28 aprile – due miei post dell’aprile (24 e 27) del 2020

TEMPO DI CORONAVIRUS – domani del 24 aprile 2020

Ve le ricordate le file di persone, centinaia, che – all’annuncio della decisione governativa di indire la “zona rossa” in tutta la Lombardia – tra il 7 e l’8 marzo hanno scelto di ritornare verso il Sud?

Non ci furono solo i “benpensanti” del Nord (in tanti) e del Centro (ne conosco qualcuno) a stigmatizzare quella scelta; anche alcuni tra i governatori del Sud si scagliarono contro quella scelta preoccupati dalla possibilità concreta di una diffusione massiccia della pandemia nel Meridione. I secondi, non lo scrivo per scelta sciovinistica, avevano di certo molte buone ragioni. I primi, soprattutto quelli del Nord, avanzarono una riflessione ipocrita; quelli del Centro non erano in grado di comprendere le motivazioni di quella fuga.
Ad ogni modo, però, quella scelta certamente irrazionale, dettata dalla sensazione di dover sopportare un lungo periodo di difficoltà senza il conforto di una famiglia, senza il sostegno di un lavoro sicuro e dignitoso, senza la certezza di essere curato in un quadro di pandemia acuta, con il sentore di non essere in grado di poter fronteggiare l’emergenza, aveva una sua logica che forse poteva sfuggire a chi non è mai stato costretto ad emigrare in luoghi non sempre “ospitali”, freddi glaciali nei rapporti umani a volte posti in disparte di fronte a scelte di natura economica finanziaria. Fate pure ironia, Feltri e compagnia bella, sulla creatività umanistica dei meridionali, e tenetevi l’arido rincorrere il lavoro soprattutto per il guadagno e non per la valorizzazione della dignità umana (anche il “parcheggiatore abusivo” ha una sua dignità; avrei qualche dubbio su quella degli algidi compassati “businessman”).

Forse quelli del Nord dovrebbero anche ringraziare coloro che sono andati via di fretta e furia in quei primi giorni di marzo. Hanno evitato che nella pandemia vi fossero altre migliaia di morti; e tutto sommato non hanno prodotto grossi sconquassi nel Mezzogiorno. Forse, ad insegnamento futuro, qualche evento di questi mesi dovrebbe essere posto ad esempio. Non c’è alcun dubbio 1) che il contagio in Italia non sia venuto dai “cinesi”; 2) che in molte parti d’Italia il contagio sia partito dalla Lombardia (qui a Prato, da dove scrivo, è arrivato con un messaggero operatore sanitario che aveva frequentato l’hinterland milanese e sulla costa livornese è sopraggiunto sulle ali di alcuni lombardi proprietari di seconde case); 3) che l’aver trascurato la cura dell’Ambiente in quelle aree così operose ha prodotto condizioni favorevoli alla diffusione del virus; 4) che la capronite acuta che hanno mostrato alcune parti politiche che da un lato chiedevano maggiori controlli sui cinesi (che, per dirla tutta, non appena hanno avvertito il rischio del contagio si sono autoisolati in quarantena volontaria e permanente) e dall’altro minimizzavano e chiedevano di non chiudere i luoghi di lavoro.
Una cosa è certa: solo se su tutto questo riusciremo a svolgere una autocritica severa, analizzando tutti gli aspetti, anche quelli negativi che appartengono a nostri punti di riferimento politici, riusciremo a realizzare un mondo diverso, forse riusciremo a modificare in meglio i modelli di sviluppo sociali ed economici che ci hanno caratterizzato fino ad oggi.

27 aprile 2020

TEMPO DI CORONAVIRUS – INSOLENTI FALSIFICATORI o comunque adattatori di notizie a sostegno delle debolezze umane

In questo tempo di Coronavirus non mancano le notizie false o modificate ad arte per indurre una parte della popolazione ad avversare le scelte del Governo. Molti di noi si sono detti che da questa disastrosa situazione c’era la possibilità di uscirne migliorati. Ecco! Questi insolenti falsificatori stanno lavorando proprio per evitare che sia possibile un esito positivo da qui ai prossimi mesi; anzi, sono impegnatissimi nel gettare discredito su ogni scelta del Governo e dei suoi sostenitori. Indubbiamente, la realtà non è facile da governare ed anche all’interno dell’Esecutivo vi sono pareri discordanti che generano imbarazzo e provocano la sensazione che sia tutto più difficile da affrontare.
In questo periodo tra l’altro è molto semplice giocare con la sensibilità della gente. Il distanziamento imposto dalla diffusione del contagio ha prodotto in una parte di noi una forte sensazione di essere più soli; in realtà lo siamo, perchè ci mancano i contatti diretti ed il futuro soprattutto quello collegato allo “status” che siamo riusciti ad ottenere appare molto incerto. Per comprendere pienamente quello che ora siamo e ciò che proviamo non dobbiamo nella maniera più assoluta dimenticare quel che eravamo, quel che dicevamo “prima”. Il rischio della dimenticanza è molto forte ed è stato più volte denunciato. Molti rimpiangono il lavoro che avevano e che si è interrotto bruscamente. Non devono tuttavia dimenticare che a fronte di tanto lavoro svolto nel pieno rispetto delle regole ve ne era ad iosa fuori dalle regole o anche entro limiti di regole che venivano interpretate “solo” a vantaggio dei datori (ad esempio, quei contratti ad un numero di ore molto inferiori rispetto a quelle realmente prodotte). Anche quegli stessi operatori autonomi con Partita Iva che pure hanno trovato spazio nelle organizzazioni sindacali dovrebbero produrre proposte complessive non solo legate in modo esclusivo alle loro categorie. Verrebbe da esclamare in modo ormai demodè “Lavoratori unitevi!” ma non voglio nemmano lontanamente lasciare l’impressione di essere un vetero comunista.
Ovviamente non è solo il “proprio” lavoro a preoccupare, ma sono soprattutto le incognite relative alla riorganizzazione dei servizi (che sono parte importante del mondo stesso del lavoro) a misura di prevenzione che bisognerà mettere in atto. Come funzioneranno le scuole, come i trasporti, come i settori dello spettacolo e del turismo? Molto sarà da riorganizzare, ma tutto questo richiede partecipazione, condivisione, fiducia nel poter anche essere protagonisti attivi non solo in vista della ripresa ma in particolare in quella del rinnovamento e del cambiamento, al servizio dei beni comuni.
Coloro che invece “temono” tutto questo, che vorrebbero sì cambiare ma riportando indietro le lancette della storia in un tempo buio che potrebbe segnare la fine delle libertà, fanno di tutto per diffondere menzogne o ritoccare le notizie a proprio vantaggio operando in modo ossessivo sulle angosce, sulle paure dell’immediato futuro. Accade anche che per screditare chi governa si utilizzino fonti scarsamente scientifiche, poco più che illazioni provenienti da ambienti non abilitati ad esprimersi, già abbondantemente riconosciuti come inaffidabili. E si dà però il caso che alcune testate giornalistiche si diano da fare per diffonderle tra i loro lettori, che hanno nel corso degli anni avuto fiducia nei loro comitati redazionali. E questo genera un disorientamento complessivo che nuoce allo stesso concetto di “democrazia” riducendone la forza.
Il ruolo di chi difende la forza della Democrazia, della Ragione, del confronto dialettico ma ricco di contenuti, di chi non vuole soluzioni facili e a buon mercato, di chi vuole cambiare deve essere quello di rinnovare per migliorare le condizioni dei più deboli, operando anche da posizioni comode di guida. Ovviamente non si può costruire nulla di nuovo sulle macerie; bisogna partire da quello che siamo, da come eravamo, avviare una critica severa e profonda e procedere in avanti.

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