TEMPO DI CORONAVIRUS – domani del 24 aprile 2020
Ve le ricordate le file di persone, centinaia, che – all’annuncio della decisione governativa di indire la “zona rossa” in tutta la Lombardia – tra il 7 e l’8 marzo hanno scelto di ritornare verso il Sud?
Non ci furono solo i “benpensanti” del
Nord (in tanti) e del Centro (ne conosco qualcuno) a stigmatizzare quella
scelta; anche alcuni tra i governatori del Sud si scagliarono contro quella
scelta preoccupati dalla possibilità concreta di una diffusione massiccia della
pandemia nel Meridione. I secondi, non lo scrivo per scelta sciovinistica,
avevano di certo molte buone ragioni. I primi, soprattutto quelli del Nord,
avanzarono una riflessione ipocrita; quelli del Centro non erano in grado di
comprendere le motivazioni di quella fuga.
Ad ogni modo, però, quella scelta certamente irrazionale, dettata dalla
sensazione di dover sopportare un lungo periodo di difficoltà senza il conforto
di una famiglia, senza il sostegno di un lavoro sicuro e dignitoso, senza la
certezza di essere curato in un quadro di pandemia acuta, con il sentore di non
essere in grado di poter fronteggiare l’emergenza, aveva una sua logica che
forse poteva sfuggire a chi non è mai stato costretto ad emigrare in luoghi non
sempre “ospitali”, freddi glaciali nei rapporti umani a volte posti in disparte
di fronte a scelte di natura economica finanziaria. Fate pure ironia, Feltri e
compagnia bella, sulla creatività umanistica dei meridionali, e tenetevi
l’arido rincorrere il lavoro soprattutto per il guadagno e non per la
valorizzazione della dignità umana (anche il “parcheggiatore abusivo” ha una
sua dignità; avrei qualche dubbio su quella degli algidi compassati
“businessman”).
Forse quelli del Nord dovrebbero anche ringraziare coloro che sono andati via di fretta e furia in quei primi giorni di marzo. Hanno evitato che nella pandemia vi fossero altre migliaia di morti; e tutto sommato non hanno prodotto grossi sconquassi nel Mezzogiorno. Forse, ad insegnamento futuro, qualche evento di questi mesi dovrebbe essere posto ad esempio. Non c’è alcun dubbio 1) che il contagio in Italia non sia venuto dai “cinesi”; 2) che in molte parti d’Italia il contagio sia partito dalla Lombardia (qui a Prato, da dove scrivo, è arrivato con un messaggero operatore sanitario che aveva frequentato l’hinterland milanese e sulla costa livornese è sopraggiunto sulle ali di alcuni lombardi proprietari di seconde case); 3) che l’aver trascurato la cura dell’Ambiente in quelle aree così operose ha prodotto condizioni favorevoli alla diffusione del virus; 4) che la capronite acuta che hanno mostrato alcune parti politiche che da un lato chiedevano maggiori controlli sui cinesi (che, per dirla tutta, non appena hanno avvertito il rischio del contagio si sono autoisolati in quarantena volontaria e permanente) e dall’altro minimizzavano e chiedevano di non chiudere i luoghi di lavoro.
Una cosa è certa: solo se su tutto questo riusciremo a svolgere una autocritica severa, analizzando tutti gli aspetti, anche quelli negativi che appartengono a nostri punti di riferimento politici, riusciremo a realizzare un mondo diverso, forse riusciremo a modificare in meglio i modelli di sviluppo sociali ed economici che ci hanno caratterizzato fino ad oggi.
27 aprile 2020
TEMPO DI CORONAVIRUS – INSOLENTI FALSIFICATORI o comunque adattatori di notizie a sostegno delle debolezze umane
In questo tempo di Coronavirus non mancano le notizie false o
modificate ad arte per indurre una parte della popolazione ad avversare le
scelte del Governo. Molti di noi si sono detti che da questa disastrosa
situazione c’era la possibilità di uscirne migliorati. Ecco! Questi insolenti
falsificatori stanno lavorando proprio per evitare che sia possibile un esito
positivo da qui ai prossimi mesi; anzi, sono impegnatissimi nel gettare
discredito su ogni scelta del Governo e dei suoi sostenitori. Indubbiamente, la
realtà non è facile da governare ed anche all’interno dell’Esecutivo vi sono
pareri discordanti che generano imbarazzo e provocano la sensazione che sia
tutto più difficile da affrontare.
In questo periodo tra l’altro è molto semplice giocare con la sensibilità della
gente. Il distanziamento imposto dalla diffusione del contagio ha prodotto in
una parte di noi una forte sensazione di essere più soli; in realtà lo siamo,
perchè ci mancano i contatti diretti ed il futuro soprattutto quello collegato
allo “status” che siamo riusciti ad ottenere appare molto incerto. Per
comprendere pienamente quello che ora siamo e ciò che proviamo non dobbiamo
nella maniera più assoluta dimenticare quel che eravamo, quel che dicevamo
“prima”. Il rischio della dimenticanza è molto forte ed è stato più volte
denunciato. Molti rimpiangono il lavoro che avevano e che si è interrotto
bruscamente. Non devono tuttavia dimenticare che a fronte di tanto lavoro
svolto nel pieno rispetto delle regole ve ne era ad iosa fuori dalle regole o
anche entro limiti di regole che venivano interpretate “solo” a vantaggio dei
datori (ad esempio, quei contratti ad un numero di ore molto inferiori rispetto
a quelle realmente prodotte). Anche quegli stessi operatori autonomi con
Partita Iva che pure hanno trovato spazio nelle organizzazioni sindacali
dovrebbero produrre proposte complessive non solo legate in modo esclusivo alle
loro categorie. Verrebbe da esclamare in modo ormai demodè “Lavoratori
unitevi!” ma non voglio nemmano lontanamente lasciare l’impressione di essere
un vetero comunista.
Ovviamente non è solo il “proprio” lavoro a preoccupare, ma sono soprattutto le
incognite relative alla riorganizzazione dei servizi (che sono parte importante
del mondo stesso del lavoro) a misura di prevenzione che bisognerà mettere in
atto. Come funzioneranno le scuole, come i trasporti, come i settori dello
spettacolo e del turismo? Molto sarà da riorganizzare, ma tutto questo richiede
partecipazione, condivisione, fiducia nel poter anche essere protagonisti
attivi non solo in vista della ripresa ma in particolare in quella del
rinnovamento e del cambiamento, al servizio dei beni comuni.
Coloro che invece “temono” tutto questo, che vorrebbero sì cambiare ma
riportando indietro le lancette della storia in un tempo buio che potrebbe
segnare la fine delle libertà, fanno di tutto per diffondere menzogne o
ritoccare le notizie a proprio vantaggio operando in modo ossessivo sulle
angosce, sulle paure dell’immediato futuro. Accade anche che per screditare chi
governa si utilizzino fonti scarsamente scientifiche, poco più che illazioni
provenienti da ambienti non abilitati ad esprimersi, già abbondantemente
riconosciuti come inaffidabili. E si dà però il caso che alcune testate
giornalistiche si diano da fare per diffonderle tra i loro lettori, che hanno
nel corso degli anni avuto fiducia nei loro comitati redazionali. E questo
genera un disorientamento complessivo che nuoce allo stesso concetto di
“democrazia” riducendone la forza.
Il ruolo di chi difende la forza della Democrazia, della Ragione, del confronto
dialettico ma ricco di contenuti, di chi non vuole soluzioni facili e a buon mercato,
di chi vuole cambiare deve essere quello di rinnovare per migliorare le
condizioni dei più deboli, operando anche da posizioni comode di guida.
Ovviamente non si può costruire nulla di nuovo sulle macerie; bisogna partire
da quello che siamo, da come eravamo, avviare una critica severa e profonda e
procedere in avanti.