31 agosto – Afghanistan – La consapevolezza della (dura) realtà

Il tempo del Covid ci ha condizionato, più di quanto non avvenisse prima, a prendere in considerazione solo – o poco ma davvero poco più –  ciò che ci circondava. Siamo rimasti vittime di quella sindrome dell’ombelico che probabilmente era tipica dei nostri progenitori nella società pastorale e contadina preindustriale. Gli stessi notiziari dei mesi primaverili del 2020 e poi di seguito quelli autunnali ed i seguenti invernali del 2021 erano esclusivamente collegati alla trasmissione dei dati pandemici; i rotocalchi televisivi dibattevano dal mattino alla notte sempre le stesse argomentazioni. Non è stato molto diverso il periodo più recente con lo snocciolamento dei dati sulla vaccinazione e le diatribe tra favorevoli e contrari. Poche davvero le variazioni fuori dal tema: in primo luogo di certo i contrasti paradossali e schizofrenici della Politica nostrana; in secondo luogo le notizie sportive collegate all’abbuffata di eventi che ha visto concentrarsi nel 2021 anche parte di quanto avrebbe dovuto svolgersi nel 2020 (Europei di Calcio, Olimpiadi e Paralimpiadi) ed era stato rinviato a causa della pandemia.

Negli ultimi giorni – forse proprio a causa di questa reclusione forzata del corpo e della mente che fino a poco tempo fa ci ha esclusi dalla “realtà” – è scoppiata la questione afgana. Ed è apparsa subito la grande difficoltà a comprendere la portata degli eventi che costringono la comunità internazionale ad assumersi responsabilità che fino a poco tempo fa erano state colmate dagli Stati Uniti, che si erano assunto il ruolo di “poliziotti del mondo” con interventi armati camuffati da “esportazione di democrazia”. Per molto tempo ed in particolare allorquando è venuta meno la ragione ideologica dello scontro tra capitalismo e comunismo gli Stati Uniti hanno dirottato i loro interessi politici ed economici nell’area medio orientale, agendo indisturbati sotto lo scudo di una falsa interpretazione della Civiltà e della Democrazia, valori che sono stati utilizzati per accaparrarsi fette di mercato né più né meno rispetto a quanto facevano regimi autoritari antidemocratici. L’Afghanistan non è Kabul e Kabul è solo in parte minima la cartina di tornasole che vorrebbe dimostrare quanta Democrazia fosse stata conquistata in questi venti anni. L’Afghanistan è un territorio immenso la  maggior parte del quale è rimasta nelle condizioni in cui si trovava negli anni precedenti; forse ancor peggio di prima. Anche questo spiega le ragioni per cui l’esercito “non ufficiale” dei “talebani” (il cui termine è stato nel nostro Occidente sempre declinato in modo negativo) ha avuto una straordinaria facilità nel conquistare l’intero territorio fino a Kabul in pochissimi giorni, battendo senza colpo ferire (o con pochissime perdite da una parte e dall’altra)  l’esercito “ufficiale” finanziato dall’Occidente per difendere gli “straordinari” risultati conseguiti.

Questo non elimina la profonda amarezza per tanti di noi, democratici occidentali, che speravano in soluzioni meno traumatiche e maggiormente collegabili ad uno stile di vita più simile al nostro. Non è stato e non è così. Sentiamo dire da vari commentatori che abbiamo potuto apprezzare quanti e quali “straordinari” risultati dal punto di vista “civile” (nel senso “occidentale”) sarebbero stati raggiunti nel corso di questi anni; ma le vicende recenti (il travolgente successo dei “talebani” versus “società – da noi detta – civile”) smentiscono questa tesi, mettendo in evidenza che – forse – solo una minima parte della società afgana aveva acquisito costumi più o meno simili ai nostri, quali una tendenza alla parità di genere e a una alfabetizzazione di valore medio superiore ed universitario. Occorrerà prendere consapevolezza di questo insuccesso, spiegarne le ragioni e con pazienza ricercare le vie d’uscita verso un vero e proprio “progresso”. Ma sarà dura e difficile, anche per la responsabilità occidentale di accontentarsi solo delle apparenze senza andare alla sostanza delle cose.

30 agosto un post del 30 agosto 2017 – RICOMINCIA L’ANNO SCOLASTICO – ALCUNE PRECISAZIONI DOPO IL MIO POST DI IERI ( vedi 17 agosto per post precedente )

RICOMINCIA L’ANNO SCOLASTICO – ALCUNE PRECISAZIONI DOPO IL MIO POST DI IERI

IMMAGINE 30 AGOSTO 2017 LASCIA UN COMMENTO MODIFICA

RICOMINCIA L’ANNO SCOLASTICO – alcune precisazioni….

Dopo il mio post di ieri su come vorrei che fosse la Scuola in merito ai Programmi ed ai tempi di loro attuazione dovrei precisare alcuni aspetti: 1) la riduzione degli anni da cinque a quattro proposta dalla Ministra Fedeli dovrebbe essere funzionale ad equiparare i percorsi di studio complessivi adeguandoli agli standard europei: ciò dovrebbe avvenire per tutto il resto, però! e mi spiegherò meglio dopo; 2) la ristrutturazione di alcuni Programmi, in particolare quelli che si basano su una loro specifica temporalità cronologica (per comprenderci meglio: Italiano, Storia e Letterature straniere), dovrebbe essere funzionale a creare delle specializzazioni anticipate rispetto all’Università, creando con quest’ultima un raccordo preventivo; 3) la distinzione all’interno del quadro docente tra burocrati (utilizzo il termine come qualifica positiva) ed insegnanti dovrebbe portare ad una valorizzazione delle specificità acquisite creando figure intermedie tra la Dirigenza e la Docenza.

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Parto da quest’ultimo punto – il terzo – per meglio precisare il mio pensiero: con la nuova funzione “burocrate” si eliminerebbero le figure ambigue e spurie di docenti che, proseguendo a svolgere la loro attività, si occupino “anche” degli aspetti organizzativi, accedendo a compensi aggiuntivi molto spesso inadeguati. Allo stesso tempo si risolleverebbero da incombenze burocratiche la gran parte dei docenti “insegnanti”. (Badate bene, la mia non è un’accusa nei confronti di chicchessia: ho detto ieri che “invidio” alcune capacità “professionali” più propriamente organizzative sul piano delle “burocrazie” ma poiché queste ultime “esistono” ed “insistono” sulle attività pedagogiche generali appesantendole trovo importante un intervento specifico nella direzione da me proposta!).

Quanto al secondo punto mi spiego meglio: lo studio di autori lontani da noi come Dante, Petrarca e Boccaccio (sono i tre grandi del Trecento, ma spesso sono accompagnati da altre figure di quel periodo) è estremamente faticoso per una platea generica come quella di un primo anno della seconda fase di studio superiore (c’è chi ha uno specifico interesse e c’è chi ha invece una crisi di rigetto letale verso la Letteratura tout court!): quegli autori parlano di tempi lontani in una lingua che avrebbe bisogno di essere tradotta in linguaggio corrente per poter far apprezzare il “pensiero” espresso. La mia proposta sarebbe quella di parlare di Letteratura come costruzione del “vissuto” personale: una sorta di Laboratorio di scrittura attraverso la lettura del proprio presente, quello che volgarmente oggi sentiamo chiamare “storytelling”. A coloro che apprezzano invece uno studio “storico” della Letteratura offrirei moduli da affidare a personale competente dedicati a periodi e figure tra le più rilevanti a livello internazionale. Per quanto concerne la Storia proverei ad avanzare una proposta “rivoluzionaria”: perché non farla studiare “a ritroso”? Utilizzando le “conseguenze” per recuperare le “cause”?

Sul primo punto intendo rilevare che va benissimo adeguare il nostro “corso di studi superiore” a quelli europei ma senza combinare quel pasticcio che è la proposta Fedeli. Intanto cominciamo con il dire che la scuola in Europa è strutturata in orari scolastici prolungati ma onnicomprensivi dell’impegno dello studente (in parole povere, quando il ragazzo esce da scuola non ha compiti da svolgere a casa, né scritti né orali); inoltre è noto che gli stipendi dei docenti nel resto d’Europa sono molto più alti di quanto non lo siano in Italia.
Ovviamente quel che scrivo è contrassegnato da alcuni limiti: 1) sono (stato) un docente di Materie letterarie in una scuola superiore di secondo grado; 2) sono in pensione; 3) mi occupo di scrittura creativa; 4) odio la burocrazia.

Perdonatemi! ma allo stesso tempo ascoltate quanto dico: il disastro della nostra Scuola italiana lo pagheranno i nostri figli ed i nostri nipoti, ma già adesso i segnali sono molto chiari e rischiamo di avere al Potere una massa di ignoranti delle loro stesse radici, delle ragioni primarie della nostra Storia. Abbiamo il dovere di parlare, anche se questo offenderà qualcuno….


Joshua Madalon

29 agosto IN RICORDO DEL POETA PIER PAOLO PASOLINI – Atti di un Convegno del 2006 parte 8

Breve preambolo: quel che viene qui presentato (siamo alla parte 8) è la trascrizione di una registrazione – vi possono essere errori ed in ogni modo la punteggiatura è manchevole

8.

Parla il Professor Maddaluno – Presidente della Commissione Cultura della Circoscrizione Est:

<< Diciamo che siamo estremamente interessati da questo punto di vista che l’Assessore vada a difendere la sua parte di Bilancio in particolare e quindi lo perdoneremo volentieri da questo punto di vista, ma d’altronde ognuno fa il suo lavoro e l’Assessore è bene che sia presente in Comune. Io lo ringrazio per quello che ha detto. Vorrei sottolineare una frase che è presente sul sito pasolini.net su tutte le pagine corsare dedicate a Pier Paolo Pasolini che in qualche modo sintetizza anche la nostra volontà di continuare a parlare di Pasolini. C’è una frase: “la morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”. Ecco quindi questo vale per Pasolini, vale per tanti però nel momento in cui noi parliamo dell’opera, dell’universalità dell’opera di Pier Paolo Pasolini Perché ha questa caratteristica l’opera di Pier Paolo Pasolini credo che supererà i tempi. Spero di poter essere, speriamo di poter essere profetici anche noi in questa direzione. In questo momento ne siamo certi, ne siamo sicuri.

Io passo la parola al Presidente del P.I.N., il Professor Maurizio Fioravanti. Grazie. >>

Parla il Professor Maurizio Fioravanti – Presidente del P.I.N.:

<< Dunque, anch’io rivolgo un ringraziamento al Professor Maddaluno che si è battuto a lungo per questa iniziativa. Io ricordo una riunione di un po’ di tempo fa in cui iniziammo insieme ad impostare una serie di manifestazioni. Io vorrei partire da questo. Ecco la giornata di oggi è un po’, credo di capire, l’evento culminante di un lavoro che è stato fatto precedentemente, che ha riguardato le scuole pratesi, le scuole medie e superiori pratesi e ha riguardato anche i nostri studenti del (parola non comprensibile – VOCE FUORI MICROFONO)…Progeas, Prosmart del nostro polo universitario. E quindi oggi non a caso sono presenti in aula sia studenti appunto delle superiori, sia studenti universitari iscritti al nostro polo universitario. Io sottolineo questo aspetto che può sembrare piccolo, banale, ma che mi sembra importante cioè che su un tema di questo genere si realizzino delle confluenze, la costruzione di un tavolo comune di studio. Io confesso non sono in grado di rendere il mio saluto così argomentato su Pasolini come hanno fatto i miei due predecessori. Io sono un modesto lettore di Pasolini, modesto però appassionato, che l’ha letto quando aveva vent’anni. Io sono venuto qui disarmato, non ho rivisto nulla e quindi porto solo il ricordo di un ventenne che leggeva allora Pasolini quando l’Italia era ancora diciamo una Italia innocente, che viveva il suo boom economico e non aveva ancora scoperto le implicazioni che quel boom in apparenza meraviglioso avrebbe prodotto dei costi. E Pasolini, come tutti gli uomini di un certo calibro intellettuale, vide in anticipo questi costi e incominciò a metterli in fila. E questa mi pare la cosa importante Perché ora ci siamo dentro fino al collo nel saldare questo conto del boom economico. Ci siamo dentro fino al collo e quindi da qui deriva la (parola non comprensibile – VOCE FUORI MICROFONO)…perchè c’è proprio un ciclo storico consumato dentro questa vicenda. Quindi c’è una attualità che è nelle cose e non è frutto di qualcuno che lo vuole…(parola non comprensibile – VOCE FUORI MICROFONO)…

28 Agosto – INFER(N)I – altri Inferni – non solo Dante – “Metamorfosi” di Ovidio Libro X – Orfeo ed Euridice – 4

Proseguendo in una ricognizione di alcuni “viaggi” immaginati dai nostri predecessori non dovrebbe mancare il riferimento ad uno dei “miti” narrati in diverse stagioni – qui sotto ritroviamo uno dei più celebri, quello che Publio Ovidio Nasone inserisce nel Libro X delle “Metamorfosi” – Ne riporto una parte (vv. 1-77): ignoro chi sia l’autore della traduzione https://www.miti3000.it/mito/biblio/ovidio/metamorfosi/decimo.htm . Orfeo, mitico leggendario cantore, decide di andare negli Inferi a richiedere di poter riportare in vita la sua amata Euridice, ancora nel fiore della giovinezza, uccisa dal veleno di un serpente. Davanti a Persefone e Plutone egli racconta gli eventi e, commuovendo tutti i presenti, riesce ad ottenere di poter riportare con sé Euridice, a patto che egli non le volga lo sguardo prima di essere ritornato fuori dalle tenebre. Per il grande amore che porta alla donna, mentre la tiene con mano nel risalire i sentieri che li riportano fuori dagli Inferi cede alla passione ed al grande desiderio e gira verso di lei lo sguardo, segnando definitivamente il triste destino della donna e della loro vita in comune.

Di lì, avvolto nel suo mantello dorato, se ne andò Imeneo
per l’etere infinito, dirigendosi verso la terra
dei Cìconi, dove la voce di Orfeo lo invocava invano.
Invano, sì, perché il dio venne, ma senza le parole di rito,
senza letizia in volto, senza presagi propizi.
Persino la fiaccola che impugnava sprigionò soltanto fumo,
provocando lacrime, e, per quanto agitata, non levò mai fiamme.
Presagio infausto di peggiore evento: la giovane sposa,
mentre tra i prati vagava in compagnia d’uno stuolo
di Naiadi, morì, morsa al tallone da un serpente.
A lungo sotto la volta del cielo la pianse il poeta
del Ròdope, ma per saggiare anche il mondo dei morti,
non esitò a scendere sino allo Stige per la porta del Tènaro:
tra folle irreali, tra fantasmi di defunti onorati, giunse
alla presenza di Persefone e del signore che regge
lo squallido regno dei morti. Intonando al canto le corde
della lira, così disse: «O dei, che vivete nel mondo degl’Inferi,
dove noi tutti, esseri mortali, dobbiamo finire,
se è lecito e consentite che dica il vero, senza i sotterfugi
di un parlare ambiguo, io qui non sono sceso per visitare
le tenebre del Tartaro o per stringere in catene le tre gole,
irte di serpenti, del mostro che discende da Medusa.
Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva calpestato,
in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso.
Avrei voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato:
ha vinto Amore! Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo;
se lo sia anche qui, non so, ma almeno io lo spero:
se non è inventata la novella di quell’antico rapimento,
anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi,
per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno,
vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice!
Tutto vi dobbiamo, e dopo un breve soggiorno in terra,
presto o tardi tutti precipitiamo in quest’unico luogo.
Qui tutti noi siamo diretti; questa è l’ultima dimora, e qui
sugli esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.
Anche Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà compiuto
il tempo che gli spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.
Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
io non me ne andrò: della morte d’entrambi godrete!».
Mentre così si esprimeva, accompagnato dal suono della lira,
le anime esangui piangevano; Tantalo tralasciò d’afferrare
l’acqua che gli sfuggiva, la ruota d’Issìone s’arrestò stupita,
gli avvoltoi più non rosero il fegato a Tizio, deposero l’urna
le nipoti di Belo e tu, Sisifo, sedesti sul tuo macigno.
Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per la prima volta
si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore,
regina e re degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera,
e chiamarono Euridice. Tra le ombre appena giunte si trovava,
e venne avanti con passo reso lento dalla ferita.
Orfeo del Ròdope, prendendola per mano, ricevette l’ordine
di non volgere indietro lo sguardo, finché non fosse uscito
dalle valli dell’Averno; vano, se no, sarebbe stato il dono.
In un silenzio di tomba s’inerpicano su per un sentiero
scosceso, buio, immerso in una nebbia impenetrabile.
E ormai non erano lontani dalla superficie della terra,
quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla,
l’innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell’Averno;
cercò, sì, tendendo le braccia, d’afferrarlo ed essere afferrata,
ma null’altro strinse, ahimè, che l’aria sfuggente.
Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero
(di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere amata?);
per l’ultima volta gli disse ‘addio’, un addio che alle sue orecchie
giunse appena, e ripiombò nell’abisso dal quale saliva.
Rimase impietrito Orfeo per la doppia morte della moglie,
così come colui che fu terrorizzato nel vedere Cerbero
con la testa di mezzo incatenata, e il cui terrore non cessò
finché dall’avita natura il suo corpo non fu mutato in pietra;
o come Oleno che si addossò la colpa e volle
passare per reo; o te, sventurata Letea, troppo innamorata
della tua bellezza: cuori indivisi un tempo nell’amore,
ora soltanto rocce che si ergono tra i ruscelli dell’Ida.
Invano Orfeo scongiurò Caronte di traghettarlo un’altra volta:
il nocchiero lo scacciò. Per sette giorni rimase lì
accasciato sulla riva, senza toccare alcun dono di Cerere:
dolore, angoscia e lacrime furono il suo unico cibo.
Poi, dopo aver maledetto la crudeltà dei numi dell’Averno,
si ritirò sull’alto Ròdope e sull’Emo battuto dai venti.

27 agosto – LA SALUTE prima di tutto parte 7 – GREEN PASS – “…e finiamola con questi capricci infantili!”

27 agosto – GREEN PASS – “…e finiamola con questi capricci infantili!”

Green Pass. Faccio uno sforzo a parlare di un tema paradossale, soprattutto se posto al confronto con la tragedia immane che si sta consumando in Afghanistan e della quale siamo tutti responsabili. Ma avevo preso un impegno e, allora!   

“Rinfreschiamo la memoria” – Ciascuno di noi, quando circola, di norma porta con sé la “sua” carta di identità, sulla quale ci sono molte indicazioni: tra le quali luogo e data di nascita, residenza ed una foto che abbia delle specifiche caratteristiche. Ma non solo; l’attuale carta di identità è “elettronica” e contiene molti più dati che potrebbero essere considerati “sensibili”, tra cui il “genere” ed elementi biometrici primari (fotografia) e secondari (impronta digitale). Quando poi siamo alla guida di un mezzo abbiamo l’obbligo di portare con noi anche il documento che attesti la nostra abilitazione alla guida, dove semmai sono segnalate alcune caratteristiche particolari come l’obbligo di utilizzare lenti oppure le diverse sanzioni che attestano nostre infrazioni a volte anche gravi e che comportano la decurtazione di alcuni punti.

Il Green Pass si configura nè più nè meno come una nuova “carta” di riconoscimento, che attesti la possibilità di poter usufruire di alcuni servizi (la Scuola, i luoghi pubblici, gli ambienti di lavoro), dopo aver ricevuto a pieno la vaccinazione contro il Covid19 e sue varianti. Escluderei che si possa avere un Green Pass collegato in modo esclusivo ad un tampone anche se periodicamente frequente, a meno che non ci si trovi di fronte a persone che siano attestate come soggetti che non possano essere vaccinate per seri motivi sanitari. Solo ed esclusivamente in questo caso potrà essere utilizzato come valido ma temporaneo l’esito di un tampone.

La grande confusione nella quale ci ritroviamo è dovuta essenzialmente alla debolezza del Governo, sia quello precedente sia questo attuale. In un tempo di emergenze esiste la legge del rigore, che non può essere confusa – se non in modo strumentalmente bipartisan – con una forma di strisciante dittatura. Quel che è utile e necessario per riportare alla normalità una situazione tutt’altro che ordinaria va messa in atto. In tanti, chiaramente democratici, hanno invocato scelte coraggiose e decise nel corso della pandemia; ma si è voluto accontentare un po’ tutti (in verità, qualche settore – come quello artistico – ha davvero patito discriminazioni incomprensibili) commettendo una serie di errori grossolani che hanno prodotto gravi danni.

E, visto che si parla sempre troppo a vanvera della necessità di semplificazioni lo si prescriva con chiarezza: vaccino obbligatorio per tutti con le distinzioni sempre valide per chi non può per motivi sanitari. E obbligo di avere con sè inserito sulla Carta di identità elettronica il cosiddetto Green Pass. E per farla finita con i distinguo che alcuni pongono in relazione alla possibilità di infettarsi anche dopo il vaccino, diciamocela: ciò è possibile ancor più se circolano elementi umani che, pur non avendo alcuna contraindicazione terapeutica continuano a rifiutarsi di vaccinarsi. Si aggiunga che chi è vaccinato e non ha patologie gravi pregresse non dovrebbe avere bisogno di cure ospedaliere, soprattutto quelle connesse alle terapie intensive o sub intensive. E smettiamola con questi “capricci” infantili!

26 agosto – LA SALUTE PRIMA DI TUTTO – p.6 Green Pass (mah!) e riflessioni varie (ok!)

In alcuni post recenti ho più volte toccato, ma solo superficialmente annunciandolo, il tema del Green Pass. Sono stato quasi sempre lì lì per trattarlo, ma poi sono stato condizionato da altri stimoli, anche se pur sempre all’interno di questo tremendo tempo che ci è stato donato di vivere. Anche oggi, lo sento, sarò condizionato da alcune sortite, visto che mi trovo di fronte ad eventi, che pur essendo tristi ed inattesi non possono essere spiegati in modo unilaterale, con la lente degli oppositori all’utilizzo del vaccino. E’ accaduto che un noto uomo rappresentante della politica amministrativa sia stato colto da un malore improvviso e sia morto. Purtroppo, come ha ben rilevato un noto “NO VAX”, per tutti è prevista una data di scadenza (ovviamente il “noto” di cui parlo si riferisce esclusivamente al fatto che, dovendo perire, non è necessario accelerarne l’iter, assumendo un farmaco); è così ovvia ed intrisa di verità assoluta l’affermazione che la riporto solamente per contraddirne il senso voluto dal suo estensore.

Pur tuttavia il caso funesto cui mi riferisco mi consente anche di provare a rinfrescare la memoria di tanti che, a mio parere, non riescono a mantenerla in esercizio.

In un post di qualche giorno fa elencavo le manchevolezze della nostra Amministrazione nazionale, regionale e locale; trattavo di Lavoro, Scuola e Sanità e ricordavo che fino a pochi giorni prima che scoppiasse in maniera violenta la pandemia, da Codogno fino ai confini delle nostre dimore, la critica di tanta parte di noi verso quei settori mal gestiti sotto tantissimi aspetti era stata puntuale e severa. Ma, lo si sa, di fronte alle difficoltà tragiche si fa un passo indietro, tutti.

In quei giorni la maggior parte delle persone – con qualche  ameno e pittoresco distinguo – mantenne un comportamento composto, rispettoso delle regole, segregandosi per lunghe giornate nelle abitazioni, con brevi sortite collegate ai bisogni primari. Le famiglie si disgregarono: molti anziani per difendersi e difendere i giovani – e viceversa – si accontentarono di contatti telefonici o telematici con i loro figli e nipoti ed altri parenti ed amici,  quasi come se si vivesse in nazioni o continenti lontanissimi tra loro. Ma se la separazione fisica poteva garantire dal contagio, altre erano le preoccupazioni, soprattutto tra gli anziani. “E se, in questo periodo, avverto un malore, di quelli potenti, un ictus o un forte dolore al petto, alla spalla, quali possibilità ho di essere curato a dovere, tempestivamente?” ci si diceva tra noi e noi. Prima della pandemia, come accennato, non erano tutte rosee le prospettive; ma se non altro gli spazi ospedalieri con le terapie sub intensive ed intensive erano interamente dedicate a simili casi: vi era un livello di probabilità di riuscire a cavarsela assai più elevato di quanto non fosse in quel primo semestre del 2020.

Oggi con un numero di vaccinati (coraggiosi o sprovveduti, a seconda del punto di vista; ad ogni modo persone civili non piegate sul proprio ombelico) considerevole uno degli effetti cui occorre guardare con rispetto ed attenzione è la riduzione dell’occupazione delle terapie di urgenza per il Covid; la qual cosa, pur non garantendo che tutto possa funzionare meglio di prima (mi riferisco, per evitare equivoci, al pre 2020), ci permette di essere più tranquilli, nel caso di malori improvvisi e sospetti di conseguenze gravi.

…6… (e anche stavolta non ho trattato del Green Pass)

25 agosto – PICCERE’ – un recupero con revisione – 6

PICCERE’ – un recupero con revisione – 6

Picceré aveva più o meno rifatto un sugo che a casa sua aveva visto da sempre elaborare dalle sorelle (a lei toccava solo la manodopera “prendi questo prendi quello, taglia questo taglia quello”), una reinterpretazione molto personale della “classica pasta alla Norma” catanese. La pasta non doveva cuocere del tutto, perché un ulteriore passaggio era previsto nel forno e così dopo averla scolata non ancora del tutto al dente l’aveva disposta in un contenitore alto e profondo  di metallo sopra un letto di sugo mescolato con tocchettini di mozzarella e con le zucchine e le melanzane sfilacciate. Il tutto ricoperto da altro sugo altri pezzetti di mozzarella ed ancora formaggio e pane grattugiato e poi nel forno già caldo per un massimo di una decina di minuti, sorvegliati a vista…..

La cucina dei signori Puccini aveva un balcone che affacciava in una corte comune di quella palazzina trifamiliare ed il profumo “insolito” dei cibi che “Piccerè” aveva preparato si era diffuso. I signori di norma acquistavano cibi già pronti dal rosticciere di fiducia: andavano per la maggiore ribollite, polli allo spiedo, sedani ripieni alla pratese, salse varie e ramaioli di legumi, ceci e fagioli già cotti pronti da condire. E infatti anche quel giorno avevano provveduto a rifornirsi. Ma non avevano neanche imboccato il vialetto che dal portoncino blindato portava alla porta principale che furono inondati da quell’aroma che solo in pochissime occasioni avevano avuto modo di provare, così tanto diverso dalle “minestrine” che altre “ragazze” essenzialmente autoctone ed abituate a cibi molto meno conditi avevano prodotto per i loro “signori”, anche quelli vicini non molto dissimili dai Puccini. Costoro però non immaginavano quel che poi poterono constatare dopo essere saliti ed entrati nel loro appartamento: pensarono semplicemente che nel giardino accanto al di là del muretto divisorio i loro vicini avessero attivato il barbecue utilizzando spezie straordinariamente profumate.

La zaffata li colpì in pieno, aprendo la porta di casa. Picceré aveva preparato la tavola così come la signora le aveva insegnato ed era tutto pronto: mancava solo quello che lei aveva preparato in forno ed il cui aroma era essenzialmente fuoriuscito da quel piccolo varco quando lei lo aveva aperto per controllare il livello di cottura.

Come al solito, la signora non si smentì: appariva disturbata da quell’intensa fragranza, forse troppo popolana per i suoi gusti snob; diversamente l’ingegnere dopo aver aperto le narici per inebriarsi del profumo che emanava quel cibo, sgranò gli occhi quando la giovane fantesca mostrò il prodotto del suo ingegno contadino e, sollecitando la sua signora a mettersi comoda, si recò nella dispensa a scegliere il miglior vino possibile per accompagnare tale pasto. Contemporaneamente, pretese che Piccerè sedesse con loro a tavola, nuova ed inattesa reginetta di casa.

….6….

24 agosto – LE STORIE 2008/2009 e 2013/2014 – 6 – vedi file PER BLOG 29 novembre 2008( su desktop “UNA STORIA” in 2021 17 maggio)

Nell’autunno del 2008 a Prato il Partito Democratico, dopo quel sondaggio così sfavorevole al Sindaco (ed al Presidente della Provincia, ma il problema non era lui!), si mosse con un certo stile baldanzoso per sostenere la candidatura di Paolo Abati. Lo fece utilizzando quelle forme centralistiche che non andavano mai al di là delle “chiuse stanze dell’apparato”, quello “ristretto” per capirci: gli altri, a partire dai corridoi, avrebbero dovuto “obbedir tacendo”. E fu fatto l’en plein all’interno dell’organismo direttivo, la Direzione e l’Assemblea, i cui membri per Statuto avevano il compito di sostenere la candidatura calata dall’alto. Con una serie di incontri i componenti furono, quasi tutti, convinti a sostenere la scelta della Segreteria. C’era tuttavia una possibilità di poter andare ad un’alternativa, solo con un voto di sostegno diverso, quello degli iscritti e dei “simpatizzanti” tra i cittadini, per poi partecipare alle conseguenti Primarie. Una parte del Partito Democratico tuttavia non aveva gradito questo metodo; erano in gran parte “minoranza” nel Partito, avevano sostenuto la Bindi nelle Primarie nazionali ed a livello locale avevano continuato a svolgere un ruolo critico pur rimanendo all’interno. Tra questi c’era anche Massimo Carlesi che, dopo molte esperienze amministrative, era stato promotore della lista che aveva sostenuto la “pasionaria” di Sinalunga pur senza proporre un suo specifico ruolo (nella “lista” il suo nome, così come il mio, era tra gli ultimi, quelli che non sarebbero stati eletti di sicuro). A lui pensarono di proporre in questa occasione una vera e propria “discesa in campo”.

Le mail che riporto qui sotto e poi nel prossimo post sono della fine del novembre 2008 (non riporterò i nomi delle persone, così come ho fatto in altre occasioni) – ogni testo viene preceduto da una data – non c’è ad ogni modo una cronologia precisa (infatti in un prossimo post troveremo una mail datata del 29 novembre 2008)

29 novembre 2008

Carissime\i

nelle ultime ore si va profilando una possibilità concreta di avere un “candidato” per le “vere” Primarie del PD (o di coalizione) diverso da quello segnalato dalle “stanze” segrete (questo aggettivo è spesso stato oggetto di contrasto ma mai smentito: fatto è che le decisioni “vere” (anche quelle che hanno caratterizzato il brutto “affaire” del sondaggio) vengono prese altrove e le Assemblee non decidono alcunchè.

Se la proposta “nuova” avrà un seguito si potranno riaprire i giochi “democratici” in questa città. Mi auguro che chi ha oggi in modo “assoluto” le leve del potere “Democratico” riesca a comprendere quel che davvero sia utile per questa città. In primo luogo, un confronto “vero”, “aperto”, disponibile a rimettersi in gioco, realmente e definitivamente “democratico”: fino ad ora non è stato così.

29 novembre 2008

Carissime

stamattina avete ricevuto una mail “scomposta” ed abborracciata, anche un po’ sibillina.

Massimo Carlesi mi ha chiamato ieri sera e mi ha annunciato la disponibilità a presentarsi come candidato alle Primarie per il Sindaco di Prato. Conosciamo le difficoltà insite anche nel Regolamento e negli aggiustamenti che ad esso “ad arte” possono essere fatti. Massimo ha ribadito che vuole correre tutti i rischi: è determinato. Occorre sostenerlo anche al di là della compagine “bindiana”. Ecco perchè vi sollecito ad adoperarvi affinchè molte adesioni dell’assemblea Provinciale confluiscano sul suo nome: nelle prossime ore avremo le schede per la raccolta delle firme di sostegno a Massimo Carlesi. Si ritorna a fare “democratico” questo Partito.

Ci sentiamo presto

Giuseppe Maddaluno



23 agosto – CINEMA – Storia minima (1943) – 23 –

Dopo aver reso omaggio ad Alessandro Blasetti, riconoscendogli un ruolo nella genesi del Neorealismo, possiamo addentrarci in quel percorso, in quel tempo che è da tutti riconosciuto come una consacrazione a livelli internazionali  del Cinema italiano. Altri esempi anticipatori vi erano stati e tra questi ci sono da menzionare lo stesso Blasetti che nel 1934 aveva realizzato con accuratezza storica una celebrazione degli eventi risorgimentali con “1860” e Francesco De Robertis con il suo “Uomini sul fondo” del 1941. Nel 1943 due opere cinematografiche aprono tuttavia le porte a quello che sarà il Neorealismo cinematografico: quello letterario era già iniziato negli Anni Trenta anche se si svilupperà in piena libertà subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il film che ha ricevuto il riconoscimento ufficiale per aver aperto la stagione del Neorealismo è “Ossessione”.

Basato molto liberamente sulla trama di un romanzo (“Il postino suona sempre due volte” di James M. Cain)  già preso in considerazione alla fine degli Anni Trenta da Pierre Chenal per il suo “Le dernier tournant”, Luchino Visconti che aveva praticato la cinematografia francese nella sua fase di apprendistato con Jean Renoir, realizza al suo esordio da regista uno dei suoi capolavori, forse in assoluto il migliore tra essi, attualizzandone la vicenda ed inserendola in un contesto italiano contemporaneo. Per comprendere l’importanza di questo film basterebbe scorrere l’elenco degli sceneggiatori che comprendono oltre allo stesso Visconti, Mario Alicata,  Giuseppe De Santis, Gianni Puccini, Alberto Moravia, Antonio Pietrangeli che opereranno attivamente nella storia culturale, politica e artistica del nostro Paese nel corso del secondo dopoguerra. Non si può tuttavia non ricordare l’altro film neorealista del 1943 (avevo anticipato infatti che “due” erano stati in quell’anno i segnali identificatori del Neorealismo): “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica.

Altro esordio eccellente del 1943 è quello del giapponese Akira Kurosawa, che tuttavia venne alla ribalta internazionale solo nel 1951, dopo aver vinto il Leone d’Oro per “Rashomon”. “Sanshiro Sugata” è un film fortemente collegato alla tradizione giapponese: tratto da un romanzo appena pubblicato di Tsuneo Tomita, anch’egli all’esordio, ed ispirato ad un vero judoka, Musaki Miyamoto, fu un grande successo sia critico che di pubblico.

Ritornando in Europa, va segnalato uno dei capolavori assoluti della cinematografia danese, “Dies Irae” di Carl Theodor Dreyer. Girato mentre il paese è occupato dai nazisti, è tratto da un’opera teatrale e narra una storia del XVII secolo, allorquando alcune donne venivano accusate di stregoneria. Lo stesso titolo è riferito al canto che veniva intonato mentre le streghe erano condotte al rogo. “Dies Irae” apre una stagione innovativa per il cinema di Dreyer che sceglierà testi teatrali da trasportare sullo schermo cinematografico senza incorrere in quella forma di “teatro filmato” e dunque senza abbandonare il suo peculiare stile che lo aveva reso celebre sin dai tempi del cinema “muto”.

Di tutt’altra atmosfera è il cinema di Ernst Lubitsch, di cui abbiamo trattato già nel precedente blocco 22. Dopo il successo di “Vogliamo vivere!” egli gira un film altrettanto leggero ed ironico, “Il cielo può attendere” che racconta, attraverso un escamotage, l’intera vita di un impenitente dongiovanni. Tratto da una commedia teatrale, la storia ha inizio con la morte del protagonista che si ritrova all’Inferno a dover rendere conto di tutte le sue azioni nelle diverse fasi della sua esistenza. Al termine dell’esame, viene poi destinato ad un periodo di Purgatorio e seguirà per questo una bella signora, felice dunque di poter far “attendere” con quella compagnia, per l’appunto “il Cielo”, ovvero “il Paradiso”.

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22 agosto – LA SALUTE PRIMA DI TUTTO – p.5 – quel che ci aspetta può essere peggio di quanto ci si immagini

LA SALUTE PRIMA DI TUTTO – p.5 – quel che ci aspetta può essere peggio di quanto ci si immagini

Sono a ripeterlo. Ce lo siamo detto in tantissime occasioni nei primi giorni, nelle prime settimane e per qualche mese: “da questa tragedia uscirà un’umanità migliore!”.  Poi, con il trascorrere degli eventi, la realtà con la quale ci troviamo a confrontarci più che quotidianamente (ogni minuto) comincia a rivelarci un quadro ben diverso.  Certamente non avevamo nascosto i rischi che si stavano correndo, nella solitudine dei nostri nuclei, difendendo le nostre garanzie acquisite, rifiutando di prendere in considerazione le debolezze dei tanti, anche se a parole la solidarietà appariva vincente, anche in prospettiva. Ma il gioco sporco delle partigianerie partitiche (anche quei minuscoli grumi particolaristici che si andavano formando all’interno delle grandi compagini) e la difesa di interessi che naturalmente finivano per essere contrapposti hanno condotto a contrasti che poco alla volta sono diventati insanabili. Sarà davvero difficile fare marcia indietro; e quando pure questo fosse possibile corriamo un altro grave rischio, che consiste nell’arrivare a considerare la nostra realtà 2019 primi giorni del 2020 una sorta di “età dell’oro”. L’avvento della pandemia ha cristallizzato quel tempo ponendo all’attenzione in modo particolare il tema della “libertà” di cui disponevamo: i ritmi della vita erano più o meno gli stessi da quando ciascuno di noi aveva cominciato a socializzare. Famiglia, scuola, luoghi i cui confini non conoscevano limiti. Quasi di punto in bianco abbiamo dovuto ridurre drasticamente il livello dei rapporti sociali esterni ai nostri ambiti ristretti; anche le famiglie “larghe” sono state condizionate ad una separazione costretta.

Eppure basterebbe andare a consultare la più semplice Rassegna stampa degli anni ante 2020 procedendo a gambero per scoprire che poco funzionava nel nostro mondo. Il mondo del lavoro aveva avuto bisogno di interventi che venivano considerati “rivoluzionari” – ma purtroppo non riuscivano ad essere risolutivi – come “il reddito di cittadinanza” (con il quale, ci può far sorridere, i leader del  Movimento 5 Stelle pensavano di avere sconfitto la povertà); allo stesso tempo piaghe come quelle del caporalato o del lavoro nero non riuscivano ad essere minimamente intaccate: anzi! E di rimbalzo era altissimo il livello di elusione ed evasione fiscale, segno indelebile dello stato comatoso in cui versava l’amministrazione dello Stato. Il mondo della Scuola viveva una cronica crisi di progettualità per il “Futuro”: grande confusione nei contenuti frutto di una seria impreparazione degli amministratori del settore, che versava in condizioni precarie da almeno un ventennio, vittima di una profonda incapacità gestionale di prospettiva. Da questa derivano anche le mancanze “croniche” di spazi adeguati all’interno di strutture obsolete ed inadatte a a garantire un adeguato sviluppo alle nuove generazioni. Il mondo della Politica, in modo particolare quello democratico e progressista, mostrava una profonda insensibilità ad aprirsi e a consentire una pratica coinvolgente e partecipativa nell’ascolto della parte più critica e propositiva, rimanendo fermo nella difesa dei propri interessi particolaristici. L’arrivo della pandemia ha chiuso in modo netto e deciso i sottili varchi residui. La Sanità pubblica, a partire da quella regionale e territoriale, cui ciascun cittadino si riferiva, mostrava forti limiti, generalmente addebitabili a quella gestione amministrativa e politica di cui scrivevo pocanzi.