GLI ESSERI UMANI sono tutti uguali seconda parte
Anche
la madre, una giovane ragazza probabilmente abituata ad un contatto non ostile,
è sorpresa. Chissà quali siano i suoi pensieri e quali quelli della bimba, si
chiede Gil. E’ solo un attimo: sempre sorridente, dopo l’abbraccio si sporge
verso la mamma e passa tra le sue braccia. Rivolge il sorriso a Gil dal comodo
nido conquistato. Chissà, pensa Gil, che non lo abbia fatto proprio per quel
transito furbesco. Ma è proprio bella e gli ricorda la sua bambina. A dire il
vero, a Gil ricorda in quello stesso momento un cagnolino che aveva incontrato,
condotto dal suo padrone al guinzaglio: non voleva camminare e continuava a
piccoli passi con lo sguardo innalzato supplichevole verso il ragazzo,
rifiutandosi di procedere. Lo disse a Mary, alla quale tornò in mente un altro
episodio con un cane di grossa taglia che praticamente si stendeva spiaccicato
in un corridoio di un discount. Sorrisero e proseguirono verso il supermercato.
La dolcezza degli esseri viventi ha espressioni che li rendono molto simili tra
loro. Anche lo sguardo truce di un uomo o quello sprezzante di una donna può
assomigliare al ringhio di un doberman.
Camminare a piedi permette di osservare il mondo gli oggetti i condomini;
meglio farlo lentamente senza avere la fretta. Mary e Gil passarono attraverso
i giardini di via dell’Alberaccio e si diressero verso quelli di via Vivaldi,
in fondo. Mary riferendosi agli stranieri che da alcuni anni hanno cominciato
ad abitare quei caseggiati si rammentò di una querelle nella quale due famiglie
di un contesto complesso di ben dodici condòmini avevano portato in tribunale
le altre dieci perché non avevano accettato che in due occasioni all’anno lo
spazio comune venisse dedicato ad incontri multiculturali coinvolgenti alcune
delle famiglie formate da persone di altre nazionalità. Per fortuna, dice Mary,
che hanno trovato un buon giudice, un giudice giusto che ha dato loro torto,
riconoscendo la funzione civile di un contesto condominiale.
Parlando parlando arrivano al supermercato. E’ uno di quelli frequentato quasi
esclusivamente da stranieri, in massima parte cinesi. La spesa è anche
l’occasione in uno spazio non tanto affollato di guardare le merci come si fa
al mercato generale. Non c’è molta scelta, ma ciascuno si ferma a particolari
banchi. Mary al pane, Gil alle verdure; Gil ai formaggi, Mary alle carni e via
via poi ci si guarda intorno e si va verso le casse. Accanto ad esse ci sono
prodotti vari, dai rasoi ai chicchi dolci, dalle ricariche telefoniche alle
batterie di diversa forma e potenza. C’è anche lì in fila una giovane mamma
cinese con una bimbina che frigna e allunga la mano verso una mini confezione
di cioccolatini. La madre la dissuade ma con dignità la bimba continua a
mugolare. C’è dietro Gil e Mary un signore di età avanzata che mostra visivamente
di non sopportare l’espressione della bambina e con voce alta avvia ad
affermare che non se ne può più di questa gente, che se ne andassero a casa
loro. Mary non può tacere e sottolinea come i bambini siano molto simili tra
loro qualsiasi sia la provenienza geografica delle loro famiglie. Si avvia una
controversia intorno alla educazione da impartire ai propri figli. I miei, dice
quel signore là, non hanno mai piagnucolato. E lo afferma con sguardo truce.
Saranno stati repressi e cresciuti nella rabbia e nel rancore, aggiunge Mary,
che si becca un “cattolica di merda” dall’aggressivo signore. Mary, che
peraltro “cattolica” non è, soggiunge “meglio cattolica che infelice come lei”.
Il commesso ha seguito ma, professionalmente, non interviene. La bimba ha
smesso di frignare, mentre gioca con i corti capelli della madre, ignara di
avere scatenato un empito cieco razzistico.
Gil e Mary pensano ai figli del signore, infelici e repressi. Saranno, ora,
grandi e da genitori forse saranno diversi, pensano. Lo si spera, ma forse,
quel signore là, non ha mai avuto figli; o perlomeno non ha mai avuto bambini
come tutti quelli che noi conosciamo. E si avviano verso casa.
Joshua Madalon