Era il 29 giugno di un anno fa
Facciamo finta che “tutto va ben – tutto va ben!”
C’erano
una volta dei Sindaci che, mentre ancora la pandemia era in corso (si era a
fine aprile) volevano riaprire le scuole; lo dicevano con molta energia, come
per convincere coloro che li tiravano per la giacchetta: intanto facevano
lunghe passeggiate in bici per lanciare occhiate severe; molte dirette per
rispondere alle domande della popolazione; dichiaravano una grande
disponibilità ad occuparsi delle angustie della gente. Tuttavia, “anche” grazie
ad una legge che concentra nelle loro mani – e nella loro testa – molti poteri
alla conta dei “fatti” hanno soltanto utilizzato gli spazi a loro disposizione
per farsi propaganda: non importa se poi l’applicazione pratica di quei
“poteri” non permette, per mancanza di materia grigia e di capacità organizzative
“manageriali”, di affrontare i veri problemi quotidiani che come nodi irrisolti
incancreniti da anni di profonda incuria e sottovalutazione (ambiente, scuola,
traffico, sanità, cura del territorio a partire dalle periferie), finiscono per
accumularsi e rendere peggiore il livello qualitativo della vita della gente
comune.
Accade in molte parti. Quasi dappertutto. Accade anche a Prato. In una città,
che ha retto nel periodo dell’emergenza grazie al senso civico di
“responsabilità” della cittadinanza, ma che ai suoi vertici (non solo
amministrativi ma anche imprenditoriali) non ha costruito un nuovo inizio per
il “dopo” emergenza. Come e più che altrove i suoi amministratori e le sue
classi dirigenti non sono in grado di rispondere ai bisogni e non può essere
una giustificazione che “è così dappertutto” oppure che “il Governo non è in
grado di…”.
Parlo spesso dei problemi della Scuola. Anche l’altro giorno in un post che
cercava di spiegare il senso di quei “conti che non tornano” ponevo in evidenza
l’incapacità dei governi di ieri e dell’altroieri – non supportati diversamente
da quelli di “oggi” – nell’affrontare i problemi della Scuola, non “un”
problema ma i “mille” problemi irrisolti che da diversi anni condizionano il
livello di Istruzione e di Cultura “generale” (a partire da quella “civica”)
nel nostro Paese.
Sin dal primo momento dell’emergenza Covid19 con la chiusura delle strutture
scolastiche una classe dirigente con gli attributi avrebbe dovuto luogo per
luogo, in piena ed assoluta autonomia mettere in piedi una “task force” (che
bello, questo termine, di cui i governanti piccoli, medi e grandi, si sono
riempiti la bocca!) per affrontare le urgenze di una emergenza che viene da
lontano.
Io, da parte mia, mi riempio la bocca di un altro macrotermine, “Memoria”. E lo
faccio per segnalare che ciò che oggi ha difficoltà a funzionare non è che
funzionasse prima del marzo 2020: non è stato certo il Covid19 ad evidenziare
le carenze strutturali degli edifici scolastici; la mancanza di aule era male
cronico, così grave da condizionare gli avvii di ogni anno scolastico e
costringere gruppi numerosi di studenti a frequentare le loro lezioni in spazi
“inventati”, adattati all’uso didattico ma non a tale scopo vocati nella loro
genesi. E neanche si può pensare che una didattica moderna, semmai digitale ma
non a distanza, si possa praticare in aule costruite per una didattica
ottocentesca, eminentemente umanistica; ed ancor più ciò può avvenire in
strutture che non erano destinate a scopi didattici. E dunque bisognava,
bisogna, bisognerà preparare una progettazione che guardi davvero verso il
futuro, verso il quale naturalmente si rivolge il mondo dell’Istruzione, della
ricerca, dell’apprendimento, della Cultura.
In questo stesso periodo, ma c’è chi osserva giudica ed esprime sue opinioni in
merito da tempo, si mette in evidenza l’esistenza di un surplus insopportabile
di strutture abitative “nuove” ma invendute (colpa ovviamente dei costi, della
crisi di prima e di quella che andiamo vivendo ora, ma non solo: anche qui c’è
una profonda incapacità progettuale. Che rasenta l’irresponsabilità e
l’illegalità). Ci si giustifica – nei “piani alti” – che, così facendo (cioè
permettendo a ditte edili di lavorare e far lavorare) – si svolga anche un
ruolo ed una funzione sociale. Molto bene: allora se è così dirottiamo
sull’edilizia pubblica di riconversione, ristrutturazione o anche semplice
manutenzione del patrimonio esistente delle scuole e degli edfici pubblici
generici.
Ne riparleremo. Non si può tacere.
Joshua Madalon