle aule scolastiche non facevo altro che tener conto di tali problematiche. Mi veniva contrapposta l’importanza della socialità e l’assenza di dati scientifici comprovanti la diffusione del contagio “dentro” le strutture scolastiche. Lo si è fatto ignorando due realtà: la prima, collegata alle questioni qui sopra sinteticamente tracciate; la seconda relativa proprio a quel bisogno impellente tra i giovani (non tanto tra i bambini e i giovanissimi, ancora protetti dall’ambiente familiare, anche se quest’ultimo ha conosciuto un degrado poderoso nel tempo) di socializzare. Ho rilevato più volte che comprendevo pienamente tali bisogni ed ero consapevole dei danni psicologici che sarebbero derivati da tutte queste obbligate limitazioni. Nondimeno non potevo esimermi dal sottolineare l’obbligo di rispettare in primo luogo la Vita contro la Morte.

….1…

23 aprile – PACE E DIRITTI UMANI parte XXXI – per la parte XXX vedi 11 marzo

PACE E DIRITTI UMANI parte XXXI

Abbiamo anche la convinzione che non sia più eludibile da parte delle istituzioni, comprese quelle più piccole come le nostre, un urgente e stabile impegno a favore della pace e per il rispetto dei diritti umani e la costruzione di nuovi diritti in un mondo che sta progressivamente cambiando. Tutto questo in un momento dalla difficile transizione che richiede la massima sollecitudine e tensione morale estrema da parte di tutti.

Guai ad abbassare la guardia; le nostre generazioni non hanno conosciuto direttamente la tragedia della guerra, ma non è detto che potrà in futuro essere sempre così; le nostre generazioni sul nostro territorio non hanno conosciuto il disprezzo dei diritti umani, anche se a pochi chilometri dai nostri confini questo è accaduto, ma non è detto che in futuro ciò non tocchi anche a noi.

https://www.lastampa.it/cultura/e20/passato-presente/2018/09/06/news/la-guerra-nei-balcani-e-il-massacro-di-srebrenica-1.36625645

La pace ed il rispetto dei diritti umani vanno salvaguardati soprattutto attraverso l’uso della pratica quotidiana della democrazia e della libertà: non pochi segnali di oscurantismo, di imbarbarimento civile, di attentato alla memoria storica del nostro paese, anche negli ultimi giorni, ci richiamano ad un maggiore impegno in difesa della democrazia e della libertà.

La Toscana, anche rispetto ad altre Regioni, può vantare con questa indizione di una ricorrenza così speciale ed importante, di aver seminato – e di voler continuare in questa direzione – radici solide di pace e democrazia e questo, anche se non dovesse essere considerata una garanzia in assoluto, sarebbe comunque un buon punto di partenza. L’indizione di questa ricorrenza è di certo un forte motivo di orgoglio per tutti noi, sia per chi è nato in Toscana sia per chi come me da tempo vi risiede; cogliere questa opportunità, permette poi a tutti noi di attingere ad uno stimolo in più per riprendere la buona abitudine (e parlo soprattutto e prima di tutto pensando in primo luogo a me stesso) di avviare una discussione ed un approfondimento su alcune tematiche come quelle che sono state evidenziate nel titolo dell’iniziativa odierna.

La giornata che abbiamo organizzato sarà caratterizzata da due interventi programmati: in effetti il secondo intervento quello previsto da parte di Italo Moscati, Presidente del Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” che ci ospita, viene rinviato ad una prossima occasione in quanto chi lo doveva tenere ha avuto un contrattempo, si è scusato ma non potrà essere con noi: al suo posto ci sarà un intervento di saluto comunque della struttura – il “Pecci” – da parte del Vice Presidente, il Professor Attilio Maltinti. Ad ogni modo, senza voler sminuire il valore del collega che sostituirà Italo Moscati, devo dire che l’intervento fondamentale dal punto di vista storico, la “lectio magistralis”, sarà quello del Professor Giuseppe Panella, che tratterà del tema “Cesare Beccaria ed il suo “Dei delitti e delle pene”: l’influenza che questa opera ha avuto sullo Statuto Leopoldino, sul Codice Penale Leopoldino”.

Posso però annunciare che proprio per supplire alla improvvisa défaillance di un tassello del nostro Programma proprio perché lo abbiamo saputo soltanto stamattina, abbiamo pensato di farvi cosa gradita nel presentarvi per intero (in un primo momento avevamo previsto di utilizzarne solo un brano) il film di Krzysztof Kieslowski, “Quinto comandamento: non uccidere” che fa parte del “Decalogo” di quel regista.

….XXXI….

22 aprile – 75 – Pulcinella parte 1 dopo il preambolo (vedi preambolo 15 marzo)

75 – Pulcinella parte 1 dopo il preambolo

La mia curiosità è stata da sempre innata, mai sopita, anche a costo di rimetterci, come quella volta che mi ficcai in un anfratto strettissimo, un vero e proprio buco per lo scolo delle acque, per andare a scoprire cosa c’era al di là di un muro, durante una Pasquetta con i miei genitori, e non riuscivo a fare marcia indietro, carponi come ero (e me la vidi davvero nera!). E quindi, scendendo ancora una volta per le scale dei Cappuccini, per non smentirmi premetti il pulsante e pur nel silenzio dell’ambiente non avvertii alcun segno sonoro: sembrava non funzionante. In realtà lo era; ma me ne accorsi la volta successiva perché decisi, dopo il vano tentativo “tecnologico”, di utilizzare le nocche sulla porta di legno. Vennero ad aprirmi due giovani ragazze, così timide e silenziose quanto me, che decisamente non sapevo cosa chiedere, se non che “passando di qui, mi sono sempre chiesto di cosa vi occupate!”. Al che da una stanza in fondo sentii una voce “Entra pure! Qui siamo tutti a casa”. Era il “patron”, il Nume tutelare, il “Genius” di quella dimora e di quell’Associazione. Con Claudio Correale ci intendemmo da subito ed avviammo una cooperazione culturale con una serie di piccoli progetti. Compresi subito dopo il motivo della timidezza delle ragazze; erano lì da poco tempo, facevano parte di uno dei progetti del Servizio civile presso Enti ed Associazioni culturali promosso dalla Regione Campania. In quell’occasione andavano censendo centinaia e centinaia di pubblicazioni afferenti a temi collegati ai Campi Flegrei. Una delle attività che mi coinvolse da subito era relativa al Pre-Cinema. In giro nelle stanzette dell’Associazione c’erano molte riproduzioni di “macchine” come lo zootropio, un praxinoscopio e tanti taumatropi disegnati proprio da bambini, nelle diverse occasioni che l’Associazione aveva messo in cantiere intorno al Pre-Cinema. Claudio mi descrisse alcune delle attività che aveva realizzato e chiese ad alcuni dei giovani che nel frattempo avevano ripreso a lavorare di illustrarmele. Ascoltai con molta attenzione e colsi il loro entusiasmo.

In quel periodo, oltre ad alcune attività portate in terra Flegrea e riservate agli esordi d’autore con il patrocinio del Comune di Pozzuoli, andavo collaborando con alcuni docenti a Prato ed avevo preparato e presentato a studenti di un Liceo Classico un Progetto che collegava Jean Vigo a Francois Truffaut. Non ebbi alcuna esitazione e  proposi anche a Claudio di poter mettere in calendario un mio intervento, in uno dei futuri miei “ritorni” in patria.

Quella fu la prima delle iniziative che portai a Pozzuoli, felice di poter contribuire a creare passioni nelle giovani generazioni e reciprocamente arricchirmi di esse.

Da quel giorno, ogni volta che ritorno mi annuncio a Claudio e ad ogni modo ogni volta che scendo o salgo quelle scale non manco di bussare con le nocche, anche se il più delle volte, non essendoci alcuna presenza, nessuno apre quella porta.

L’ultima volta, un paio di settimane prima che scoppiasse l’evento pandemico che ci sta ancora oggi condizionando, avevo preventivamente fissato con Claudio e ci siamo incontrati.

…1….

21 aprile – LE ASPETTATIVE per intero con un Preambolo

LE ASPETTATIVE per intero con un Preambolo

Ho pubblicato queste “riflessioni” in sei post dall’ 11 al 20 febbraio (11,14,16,17, 18 e 20). C’è sempre stata una attenzione verso il comportamento delle Sinistre; in modo particolare intorno al tema – evidentemente urgente, più di quanto stava accadendo intorno a “tutti” noi – della presenza “femminile” all’interno delle “squadre” di Governo e negli organismi di Partito.

Lavorare sulla qualità e sulle competenze (oggi le donne valgono quanto o più degli uomini, ma non è il rampantismo, il desiderio assoluto e generico di Potere a denotare meriti e qualità. Manca un “metodo” qualificato per far emergere le reali qualità. E questo è valido sia per gli uomini che per le donne).

Occorre modificare dalle fondamenta la Politica (è pura utopia ma bisogna provarci)

Ho pubblicato queste “riflessioni” in sei post dall’ 11 al 20 febbraio (11,14,16,17, 18 e 20). C’è sempre stata una attenzione verso il comportamento delle Sinistre; in modo particolare intorno al tema – evidentemente urgente, più di quanto stava accadendo intorno a “tutti” noi – della presenza “femminile” all’interno delle “squadre” di Governo e negli organismi di Partito.

Lavorare sulla qualità e sulle competenze (oggi le donne valgono quanto o più degli uomini, ma non è il rampantismo, il desiderio assoluto e generico di Potere a denotare meriti e qualità. Manca un “metodo” qualificato per far emergere le reali qualità. E questo è valido sia per gli uomini che per le donne).

Occorre modificare dalle fondamenta la Politica (è pura utopia ma bisogna provarci)

Se qualcuno si attendeva – o ancora si attende – che il tentativo di mettere in piedi un Governo fallisca non potrebbe che essere riconosciuto come un irresponsabile. Una simile soluzione comporterebbe un vero e proprio default non solo istituzionale ma anche economico e sanitario. Chi pensa che sia meglio far fallire Draghi sia per un tornaconto di tipo elettorale sia per ragioni collegate ad una visione diversa del proprio progetto politico non ha in mente l’interesse di grandi masse. Non è questo il “tempo di rivoluzione”; questo è il “tempo di agire” ed eventualmente adoperarsi per limitare al massimo quelle che possono essere scelte antitetiche al proprio interesse di posizione.

Molte – e molto alte pur nella loro semplificazione – sono le aspettative diffuse. La semplificazione serve a comprendere l’elemento comune ma l’attuazione prevede interventi assai più articolati.

Molti guardano al futuro Premier ponendo in prima linea i propri interessi. E’ giusto farlo ma non ci si attendano “miracoli”. Viviamo ancora in un periodo “pieno” di pandemìa e la priorità assoluta centrale intorno cui tutto il resto deve ruotare è l’elemento sanitario.

Occorrerebbe una maggiore serietà nel valutare le azioni del Governo, a partire da quello ancora in carica, forse per poco. Le critiche formulate sono state contornate da una serie di “falsità” (fake news), come l’accusa di non avere un adeguato “piano vaccinale” (c’è una differenziazione tra Regione e Regione, ma laddove il “sistema” funziona e le dosi vengono distribuite tutto procede normalmente) o la diatriba intorno alle “bozze” sul Recovery plan e la “governance” (ogni Paese ha avviato una elaborazione partendo dai titoli – forse meno forse poco più di una “bozza”; e la “governance” sarà un’operazione che necessariamente vedrà la presenza di “tecnici” all’interno del Consiglio dei Ministri, che di certo appalterà competenze “esterne”, più o meno come aveva progettato Giuseppe Conte).

In questo periodo tra le altre cose Salvini e Renzi hanno agito da veri e propri oppositori al precedente Governo; il primo con tutta la legittimità – il secondo seguendo la sua acidità caratteriale. Vanno ricordate le numerose comuni sortite a favore della totale apertura delle attività commerciali, come se niente o poco più di niente stesse accadendo, le rimostranze anarchiche a favore dei no-mask e no-vax  e gli attacchi scomposti contro la chiusura delle scuole, incuranti delle numerose problematiche collegate alla sicurezza degli ambienti, di cui – peraltro – molta responsabilità è nell’assurda ”Buona Scuola” di renziana memoria (un’operazione, quella, semplicemente di “maquillage”, modalità ereditata dal periodo “berlusconiano”).

La “conversione” di Salvini è una formalità tattica dalla quale attende una “resa” in termini di consenso. Fin quando questa scelta funzionerà a suo vantaggio egli rimarrà legato al Governo; subito dopo si sfilerà.

Laddove il Governo nascesse con tutte queste “gambe” la presenza della Lega per l’appunto è da intendersi “a tempo” limitato. A patto che sia facile e tollerabile per le altre forze politiche, come Leu, PD e M5S, accettarne – non di certo condividerle –  le posizioni nel corso dei prossimi mesi. Ovvio che questo è un “punto di vista” – il mio – di chi non si riconosce del tutto in quelle posizioni assolutamente ideologiche di tanti miei compagni. A costoro dico che c’è un tempo diverso in cui stabilire le proprie posizioni; e non è “questo”.

Le aspettative p.2

Con l’annuncio della composizione del Consiglio dei Ministri proposta da Mario Draghi sono partiti i giudizi positivi e negativi da parte delle opposte tifoserie. E’ del tutto evidente che “le aspettative” rischiano di essere molto superiori rispetto ad una visione realistica in un senso o nell’altro. C’è chi ritiene che la sola presenza di Draghi possa garantire il successo delle iniziative che saranno poste in campo da un Recovery Plan la cui strutturazione si diversifichi da quella finora sottoposta all’attenzione del consiglio Europeo, che è stata tacciata di essere poco più di una “bozza”. Lo si è fatto strumentalmente allo scopo di diffondere false notizie per screditare il Premier uscente (ho già annotato che, in assenza di regole, che sono state approvate meno di una settimana fa, sarebbe stato un gioco “accademico” scendere in dettagli) e giustificare la scelta di puntare in modo proditorio, come ha fatto Matteo Renzi, alla crisi del Governo Conte II. In realtà la decisione di chiamare Mario Draghi alla guida del Consiglio dei Ministri potrebbe addirittura significare la sua neutralizzazione verso quello che appariva lo sbocco naturale della sua carriera: la Presidenza della Repubblica. In questo “progetto” è stato coinvolto l’attuale Presidente della Repubblica che, vista la impossibilità di garantire una maggioranza al Governo Conte II per la insistente protervia di una sola forza politica presente in quella coalizione, ha dovuto operare un’iniziativa eccezionale, chiamando alla responsabilità tutte le forze politiche parlamentari a confrontarsi sulla proposta “Draghi”.

In maniera narcisistica, egocentrica, in qualche modo pericolosamente eversiva (perlomeno “fuori dagli schemi”) Matteo Renzi ha proseguito ulteriormente, e al di là di ogni valida motivazione, a vantarsi in lungo e in largo, urbi et orbe, di essere “lui” l’artefice di quella soluzione. Lo ha fatto anche su autorevoli testate internazionali come il New York Times ed il Financial Times, aspettandosi alti riconoscimenti ma ottenendo giudizi taglienti e per niente benevoli.

Il 9 febbraio su NYT Jason Horowitz aprendo il suo articolo rileva come Matteo Renzi è diventato l’obiettivo di uno stupore e di uno smarrimento quasi universali per aver gettato il paese nel caos politico nel bel mezzo di un pandemia.

Renzi’s Power Play Is a ‘Masterpiece.’ He’ll Be the First to Tell You.

With a series of maneuvers that could have made Machiavelli blush, the former prime minister gave Italy a new government. Just don’t expect anyone to thank him for it.

“Questa era la mia strategia. Ho fatto tutto da solo, con il 3 percento! ” 
(“This was my strategy. I did it all alone, with 3 percent!”)  e chiama in causa a suo sostegno la figura di Niccolò Machiavelli e, da solo a se stesso ha aggiunto “E ‘un capolavoro della politica italiana”. La qual cosa ha prodotto una riflessione personale del giornalista “Il narcisismo e la nuda ambizione del signor Renzi lo hanno reso insopportabile a molti italiani”.

Non è molto diversa la sopravvalutazione espressa da Renzi nella valutazione che ne fornisce il Financial Times.

Questo è solo un lieve assaggio di quanto valga  Matteo Renzi  nell’opinione internazionale. In pratica “una pulce che mostra di avere la tosse per affermare il suo ego”.

Certamente il giudizio più lampante sul leader di “Italia Viva” l’ha espresso Carlo Calenda, quando ha evidenziato la volontà di “primeggiare” a prescindere dal reale merito del leader di “Italia Viva”, quando intervistato da Lilli Gruber ha rivelato che ogni formazione di Governo, dal Conte I al Conte II ed ora il Governo Draghi sia stata “opera personale” di Matteo Renzi.

In pratica, tenendo conto anche della questione “araba”, è una modalità schizofrenica che ha davvero aspetti psicopatologici su cui riflettere.

Sulle “aspettative” continuerò a riflettere in un nuovo blocco, partendo da un’analisi individuale del nuovo Consiglio dei Ministri

3.

“Chiacchiere e tabacchere e’ lignamm o’ Banco ‘e Napule nun ne ‘mpegna!“

Il tempo sarà galantuomo. Lo sapremo o lo sapranno quelli che verranno se e come Mario Draghi avrà realizzato i miracoli di cui, per ora è soltanto virtualmente accreditato (gli si riconosce un credito rispetto a quanto ha prodotto nel suo settore di competenza primaria e ci si “auspica” una capacità di riconversione in una visione politicamente “totale”). Rispetto a tanti altri che, da Sinistra, avanzano critiche già severe e chiaramente pregiudiziali, intendo dare attenzione a quel che realmente riuscirà a realizzare. So perfettamente che questo Governo, essendo opera di Matteo Renzi (non l’ho di certo detto io, eh!?!), non garantisce che molte delle problematiche irrisolte dai precedenti Governi (entrambi gli ultimi, responsabilità del leader di Italia Viva, eh!?!) possano essere realizzate. Il Governo Draghi non aveva emesso ancora il suo primo vagito che già cominciavano a circolare proposte su come affrontare e tappare le falle del sistema scolastico post pandemìa, lanciando peraltro (forse qualche giornalista ci ha ricamato un po’ su e la notizia si è trasformata in una probabile “fake”) accuse sottili al personale docente che ha dovuto invece rapidamente convertirsi ad una pratica che per molti era assolutamente ostica (su questo analfabetismo tecnologico occorrerà avviare una seria riflessione su quanto sia necessario “fare” e quanto sia stato trascurato da parte dei “precedenti Governi”, non solo Conte, soprattutto il “secondo”).

Mi sono molto dilungato sulla profonda incapacità espressa dalla Ministra “uscente”, Azzolina. Ed in precedenza  avevo in diverse occasioni espresso molte perplessità su altre Ministre. Correndo il rischio di essere considerato un misogino, o – se preferite – un maschilista, non mi sono proprio piaciute né la Carrozza, né la Giannini né la Fedeli. E qui, deviando verso un tema attuale “spinoso”, devo rilevare che si tratta di tre “donne” che fanno riferimento alla “quota” femminile del Partito Democratico.   Ritengo che l’attuale “battaglia” dei “generi” non abbia alcun senso “politico” in relazione al nuovo Governo. Il Paese ha bisogno di tutte e di tutti, dalla carica più elevata fino al sessantamilionesimo (e rotti) cittadino. Può ben essere, questa, un’occasione per tutte e tutti per mettere in evidenza le proprie qualità.

Il Paese non ha bisogno di “chiacchiere”, di discussioni che finiscono per apparire “accademiche e fuori luogo” (vedi proverbio napoletano su inserito in grassetto).

Uno “storico” dei nostri tempi, quando leggerà i documenti che parlano di noi dopo aver spulciato tutto focalizzerà la sua attenzione su quel che saremo capaci di “aver realizzato”. Ci sarà spazio per i “rottamatori” ma per sanzionarli mentre saranno esaltati i “costruttori” e non ci sarà alcuna differenza relativamente ai      “generi”: si darà merito a donne e uomini che si saranno impegnate/i “a tirare la carretta”.

Piuttosto impegniamo questo “tempo” che ci è dato per realizzare le “riforme” senza le quali continueremo ad essere sempre più marginali nel mondo contemporaneo. E quanto alla Sinistra, partendo da un Partito Democratico che sia consapevole dei suoi limiti, avvii una profonda revisione che porti ad una formazione che abbia chiari riferimenti al mondo dei più deboli, degli emarginati, della parte che ha maggiore e sempre più impellente bisogno di essere aiutata e sostenuta.

Basterebbe per far questo riprendere in mano i principali documenti del periodo fondativo e valutare “storicamente” tutto ciò che non è stato realizzato, giudicando in modo severo i motivi per cui ciò non è accaduto.

4.

Sarebbe opportuno riconquistare una capacità razionale equilibrata che conduca ad una comprensione scevra da forme ideologiche. E’ abbastanza difficile, lo capisco. Soprattutto non lo è per tutte quelle persone che hanno costruito la propria identità basandosi sull’appartenenza partitica, quelle – per comprenderci – che hanno strutturato la propria dipendenza intellettuale in modo esclusivo. In questo periodo pandemico, nel quale tantissime persone sono state condizionate a rivedere la propria esistenza, i propri ritmi vitali, si sarebbe potuto far prevalere la riflessione individuale, quella che di norma dovrebbe contribuire a ricreare un nuovo senso all’elaborazione collettiva. Ce lo siamo detto molto spesso: “di fronte alle difficoltà gli esiti potrebbero essere positivi!”; anche se, poi, nel calcolo delle probabilità, le “varianti” potrebbero condurre a sbocchi “negativi”.

Come avete potuto leggere nel post di ieri, 16 febbraio, mi sono espresso in modo critico e severo verso le posizioni “sciovinistiche per genere” delle donne del Partito Democratico.  Vorrei, non certo per convenienza (vivo la mia parte finale della vita nel quale non nutro ambizioni di rivalità), allontanare il dubbio di un certo tipo di malevolenza maschilista interessata e non mi esimo dal giudicare questa rimostranza da parte delle donne “Democratiche” come espressione di malafede e di strumentalizzazione di carattere politica, il cui profilo che può essere alto ma in questo caso finisce per essere davvero molto “basso”.

La scelta delle Ministre e dei Ministri è stata fatta in forte autonomia da parte di Mattarella e Draghi. Non c’entra nella maniera più assoluta il Segretario Zingaretti. Sollevare il polverone su questo tema può nascondere il desiderio da parte di alcune ed alcuni di andare ad un cambio di vertice.

Bisogna riconoscere che – una volta scelte le persone (i “tecnici”) che sono andate a ricoprire ruoli prioritari nel “progetto” che pur avrà in mente il Primo Ministro – non c’erano molti spazi da riempire con figure che si riferissero a forze politiche e alla relativa posizione di “genere”.

Faccio un paio di esempi, significativi, con due Ministre. La scelta di Carfagna (Forza Italia ha 2 donne su tre componenti) e di Bonetti (Italia Viva ha il 100% di presenza femminile) ha un senso.

La prima non è una proposta del Partito di riferimento: ad alzare la sua quotazione potrebbe essere stata una segnalazione da parte del Presidente della Camera o l’attenzione dello stesso Mattarella, alla ricerca di persone che negli ultimi tempi hanno mostrato equilibrio nelle loro azioni politiche: Mara Carfagna ha condotto le assemblee di Montecitorio con energia e capacità ed è tra le promotrici di azioni politiche che guardano alle problematiche meridionali in forte controtendenza ed in contrapposizione con una parte, quella dominante, del suo Partito: non ha fatto velo, peraltro, di volersi distinguere con la creazione di un “nuovo” Partito “meridionalista”.

La seconda ha mantenuto un profilo discreto silente in tutta la diatriba scoppiata con le dimissioni “forzate” cui è stata condotta dal leader del suo Partito, “Italia Viva”. E, nonostante le elucubrazioni di Matteo Renzi che vantava la decisione della professoressa Elena Bonetti di “ritornare al suo impegno professionale”, ha saputo mantenersi a distanza, ben diversamente da quel che ha fatto la dimissionaria Bellanova che si è distinta per aggressività pari a quella del suo “patron”. La prima è stata promossa, la seconda “bocciata” sonoramente con un vero e proprio schiaffo “virtuale”, che si è concretizzato con l’assegnazione del Ministero dell’Agricoltura ad un rappresentante autorevole del Movimento 5 Stelle.

Nel prossimo post continuerò a riflettere sia sui Ministeri che sulle posizioni della Lega, con la sua adesione strumentale al Governo Draghi.

5.

In realtà il problema della suddivisione per genere nella ripartizione degli incarichi ministeriali in questo Governo Draghi è trasversale.  la Lega ha tre presenze, una delle quali è assegnata ad una donna, Erika Stefani. Anche in questo caso a pesare è stata la caratteristica del dicastero, quello sulle Disabiità. Espressamente richiesto dal leader della Lega, è stato assegnato ad una rappresentante di quel Partito, sostituendo in quel ruolo un’altra donna che lo aveva condotto nel primo Governo Conte, Alessandra Locatelli, sempre della Lega, che di recente è andata a ricoprire lo stesso incarico nel Parlamento regionale lombardo. E, poi, hanno pesato non poco le “quote” tecniche dove, oltre alla conferma della prefetta Lamorgese (già di per sè una “tecnica”), ci sono le new entry di Marta Cartabia e Maria Cristina Messa. Per il Movimento 5 Stelle che, tra le forze “politiche” è il più rappresentato con quattro membri, c’è solo una figura femminile, Fabiana Dadone.

A questo punto, però, bisogna anche cominciare a farsene una ragione: e non è certo la protervia e la cattiveria dei maschi. Bisogna riconoscere che moltissime donne, ed in modo particolare tantissime i cui meriti e le loro competenze sarebbero ben utili  a costruire il miglioramento della società, sono molto poco interessate alla Politica, così come la si è strutturata. In realtà, e probabilmente le stesse “donne” che lottano per avere il riconoscimento del loro ruolo all’interno delle forze politiche dovrebbero prenderne atto, a tantissimi rappresentanti del genere “maschile” questa “politica” nella pratica quotidiana attira sempre meno. Soprattutto coloro che la vorrebbero praticare mettendosi a servizio del bene comune trovandosi moltissimi ostacoli.

Per queste ragioni la capacità di suscitare nuova “passione” dovrebbe essere l’obiettivo di un’operazione (ri)costituente necessaria anche per equilibrare la presenza di “genere” non solo numericamente.

Ritornando a quel che ci attende, un buon segnale è la costituzione del Gruppo interparlamentare alla Camera. In questi ultimi due anni le due forze maggiori nel Governo hanno potuto intraprendere un percorso di contaminazione culturale e politica positiva. Da una parte si è riconosciuto il valore della preparazione politica e dall’altra si è dato atto all’importanza della partecipazione passionale. Si è proceduto ad una crescita “comune”.

In modo diverso si sono mosse le forze politiche di “opposizione” da Fratelli d’Italia a Forza Italia. Non hanno riconosciuto di fatto la gravità della situazione; o, meglio, lo hanno fatto solo per denunciare qualche passo falso o per sostenere in modo becero gli interessi dei “grandi gruppi industriali”. E non fanno nulla nemmeno per illuderci che, con il nuovo Governo, collaboreranno. Se c’era un motivo per non farlo era molto personale e afferiva all’astio accumulato da Salvini verso Conte che non aveva assecondato l’idea del leader della Lega quando, nell’agosto del 2019, progettava di andare a nuove elezioni. Dovremmo ringraziare il Presidente del Consiglio uscente anche per questa sua resistenza; provate solo ad immaginare quanti sarebbero stati in più i contagiati ed i decessi se avessimo avuto la Destra al Governo.

In ogni caso, bando alle polemiche, “palla avanti e pedalare”! anche se con quei caratteri sarà dura: ed una dimostrazione l’ ha già data il neo Ministro leghista Garavaglia.

LE ASPETTATIVE (?) . parte 6

In questo ultimo anno – siamo ormai ad un anno dallo scoppio della pandemìa che ci ha condizionati in una sorta di lockdown sociale perenne – non sono mai stato accondiscendente e tenero verso il Governo Conte II, ma avvertendo in pieno un senso di responsabilità l’ho fatto in modo fraterno e paterno, solidale, mai venato da acrimonia e da contrapposizione pregiudiziale. Ho espresso ciò che non mi piaceva per niente, in modo particolare le modalità con cui si muoveva la Ministra della P.I. che poneva in evidenza un astio profondo contro il suo predecessore, le cui qualità culturali e politiche rimangono a tutta evidenza ben superiori alle sue. Mi ha dato enorme fastidio il suo presenzialismo da “reality”, allorquando in molte occasioni utilizzava un linguaggio non sempre adeguato per un alto rappresentante delle Istituzioni, per giunta “educative e culturali”.

Per non parlare della insistenza con cui, complici molti rappresentanti delle istituzioni scolastiche, andava affermando che non fosse necessario insistere con la “Didattica a Distanza” e chiedeva di continuo la riapertura delle scuole. Tutti sappiamo valutare quali siano i danni che l’assenza di socialità presente nella frequenza scolastica, oltre che il conseguente abbassamento di livello di preparazione indotto dalla differente qualità di apprendimento legato alla mancanza di un rapporto “diretto” tra docente e discente, sta comportando. Ma allo stesso tempo non è possibile permettere una circolazione del virus dentro e fuori locali scolastici inadeguati a limitarne la pericolosità, che entri, esca e viaggi su corpi in modo anche asintomatico ma contagioso soprattutto per le persone più deboli e anziane.

Non ho in modo forse contraddittorio risparmiato critiche nei confronti del Governo quanto alla chiusura di strutture pubbliche e private collegate alla fruizione culturale e artistica. Su questo ho scritto più righe su questo Blog. Pur tuttavia ho evidenziato come non vi fossero alternative “migliori” ed ho sottolineato sempre che il giudizio non era affatto venato da pregiudizi ideologici: il comportamento della Destra, in primo luogo il suo leader Salvini, non avrebbe garantito migliori soluzioni; anzi, le Destre si ponevano all’opposizione chiedendo demagogicamente “aperture” totali senza regole, negavano con l’esempio diretto, appoggiando le più becere dimostranze, l’utilità di alcune forme preventive come l’uso della “mascherina”.

Devo rilevare che non ho trovato molta solidarietà in questa forma critica da parte delle forze politiche di maggioranza; anzi, in qualche caso (Italia Viva), non c’era differenza con le Destre nell’acrimonia con cui i rilievi si muovevano. Ma in questo ultimo caso non erano a fin di bene; nascondevano un progetto ostile alla maggioranza, che ha finito per produrre un danno al Paese, del quale sarà difficile vantarsi. Non ci sono, infatti, le condizioni per  veri e propri cambiamenti in positivo; per ora li nascondono dietro un semplice sentimento astratto di “speranze”. Ho intitolato infatti questi post in blocco “Le aspettative”; da quel che ho sentito (Draghi ha fatto un discorso freddo, poco coinvolgente), da quel che avverto con la composizione spuria, disorganica, disarmonica del Governo non credo emergano aspetti positivi. Ma, anche in questo caso, l’alternativa, a causa della maldestra operazione di Matteo Renzi, sarebbe stata di gran lunga peggiore.