20 aprile – Quel che si poteva e non si è fatto in questo anno pandemico – parte 3

3.

Aggiungerò riflessioni ripetute ed apparentemente banali. Con la convinzione che nelle banalità si concentri la verità, quella incontrovertibilmente emersa da esperienze concrete (quella che chiamiamo “vox populi…”) , quelle che sono state evocate nel primo blocco: allorquando si festeggiava (tutti lo potevano fare, anche se “est modus in rebus”) ma non si prevedevano i contraccolpi di alcuni comportamenti irresponsabili. Ad essere in perfetta equidistanza posso inserire la dabbenaggine di chi considerava finita la pandemìa “festeggiando” con una pubblicazione “Perché guariremo. Dai giorni più duri a un’idea nuova di salute”, troppo affrettatamente preparata, e quelle affermazioni patetiche dei difensori delle discoteche ( “Provvedimento senza senso. La mia resta aperta” e “Ma che me frega, io non chiudo!” ) da parte di alcuni “alti” rappresentanti del “popolo” delle Destre. Temo che ci risiamo. La campagna vaccinale è partita solo con grandi aspettative ma non ha raggiunto i livelli ottimali per poter garantire, non dico “l’immunità di comunità”, una efficacia in grado di poter riprendere pur con mille cautele le attività sociali connesse ad una parte considerevole delle attività produttive, fermate in toto o in parte. Il “rischio ragionato” di cui parla il Governo è a tutti gli effetti una concessione fin troppo benevole a coloro che hanno spinto, in modo anche minaccioso, perché tutto si riaprisse, “immediatamente”.

Non è passato neanche un giorno dalla Conferenza Stampa del Governo (Draghi e Speranza) e per quel che riguarda Prato, che a sorpresa – a causa, sembra. di una promessa dell’ineffabile Presidente della Regione – è ritornata ad essere “zona arancione”, pur permanendo in modo oggettivo il numero dei contagi settimanali superiori a 250 ogni centomila abitanti – limite indicato dal Governo centrale come discrimine tra l’arancione ed il rosso – si è assistito ad una sorta di liberazione che non lascia ben sperare per i prossimi giorni. Quel che è accaduto in Sardegna che da zona bianca è precipitata ad essere “rossa”, direi “rossa intensa”, molto rapidamente, non ha insegnato nulla. “Rischio ragionato” non basta; occorrono, laddove necessiti, agire con severità. Supermercati pieni fino all’inverosimile, bar ed altri consimili esercizi commerciali assaltati da avventori assetati ed affamati non tutti rispettosi delle regole di prevenzione, giardini e parchi stracolmi di famiglie che non attendevano altro che “riprendersi la vita”. Per quel che riguarda la scelta “toscana” è apparsa a tutti l’insensatezza di riaprire Prato e Firenze (da “rosso” ad “arancione”) non il lunedì ma già dal sabato pomeriggio. A dirla tutta, anche nel periodo del “rosso” a Prato c’era troppa trasgressione ed è stata questa permissività a incentivare in gran parte (molti dei contagi provenivano anche dall’ambiente lavorativo artigianale e industriale) la diffusione del virus.

E non bastano i moniti dei Sindaci (leggi tranche articolo del “Corriere Fiorentino” del 16 aprile, qui sotto “in corsivo”) a risolvere il problema: ci vogliono scelte decise, dure, drastiche. Lo ripeto: in questa “partita” non c’è Destra o Sinistra, c’è la scelta tra la Vita e la Morte.

«Dobbiamo essere tutti consapevoli che comunque non siamo fuori dall’emergenza, il virus non sparisce domani», comunque «prendiamo atto della decisione del Presidente Giani che analogamente ai comuni della Piana fiorentina ha deciso anche per Prato e provincia, dove il tasso è di 282 positivi ogni 100mila abitanti, il passaggio a zona arancione». Così in una nota unitaria i sindaci di Prato, Montemurlo, Poggio a Caiano, Carmignano, Vaiano, Vernio e Cantagallo intervengono sulla decisione della Regione che ha uniformato le province a unico colore Covid, l’arancione. «La comunicazione iniziata una settimana fa in cui si preannunciava la zona arancione per sabato alle 14 ha creato aspettative e un po’ di confusione – proseguono i sindaci pratesi -, ma siamo certi che la decisione del Governatore, che ha disposizione tutti i numeri anche sugli ospedali, sia stata ponderata. Riteniamo che i cittadini e le attività economiche dovrebbero sempre essere informate con un congruo anticipo di qualsiasi tipo di decisione». I sindaci ribadiscono: «Dobbiamo essere tutti consapevoli che non siamo fuori dall’emergenza, domani alle 14 non sparisce il virus».

19 aprile – INFER(N)I – altri Inferni – non solo Dante – canto XI dell’Odissea (nella traduzione di Ettore Romagnoli) – 1 (per intro vedi 24 marzo)

Dopo una breve introduzione si avvia una ricognizione intorno ai “viaggi” nell’aldilà – sono materiali che avrei già da tempo voluto utilizzare per una messa in scena di tipo didattico nello stile che ho amato proporre negli anni passati – in questo post troviamo i versi dell'”Odissea” nei quali Omero riporta una parte del racconto che Ulisse fa ad Alcinoo, dopo che Demodoco, narrando alcune fasi della guerra di Troia nelle quali l’eroe acheo è protagonista, provoca in lui molta commozione.

Riporto in questo blocco l’inizio della “narrazione” di Ulisse – nel prossimo post aggiungerò un’altra tranche con un altro elenco di “anime”.

Nella traduzione di Ettore Romagnoli insigne grecista italiano (1871-1938) il canto XI dell’Odissea descrive il viaggio di Ulisse dalla dimora di Circe all’Averno

Ora, poiché tornati noi fummo alla nave ed al mare,
prima di tutto, la nave spingemmo nel mare divino,
l’albero con le vele drizzammo sul negro naviglio,
prendemmo e v’imbarcammo le greggi, e noi stessi salimmo,
pieni di cruccio il cuore, versando gran copia di pianto.
E per noi, dietro la nave cerulea prora, una brezza
mandò propizia, buona compagna, ch’empieva la vela.
Circe dai riccioli belli, la diva possente canora.
E noi, gli attrezzi tutti deposti lunghessa la nave,
sedemmo; ché a guidarla pensavano il vento e il pilota.
Tese restar tutto il giorno le vele, e la nave correva.
S’immerse il soie, tutte le vie si coprirono d’ombra,
giunse la nave presso d’Ocèano ai gorghi profondi.
Qui sorge la città, il popolo è qui dei Cimmèri,
che vivon sempre avvolti di nebbie, di nubi; e coi raggi
mai non li guarda il sole fulgente che illumina il mondo,
né quando il volo al cielo cosparso di stelle dirige,
né quando poi dal cielo si volge di nuovo alla terra;
ma ruinosa notte si stende sui tristi mortali.

Al lido, quivi giunti, spingemmo dapprima la nave;
quindi, sbarcate le greggi, lunghesso l’Ocèano, noi stessi,
per giungere alla terra che detta avea Circe, movemmo.
Qui Periniède ed Euriloco tenner le vittime ferme;
ed io, di presso al fianco fuor tratta l’aguzza mia spada,
scavai, lunga d’un braccio da un lato e dall’altro, la fossa,
e a tutti i morti quivi d’attorno libami profusi,
di latte e miele il primo, di vino soave il secondo,
il terzo d’acqua; e sopra cospersi la bianca farina,
e alle care ombre dei morti promisi con molte preghiere
che, giunto ad Itaca, avrei sgozzata una vacca infeconda,
l’ottima, e sopra il rogo gittato ogni sorta di beni;
ed a Tiresia avrei, per lui solo, sgozzato un agnello
negro di pelo, quello che fosse fra i greggi il migliore.
Poi che con voti e scongiuri cosí le progenie dei morti
ebbi pregate, presi le vittime, e sopra la fossa
tagliai le gole ad esse. Scorrea negro e tumido il sangue.
E l’anime dei morti su corser da l’Èrebo in fretta,
vergini, fanciulletti, vegliardi fiaccati dal duolo,
tenere giovinette dal cuore inesperto di pene;
e molti dalla punta di bronzee lance trafitti
uomini in guerra spenti, con l’arme bagnate di sangue,
chi di qua, chi di là, si addensavano intorno alla fossa,
con alti urli:
si ch’io di bianco terrore mi pinsi.
Ai miei compagni allora mi volsi, diei l’ordine ad essi
che le giacenti greggi sgozzasser col lucido bronzo,
le scoiasser, le ardessero, preci volgessero al Nume
Ade possente, e a Persèfone, ignara di teneri sensi.
Ed io poi, sguainata dal fianco l’aguzza mia spada.

stetti lí, né lasciai che le fatue parvenze dei morti
s’avvicinassero al sangue, finché non giungesse Tiresia.
     Prima l’anima giunse d’Elpènore, il nostro compagno
che seppellito ancora non era soltessa la terra,
ma nella casa di Circe lasciato avevamo il suo corpo
non seppellito, non pianto, perché ci premeva altra cura.
Piansi, vedendolo qui, pietà ne sentii nel mio cuore:
e a lui cosí mi volsi, dicendogli alate parole:
«Come sei giunto, Elpènore, in questa caligine fosca?
Prima tu a piedi sei giunto, che io sopra il negro naviglio»
     Cosí gli dissi; ed egli, piangendo, cosí mi rispose:
«Ulisse, o di Laerte divino scaltrissimo figlio,
tristo un dèmone m’ha rovinato, e la forza del vino. \
Addormentato m‘ ero in casa di Circe; e sul punto
di venir via, scordai da qual parte scendeva la scala:
mossi dal lato opposto, piombai giú dal tetto; ed il collo
mi si stroncò nelle vertebre, e scese lo spirito all’Ade.
Ora, per i tuoi cari, che sono lontani, io ti prego,
per la tua sposa, pel padre che t’ha nutricato piccino,
e per Telemaco, solo lasciato da te nella reggia,
giacché so che, partendo di qui, dalle case d’Averno,
dirigerai di nuovo la prora per l’isola eèa.
Quivi ti prego che tu di me ti ricordi, o signore,
sí che, partendo, senza sepolcro non m’abbia a lasciare,
senza compianto: per me non ti segua lo sdegno dei Numi.
Bensi con l’armi, quante n’ho indosso, mi brucia sul rogo,
e un tumulo m’innalza sul lido spumoso del mare,
che giunga anche ai venturi notizia di questo infelice.,
Questo per me devi compiere. E il remo sul tumulo infiggi,
ond’io fra i miei compagni remigar solevo da vivo».

     Cosí mi disse; ed io con queste parole risposi:
«Tutto per te, sventurato, farò, compierò quanto chiedi ’.
Cosí noi due stavamo, con queste dogliose parole,
io da una parte, distesa tenendo sul sangue la spada,
e del compagno l’ombra, con molte parole, dall’altra.
E della madre mia defunta qui l’anima apparve,
d’Anticlea, la figliuola d’Aulòlico cuore gagliardo,
che lasciai viva quando per Ilio la sacra salpai.
E lagrime versai, vedendola, e in cuore m’afflissi;
ma non permisi, per quanto gran cruccio mi fosse, che al sangue
s’avvicinasse, prima d’aver consultato Tiresia.
Ed ecco, l’alma giunse del vate di Tebe, Tiresia,
con l’aureo scettro in pugno, che me riconobbe, e mi disse:
«O di Laerte figlio divino, scaltrissimo Ulisse,
or come mai, sventurato, lasciata la luce del sole,
giunto sei qui, per vedere la trista contrada dei morti?
Scòstati, via, dalla fossa, tien lungi l’aguzza tua spada,
ch’io beva il sangue, e poi ti volga veridici detti».
     Cosí disse. Io, scostata la spada dai chiovi d’argento,
nella guaina di nuovo la spinsi. E il veridico vate,
bevuto il negro sangue, cosí mosse il labbro a parlare:
«Celebre Ulisse, il ritorno piú dolce del miele tu cerchi.
Ma te lo renderà difficile un Dio: ché oblioso
l’Enosigèo non credo, che accolse rancore nell’alma
contro di te, furente, perché gli accecasti suo figlio.
Eppure, anche cosí tornerete, sebben fra le ambasce,
se le tue brame e le brame frenare saprai dei compagni,
allor che primamente dal mare color di viola
all’isola Trinacria coi solidi legni tu approdi.
Qui troverete bovi che pascono, e pecore grasse,

greggi del Sole, che tutto dall’alto contempla, e tutto ode.
Se tu le lasci illese, se pensi soltanto al ritorno,
sia pur fra mille crucci, tornare potrete alla patria.
Ma se le offendi, invece, predico rovina al tuo legno,
ai tuoi compagni. E se pure tu giunga a salvarti, ben tardi,
tutti perduti i tuoi compagni, su nave straniera,
doglioso tornerai, troverai nella casa il malanno:
uomini troverai che protervi ti vorano i beni,
che la tua sposa per sé vagheggiano, e le offrono doni.
Ma tu farai, tornando, giustizia di lor tracotanza.
E quando avrai purgata cosí la tua casa dai Proci,
o con l’inganno, o a viso aperto, col brando affilato,
allora dà di piglio a un agile remo, e viaggia,
sinché tu giunga a genti che il pelago mai non han visto,
né cibo mangian mai commisto con grani di sale,
che navi mai vedute non hanno dai fianchi robusti,
né maneggevoli remi, che sono come ali ai navigli.
E questo segno ti do, ben chiaro, che tu non lo scordi.
Quando, imbattendosi in te, un altro che pure viaggi,
un ventilabro ti dica che rechi sull’omero saldo,
allora in terra tu conficca il tuo solido remo,
ed a Nettuno immola prescelte vittime: un toro,
un ariete e un verro, petulco signore di scrofe.
Alla tua patria quivi ritorna; ed ai Numi immortali
ch’ànno nell’ampio Olimpo dimora, offri sacre ecatombe,
a tutti quanti, per ordine. E infine, dal mare una morte
placida a te verrà, che soavemente t’uccida,
fiaccato già da mite vecchiezza. E felici dattorno
popoli a te saranno. Vero è tutto ciò ch’io ti dico
».

…INFER(N)I —- Odissea – 1

18 aprile – Quel che si poteva e non si è fatto in questo anno pandemico – 2

Quel che non è stato fatto lo scorso anno potrà ben essere messo in atto in queste prossime settimane. Non lasciarsi illudere dai dati meno severi e tanto meno dalle prospettive di una accelerazione delle fasi di vaccinazione dovrebbe essere pratica oggettiva da parte di tutti noi, così come il rispetto delle regole che devono essere precise, dettagliate, e alle cui infrazioni dovrebbero corrispondere sanzioni altrettanto rigorose. Pur considerando ormai assodata la cronica malattia che – al di là delle pandemìe – colpisce tutti noi – mi riferisco alla amnesia congenita – questa volta dobbiamo fare uno sforzo per ricordare meglio quanto sia accaduto lo scorso anno più o meno in questo periodo. Basta uno sguardo superficiale su Google digitando – come ho appena fatto – “2020 fine del lockdown” per scoprire cosa pensavamo che stesse accadendo a metà maggio con gli annunci di aperture generalizzate di tutti i settori pur con tutte le regole da rispettare nella consapevolezza che si dovesse attendere l’arrivo dei vaccini.

Sul sito di quotidianosanita.it il 26 aprile 2020

Si leggeva 

Dal 18 maggio, invece, riaprirà il commercio al dettaglio mentre per l’attività ordinaria di bar, ristoranti e affini si dovrà aspettare il 1° giugno, quando riaprianno anche barbieri, parrucchieri e centri estetici. Dal 18 maggio possibile apertura anche per musei, mostre e allenamenti sportivi per le squadre.

Su Rainews del 16 maggio con il titolo

Le linee guida delle Regioni si trovano tutte le indicazioni, molte delle quali non verranno rispettate

 Il documento che racchiude le linee di indirizzo per la riapertura delle attività economiche e produttive, e che ha trovato un accordo bipartisan incassando pure il placet del governo, è un corollario di indicazioni, obblighi e raccomandazioni sul come tentare di ripartire cercando però di contenere l’avanzata del coronavirus. Nei ristoranti potrà essere rilevata la temperatura corporea, impedendo l’accesso a chi ha una temperatura superiore a 37,5 gradi. Obbligatoria la presenza di gel e disinfettanti, mentre gli elenchi delle prenotazioni dovranno essere conservati per 15 giorni. Nei ristoranti con all’interno i tavoli dovrà essere garantita la distanza tra un tavolo e l’altro di almeno 1 metro. Stop a buffet mentre la consumazione sul bancone potrà essere consentita se verrà garantita la distanza. Mascherine per il personale ma anche per i clienti che non saranno seduti al tavolo. Barriere dinanzi la cassa, igienizzazione del tavolo e menu online. Ma si potrà andare al mare questa estate? Se sì, con quali regole? Raccomandate le prenotazioni, le regioni raccomandano di garantire il distanziamento tra gli ombrelloni di un metro e mezzo. Le attrezzature come lettini, sedie a sdraio, ombrelloni vanno disinfettati ad ogni cambio di persona o nucleo famigliare. Distanza di un metro pure tra i bagnanti nelle spiagge libere. Per quanto riguarda gli sport da spiaggia, ok a quelli individuali (es. racchettoni) o in acqua (nuoto, surf, windsurf, kitesurf), vietati invece gli sport di squadra (es. beach-volley, beach-soccer).

Le spiagge, in modo particolare quelle organizzate (non quelle “libere”, ad esempio), erano affollatissime. In alcune pinete spazi riservati a luoghi di ritrovo, pub o discoteche, erano frequentatissimi da avventori poco rispettosi delle regole. In linea di massima si pensava di essere abbastanza immuni, soprattutto se giovani e forti, dal contagio.

Questo si scriveva il 21 maggio su un sito giornalistico online

ilfaroonline.it/2020/05/21/gli-interminabili-69-giorni-del-lockdown-una-storia-infinita-o-manca-solo-il-finale/340419/

“Dal 18 maggio tutte le speranze possono essere verificate, al di là che si ritornerà o meno alla cosiddetta “normalità”.
Ma quello che è urgente è recuperare il senso e la sicurezza della quotidianità; rimettere in moto settori vitali per il benessere e la qualità della vita di tutti: in primo luogo l’economia, il lavoro, le scuole, i servizi sociosanitari, le opere pubbliche, il senso di comunità e di civiltà.

Chiunque abbia delle responsabilità istituzionali e politiche per far sì che tutto questo accada non può tirarsi indietro. È il momento che ogni azione e ogni provvedimento sia pensato e condiviso; è il momento di agire con competenza, professionalità, onestà e rispetto per gli altri, in particolare per chi si trova in condizioni di disagio e di fragilità. Quello che prima dei “tempi del Coronavirus” era normale non fare, adesso deve diventare straordinariamente normale fare.”

Il 23 maggio sul sito del Corriere della Sera  si legge

L’Italia spera nel vaccino tra una ricerca di una mascherina e le lunghe code ai supermercati. Si guarda con interesse a quello che accade ad Oxford dove un team di ricercatori – di cui fanno parte anche tre italiani – annunciano di aver sperimentato un possibile antidoto su un ragazzo australiano: Edward O’Neill.

Il 27 aprile il premier Conte arriva per la prima volta in Lombardia da quando è scoppiato il virus e lo fa per annunciare l’avvio della Fase 2: «E’ la fase di convivenza con il virus non di liberazione dal virus. Non ci sono le condizioni per ritornare alla normalità». Nei giorni successivi, invece, proprio a Milano si registrano assembramenti nei parchi e nei luoghi della movida.

Ovviamente questi stralci sono un utile promemoria per evitare di incorrere negli stessi errori commessi un anno fa.

…2…

17 aprile – FANTASMI e pratiche magiche – parte 1

FANTASMI e pratiche magiche – parte 1

Mio zio sin da bambino vedeva i morti e ci dialogava; un’altra mia parente, una prozia, soleva “fare gli occhi” per togliere il malocchio. Non ho mai approfondito con loro i temi dell’occulto; una sorta di discrezione me lo ha impedito. I miei genitori, non so neanche perché mai lo facessero, d’estate mi mandavano insieme ad una delle mie zie “signorine” per “fare il bagno” di mare da zia Giovannina, che viveva in un caseggiato posto al limite dell’area archeologica di Baia nei Campi Flegrei. Era per me uno dei luoghi magici della mia pubertà, che  apriva la mia esistenza a mondi molto diversi ed affascinanti, da quelli antichi archeologici di cui era (ed è ancora oggi ancor più) ricca la mia terra, i Campi Flegrei e le grazie delle cugine di mio padre, che avevano da qualche anno ormai superata la fase dell’adolescenza, con cui andavo al mare e poi tornavo alla loro casa fino a sera. La zia sollecitata da mio padre, qualche volta mi ha sottoposto alla pratica magica per eliminare il malocchio. Ero sempre titubante ed in primo luogo non comprendevo le ragioni: stavo bene, avevo anche buoni risultati a scuola. La loro era una “precauzione”; non si sapeva mai se “qualcuno avesse messo addosso a me il malocchio”. Pur tuttavia anche se scettico osservavo in un misto di incredulità e curiosità quegli strani cerchi di olio allargarsi e sparire ed ascoltavo i mormorii della officiante e osservavo incuriosito i suoi segni di croce.  Quanto allo zio, lui abitava in un seminterrato su via Napoli più o meno di fronte alla struttura di “Vicienzo ‘a mmare” uno storico prefabbricato in legno che si spingeva su palafitte nel mare. Non saprei dire se i “fantasmi” li vedesse lì o nell’altra casa ormai diroccata alle spalle del Corso Garibaldi, che se ricordo bene si chiamava “dint’’e Ggesuiti”. Di sicuro, però, era davvero un tipo particolare; piccolissimo, non credo che superasse il metro e quaranta, ma lo ricordo sempre allegro anche se non credo se la passasse bene fin quando è rimasto a Pozzuoli. Poi ebbe una grande occasione per migliorare la sua vita e quella della famiglia che era anche numerosa e andò a Roma, come usciere al Ministero, mi sembra quello degli Interni ed ottenne l’uso di uno degli appartamenti del Villaggio Olimpico, dopo il 1960, anno delle Olimpiadi di Roma, quelle di Berruti e di Abebe Bikila.

Questa “tempesta” di ricordi mi è soggiunta in questi ultimi giorni, dopo aver visto le sei puntate del “Commissario Ricciardi” alle quali ho aggiunto, di riflesso come “corollari” le 24 puntate delle due serie de “La porta rossa”.

Le due “serie” sono accomunate da un unico interprete protagonista, il bravo Lino Guanciale, attore prevalentemente di teatro, che non rinuncia alla staticità tipica degli spazi ristretti pur in un modello artistico diverso come è il Cinema, nell’interpretare con aplomb aristocratico il ruolo del Commissario Luigi Alfredo Ricciardi, unico erede di una nobile famiglia cilentana, che negli anni Trenta svolge la sua funzione di Commissario nella Regia Questura di Napoli.

Ma le consonanze tra l’una e l’altra non finiscono qui; e di questo tratterò nel prossimo blocco.

16 aprile – Quel che si poteva e non si è fatto in quest’anno pandèmico – 1

Comprendo di essere stato, in questo tempo di crisi pandémica,  nelle condizioni “privilegiate” di chi, pur avendo perduto molta parte delle occasioni “sociali” (un complesso di opportunità ritenute idealmente impagabili dagli spiriti liberi), non ha visto ridursi il proprio tenore di vita “essenziale”, anche se, nelle prospettive future, molte certezze potrebbero divenire “illusorie” e generare contraccolpi di tipo economico, e non solo. Alcune mie riflessioni, talune posizioni “critiche” verso tutti coloro che quotidianamente si scagliavano contro le chiusure di tantissime attività e verso coloro che insistevano perché la Scuola come “contenitore” rimanesse aperta adducendo dati molto spesso inventati di sana pianta e basati sull’ignoranza dei veri processi di diffusione del virus, erano dettate dalla preoccupazione di doversi poi trovare di fronte ad un numero molto più alto di quanto non sia stato quello, purtroppo molto elevato, delle vittime da Coronavirus. Per la verità (e potete verificare su questo Blog se dico il vero) ho più volte segnalato che alcune scelte di chiusura totale avrebbero potuto essere temperate da un rigore estremo organizzato e rispettato “democraticamente”. Utilizzo quest’ultimo avverbio perché comprendo anche quali fossero le preoccupazioni dei “democratici assoluti” che alzavano, soprattutto all’inizio della pandemìa, il tiro verso il pericolo che correvano le libertà garantite dalla nostra Carta costituzionale.  Lo hanno fatto soprattutto quelle “vestali” della Sinistra radicale, quelli che in prima fila si rifiutano di approfondire la ricerca di soluzioni di “emergenza”: per loro è – a tutta evidenza – sopportabile il rischio di morire, ed è poca cosa se alla fine di tutto si muoia issando la bandiera ideologica della “libertà”!

Per tanti di quelli che invece si sono opposti alle chiusure (e che ancora in qualche modo continuano impunemente a farlo) la regola sembra essere: “ciò che importa è riaprire tutto, immediatamente; poi, quel che accade, non è nostra responsabilità, ma del Governo (anche di “questo” attuale” di cui facciamo parte!)”.

Probabilmente, quel che è avvenuto (chiusure, aperture, dati molto elevati di colpiti a vario titolo dal virus) è responsabilità del Governo, un Governo (non c’è differenza tra Conte 2 e Draghi) troppo piegato al rispetto delle garanzie democratiche, che ha dovuto fronteggiare una situazione drammatica in modo straordinario senza avere un vero e proprio Piano strategico politico, di quelli “da guerra”. Da una parte (quelli che governano) non si è avuta fiducia verso il popolo (lasciamo stare gli “Osanna” verso i reclusi del primo “lockdown”), tradizionalmente, il nostro, restio al rispetto delle regole; dall’altra (quelli che sono governati) non c’è stata dimostrazione di voler essere ligi alle regole chiedendone in modalità corale di più precise pur nella restrizione necessaria. Responsabilità delle Sinistre che hanno mostrato scarso “coraggio” nell’affrontare in modo rigoroso – in assoluto non “rigido” – l’emergenza (forse preoccupate di potere essere “scambiate” per Destre anti libertarie o, perlomeno, pensando di dover contravvenire a qualche linea fondamentale della propria Ideologia); responsabilità delle Destre che si sentivano esautorate ed in fin dei conti deresponsabilizzate (ancor oggi) di fronte alle scelte necessarie (per loro se gli eventi fossero andati male avrebbero avuto ben ragione di alzare il dito accusatorio, lucrando sulle disgrazie della collettività in modo indegno).

…1….

15 aprile – PIU’ GIOVANI PIU’ DONNE quindici anni fa, e ora? (un pretesto) INTERO

“Più giovani più donne” quindici anni fa, e ora? (un pretesto) – prima parte

Quando non c’erano i social. E non è tanto tempo fa. Personalmente sono un veterano di Facebook sin dal 2008 ed in realtà sono soltanto tredici anni anche se sembrano “una vita”.

Con Facebook abbiamo avviato a condividere, discutere, controbattere, polemizzare e, se il troppo è troppo, anche bannare. In questi tredici anni abbiamo utilizzato le chat pubbliche ma anche quelle riservate a gruppetti, a grupponi, molto spesso collegati a specifici provvisori o ben consolidati interessi (si sono svolte campagne di sostegno a questo o quel candidato nelle Primarie, nelle competizioni amministrative o politiche; si sono coagulati interventi di tipo sociale, culturale e, qualche volta, anche economico. Per capirne qualcosa basta aprire un account ed aspettare che il “fiume” scorra. C’è proprio di tutto ed in questo senso è bene stare anche attenti! Non mancano trabocchetti di tutti i tipi.

Certamente capitava anche prima di incappare in qualche oscena proposta, utilizzando la rete con il sistema delle mail, la posta elettronica, ma era un tempo preistorico, quello, come quasi certamente sarà per questo in cui stiamo vivendo. Le tecnologie stanno avanzando anche in questo tempo “fermo”, solo apparentemente bloccato e non sarà difficile trovarci ad uscire dal bunker ed avvertire un profondo disagio.

Ho deviato dall’obiettivo che mi ero proposto e mi sono dilungato in uno sproloquio “introduttivo” ad un argomento che è solo apparentemente “nuovo”: quello dei “giovani” richiamato da Letta, nuovo segretario del Partito Democratico dopo la rinuncia di Nicola Zingaretti.  Non mi si creda irriverente, ma credo che il “tema” dei giovani sia ancora una volta una sorta di simulacro, un fantoccio, un tentativo di distrazione dai temi e problemi più urgenti. A dire il vero, però, il VADEMECUM stilato da Letta per far ripartire il dibattito interno prima di proiettarlo all’esterno non si sofferma molto su quel tema, se non al punto 3. nell’auspicio che “dalla pandemia” nasca “un nuovo, più profondo e autentico, rapporto tra giovani e anziani”.

In realtà la mia intenzione era proprio parlare dei “giovani”, che di volta in volta sono stati oggetto di discussione nella Sinistra che ho praticato io (PCI, PDS, DS, PD), riportando nel prossimo post alcune tranches di un dialogo tra me, che nel 2005 non ero, ormai da qualche anno, “giovane”, ed alcuni giovani “compagni” amministratori nelle Circoscrizioni di Prato. Nei nostri “programmi” di allora grande spazio era dedicato sempre a “più giovani più donne”, non più né meno di quanto si dica ora.

Anche questa insistenza sulle “donne” la trovo sempre più stucchevole; e l’ho detto e l’ho scritto in alcune occasioni. Questo giudizio non è irriguardoso verso le “donne” in senso generale; è, preferisco connotarlo in tale direzione, “severo”. E’ auspicabile un maggiore impegno ed una più forte partecipazione e presenza femminile nell’agone politico ed in tal senso andrebbe incentivata la ricerca di una modalità di accesso “paritario” che divenga propedeutica all’attività politica ed amministrativa, una sorta di “Università Democratica per formare la classe dirigente” (anche in questo caso ne approfitto e vedi punto 6 del recente Vademecum lettiano).

…1….

6 aprile – “Più giovani più donne” quindici anni fa – e ora? – seconda parte

Proseguendo una mia sintetica analisi dei due temi (più giovani più donne) vorrei ricordare che, in occasione delle “prime” Primarie, quelle “costitutive” nazionali del Partito Democratico, sostenni la candidatura di Rosy Bindi ed all’interno di quella fui tra i più convinti sostenitori, a livello locale, di alcuni “giovani”, tra cui Massimiliano Tesi e Salvatore Bruno.    Riandando con la mente alla mia “storia” personale vorrei ricordare che a Prato nei primi anni di questo secondo millennio tre Circoscrizioni su cinque, in una delle quali – la Est – presiedevo la Commissione Cultura,  erano presiedute da donne e che nelle cinque Commissioni Cultura e Istruzione c’erano due “donne” su cinque, due donne “giovani”, che ancora oggi sono attive in Politica (una è stata Assessore al Bilancio, l’altra è nell’attuale Giunta Assessore alla Città curata.  Nel 2005, anno al quale mi riferisco nell’avviare queste riflessioni, c’erano ancora i Democratici di Sinistra (DS), e fu poi nel 2007 alle Primarie costitutive nazionali del Partito Democratico (PD) che sostenni l’onorevole Rosy Bindi; nel 2010 nelle Primarie del Partito Democratico di Prato ho poi sostenuto Ilaria Bugetti e successivamente ho sostenuto la stessa nella prima sua competizione Regionale. Ovviamente, non è stato sempre facile sostenere delle “donne” o dei “giovani” semplicemente per il loro particolare “genere” o “status” esistenziale. E nel corso della mia esperienza ho potuto verificare che non è auspicabile sic et simpliciter l’affidamento prioritario di spazi amministrativi sulla base dell’appartenenza di genere o di “status” esistenziale.  Nell’agone politico occorre esperienza, soprattutto per evitare principalmente due rischi “contrapposti” tra loro: 1) essere ostaggio di personaggi stabili, come vecchie volpi politiche ed amministrative; 2) lasciarsi prendere da una smania di potere aliena dall’esperienza pratica e meramente ideologica.                                                                                                                                                     Così come i “giovani” tout court anche le “donne” in generale non hanno esperienza politica basata esclusivamente sul “genere”. Indubbiamente dal punto di vista storico ed antropologico le donne subiscono il limite storico di non essere state prese in considerazione, e di questo i “maschi” portano la responsabilità;  ancora oggi è in ogni caso una percentuale molto bassa di donne rispetto a quella dei maschi ad essere realmente interessata a partecipare in modo diretto alla “pratica” politica ed amministrativa. Anche per questo motivo ho trovato fuori luogo l’insistenza al perseguimento “acritico” della “parità di genere” da un punto di vista legislativo. Pur tuttavia trovo che sia ottima l’idea espressa di mettere in piedi un procedimento virtuoso, che provi a risanare questi “gap”,  inserito nel Vademecum lettiano di cui ho trattato in coda alla prima parte di questo post (“E’ auspicabile un maggiore impegno ed una più forte partecipazione e presenza femminile nell’agone politico ed in tal senso andrebbe incentivata la ricerca di una modalità di accesso “paritario” che divenga propedeutica all’attività politica ed amministrativa, una sorta di “Università Democratica per formare la classe dirigente” (vedi punto 6 del recente Vademecum lettiano)”” e spero che in quella direzione si possa procedere. 

Come ben si comprende, sono ancora nel “preambolo” rispetto all’intento iniziale. Nel prossimo post riporterò il “Documento” formato da un dialogo per mail del luglio 2005 tra me e una rappresentante “donna” e “giovane” sul tema dei “giovani”. Concluderò con un esemplare riferimento ad un “giovane” (uomo) e ad una “giovane” (donna) perché sia più esplicito il mio ragionamento.

…2…

“Più giovani più donne” quindici anni fa – e ora? – terza parte

Avvio questa terza parte con la ripubblicazione di una “tranche” di un post pubblicato lo scorso 14 marzo su questo Blog il cui titolo era

PER UNA STORIA DEL PARTITO DEMOCRATICO – una serie di documenti del Comitato di Prato per il Partito Democratico parte 16.

da un documento del 2006

Più giovani più donne

Il ricambio generazionale ed il riequilibrio dei generi può essere utile a patto che non sia né affrettato né rispondente a criteri che non abbiano valutato il reale merito, le capacità, la preparazione. In questa doppia direzione va la proposta del Forum dei giovani che abbiamo proposto di svolgere a Prato nel corso dell’Assemblea di Montecatini: lo avevamo pensato su scala metropolitana o poco più (volevamo coinvolgere al massimo Lucca e Fiesole, oltre Pistoia e Firenze) ed è stato invece accolto come ipotesi nazionale da svolgersi quanto prima. Il Comitato ovviamente chiede la collaborazione delle forze politiche per la riuscita del Forum; tale collaborazione si può adeguatamente estrinsecare con la presenza di personalità politiche o del mondo della Cultura, che intervengano a trattare argomenti che interessano il mondo giovanile.
Allo stesso tempo il Comitato, organizzando direttamente o sollecitando indirettamente iniziative di carattere politico – culturale attraverso la presentazione di Forum settoriali, si segnala come Agenzia formativa di tipo politico sul territorio proprio per le giovani generazioni.

Riprendo a trattare il tema con il riportare alcune riflessioni con l’annunciato scambio di mail tra me ed alcuni “giovani” E’ il 3 luglio del 2005. E’ in corso la Festa de “l’Unità”. Tra i temi trattati c’è quello sul ruolo dei “giovani”. Sono in carica come Presidente della Commissione Cultura nella Circoscrizione Est. Come “veterano” (non più “giovane”) avverto la responsabilità di trattare l’argomento e così scrivo ad altri (tra i quali due ancora anagraficamente “giovani”):

….. ometterò i nomi delle persone …..

“Carissimi, continuo, in questo “deserto” del luglio ad inviarvi “riservate” per riflettere insieme su quello che accade, e perché accade. Una delle questioni che abbiamo da anni e che non riguarda certamente una sola forza politica della nostra maggioranza è quella dei giovani. Sto riflettendo, a dire il vero lo faccio da anni, ma – come dico – “arriva il momento in cui i nodi vengono al pettine ed allora son dolori!”. Vado riflettendo sui “nostri” giovani, così vecchi dentro, così scaltri, così pronti ad aggregarsi ai “provvisori” carri dei vincitori. Anche in questo senso sarà bene riprendere l’analisi di Pasolini, quando soprattutto parlava dell’imborghesimento progressivo della società: sono passati degli anni da quell’analisi e quei “nodi” così profeticamente annunciati stanno “venendo al pettine”.  Che facciamo? Intanto se possibile, diamine, discutiamo e poi operiamo: altrimenti sarà davvero ben più dura di quanto per ora si possa pensare. Il mondo non va in una progressione costante; a volte ci si blocca ed altre volte si può anche tornare indietro, e chi conosce la Storia dovrebbe ben sapere cosa significhi “tornare indietro”. Rileggiamo Pasolini.

Quando parlo di “giovani” so perfettamente che in mezzo a noi, penso a……, a …….., ve ne sono alcuni. Non vorrei creare equivoci, ……. e ………si guardino dentro, ed io non redo che assomiglino ai giovani di cui parlo, ma è allo stesso tempo molto importante che si autoanalizzino. Io per quanto mi possa riguardare lo faccio: d’altronde poichè continuo a dire che i giovani alla fin fine assomigliano sempre più a noi anziani, a me e a …… per esempio, vorrei anche io e, credo, ……., smarcarmi da questa identità e sentirmi – e sentirci – davvero un po’ come i giovani che eravamo, con una certa capacità di essere liberi, di avere ancora un po’ di quella “passione” che ci consentiva di osservare la realtà con uno sguardo critico ed allo stesso tempo pieno di progetti, quando avevamo i nostri venti, trenta anni. Aspetto riscontri.

…3… prosegue il post con un’altra mia mail

“Più giovani più donne” quindici anni fa – e ora? – quarta parte

…questo è il testo di una mia mail di corollario a quella precedente, anche questa rivolta ai medesimi interlocutori… Una volta i giovani avevano il coraggio o forse la sfrontatezza di guardare la realtà con occhi liberi e sgombri per lo più da sovrastrutture politiche e culturali; la contestazione dei padri era nell’ordine delle cose, o forse così appariva (era un tempo “nuovo” e diverso rispetto a quello vissuto dai nostri genitori, che, anche se avessero voluto, non hanno avuto molto tempo per contestare in un periodo di repressione e guerra).

Oggi dove sono quei giovani? La domanda è retorica se per essi vogliamo parlare di tutti noi, a partire da me e ……che giovani siamo stati ed abbiamo occupato il mondo con le nostre utopie negli anni Sessanta e nei Settanta; ma non lo è affatto se proviamo a guardarci intorno e nel buio cerchiamo con il nostro diogenico lanternino quei giovani che oggi dovrebbero contestarci proponendo qualcosa di diverso. No, sempre più i giovani di adesso finiscono in modo pedissequo per assomigliare a noi che abbiamo i capelli bianchi ed abbiamo abbandonato quasi del tutto i nostri sogni e le nostre utopie. E’ triste riconoscere che già più o meno da bambini ci si comporta con quella avvedutezza, con quella scaltrezza, con quella – diciamocelo – ipocrisia tipica del peggiore dei peggiori mondi politici. Pur non essendo più giovane non ho mai smesso di credere alla politica alta, fatta di confronti aperti, aspri ma franchi e sinceri e non credo alla politica dei compromessi ad ogni costo interpretata da quei bravi “yes man” di cui è pieno il nostro Paese. Eppure in definitiva sono questi quelli che riescono a fare carriera, non che mi importi più di tanto, ma non può essere questo il metodo “meritocratico” per accedere alla “Politica”, anche perché poi “tutti i nodi vengono alla fin fine al pettine” e son dolori per tutti. Questo meccanismo perverso è alla base della nostra realtà politico amministrativa; le difficoltà provengono dai percorsi tracciati nelle stanze ben chiuse delle segreterie politiche, che hanno portato tante volte a scelte discutibilissime, i cui effetti si intravedono adesso ma saranno tossiche se non si provvede al più presto a cambiare registro. Ho purtroppo la sensazione che sia già troppo tardi: gli errori politici si riconoscono quasi sempre di fronte ad una sonora sconfitta, che di certo nessuno di noi vorrebbe profetizzare anche se non ci è impedito di paventare. Gli errori politici di ieri e dell’altro ieri sarebbero poca cosa se oggi non si continuasse a preannunciarne molti altri nelle numerose azioni pratiche e teoriche dichiarazioni.

In pratica si è seminato male e ci si deve preparare ad un gramo raccolto. Non è facile e non è politicamente corretto dire che i “nuovi giovani” che si sono di recente affacciati alla Politica hanno avuto uno spazio soltanto se erano funzionali ad un dato e già ben tracciato percorso; sono stati osteggiati se tendevano ad affermare la loro identità, il loro pensiero. Se questo è un metodo normale della Politica di ogni luogo e di ogni tempo, non può essere però considerato dal punto di vista civico ed educativo il giusto percorso per poter davvero procedere verso un “cambiamento” da tanti, forse a chiacchiere, auspicato.

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“Più giovani più donne” quindici anni fa – e ora? – quinta parte

prosegue il mio commento al tema “I giovani” del 2005 in un
testo di una mia mail di corollario a quella precedente, anche questa rivolta ai medesimi interlocutori…

Da educatore mi è sempre più difficile, anche se ci provo (altri educatori – a volte con l’alibi dell’estraneità – ormai non ci provano più), sollecitare attenzione verso la politica attiva, stimolare i nuovi cittadini alla conoscenza dei propri diritti – in primo luogo quello di pensare ed esprimere tale pensiero liberamente. Non è facile e non è politicamente corretto, ma bisogna dircelo e, per essere in tema, non mi attendo applausi dall’establishment politico. Cosa facciamo, allora? Ci sediamo ed aspettiamo? il proverbio maoista serve solo per la cultura cinese. A noi toccano compiti più attivi; cominciamo a proporre, sapendo che non sarà facile. Ed innanzitutto parliamo fra di noi, camminando simbolicamente per non stare fermi ad aspettare che tutto scorra, portato dalla piena travolgente di un fiume.

a queste mail rispose uno dei miei interlocutori “giovani”

“Caro Giuseppe scusa se non ti ho risposto subito ma sabato e domenica sono stat* impegnat* alla festa dell’unità in pizzeria dove ti devo dire ho trovato la presenza di tanti giovani come me… è stata una esperienza bellissima… faticosa ma divertente… ci sentivamo parte di un qualcosa… avevamo uno scopo comune (“fare le pizze e velocemente perché i clienti reclamavano”)… forse è proprio questo spirito che la gioventù di oggi ha perso… e credo ti riferissi a questo quando hai parlato di noi giovani. … e hai ragione, in parte… è vero i giovani assomigliano sempre più agli adulti…. quelli peggiori…. ma non è sempre così… sabato e domenica me ne sono res* conto… e condivido pienamente le tue riflessioni… si deve fare qualcosa… anche e soprattutto nel campo della cultura…. dobbiamo ritrovare quello spirito e quella voglia di combattere, soprattutto tra di noi che facciamo parte dello stesso schieramento politico… ma non è solo una battaglia politica quella che dovremmo intraprendere… è soprattutto una battaglia culturale, di mentalità… cominciare ad esempio a porci delle domande… perché i giovani sono così oggi? e cosa possiamo fare (nel nostro piccolo) per invertire questa tendenza sempre più dilagante verso il “menefreghismo”… il progetto su Pasolini ad esempio è un buon punto di partenza per dare avvio a queste riflessioni

Io e….. avevamo anche pensato di organizzare una Commissione Cultura congiunta tra le due nostre Circoscrizioni invitando i maggiori rappresentanti delle istituzioni sia politiche che culturali proprio per discutere del tema della Cultura a Prato… credo che potremmo estendere tale progetto anche alle altre Circoscrizioni trovando un luogo adatto che, come ipotesi, potrebbe essere il “Magnolfi”… dovremmo iniziare sin da ora a preparare questo incontro per poterlo mettere in calendario per settembre… fammi sapere cosa ne pensi… forse non servirà a niente…o forse può essere solo un piccolo ma significativo primo passo per avviare una riflessione seria e approfondita…. dobbiamo pure iniziare da qualche parte… Un saluto affettuoso… firmato….

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“Passiamo alle conclusioni!” un po’ come dice Paolo Mieli in coda alle puntate di “Passato e presente”…..

PIU’ GIOVANI PIU’ DONNE – sesta parte – le amare conclusioni

Questa serie di “post” è un vero e proprio pretesto per sviluppare quella che potrebbe apparire una mia forma di misoginia  e di sottovalutazione del ruolo dei giovani, ma che, io,  in verità, considero un modo per essere meno ideologico e più concreto di guardare alla realtà dei fatti. Quanto all’importanza di una maggiore e più qualificata presenza delle donne in funzioni direttive di primissimo livello e al bisogno di guardare al rinnovamento dei metodi della Politica incentivando e qualificando la presenza dei giovani – donne e uomini – sono stato sempre tra coloro che non solo lo hanno teorizzato con le “chiacchiere” banali dei documenti e delle discussioni accademiche ma lo hanno cercato di mettere in pratica, contribuendo all’inserimento di queste figure nei meccanismi amministrativi locali. Si è rivelato, questo mio impegno, quasi sempre, ma per mia diretta esperienza troppo spesso fino ad oggi, una delusione immensa. Quella nota del  mio ultimo interlocutore (“è vero i giovani assomigliano sempre più agli adulti…. quelli peggiori…. “)    conteneva una profonda verità, valida per tutti, addirittura, mi sento di aggiungere, a partire da chi scriveva. Ho la netta sensazione che sia ormai una regola, secondo la quale i “giovani” che si accostano alla Politica e se ne rendono asserviti allo scopo di utilizzarne gli aspetti utilitaristici a proprio esplicito vantaggio, perdono contestualmente quella forza creativa innovativa rivoluzionaria che dovrebbe essere appannaggio di quella condizione esistenziale. Finiscono per avviare uno scimmiottamento dei modi adulti, fino a diventare parte integrante di quel meccanismo che essendo condizionato da diverse forme compromissorie ne blocca le spinte che potevano essere considerate tipicamente “giovanili”. Già in questa fase la presenza dei “generi” è fortemente squilibrata, ma abbastanza meno che nel prosieguo e su questo “passaggio” ovviamente dovrebbe essere posta maggiore attenzione ma senza alcun “bilancino” meccanico come a volte accade con il sistema delle “quote”. E’ orribile e mortificante quella sorta di “caccia” che dalle sedi politiche parte molto spesso alla ricerca di “figure” che possano equilibrare i “generi” nelle liste. Ogni forza politica dovrebbe prevedere tali presenze in modo “organico” e qualificato, non ridursi agli ultimi attimi per tale scelta, correndo il rischio di fermarsi molto all’apparenza e poco alla consistenza. Una volta “inserite” la frittata è fatta!

Tornando al tema dei “giovani” in Politica e per giustificare al massimo il senso della mia delusione, vi aggiungo un fulgido esempio, il più elevato che io possa utilizzare. Il nostro Paese ha conosciuto nell’ultimo decennio l’ascesa ed il declino del più “giovane” Presidente del Consiglio (tralascio giudizi su quel che è ora) ed a me non è apparsa, quanto all’ equilibrio di “genere”, molto qualificata (al di là di una affidabilità verso il “capo”) la presenza femminile dei rappresentanti del suo Partito nel suo Governo.

Aggiungo infine che, diversamente da tanti altri che si sono entusiasmati davanti alle discese in campo delle “Sardine”, ho espresso da subito molte perplessità su quel “movimento” e mantengo verso di esso una distanza, pronto a ricredermi, anche se permango in ciò dubbioso, conoscendo i costi della Politica e allo stesso tempo considerando impossibile un impegno politico di quel peso, scevro da introiti riferibili ad attività di lavoro in proprio.

Ciononostante spero che i “giovani” possano mantenere intatto il loro potenziale di rinnovamento di cui fino ad ora non ho trovato e non trovo, ahimè purtroppo, alcuna traccia.

Ne riparleremo, di certo.

14 aprile – reloaded da 19 dicembre 2017 (e 15.10.2018) Pasolini, don Milani, Gramsci e Danilo Dolci sarebbero degli “incompresi” (anche) oggi

reloaded da 19 dicembre 2017 (e 15.10.2018) Pasolini, don Milani, Gramsci e Danilo Dolci sarebbero degli “incompresi” (anche) oggi

Augias ha funzionato da “galeotto” con la puntata dedicata a Firenze (Città segrete – 10 aprile 2021 Rai Tre) https://www.raiplay.it/video/2021/04/Citta-segrete—Firenze—10042021-a5a826bc-33a0-49c1-8d52-9cd43ede5440.html

Qualche commento a post sui social intorno alla figura di don Milani mi ha fatto ricordare che negli anni scorsi ho trattato in diversi post i temi prioritari del suo “magistero”, che per tanti di noi hanno avuto un immenso significato

Il mio “santuario” laico

L’affermazione è semplice, forse una delle tante banalità cui il web ci ha abituati, ma continuando a leggere e rileggere le pagine di questi grandi uomini del secolo scorso e praticando le piattaforme dei social mi rendo sempre più conto che questi personaggi “incompresi” nel loro tempo avrebbero il fiato corto anche oggi, di fronte ad una società sempre più immiserita culturalmente, sempre più imbarbarita nei rapporti umani e sociali, incapace di risollevarsi da una crisi epocale che ha fatto smarrire artificiosamente la bussola delle ideologie, rendendo tutto nebbia, melma, fanghiglia indistinta. Essendo poi inevitabilmente protagonisti dell’attualità, non necessariamente di primo piano e non solo, portiamo la stessa responsabilità di tutti quelli che noi accusiamo: il mondo politico, quello culturale, quell’altro dell’impresa e della finanza rappresentano questo degrado nel quale noi nuotiamo. La frammentazione politica, collegata alle pretese poco più che personali di quadri dirigenti cresciuti esclusivamente per concorrere a carriere proprie e dei propri “grandi” sostenitori sta creando un brodo di coltura di gruppi reazionari che non promette nulla di buono per il futuro (fascisti, neonazisti, oltranzisti di sinistra); la Cultura, complice una Politica scolastica sempre più burocratica e meno umana, sempre più legata alla formazione di futuri “schiavi”, sta divenendo un semplice strumento mercantile ad uso di lobbies finanziarie ed industriali.
Di fronte a tutto questo proviamo una certa consolazione mentre, nel chiuso delle nostre aule o dei nostri studi privati, scorriamo le pagine dei “grandi” del secolo scorso. In esse la denuncia di un “disastro”, un’apocalisse prossima ventura della quale non siamo riusciti a comprendere la gravità.
Forse non tutto è perduto, ma occorrerebbe che il personale politico rinsavisse e facesse lo stesso il mondo della Cultura.
Non mi riferisco purtroppo per ora a nessuna delle forme partitiche vecchie e nuove che si sono profilate negli ultimi giorni o che lo faranno nei prossimi. Occorre uno sforzo immane di generosità, una capacità di fare qualche passo indietro personale per consentire di fare qualche passo avanti collettivo.

Non avverto tuttavia ancora questa consapevolezza e mi fanno paura soprattutto più le “ipocrisie” degli annunci che i “silenzi”!

Quel che è particolarmente strano, forse lo è per me ma non per tanti altri, è l’occasione che mi ha sollecitato a scrivere questo post: non ci avevo pensato fino a questo tardo pomeriggio.
Ho letto un’intervista che il giovane e bravo giornalista Stefano Feltri fece a Fabrizio Barca nel 2013: è pubblicata in apertura del libro “La traversata – Una nuova idea di partito e di governo” edito da Feltrinelli nella collana Serie Bianca”.
Da quel tempo è passata un’eternità: eppure sono appena quattro anni. Archeologia politica che ha tuttavia una funzione straordinariamente illuminante su quel che si poteva fare, su quel che si è fatto. Si poteva costruire una Sinistra nuova, si è distrutta quel poco che c’era.
Rileggendo quelle pagine si può comprendere molto del disastro che ha compiuto Renzi e tutte/i coloro che lo hanno sostenuto pensando al proprio tornaconto o inconsapevolmente. Soprattutto a queste/i ultime/i inconsapevoli consiglio vivamente di procurarsi il libro e rendersi conto di quanto è avvenuto.

A presto con riflessioni politiche e culturali

Joshua Madalon

13 aprile – CINEMA – Storia minima – parte 17 (per la parte 16 vedi 12 marzo)

CINEMA – Storia minima – parte 17

17

Rimanendo sempre sul vecchio Continente, possiamo menzionare due film britannici che riscossero un successo internazionale.

https://www.youtube.com/watch?v=9pJ8a5aJH38&t=83s

Il primo è “Le quattro piume” (The Four Feathers) diretto da Zoltàn Korda. Il film, tratto dal romanzo di  romanzo di Alfred Edward Woodley Mason del 1902, è la terza trasposizione da quell’opera (la prima era stata girata in piena epoca del muto nel 1921 e la seconda nel 1929). Questa, che rimane la più famosa anche rispetto all’altra ben più recente del 2002, è realizzata in cooperazione dai fratelli Korda (oltre a Zoltan, a collaborare alla buona riuscita del film, c’erano Alexander produttore e Vincent scenografo) è la prima edizione con il sonoro ed anche a colori. La storia narrata dal film è ambientata nel 1895, dieci anni dopo la battaglia di Karthoum, finita disastrosamente ed ha protagonista un giovane ufficiale che nel momento in cui dovrebbe partecipare ad un’azione di guerra si rifuta di partire. Prossimo al matrimonio, riceve da tre amici e dalla sua giovane fidanzata quattro piume bianche, che simboleggiano viltà e disonore. Punto nell’onore, parte e si rende protagonista di varie azioni coraggiose.

L’altro film britannico che vogliamo menzionare è “Addio, Mr. Chips!” (Goodbye, Mr. Chips). Tratto dal romanzo omonimo di James Hilton, non uno qualunque in quanto si tratta di un autore capace di sceneggiare film (basterebbe solo menzionare il famosissimo bellissimo “Orizzonte perduto” di Frank Capra già menzionato) ed infatti è sua la sceneggiatura anche di questo film. E’ il classico film americano per famiglie, incentrato sulle “memorie”, i ricordi della carriera di un docente (Charles Shiping detto amorosamente Chips) di un college, il Brookfield. Gli aspetti umani, le vicende storiche con la guerra, gli incontri importanti della sua vita (colleghi, la moglie, i suoi studenti, nelle varie e diverse generazioni) vengono snocciolati gli uni dopo gli altri contornati da episodi significativi. Il film fu interpretato magistralmente da Robert Donat, tanto è che riuscì ad aggiudicarsi il Premio Oscar del 1940: in quell’occasione, lo ricordiamo, battè un importante concorrente, Clark Gable, che aveva interpretato il protagonista di “Via col vento”, Rhett Butler. Quel che, a questo proposito, può apparire curioso è che il regista di “Addio, Mr. Chips!” fu Sam Wood che in parte, pur non accreditato, diresse alcune scene del più famoso “Via col vento”.

 Rimanendo in Europa e scendendo dalle nostre parti ci piace menzionare un film di Alessandro Blasetti, ormai, dopo un avvio brillante come giornalista e critico cinematografico viene ad affermarsi quale autore collaterale ai bisogni più che alle idee del regime fascista (come molti altri non seguirà le sorti del fascismo con la nascita della Repubblica di Salò). I primi film sono contrassegnati da questo collateralismo (“Sole” del 1929 e “Vecchia guardia” del 1935); ma l’opera di cui trattiamo è un tipico esempio di film d’avventura, pur riferendosi ad un personaggio noto nella storia culturale del nostro Paese, “Un’avventura di Salvator Rosa” (1939), ambientata nel Regno di Napoli, periodo all’incirca nella parte centrale del 1600, quella caratterizzata dalla rivolta capeggiata da Masaniello. Ma l’eroe in questione è Salvator Rosa, artista poliedrico e poeta, che si trasforma in questo caso in eroe mascherato, il “Formica”, una sorta di Zorro nostrano che lotta contro le angherie e le sopraffazioni dei nobili. Il film, interpretato da una delle icone divistiche italiane, Gino Cervi e vede il debutto di Rina Morelli e la presenza per la prima volta della coppia Luisa Ferida e Osvaldo Valenti. Fu un grande successo di pubblico, a dimostrazione sia della maturità stilistica di Blasetti sia del bisogno che aveva il pubblico di sognare.

12 aprile – CANI GATTI E FIGLI – il nostro primo figlio era”peloso” – parte 4 (per la 3 vedi 2 febbraio)

CANI GATTI E FIGLI – il nostro primo figlio era”peloso”

Parte 4

La proprietaria della mansarda che aveva seguito con curiosità le nostre manovre da una sua finestrella mi portò un sacchetto con un residuo di lettiera che aveva per un suo gatto che da qualche mese aveva perso anche la sua “settima” vita ed era stato sepolto nel giardino sotto casa.  Era a tutta evidenza un modo per solidarizzare con noi e condividere la gioia di questo “lieto evento”, inatteso.

Mary ritornò molto presto.  Intanto mi ero accorto che si trattava di una gattina. Lo dissi subito a Mary, al suo ritorno.  Aveva raccolto  i consigli di una delle farmaciste, della quale conosceva la passione per i gatti, e così era passata  a comprare del latte “senza lattosio”  da riscaldare, come le era stato suggerito, solo leggermente per renderlo più simile possibile a quello della “mamma-gatta”.

Procedemmo subito alle operazioni di “ristoro” ed il micetto,  sfibrato dal lungo digiuno, si accoccolò famelico e dolcissimamente paziente tra il mio busto ed il braccio, chiudendo gli occhi e suggendo con immenso piacere il latte, stringendo con le zampine anteriori il piccolo biberon. Dopo un po’, beato, sembrò addormentarsi continuando a suggere le ultime goccioline. Era un piccolo esserino che entrava a far parte della “famigliola”; mi accorsi che, una volta smesso di nutrirsi, aveva un grande piacere a rimanere accoccolato con la punta del mio indice in bocca, come un bambino con il suo ciuccio. Era uno spettacolo guardarlo, con una grande immensa tenerezza.

Poi, però, si pensò che avrebbe dovuto abituarsi alla sua vita autonoma e lo depositammo nello scatolo apprestato a cuccia. Probabilmente i panni non erano tiepidi come le mie braccia e scattò fuori miagolando. Seguiva me, ma non avrei mai potuto sostituire “mamma gatta” e facendoci forza né io né Mary lo riprendemmo “in collo”. Allestimmo uno spazio riservato alla “lettiera”, pronti ad interpretare i “bisogni” per evitare che utilizzasse qualsiasi altro angolo della mansarda. Quando si avvertiva che era il momento, lo si prendeva per la collottola, così come fanno le “mamme-gatte” e lo si adagiava nel giaciglio appositamente preparato all’uopo. Occorreva fare attenzione, perché di norma le prime volte cercava di sfuggire; ma a quel punto lo si riagguantava e lo si riportava dove avrebbe dovuto “imparare” a svolgere quelle pratiche. Dopo un paio di tentativi, il meccanismo educativo andò in funzione con regolarità.

La sera, però, quando per noi “umani” era ora di andare a dormire, non c’era verso di indurre il micetto, che avevamo chiamato “Pussypussy”, a rimanere nella sua “cuccia”. Di norma noi chiudevamo la porta della camera da letto non tanto per “privacy” quanto per il clima freddo tipico di quella realtà (c’è un detto: “Se vuoi soffrir le pene dell’inferno vai a Trento d’estate e a Feltre di inverno”), ed il riscaldamento era centralizzato e funzionava fino all’incirca alle otto di sera, quando i proprietari che lo regolavano andavano a letto. Ovviamente i nostri ritmi erano un po’ diversi ma ci adattavamo.

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11 aprile – PIU’ GIOVANI PIU’ DONNE – sesta parte – le amare conclusioni

PIU’ GIOVANI PIU’ DONNE – sesta parte – le amare conclusioni

Questa serie di “post” è un vero e proprio pretesto per sviluppare quella che potrebbe apparire una mia forma di misoginia  e di sottovalutazione del ruolo dei giovani, ma che, io,  in verità, considero un modo per essere meno ideologico e più concreto di guardare alla realtà dei fatti. Quanto all’importanza di una maggiore e più qualificata presenza delle donne in funzioni direttive di primissimo livello e al bisogno di guardare al rinnovamento dei metodi della Politica incentivando e qualificando la presenza dei giovani – donne e uomini – sono stato sempre tra coloro che non solo lo hanno teorizzato con le “chiacchiere” banali dei documenti e delle discussioni accademiche ma lo hanno cercato di mettere in pratica, contribuendo all’inserimento di queste figure nei meccanismi amministrativi locali. Si è rivelato, questo mio impegno, quasi sempre, ma per mia diretta esperienza troppo spesso fino ad oggi, una delusione immensa. Quella nota del  mio ultimo interlocutore (“è vero i giovani assomigliano sempre più agli adulti…. quelli peggiori…. “)    conteneva una profonda verità, valida per tutti, addirittura, mi sento di aggiungere, a partire da chi scriveva. Ho la netta sensazione che sia ormai una regola, secondo la quale i “giovani” che si accostano alla Politica e se ne rendono asserviti allo scopo di utilizzarne gli aspetti utilitaristici a proprio esplicito vantaggio, perdono contestualmente quella forza creativa innovativa rivoluzionaria che dovrebbe essere appannaggio di quella condizione esistenziale. Finiscono per avviare uno scimmiottamento dei modi adulti, fino a diventare parte integrante di quel meccanismo che essendo condizionato da diverse forme compromissorie ne blocca le spinte che potevano essere considerate tipicamente “giovanili”. Già in questa fase la presenza dei “generi” è fortemente squilibrata, ma abbastanza meno che nel prosieguo e su questo “passaggio” ovviamente dovrebbe essere posta maggiore attenzione ma senza alcun “bilancino” meccanico come a volte accade con il sistema delle “quote”. E’ orribile e mortificante quella sorta di “caccia” che dalle sedi politiche parte molto spesso alla ricerca di “figure” che possano equilibrare i “generi” nelle liste. Ogni forza politica dovrebbe prevedere tali presenze in modo “organico” e qualificato, non ridursi agli ultimi attimi per tale scelta, correndo il rischio di fermarsi molto all’apparenza e poco alla consistenza. Una volta “inserite” la frittata è fatta!

Tornando al tema dei “giovani” in Politica e per giustificare al massimo il senso della mia delusione, vi aggiungo un fulgido esempio, il più elevato che io possa utilizzare. Il nostro Paese ha conosciuto nell’ultimo decennio l’ascesa ed il declino del più “giovane” Presidente del Consiglio (tralascio giudizi su quel che è ora) ed a me non è apparsa, quanto all’ equilibrio di “genere”, molto qualificata (al di là di una affidabilità verso il “capo”) la presenza femminile dei rappresentanti del suo Partito nel suo Governo.

Aggiungo infine che, diversamente da tanti altri che si sono entusiasmati davanti alle discese in campo delle “Sardine”, ho espresso da subito molte perplessità su quel “movimento” e mantengo verso di esso una distanza, pronto a ricredermi, anche se permango in ciò dubbioso, conoscendo i costi della Politica e allo stesso tempo considerando impossibile un impegno politico di quel peso, scevro da introiti riferibili ad attività di lavoro in proprio.

Ciononostante spero che i “giovani” possano mantenere intatto il loro potenziale di rinnovamento di cui fino ad ora non ho trovato e non trovo, ahimè purtroppo, alcuna traccia.

Ne riparleremo, di certo.