2 maggio – tre post del maggio 2020

1 maggio 2020

LE TRAPPOLE della vecchia Politica
Ognuno di noi, chi prima chi dopo l’avvento di questo tempo “sospeso”, si è ritrovato a dire più o meno apertamente “da questa tragedia usciremo più forti”. In realtà, poi, alcuni di noi, anche gli stessi ottimisti che guardavano alla parte piena del bicchiere (mezza o meno, non importava), in preda ad una crisi di fiducia verso le vicende che si snocciolavano, hanno cominciato a non essere tuttavia così certi dell’esito “positivo” di questi eventi. Se, per puro caso, rileggete alcuni miei post, l’alternanza fiducia/sfiducia la ritroverete piena. Non è necessario che vi sottoponiate a simili torture: tanto non scrivo mica pensieri originali e sconvolgenti. Il fatto è che il quadro politico non è cambiato e si rincorre l’ordinario, semplicemente. In realtà, nessuno tra i protagonisti del panorama politico di questi tempi aveva mai immaginato di dover fronteggiare un quadro critico di portata “pandemica”, come quello con il quale ci troviamo a combattere. E sì, combattere! Quante volte ce lo siamo sentito dire, che stavamo di fronte ad una “guerra”. Una guerra anomala, certamente. Fatta di un gran numero di perdite progressivamente in maggior parte anziani, con patologie pregresse non di semplice trattamento, persone indebolite già di per sé bisognose di cure: era una guerra che proteggeva i più forti, i giovani soprattutto; era una guerra diversa davvero da quelle di cui noi qui in Europa abbiamo sentito per fortuna soltanto narrare dai reduci e dai libri di storia. Una guerra lontana, perlomeno fino a quando non ha intaccato nel profondo la nostra natura umana debole e sensibile al dolore morale: qualche amico, qualche conoscente lontano vi è stato coinvolto (parlo di me che fino ad ora non ho dovuto soffrire perdite in questa guerra); per altri, invece, purtroppo le cose non sono andate così bene ed in alcune zone del Paese è stato inevitabile doversi confrontare con questo tipo di sofferenza.
Davanti a queste tragedie, senza fare retorica, bisogna saper chinare il capo e darsi da fare, così come fecero i giovani “angeli del fango nel 1966 a Firenze. Anche allora ed in quelle condizioni si combatteva una guerra contro gli elementi della natura. E invece una parte della Politica sceglie di mirare all’ottenimento di vantaggi quasi interamente personali, non mancando di mettere in evidenza la naturale difficoltà di chi governa, che trova ostacoli anche all’interno della coalizione che dovrebbe invece abbandonare le distinzioni che servono in “tempo di pace” ma non sono utili “in tempo di guerra”. E le posizioni si scontrano utilizzando vecchi strumenti. Mi viene da credere che non tutto ciò che si fa, in quei Palazzi, sia dal Governo sia dall’Opposizione, appartenga ad una classe politica superficiale e dilettante. Il rischio vero che corriamo noi tutti è quello di arrivare in fondo, avendo semmai rispettato tutte le prescrizioni riduttive di libertà, e ritrovarci con una realtà dai connotati peggiori, non solo dal punto di vista dell’Economia ma soprattutto da quello dell’Etica. Il dubbio che mi è balenato davanti alla mente è che si stia giocando da una parte e dall’altra una battaglia che mira semplicemente all’ottenimento di una posizione più vantaggiosa per continuare a gestire “male” il Paese, difendendo la parte più forte e ricca mentre ci si riempie la bocca di preoccupazioni per i più deboli. E questo, diciamocelo, non ce lo possiamo permettere: bisogna quindi proprio per difendere il nostro Paese contrapporsi a questi stili e provare sgomitando ad andare avanti, guardando indietro solo per capire come non commettere gli stessi errori. Sarà dura, ma dobbiamo crederci.
Joshua Madalon

5 maggio 2020
NULLA SARA’ COME PRIMA SOLO SE CAMBIERANNO I MODELLI DI SVILUPPO E DI CONTRASTO ALLE INGIUSTIZIE
Lo spirito caritatevole funziona in una società nella quale molti di noi avvertono il profondo senso di colpa, da addebitare ad una nostra incapacità a modificare lo stato delle cose in relazione al mercato del lavoro, inquinato profondamente da comportamenti criminosi da parte di fin troppi tollerati datori di lavoro e professionisti.
Abbiamo detto in tanti che questa pandemia, evento straordinariamente drammatico, avrebbe potuto portare ad un cambiamento epocale in meglio (ma anche in peggio). Tutto però dipende da ciascuno di noi. Molti anche in queste ultime giornate, nelle quali si aprono spiragli di luce per un possibile allentamento della morsa pandemica, vanno affermando linee di principio verso una riforma del modello di sviluppo e di contrasto molto più stringente ed efficace alle ingiustizie sociali.
Potrebbe essere, questa, un’ottima occasione per avviare una più rigorosa riforma del merccato del lavoro, all’interno della quale inserire regole più stringenti. Leggo dati drammatici dai quali si rileva che “prima della pandemia erano 23,5 milioni gli italiani con un posto di lavoro, anche saltuario….dall’inizio della pandemia…circa 11,2 milioni di lavoratori sono stati costretti a far ricorso a un sussidio pubblico”.*
Vuol dire che 11,2 milioni di lavoratori o aveva un reddito bassissimo (a fronte di contratti legali ma “immorali”) oppure ha perso il posto di lavoro. Se questo è il “dato” occorre inevitabilmente partire da questo per risalire la china della crisi individuale e collettiva. E quale migliore occasione se non questa – lo dico riconoscendo in questo una punta di cinismo – la nostra società poteva attendersi per poter rivedere nel profondo regole e rispetto di esse in modo rigoroso? La qual cosa permetterebbe di andare ad un lieve livellamento dello stato sociale facendo passare dai più ricchi ai più poveri una parte delle risorse. E consentirebbe a chi guadagna di poter contribuire in modo equo alle spese dei servizi che lo Stato, dalla Sanità all’Istruzione e molto altro, è tenuto ad organizzare e far funzionare.
L’auspicio è che non siano parole vuote, di circostanza e legate alla passione del momento quelle pronunciate da alcuni leader sindacali nelle ultime ore, in occasione del PRIMO MAGGIO Festa del Lavoro.
Landini della CGIL ha detto: ““In questa fase bisogna rafforzare e non indebolire il ruolo dei contratti nazionali, non solo per tutelare il salario dei lavoratori ma anche per affrontare i processi di cambiamento in atto, coinvolgendo i lavoratori e il sindacato sulle scelte strategiche, su come e cosa si produce”….Anche le imprese devono cambiare e se non ricostruiscono insieme a noi rischiano di proseguire su una linea fallimentare”. E poi rilancia la necessità di un nuovo Statuto dei lavoratori, aggiungerei “post-pandemico”, proprio in dirittura d’arrivo dei 50 anni dalla introduzione dello Statuto dei lavoratori introdotto con la legge 20 maggio 1970, n. 300 Statuto per garantire a tutte le persone che lavorano, a prescindere dal rapporto di lavoro che hanno, gli stessi diritti e le stesse tutele”, ponendo così fine alla “competizione tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare”.
La segretaria della CISL Annamaria Furlan ha confermato l’unità di intenti delle forze sindacali :“Già dalla prossima finanziaria dobbiamo dare segnali precisi mettere in sicurezza sanitaria il Paese ma anche in sicurezza l’economia con la centralità del lavoro: un grande patto sociale che dia obiettivi chiari al Paese e strumenti chiari”. “E’ necessario ripensare il lavoro ma anche un modello di crescita e sviluppo che va rivisto ripensato e organizzato. Il lavoro è centrale, la centralità della persona è il vero segno con cui cambiamo il nostro modello di società”. “Mettere al centro la persona significa non dimenticare gli invisibili nel mondo del lavoro, non tutelati e lasciati soli, un’organizzazione del lavoro che veda attraverso l’applicazione delle nuove tecnologie un modo di lavorare più sano e più partecipativo e una coesione indissolubile tra lavoro e ambiente, perché vogliamo consegnare alle nuove generazioni un mondo più sano ci vuole un grande senso di responsabilità”.
Carmelo Barbagallo, segretario generale della UIL aggiunge “Più che essere una festa oggi è un primo maggio di impegno per il lavoro in sicurezza e per ricostruire il nostro futuro” e prosegue “Penso che anche l’Europa comincia a capire che l’austerità, il fiscal compact, il Mes vecchia maniera non servono a niente. Bisogna fare investimenti in sicurezza, in infrastrutture, in innovazione e ricerca e digitalizzazione. Abbiamo scoperto di essere in ritardo su tutto”.**
Come si può capire questa è un‘ottima occasione per costruire un mondo migliore; potrebbe essere proprio il contrario, e non sarebbe una buona notizia.
*L’Espresso 3 maggio 2020 “L’esercito dei nuovi poveri” di Vittorio Malagutti, Gloria Riva e Francesca Sironi p.13

**AGI AGENZIA ITALIA – ANSA e altri
https://www.agi.it/economia/news/2020-05-01/primo-maggio-sindacati-coronavirus-8491912/
https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/05/04/landini-serve-nuovo-modello-sviluppo-partecipazione-dei-lavoratori_e6847257-1868-4c94-8959-e7cbd7730534.html

4 maggio 2020

Tempo di coronavirus: riflettere e far riflettere
Uno degli aspetti “positivi” in questo tempo sospeso è di certo collegabile al fatto che, quando ci si incrocia, pur bardati da mascherine e con capigliature leonine che ormai coprono anche le “pelate”, ci si riconosce e ci si saluta con entusiasmo: a volte capita anche che ci si ritrovi con affabilità a discutere con persone alle quali non avevamo dato confidenza e dalle quali non avevamo avuto segni simili in precedenza. La parziale solitudine è stata interrotta da saluti cordiali tra dirimpettai con i quali abbiamo anche condiviso momenti irripetibili ed inimmaginabili prima d’ora, condividendo canti e applausi. In queste giornate abbiamo imparato che non siamo proprio del tutto soli ed ognuno ha cominciato ad aprirsi agli altri nella comprensione delle diverse problematiche. esplicitate o immaginate, ma in ogni caso reali. In primo luogo la solitudine dei nuclei così come si sono caratterizzati quando il lockdown è partito ha evidenziato aspetti non prevedibili, come la necessità di avere spazi vitali quotidiani in ambienti non abbastanza ampi per poter sviluppare una pur normale attività, non solo quelle di tipo organizzativo ma soprattutto quelle che all’improvviso sono diventate urgenti come l’ homeworking (per gli adulti che hanno avuto la fortuna di poter continuare la loro attività lavorativa) e le “lezioni online” (per gli studenti di ogni età che hanno dovuto continuare il loro impegno scolastico lontano dalle aule). Nell’avviare queste nuove modalità “urgenti” si è scoperta l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione, dalla mancanza proprio di strumenti di base, come personal computer, smartphone o tablet, ma anche di connessioni all’altezza di reggere utilizzi multipli in contemporanea. Un altro degli aspetti da mettere sotto osservazione è la capacità di ciascun nucleo di tenere sotto controllo la propria spesa alimentare, i propri consumi essenziali, in assenza di spese voluttuarie collegate ad una vita anche – ed in alcuni casi preponderante – fuori casa: sono aumentate di certo le spese per le utenze ma sono diminuite quelle per carburanti e per la vita sociale. Indubbiamente ci sono state molte categorie di lavoratori che hanno dovuto far fronte in modo duro all’assenza di un reddito. Questo aspetto deve essere elemento sul quale riflettere e far riflettere.
Una parte di questi lavoratori aveva contratti “capestro” con falsi “part-time” (ed erano forse tra quelli parzialmente “fortunatI”); un’altra parte, pur lavorando, “non” aveva contratti e forse era riuscito ad ottenere sussidi come il RdC, forse lo aveva ottenuto solo parzialmente e forse nemmeno quello; un’altra parte di lavoratori sono quelli atipici, autonomi, la cui fortuna dipende anche dalla vita sociale condotta per essere conosciuti negli ambienti (per costoro lo Stato, cioè tutti coloro che poi hanno contribuito e contribuiranno a pagare le tasse, sta provvedendo per dei “bonus” che però tardano ad arrivare a destinazione).
Riflettere e far riflettere: chi aveva contratti capestro d’ora in poi, dopo questa esperienza, denunci questa realtà piuttosto che subirla passivamente “perché altrimenti non ci danno nemmeno questa occasione”; chi lavorava senza contratto faccia lo stesso affinché non vi siano altre storture simili verso i loro figli e nipoti, oltre che verso di loro, dopo questa, che potrebbe essere un’ottima positiva esperienza; quegli altri, ma non solo quegli altri, imparino da questa situazione a gestire meglio la loro esistenza: non si può pensare che a pagare poi sia la collettività.
Se dobbiamo creare un mondo più giusto dobbiamo anche imparare a guardarci intorno e non fidarci di chi “piange miseria” per professione: ne trovereste un po’ di gente che dichiara redditi da fame e possiede seconde e terze case, a volte anche, di lusso.
Dobbiamo imparare a cooperare, perché abbiamo, in “tanti”, interessi comuni, mentre pochi ci fregano elegantemente. E allora? Se dobbiamo imparare qualcosa, non ce la facciamo sfuggire questa occasione di “giustizia sociale”: a coloro che in clima di solidarietà si dichiarano disponibili a versare una quota – pur minima – del loro reddito fisso (da lavoro o da pensione, medio-basso, non di certo minimo) suggerisco prudenza e condivisione dei problemi di “equità” per elaborare una serie di interventi utili a far emergere il “nero”, l’elusione e l’evasione, dappertutto. Altro che obolo generoso! Il motivo per cui non ho esultato davanti a quell’apparente modalità di contribuzione “sociale” ma l’ho contrastata ed il motivo era – ed è – che in questa forma nulla cambia. E, ve lo assicuro, la mia non è ipocrisia.
Joshua Madalon