30 giugno – DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – decima parte – 7 e ultima (Trenta più cinquanta fa “Nouvelle Vague”) – per la parte 6 vedi 10 giugno

Certo, non si può dimenticare neanche il particolare grande impegno di Renoir (ma non fu il solo!) nella costruzione di una poetica cinematografica propria del Fronte Popolare francese (1934-1938); erano anni di grandi speranze di cambiamento, rese vane poi dalla mancata coesione nell’ambito della Sinistra ma anche dall’incalzare degli avvenimenti internazionali.

in Carnè ritroviamo alcuni elementi essenziali di questa “sconfitta storica” nel suo accentuato pessimismo, fatalismo e senso della tragedia, in cui il sogno e la fantasia finiscono con il soccombere sotto il peso della realtà. I personaggi di Carnè, infatti, vorrebbero partire ma non hanno una meta sicura, vorrebbero cambiare la realtà ma sono consapevoli che ciò risulta impossibile: questa doveva essere proprio l’aria che si respirava nel 1938-39, all’indomani della caduta del Fronte Popolare ed alla vigilia delle operazioni belliche che precederanno la seconda guerra mondiale e l’occupazione nazista.

I film di Carnè visionati sono stati purtroppo quelli meno adatti a delineare questo suo aspetto peculiare: sono mancati sia “Quai des brumes” che “Le jour se lève”, proprio a causa della loro indisponibilità. ma si può dire per consolarci con il senno del “poi” che, essendo questi tra i più diffusi prodotti della filmografia di Carnè, è stato meglio così, perché abbiamo visto film che non passano sui nostri schermi domestici, come “Jenny” ed “Hotel du Nord”.

Nell’ambito della Rassegna una giornata è stata dedicata ad esponenti meno famosi, ma altrettanto importanti e prolifici come Feyder e Duvivier. Di quest’ultimo, presentando “La belle équipe”, si è voluto rendere un ulteriore omaggio all’atmosfera euforica ed ingenua che caratterizzò il primo periodo del Fronte Popolare: nel film si narra la storia di un gruppo di amici squattrinati e disperati che ritrovano la serenità, grazie ad una sostanziosa vincita, che permette loro di aprire un’osteria sulle rive della Marna. La solidarietà, la felicità, la gioia del primo periodo viene ad offuscarsi (il film è del 1936, e forse è leggermente profetico), allorché insorgono dei contrasti tra due di loro, a causa di una donna. Il tutto finisce in tragedia. Così sarà anche per la Francia degli Anni Trenta.

Cosa accomuni gli Anni Trenta agli Anni Cinquanta ed anche agli Anni Ottanta (30 + 50 = 80) può apparire solo uno stratagemma per sviluppare una tesi quanto mai originale, se non si pensasse (ma non si offrirà, con questa nostra proposta, una risposta, per avere la quale occorrerà altra sede ed un diverso e più ampio approfondimento) alla Nouvelle Vague come ad una nuova Avanguardia (vedi Resnais, Robbe-Grillet, Godard), con uno sguardo molto attento puntato sul mondo sociale e politico, che ha poi avuto uno sviluppo notevole nell’acquisizione di tecniche e tematiche non sempre del tutto originali, perché derivate dalla letteratura e dall’arte in genere, ma sensibilmente approfondite e fatte proprie da questi nuovi “maestri” del cinema. Se si aggiunge alla Nouvelle Vague una valutazione sugli esiti che in quegli stessi Anni Cinquanta trovavano i “maestri” degli Anni Trenta su quegli esiti che hanno ottenuto, e otterranno, gli ex giovani che si impegnarono negli Anni Cinquanta, troveremo un primo filo che lega quell’apparente equazione e metteremo in evidenza uno dei quesiti cui occorre dare una risposta.

****************

29 giugno – reloaded Era il 29 giugno di un anno fa – Facciamo finta che “tutto va ben – tutto va ben!”

Era il 29 giugno di un anno fa

Facciamo finta che “tutto va ben – tutto va ben!”

C’erano una volta dei Sindaci che, mentre ancora la pandemia era in corso (si era a fine aprile) volevano riaprire le scuole; lo dicevano con molta energia, come per convincere coloro che li tiravano per la giacchetta: intanto facevano lunghe passeggiate in bici per lanciare occhiate severe; molte dirette per rispondere alle domande della popolazione; dichiaravano una grande disponibilità ad occuparsi delle angustie della gente. Tuttavia, “anche” grazie ad una legge che concentra nelle loro mani – e nella loro testa – molti poteri alla conta dei “fatti” hanno soltanto utilizzato gli spazi a loro disposizione per farsi propaganda: non importa se poi l’applicazione pratica di quei “poteri” non permette, per mancanza di materia grigia e di capacità organizzative “manageriali”, di affrontare i veri problemi quotidiani che come nodi irrisolti incancreniti da anni di profonda incuria e sottovalutazione (ambiente, scuola, traffico, sanità, cura del territorio a partire dalle periferie), finiscono per accumularsi e rendere peggiore il livello qualitativo della vita della gente comune.
Accade in molte parti. Quasi dappertutto. Accade anche a Prato. In una città, che ha retto nel periodo dell’emergenza grazie al senso civico di “responsabilità” della cittadinanza, ma che ai suoi vertici (non solo amministrativi ma anche imprenditoriali) non ha costruito un nuovo inizio per il “dopo” emergenza. Come e più che altrove i suoi amministratori e le sue classi dirigenti non sono in grado di rispondere ai bisogni e non può essere una giustificazione che “è così dappertutto” oppure che “il Governo non è in grado di…”.
Parlo spesso dei problemi della Scuola. Anche l’altro giorno in un post che cercava di spiegare il senso di quei “conti che non tornano” ponevo in evidenza l’incapacità dei governi di ieri e dell’altroieri – non supportati diversamente da quelli di “oggi” – nell’affrontare i problemi della Scuola, non “un” problema ma i “mille” problemi irrisolti che da diversi anni condizionano il livello di Istruzione e di Cultura “generale” (a partire da quella “civica”) nel nostro Paese.
Sin dal primo momento dell’emergenza Covid19 con la chiusura delle strutture scolastiche una classe dirigente con gli attributi avrebbe dovuto luogo per luogo, in piena ed assoluta autonomia mettere in piedi una “task force” (che bello, questo termine, di cui i governanti piccoli, medi e grandi, si sono riempiti la bocca!) per affrontare le urgenze di una emergenza che viene da lontano.
Io, da parte mia, mi riempio la bocca di un altro macrotermine, “Memoria”. E lo faccio per segnalare che ciò che oggi ha difficoltà a funzionare non è che funzionasse prima del marzo 2020: non è stato certo il Covid19 ad evidenziare le carenze strutturali degli edifici scolastici; la mancanza di aule era male cronico, così grave da condizionare gli avvii di ogni anno scolastico e costringere gruppi numerosi di studenti a frequentare le loro lezioni in spazi “inventati”, adattati all’uso didattico ma non a tale scopo vocati nella loro genesi. E neanche si può pensare che una didattica moderna, semmai digitale ma non a distanza, si possa praticare in aule costruite per una didattica ottocentesca, eminentemente umanistica; ed ancor più ciò può avvenire in strutture che non erano destinate a scopi didattici. E dunque bisognava, bisogna, bisognerà preparare una progettazione che guardi davvero verso il futuro, verso il quale naturalmente si rivolge il mondo dell’Istruzione, della ricerca, dell’apprendimento, della Cultura.
In questo stesso periodo, ma c’è chi osserva giudica ed esprime sue opinioni in merito da tempo, si mette in evidenza l’esistenza di un surplus insopportabile di strutture abitative “nuove” ma invendute (colpa ovviamente dei costi, della crisi di prima e di quella che andiamo vivendo ora, ma non solo: anche qui c’è una profonda incapacità progettuale. Che rasenta l’irresponsabilità e l’illegalità). Ci si giustifica – nei “piani alti” – che, così facendo (cioè permettendo a ditte edili di lavorare e far lavorare) – si svolga anche un ruolo ed una funzione sociale. Molto bene: allora se è così dirottiamo sull’edilizia pubblica di riconversione, ristrutturazione o anche semplice manutenzione del patrimonio esistente delle scuole e degli edfici pubblici generici.
Ne riparleremo. Non si può tacere.

Joshua Madalon

28 giugno reloaded un post di un anno fa – IL RITORNO ALLA NORMALITA’

IL RITORNO ALLA NORMALITA’

Mi ripeto: una delle peggiori “epidemie” che colpisce le nostre popolazioni si chiama “amnesia”. Ieri scrivevo che ci siamo inoltrati nel distanziamento abbandonando nel “cestino” del nostro cervello tutto quello che fino a quel momento ciascuno di noi aveva detto, scritto, fatto, pensato e praticato. Anche per questo, sento di essere un maledetto imperterrito insistente rompiscatole, continuo a praticare la memoria “critica” (quella di cui trattavo ieri che non ha soluzioni univoche). Durante questo lungo senza dubbio inedito inverno molti di noi si sono limitati negli spostamenti e lo hanno fatto quasi con piacere, costruendosi dei ritmi domestici che non consentissero di avvertire la mancanza di socialità. Molti, ma non tutti, anche perché una parte considerevole è stata posta in difficoltà sia per le risorse economiche di cui non disponevano ( ma qui il discorso diventa anche “politico” ed “antropologico” e vale la pena soffermarci su questo tema in uno dei prossimi post ) sia per gli spazi angusti in cui dovevano necessariamente muoversi.
Appartengo per fortuna al primo macro-gruppo: solo un lieve reflusso di ipocondria mi ha interessato. Ma era anche il frutto di una riflessione concreta. Da giovane sono stato ipocondriaco ma con l’età ho razionalizzato le paure e le ho superate con l’impegno costante nella Politica e nelle attività culturali. Pur tuttavia in quei giorni, nei primissimi giorni drammatici, ho avvertito qualche lieve diisturbo psicosomatico ma in defintiva ero angosciato da un problema concreto che mi tormentava: non poter essere tranquillo sul fatto che, di fronte ad un malessere reale non riferibile ai problemi pandemici (un ictus, una disfunzione cardiaca; insomma qualcosa di veramente serio), non ci potesse essere da parte del Servizio Sanitario pubblico una risposta rapida e perlomeno sufficiente.
In quel periodo non era neanche immaginabile di poter andare al Pronto Soccorso così come mi è capitato di poter fare all’inizio dell’unica patologia seria che mi è stata riconosciuta: in quell’occasione, ma sono passati quasi dieci anni, ebbi modo di apprezzare la professionalità complessiva del personale sanitario che, in un tempo ragionevolmente veloce, diagnosticò la mia ipertensione.
Ritornando al “prima”, ma rimanendo sul “tema”, vorrei ricordare che negli ultimi anni si è andato progressivamente riducendo il ruolo della Sanità pubblica a Prato ed in Toscana. Sono stati chiusi molti Distretti periferici e sono stati ridotti i posti letto nel nuovo Ospedale. Già prima che scoppiasse la pandemia c’era chi lamentava l’aumento esponenziale degli accessi al Pronto Soccorso ed in quelle occasioni si segnalava da parte delle Sinistre la sottovalutazione del ruolo della Sanità pubblica a favore di quella privata. Su questi temi occorre ritornare a denunciare e proporre.
Durante il periodo pandemico più duro per diversi motivi la Sanità pubblica è stata dominante ma l’attenzione maggiore era per i contagiati ed i malati Covid19. La Sanità privata ha provato ad inserirsi nel contesto ma lo ha fatto in modo maldestro, svelando la sopravvalutazione dei “propri” interessi: si dirà che ciò sia inevitabile in una società dove prevale la logica del “mercato”, ma bisognerebbe anche saperne limitare gli ambiti in momenti di emergenza.
Con il ritorno alla normalità risaltano nuovamente ed in modo più eclatante i difetti del tempo di “prima”. Come la questione dell’accesso al Pronto Soccorso, che in questi giorni è intasato da richieste a volte improprie e banali e mette in evidenza la “complessità” del fenomeno, dovuto essenzialmente alla mancanza ormai “cronica” di presidi di medicina territoriale e difficoltà che genera sfiducia nel rapporto con i medici di base. Questi ultimi finiscono per essere considerati come consiglieri trascrittori di ricette o poco più, anche per le restrizioni imposte dalla dirigenza regionale che li limita nel loro specifico lavoro.
Anche in Toscana, meno però che in altre Regioni più “operose” dal punto di vista manageriale (ivi compresi gli ambiti sanitari), il Covid19 ha posto in evidenza i limiti dell’azione politica, in questo caso, del Centrosinistra, che – fatte le debite distinzioni poco meno che “ideologiche” – non ha operato per valorizzare le funzioni pubbliche ma ha avvantaggiato – anche nascondendosi dietro le lungaggini delle pratiche burocratiche – di fatto il “privato”, anche se convenzionato.

Joshua Madalon

27 GIUGNO – IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 6 – atti di un Convegno del 2006 – (per la parte 5 vedi 28 maggio)

…6….

Prosegue l’intervento dell’Assessore alla Cultura del Comune di Prato, prof. Andrea Mazzoni

Quindi però se è vero, come diceva Maddaluno, che non ci dobbiamo forse chiedere che cosa avrebbe detto Perché le situazioni veramente cambiano, credo che sia comunque importante e forse siamo qui in qualche modo anche per questo, chiedersi se le cose che ha detto Pasolini in quegli anni parlano ancora all’Italia di oggi. Questo credo che sia il nucleo importante poi di una riflessione su una vicenda intellettuale, culturale passata necessariamente, datata per tanti aspetti, ma che ha diciamo un tesoro, un lievito, un patrimonio di idee, anche di provocazioni che credo non abbiano assolutamente esaurito la loro spinta propulsiva anche qui per un usare un termine che in certo dibattito culturale di qualche anno fa ha avuto il suo peso. Ecco quindi la spinta propulsiva di questo intellettuale scomodo, di questo corsaro credo che non sia assolutamente venuta meno, in particolare per quel suo denunciare e andare alla ricerca delle responsabilità del degrado antropologico degli italiani, che poi questo insomma era il tema fondamentale della riflessione di Pasolini fin dalle sue origini, fin dalla sua nascita, fin dalle sue prime esperienze friulane. Io, fra l’altro, ho avuto la ventura di fare i miei primi due anni di insegnamento in Friuli e devo dire che questo tema del rapporto tra Pasolini giovane e quello che restava e che continuava a lievitare e maturare del suo insegnamento nei confronti dei

giovani, insomma ecco lì si respirava fortemente. Tra l’altro so che anche Sandro Bernardi ha avuto rapporti di collaborazione con Cinema Zero, mitico luogo diciamo sicuramente evocativo di spirito pasoliniano. Quindi anche lui capirà bene che cosa voglio dire con questo riferimento.

Quindi questo tema della responsabilità e del degrado antropologico degli italiani con una attenzione particolare a quella che poteva essere la speranza per il superamento di questo degrado. Oltre alla denuncia delle responsabilità anche l’indicazione di quelli che potevano essere e che credo possono essere ancora i terreni su cui superare questo limite. E quindi ovviamente in primo luogo il tema della responsabilità al contrario che c’è un problema della responsabilità e del degrado, ma c’è il problema che probabilmente questo degrado si supera attraverso l’acquisizione di un senso di responsabilità civica. E credo che questa sia una riflessione che nel sessantesimo della nostra Repubblica, tra l’altro, assume anche dei connotati sicuramente di maggiore attualità. E tra le risposte, tra le speranze che Pasolini individuava c’era sicuramente il mondo dei giovani, le potenzialità che sono insite nelle nuove generazioni.

Io mi sono segnato qui una frase di Pasolini, scritta in uno dei suoi dialoghi su Vie Nuove, poi apparsa nella raccolta di scritti “Le belle bandiere”. E’ una frase del 16 luglio 1960, pochi giorni dalla vicenda dell’insurrezione di Genova sotto il Governo Tambroni, il Congresso del Movimento Sociale Italiano, la generazione dei giovani con le magliette a strisce come vennero etichettati.

Pasolini scriveva in questo suo scritto su Vie Nuove: “non può esistere una crisi della gioventù, l’unica sua crisi è una crisi di crescenza”. E ci dava una indicazione precisa, esatta su chi ci può aiutare a far crescere un paese, su chi può dare risposte di responsabilizzazione, di assunzione di responsabilità nei confronti di una responsabilità pregressa che ha portato al degrado antropologico degli italiani.

26 giugno – INFER(N)I – Non solo Dante – Eneide 3/c La profezia di Anchise

Appena vide Enea che gli veniva incontro attraverso il bel prato gli tese le mani piangendo di gioia: «Finalmente sei giunto, la tua pietà – che tanto ho aspettato – ha potuto vincere le durezze del cammino? Ti vedo, sento la nota voce, posso parlarti, figlio! Speravo di vederti e calcolavo il tempo: né la trepida attesa m’ha ingannato. Attraverso quali terre, attraverso quanti mari portato, da quanti pericoli sbattuto, o figlio, ti accolgo! E quanto ho temuto i pericoli del regno della Libia !» E l’eroe: «La tua Ombra dolente, tante volte veduta in sogno, mi spinse a venire quaggiù: le mie navi sono ferme sul Tirreno . Deh, lasciami prendere la tua mano! Non sottrarti al mio abbraccio!» Così dicendo bagnava le gote di pianto. Tre volte cercò di gettargli le braccia al collo, tre volte l’Ombra, invano abbracciata, gli sfuggì dalle mani simile ai venti leggeri o ad un alato sogno . Nella valle appartata Enea vede una selva solitaria, fruscianti virgulti e il fiume Lete che bagna quel paese di pace.  Intorno ad esso si aggiravano popoli e genti innumerevoli : così nell’estate serena le api si posano sui fiori colorati e sui candidi gigli e tutta la pianura risuona del loro ronzio. Enea stupisce alla vista improvvisa e ne chiede il significato, che fiume sia quello laggiù, chi siano le anime che affollano le rive. E Anchise: «Coloro cui tocca incarnarsi una seconda volta, bevono al Lete un’acqua che fa dimenticare gli affanni, un lungo oblio. Ma è tanto che desidero mostrarti, una per una, le anime che un giorno saranno i miei discendenti; così sempre di più potrai rallegrarti d’aver raggiunto l’Italia ». «Padre, dobbiamo credere che ci siano delle anime che fuggono di qui per salire nell’aria terrestre e ritornare di nuovo nei pesanti corpi? Che desiderio insensato di vita possono avere, infelici?» Eneide, canto VI trad.ne di C. Vivaldi vv.833-873

Ora ti svelerò con parole quale gloria si riserbi
alla prole dardania, quali discendenti dall’italica
gente siano sul punto di sorgere, anime illustri
e che formeranno la nostra gloria, e ti ammaestrerò sul tuo
fato. Quel giovane, vedi, che si appoggia alla pura asta,
ha in sorte i luoghi prossimi alla luce, per primo
sorgerà agli aliti eterei; commisto di sangue italico,
Silvio, nome albano, tua postuma prole
che tardi a te carico d’anni la sposa Lavinia
alleverà nelle selve, re e padre di re
da cui la nostra stirpe dominerà su Alba la Lunga.
Vicino a lui è Proca, gloria della gente troiana,
e Capi, e Numitore, e Silvio Enea che ti rinnoverà
nel nome, in uguale misura egregio nella pietà
e nell’armi, se mai otterrà di regnare su Alba.
Che giovani! che grandi forze dimostrano, guarda,
ed hanno le tempie ombreggiate dal premio cittadino della
quercia!

Questi Nomento e Gabi e la città di Fidene,
quelli ti ergeranno sui monti le rocche collatine,
Pomezia e Castro d’lnuo e Bola e Cora.
Questi saranno i nomi, ora sono terre prive di nome.
E all’avo s’accompagnerà il marzio Romolo,
che la madre Ilia partorirà, del sangue
di Assaraco. Vedi come si erge il duplice cimiero sull’elmo,
e già il Padre lo segna dell’onore proprio degli dei?

trad.ne di Luca Canali

25 giugno – PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – parte 5

PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – parte 5

A voi che mi leggete (quei “pochi” che mi sopportano) sembra che quella “Carta” così tanto spesso richiamata come fondamentale sia rispettata? Oppure in modo ipocrita non ci si spinge a  farne quotidianamente “carta straccia”? Vi sembra che siano rispettati i suoi “precetti”?                                                    Ho la sensazione che si blateri essenzialmente – anche da parte di quella Sinistra “nuda e pura” – e ci si impegni  per soddisfare i propri convincimenti e ci si crogioli all’interno di gruppetti autoreferenziali, tronfi ed esclusivi. La Sinistra, anche per questo motivo, è composta in definitiva di varie infinitesime anime che si contrappongono tra di loro al solo obiettivo di “esistere”. Un leader recente è arrivato addirittura a profferire dure accuse (“mi vergogno”) anche all’interno del rassemblement più corposo, coacervo di anime diverse, alcune delle quali di “Sinistra” – ne sono sempre più convinto – solo per comodo e per interesse personale. Se non si corregge questo “difetto” la macchina non può funzionare ed è destinata alla rottamazione coatta.            Se si va al “dunque” si scoprono difetti davvero così evidenti che anche un dilettante con normali capacità intellettive le comprenderebbe: basterebbe osservare due degli episodi drammatici accaduti qui a Prato e di cui ho trattato; il primo in modo più diretto, mentre sul secondo ho soltanto avviato una riflessione cruda per rimarcare le distanze sempre più forti tra me e la sedicente Sinistra. “Sedicente” e dunque lontana dalla mia visione di Sinistra, per ora. Su questo secondo evento, la morte drammatica di una giovane operaia, in una fabbrica gestita da italiani (non da “cinesi” che assorbono da qualche tempo in qua tutti gli attacchi fondalmentalmente “razzistici” per tutto il caleidoscopio di ingiustizie e nefandezze sui luoghi di lavoro), che con nonchalance – per quanto se ne sappia – hanno commesso una serie di irregolarità. Nell’affrontare l’altro evento (l’affare Texprint)  ebbi a sottolineare che sarebbe stato necessario innanzitutto ascoltare le parti, porre sotto sorveglianza il rispetto delle regole (così come affermato più volte dalla parte imprenditoriale), ma promuovere un intervento politico generale per consentire a tutti, compreso i proprietari, il giusto guadagno. Mi ripeto per chiarezza: in un mercato drogato dalle irregolarità non è facile, per chi voglia intraprendere un’attività, agire nel rispetto delle regole. Ma la Sinistra non si muove in tale direzione; alza le barricate e i muri ma nulla fa per cambiare davvero le cose.

Il tempo che abbiamo vissuto in questo anno e mezzo, quello in cui ci siamo fermati, non ha creato i presupposti per rimettere in piedi l’economia sulla base di una giustizia sociale che prenda il via dai fondamentali della Costituzione. Lo stesso “mercato del lavoro” ha proseguito ad operare all’interno di un sistema che spingeva verso il “lavoro nero” parziale o totale; i “sostegni” insufficienti garantiti sollecitavano ad accettare lavori sottopagati e non era certo il “reddito di cittadinanza” a produrre tale “vulnus” legale. Su questo tema ci diffonderemo ulteriormente anche per segnalare le debolezze della Sinistra. Con un’incursione intorno al “mercato illegale” del lavoro che utilizza senza limiti la manodopera di persone straniere, che non sempre sono in regola dal punto di vista del permesso di soggiorno.

24 giugno – LE STORIE 2008/2009 e 2013/2014 – 2 (per la parte 1 vedi 5 giugno)

26 maggio 2008

IL   PARTITO   DEMOCRATICO   PROPRIO   COME   PARTITO   NUOVO   DEVE   SAPER ATTINGERE  LE SUE PRINCIPALI  RISORSE UMANE DIRETTAMENTE  DALLA GENTE COMUNE CHE SIA POSTA NELLE MIGLIORI CONDIZIONI POSSIBILI PER SCOPRIRE O RISCOPRIRE   LA   PASSIONE   CIVILE   DELL’IMPEGNO   DIRETTO   NELLA   POLITICA  A PARTIRE DALLE QUESTIONI MAGGIORMENTE COLLEGATE AL PROPRIO TERRITORIO

E’ in quest’ottica che da cittadino comune che ha aderito al PD mi autocandido a ricoprire la funzione di Coordinatore Circoscrizionale del PD qui all’Est del Comune di Prato. Ho diverse motivazioni che mi inducono a farlo: 1) da   circa   dieci   anni   sono   impegnato   come   membro   dell’Esecutivo   del   Consiglio Circoscrizionale e, pur abitando in un’altra parte di questa città, ho partecipato direttamente, da iscritto ad uno dei due Partiti fondatori del PD nella Sezione de La Pietà, alla vita politica:   vorrei   poter   mettere   a   disposizione   la   competenza   e   l’esperienza   acquisita, sottolineando inoltre la mia totale indisponibilità a continuare il mio impegno all’interno delle Istituzioni amministrative nella prossima legislatura;

2) sono stato dapprima, insieme alla Tina Santini, coordinatore del Comitato di Prato per il PD (Prato Democratica – CpU) e poi il Coordinatore della lista Bindi alle Primarie del 14 ottobre: sento di poter evidenziare la mia caratteristica di proto-fondatore del PD per il quale, tra innumerevoli incertezze e difficoltà, abbiamo lavorato finora;

3) l’esperienza culturale e formativa, quella personale accumulata in tanti settori della Cultura con compiti politici ed organizzativi, si è sempre orientata alla valorizzazione dei giovani, ai quali si deve soprattutto richiedere passione, entusiasmo e grande volontà di partecipazione:

il PD è l’occasione giusta per costruire un Partito nel quale gli ideali espressi in modo schietto ed aperto, ancorché critico e propositivo, non vengano soffocati da un pragmatismo razionale, sterile,  asfissiante e mortificante verso le migliori energie;

4) la certezza che questo impegno che chiedo mi venga affidato sarà estremamente duro e difficile   mi   spinge   a   considerarlo   una   vera   e   propria   sfida   da   vincere:   mi   riferisco particolarmente alla prossima tornata elettorale amministrativa locale che si svolgerà nella prossima primavera e che ci vede all’Est – per ora – in difficoltà;

5) ritengo   di   poter   aggiungere   alle   motivazioni   già   espresse   anche   la   forte   e   costante consapevolezza da me espressa che, senza un Decentramento concreto e reale nei settori più sensibili da parte dei cittadini (penso in particolare ai lavori pubblici), questa città (e questa parte ancor di più) non riuscirà a crescere: continuerò a battermi ed a chiedere a tutti voi di farlo insieme a me perché si dia maggior peso e forza al Decentramento – in controtendenza rispetto al trend negativo espresso in quest’ultima legislatura.

Aggiungo una serie di note da sviluppare

valorizzare la Cultura partendo dal contributo che possono offrire le risorse umane a costo zero

· costituire   un   gruppo   di   “saggi”   raschiando   il   territorio   (molto   utile   sarà   la collaborazione delle due ex Presidenti di Circoscrizione, di chi è stato impegnato nelle passate legislature nella Circoscrizione

· costituire una serie di Forum tematici (Scuola, Cultura, Lavoro, Sanità, Ambiente, Lavori Pubblici, Sicurezza) su quest’ultimo tema avrei da dire molto!

· Valorizzare   il   dialogo   ed   il   confronto   con   chi   esprime   idee   propositive   anche partendo da una forma critica

· Seguire con la massima attenzione quel che accade (aggiungerei quel che sta per accadere) sul territorio (prevenire se possibile i problemi)

· Creare un organismo dirigente composto dai coordinatori responsabili territoriali dei quattro Circoli PD e dai responsabili coordinatori dei vari Forum

· Sul Decentramento  vi sarà la vera “partita”  che potrà condurre al successo (se davvero potremo dimostrare che da parte del Comune verrà valorizzato il ruolo e la funzione delle Circoscrizioni avremo la carta vincente per presentarci in modo nuovo all’elettorato)

· Punto primo la Cultura, la Conoscenza ed il Sapere (negli ultimi anni ci siamo fatti irretire da mass media e forze di Centro Destra sulle questioni della “sicurezza” che nei   fatti   –   dati   alla   mano   di   Questura   e   Prefettura   –   sono   a   Prato   a   livelli estremamente bassi; non si deve per questo abbassare la guardia ma occorre anche agire   con   il   necessario   buonsenso,   senza   lasciarsi   prendere   da   atteggiamenti irrazionali); la Sicurezza è all’ultimo punto: il raggiungimento di tutti i precedenti obiettivi creano un clima di tranquillità basato soprattutto sulla conoscenza e sul rispetto delle principali regole della convivenza civile

· No all’ingessatura centralistica di tutte le potenzialità esprimibili a livello territoriale, sì all’autonomia decisionale ed organizzativa all’interno di precisi obiettivi comuni e pratiche condivise

· Ai   cittadini   bisogna   dedicare   tempo   per   l’ascolto   dei   loro   problemi   che   vanno affrontati e risolti con scelte abbastanza rapide laddove siano di interesse generale

· Il rinnovamento non si improvvisa; si costruisce, non si ottiene con gli slogans ancorché siano costruiti per allettare;  il rinnovamento dunque non può essere la base di partenza ma deve essere un obiettivo molto ravvicinato al quale si deve giungere progressivamente. I giovani che devono essere parte attiva di questo rinnovamento vanno   preparati   presupponendo   che   naturalmente   arriverà   il   loro   momento   di impegnarsi in modo più diretto: essi devono mantenere inalterato il loro bagaglio di passione ed entusiasmo utile a costruire quella Buona e sana Politica che tutti noi vogliamo in questo nostro Paese.

23 giugno – secondo blocco NON SOLO INFER(N)I- Publio Virgilio Marone – Eneide Libro VI – 3/b

Procedendo nel loro viaggio, arrivano al fiume. Quando il nocchiero , da oltre l’onda Stigia, li vede muovere attraverso il bosco silenzioso volgendo il piede alla riva, li assale per primo a parole, gridando: «Chiunque tu sia che t’avvicini armato al nostro fiume, fermati  dove sei e di là dimmi perché vieni. Qui è il luogo delle Ombre, del sonno, della notte che addormenta. Non si può trasportare dei corpi viventi sulla carena Stigia. Né devo rallegrarmi d’aver accolto sul fiume Ercole, e Piritoo e Teseo, benché fossero di forza invitta e figli di Numi . Di sua mano il primo incatenò il guardiano del Tartaro, lo portò via tremante dal trono di Plutone ; e gli altri due cercarono di rapire Proserpina dalla stanza nuziale».  La profetessa anfrisia rispose brevemente: «Non abbiamo intenzioni cattive, stai tranquillo, queste armi  non portano guerra: lo smisurato portinaio, latrando in eterno dal fondo del suo antro, continui a atterrire le ombre senza sangue; la casta Proserpina continui a custodire in pace la casa di suo zio. Costui è il troiano Enea, famoso per le armi e la pietà, che scende da suo padre tra le ombre più profonde dell’Erebo. Se non ti commuove l’esempio di una tale pietà, almeno riconosci questo ramo!» e mostrò il ramo che teneva nascosto sotto la veste. Il cuore di Caronte, gonfio d’ira, si mise in pace: egli non disse più nulla. Contemplando il dono venerabile del fatale virgulto, che non aveva visto da tanto tempo, il nocchiero volse la poppa bruna, s’avvicinò alla riva. Poi allontanò le anime sedute sui lunghi banchi, sgombrando la corsia per far salire il grande Enea. Cigolò sotto il peso lo scafo mal contesto, imbarcando per le tante fessure l’acqua della palude. Finalmente depose Enea e la profetessa incolumi al di là del fiume, sulla riva densa di fango informe e di glauche erbe acquatiche. Lo smisurato Cerbero rintrona questi luoghi col suo ringhio che esce da tre bocche, sdraiato quant’è lungo in un antro. E la sacerdotessa vedendo i suoi tre colli farsi irti di serpenti gli getta una focaccia affatturata di miele ed erbe soporifere. Spalancando le gole il cane l’afferra con fame rabbiosa e subito, sdraiato a terra, allunga nel sonno la groppa mostruosa, riempiendo tutta la tana. Addormentato il guardiano, superano l’entrata allontanandosi in fretta da quell’acqua fangosa che non si può attraversare una seconda volta.  S’udirono subito voci e un immenso vagito; poiché proprio sul limite dell’Ade stanno le anime piangenti dei bambini che un giorno fatale portò via prima ancora che cominciassero a vivere, rapiti al seno materno per essere sommersi in una morte immatura. Accanto a loro ci sono i condannati a morte sotto falsa accusa. Queste dimore infernali non sono state assegnate senza giudizio e giudice : Minosse inquisitore scuote l’urna dei fati, convoca l’assemblea dei morti silenziosi, li interroga, ne apprende i delitti e la vita. Poi vengono, tristi, coloro di null’altro colpevoli che d’essersi data  la morte di propria mano, d’avere gettata l’anima per odio della luce. Oh, adesso come vorrebbero patire la miseria e le più dure fatiche nell’alta aria celeste! Ma il destino s’oppone, li incatena la triste palude d’acqua sporca  e li serra lo Stige coi suoi nove meandri. Poco più in là si vede, estesa in lungo e in largo, la pianura che chiamano i Campi del Pianto. Qui segreti sentieri nascondono coloro che un amore crudele consumò, ed una selva di mirti li protegge : nemmeno nella morte trovano requie al dolore.

22 Giugno CINEMA – Storia minima 40-41 parte 20 (per la 19 vedi 7 giugno)

    CINEMA – Storia minima 1940-41 parte 20   

  E fu così che nel 1941 nè Charlie Chaplin nè Henry Fonda nè Laurence Olivier ottennero il riconoscimento diretto come miglior attore protagonista con i loro film più accreditati: il primo con il suo “Il grande dittatore” era stato candidato a ben cinque statuette e lo avrebbe strameritato come interprete assoluto; nondimeno erano state eccellenti le interpretazioni di Fonda con “Furore” di Henry Ford e Olivier per “Rebecca” di Alfred Hitchcock. Lo ottenne James Stewart e fu il primo e unico premio Oscar per lui con un film che tutto sommato non era alla pari degli altri tre menzionati, anche se diretto da un grande cineasta come George Cukor e sostenuto da un cast “stellare” nel quale troviamo anche Katharine Hepburn e Cary Grant. Il film è “Scandalo a Filadelfia”, una “commedia” senza grandi pretese ma di buona fattura commerciale, di grande successo popolare negli anni Trenta e Quaranta tanto che attualmente si è collocata tra le prime cinquanta su cento opere cinematografiche statunitensi. L’Oscar a James Stewart, inatteso dallo stesso, fu accompagnato dal medesimo riconoscimento per la sceneggiatura. 

Una vera e propria pietra miliare del Cinema dopo il buon successo del 1937 con “Biancaneve e i sette nani” lo conseguì Walt Disney sempre nel 1940 con un film che si basa su un’idea geniale e profondamente colta, ricca di stimoli culturali musicali di altissima levatura. “Fantasia” il cui titolo contiene con grande sintesi il suo contenuto è un film scritto a più mani da diversi registi (Walt Disney lo produsse) e con una varietà di contributi eccezionali che vanno da  “Lo schiaccianoci” di Čajkovskij a “L’apprendista stregone” Poema sinfonico di Paul Dukas, da Toccata e fuga in Re minore di Johann Sebastian Bach a “La Sagra della Primavera” di Igor  Stravinsky, da La Sinfonia Pastorale diLudwig van Beethoven a “La danza delle ore” di Amilcare Ponchielli, per finire con due brani antitetici come Una Notte sul Monte Calvo di Maxim Musorgskij e l’Ave Maria di Franz Peter Schubert che chiude  in modo suggestivo il film. Non fu un successo nell’immediato. Fu una scommessa a lungo termine e a Disney è stato poi dato grande merito nell’aver voluto realizzare quest’opera non proprio popolare. Non era del tutto un prototipo, se teniamo conto dei “corti” che l’avevano preceduta, quelle straordinarie “Silly Symphonies” prodotte tra il 1929 ed il 1938 che sincronizzavano immagini e musica in modo eccellente.

L’insuccesso di “Fantasia” portò quasi al fallimento della casa di produzione, che tuttavia si riprese con l’opera successiva nel 1941, caratterizzata da un’idea molto più semplice e alla portata del “popolo”.Si tratta di  “Dumbo” . Il soggetto è quello di una storia scritta da Helen Aberson e illustrata da Harold Pearl con protagonista  un cucciolo di elefante, da tutti deriso acausa delle sue grandi orecchie, finché non imparerà a volare utilizzando le orecchie come ali. Una anticipazione di tutto ciò che ciascuno di noi può fare, a che cosa può aspirare con la forza della volontà, un messaggio tipicamente americano che può ricordare quel “Yes, we can” del più recente presidente americano, Barack Obama.

21 giugno – PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – parte 4 (per la parte 3 vedi 27 maggio)

PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – parte 4 (per la parte 3 vedi 27 maggio)

In queste notti brevi e questi giorni lunghi ci ritroviamo, dopo un anno e mezzo di inusitate sofferenze, pur sopportate con altrettanta insospettata resilienza, ad avviare una rendicontazione (una “resa dei conti”) su tutto quanto, colpevolmente, la Sinistra (non quella vera che quando dice blu è “blu” e quando dice “giallo” è giallo, alla quale assegno altre responsabilità) non è stata in grado, sia per inettitutine sia per sospetti vari tornaconti, di rivedere, di rimettere in linea rispetto agli “errori” del passato la barra della “giustizia sociale”.

NOI da soli non lo possiamo fare, non è nelle nostre “possibilità”; possiamo tuttavia denunciare ancora una volta una sequenza di sottovalutazioni e di errori che hanno condotto ad una situazione di degrado morale insoffribile, lasciando che la “speranza” per un futuro migliore divenga sempre più patrimonio assoluto della Destra, sia quella liberale che quella reazionaria antidemocratica e retriva. Si può aggiungere che ciò sia solo “apparente” ma ancor più non si intaccherebbe – a tal punto – la percezione che la difesa degli interessi dei più deboli sia stata ceduta dalla Sinistra – quella sedicente tale – svenduta in modo indegno sull’altare della difesa dei “diritti” di tutti, compreso coloro che posseggono di più ed ambiscono di veder crescere sempre di più la loro ricchezza. Si fa un bel dire che il “diritto” di uno si ferma di fronte al “diritto” dell’altro, senza tener conto della differenza del “punto di partenza”. E non si tratterebbe di un punto di partenza qualsiasi ma quello sancito dall’Articolo 4 della Costituzione

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”

rafforzato dall’Articolo 36 della stessa Carta costituzionale

“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”

In questi giorni ci è toccato ancora una volta assistere “inermi” ad una serie di eventi che hanno mortificato la nostra intelligenza e vanificato tutti i nostri impegni. Lo avevamo denunciato in più occasioni ma venivamo derisi e sbeffeggiati; in modo particolare questo è accaduto quando abbiamo richiamato l’importanza della memoria (se ne fa un gran bel parlare quando si tratta di eventi lontani, che vengono riportati a galla per una sana e robusta contrapposizione ideologica) e l’utile lezione della Storia.

Abbiamo bisogno di riprenderci la guida della nostra esistenza “contro” tutte le ingiustizie, sia quelle di “una” parte che quelle di un’altra “parte” e, per quel che ci riguarda, continueremo ad occuparcene.

…4…..