13 giugno – L’OCCHIO DELLO STRANIERO – 1

L’occhio dello straniero – dopo una prima introduzione ecco la seconda

Da “straniero” lo sguardo è certamente reso più libero da quei condizionamenti cui invece chi è nato e vissuto in alcuni ambienti è sottoposto, molto spesso con naturalezza, inconsapevolmente. Amicizie, inimicizie, complicità, interrelazioni, compromessi, sopportazioni appartengono in modo più ampio a chi  ha deciso di non allontanarsi dal proprio ambiente ed ha voluto, e potuto, costruire la sua storia e quella del suo ambito familiare e di lavoro nei luoghi dove i nonni – e a volte altre generazioni – e i genitori hanno potuto e voluto trascorrere la loro vita, installare le proprie attività private. Quindi lo “straniero” si va ad inserire in una realtà consolidata, nella quale tutto scorre in modo naturale ma con una distinzione quasi sempre abbastanza evidente per chi dall’esterno ne osserva il corso, possedendo cultura e capacità interpretativa dei percorsi umani attraverso la conoscenza della Storia, della Letteratura e della Cultura.

Proprio perchè ciò che è stato permane ma la vita continua a fluire con quelle modalità acquisite e si va consolidando nella trasformazione impercettibile, allo “straniero” non è data altra possibilità che l’iniziale acquisizione dell’ hic et nunc, come un fotogramma o una serie di questi ma cristallizzati nell’immanenza provvisoria. Per la descrizione e l’elaborazione di tali scenari, lo straniero viene apprezzato per la sua capacità di saper cogliere alcuni aspetti che, all’interno di percorsi ormai abitudinari, gli “autoctoni” hanno troppe volte perso di vista. Ma assai spesso tali approfondimenti finiscono per far emergere aspetti, a volte lievi ed in apparenza insignificanti che si vorrebbero allontanare, esorcizzare, trascurare perchè tante volte fa male riconoscerli. E’ a questo punto che avviene una divaricazione tra ciò che fa piacere e ciò che dispiace e lo straniero finisce per essere apprezzato ma anche odiato: il primo sentimento è palese, il secondo rimane invece sotto traccia e provoca alla lunga veri e propri disastri. Qualcuno conferma e rafforza in modo sincero la stima riconoscente, qualche altro nasconde sin dai primi confronti un sentimento di odio, preferendo celare a se stesso una parte della verità che gli appartiene nel mentre apprezza con ipocrisia; qualche altro ma pochi con franchezza e disprezzo si allontanano.

Ebbene, è una parte della mia storia, questa dello “straniero”. Per un periodo sono stato meno “estraneo” ai percorsi di questa città, parlo di Prato; oggi, ma ormai da un po’ di anni, sono ritornato ad essere essenzialmente un apolide, uno “straniero” in Patria, perché “italiano” lo sono, ma….

Osservare dall’esterno ha certamente dei vantaggi ma si corre il rischio di essere portatore “inconsapevole” di quella forma di ipocrisia che si vorrebbe combattere. Ma la “funzionalità del pensiero libero” non può farsi limitare da sovrastrutture ideologiche o di appartenenza ed è per questo che avverto sempre più la lontananza da chi si dichiara di appartenere ad una “parte” del pensiero ideologico ma limita la sua libertà condizionandola a quegli schematismi. Ecco il motivo per cui su alcuni aspetti dissento dalle valutazioni generiche della Sinistra dogmatica. Nel prossimo post andrò dritto all’argomento, partendo da quel che si è verificato negli ultimi due mesi qui a Prato.

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