una serie di nuovi post – ASCOLTO – Riflessioni “quasi in diretta” – Un viatico per proseguire il cammino fuori dalla pandemìa – 10 (pragmatismo da salotto parte 2)
Molto spesso ci ritroviamo a (sentir) dire che “non si finisce mai di imparare”. Per me è stato vero fin dall’adolescenza, quando – pur essendo figlio unico – mi sono affrancato psicologicamente dai miei genitori. E mi piace dire che, a conferma della mia scelta professionale definitiva, in tutte le mie esperienze ho imparato e insegnato contemporaneamente. Mettevo in pratica quel che avevo imparato e proseguivo a imparare quotidianamente. Ricordo a tale proposito le mie prime sortite teatrali nell’Oratorio dell’Annunziata e la mia attività di segretario del Centro Sportivo Italiano, la cui sede era nella Biblioteca del Vescovado di Pozzuoli (allora il Rione Terra era ancora abitato e il Duomo aveva ancora la sovrastruttura barocca: bradisismo e fuoco non lo avevano ancora riportato a come è ora). Per il teatro imparavo da alcuni operatori, come Mario Izzo, che poi scelse di percorrere la vita austera di eremita in una chiesetta abbandonata sul Monte Sant’Angelo, una delle parti in cui è suddiviso il Monte Gauro; e come Nunzio Matarazzo, poliedrico personaggio della vita culturale puteolana di base, regista, arbitro di calcio, uomo vivace, fino a quando l’ho incontrato, in forma atletica costante. In maniera diversa sono stati questi i miei primi punti di riferimento educativi, accanto alla mia famiglia e ai miei insegnanti delle elementari, Federico Lamberti e la sua signora. Probabilmente già allora evidenziavo la mia tendenza all’insegnamento, pur essendo realisticamente bisognoso di apprendere. Ho imparato allora che, durante la vita, si verifica una contemporaneità tra le fasi di apprendimento e di insegnamento. Apprendevo e riversavo, spesso in modo originale, su altri quel che avevo imparato. E’ stato immediatamente così con il teatro farsesco all’impronta che reinterpretavo in altri luoghi, come l’Oratorio della Madonna della Libera nell’isola di Procida, dove c’era un prete, don Salvatore, che, notando la mia passione, si era illuso che potessi accedere alla vita clericale o in altre occasioni, sempre nell’Isola ma in un luogo che a quel tempo, gli anni Sessanta del secolo scorso, era ancora abitato: il Penitenzario per ergastolani, situato sulla rocca della Terra Murata, nel Palazzo d’Avalos. Per quel che imparavo e poi riversavo in mie creazioni sempre di tipo organizzativo come segretario del CSI, non sfuggirono nè la voglia di andare a far visita a tutte le strutture afferenti al Centro, che andavano molto oltre il territorio della mia città (la Diocesi comprendeva comuni come Quarto, Marano e Giugliano e una parte nord di Napoli: Bagnoli, Agnano, la Loggetta) né tantomeno l’elaborazione dei miei Comunicati che venivano spediti in varie parti d’Italia, da Roma in giù ed in su.
Crescendo nel periodo ormai post adolescenziale ho affinato il mio senso di libertà personale, acquisendo una certa sicurezza anche nell’organizzazione di eventi, sia piccoli che grandi. Tra questi ultimi annovero i festeggiamenti per la ricorrenza dei 2500 anni dalla fondazione di Dicearchia. Come piccoli intendo le organizzazioni di feste e di eventi culturali e politici, che hanno contribuito a formarmi, facendo poche chiacchiere e molti fatti.
Lo ripeto: è la trascrizione di un Convegno del 2006 da me fortemente voluto ed organizzato presso il PIN – sede Universitaria di Firenze dislocata presso la Stazione del Serraglio di Prato – su questo Blog dal gennaio (10) di quest’anno ne vado pubblicando le risultanze
La prima delle due relazioni di questa giornata è quella del Professor Antonio Tricomi, che ha scritto due libri molto interessanti e veramente molto nuovi sull’opera di Pasolini. Quindi una serie di lavori che penso e spero continueranno e che si inseriscono nel solco dei discorsi e delle riflessioni già iniziate. Difatti, secondo Antonio Tricomi, non è tanto importante santificare, celebrare e in questo modo anche neutralizzare l’opera di Pasolini, quanto anche sconsacrarlo, discuterlo, considerarlo come uno di noi, presente e vivo e quindi anche contraddirlo quando è necessario Perché discutere con i testi, dialogare con gli autori, contraddirli e costruire in questo modo una riflessione che continua è molto più importante appunto che chiuderli nel tempio della Sofia dalla quale non escono più. Questa è la cosa più importante credo che ci sia, l’atteggiamento più vivo che si possa avere nei confronti di un autore e quindi do la parola subito ad Antonio Tricomi. >>
Parla il Professor Antonio Tricomi:
<< Grazie, buongiorno a tutti. Dunque, io non vorrei che da subito sembrasse troppo come dire inopportuno però preannunciare un intervento che vuole essere totalmente smitizzante di Pasolini e della sua opera. Mi rendo conto che ciò avviene dentro una giornata di studi dedicata a Pasolini, però, come in qualche modo accennava Sandro Bernardi, è un po’ la mia idea che se noi tutti non si lavora a smitizzare Pasolini da qui a vent’anni invece succederà che non lo si leggerà più. Perché dico questo? Perché si è detto più volte nei minuti precedenti, si è chiamato più volte in causa i giovani. Ora io credo che a scuola soprattutto parlo dei licei, parlo insomma dei ragazzi di 16-18 anni, Pasolini sia sicuramente un nome che gira, bene o male tutti sanno chi è Pasolini, però che Pasolini sia letto dai giovani ho molti dubbi e lo dice anche la piccola esperienza universitaria. Semmai a scuola l’autore letto è Calvino per stare agli autori della generazione di Pasolini, mentre Pasolini è un autore come dire orecchiato, sentito, ma non un autore letto. Così come capita spesso di parlare con persone di 20-22, 18 anni ed accorgersi che le difficoltà a leggere Pasolini sono grandi Perché in qualche modo si ha come l’impressione di accostarsi ad un autore di un altro mondo, di un’altra epoca le cui opere dicono qualcosa di un mondo sì ancora vicino al nostro, ma non identico al nostro. Questa è la prima premessa alla quale ne segue in qualche modo un’altra, appunto Perché dicevo prima ai giovani ci si è rivolti. Perché è stata ricordata una frase del Pasolini quarantenne o poco meno sui giovani, però ce n’è un’altra che è l’esatto contrario di quanto Pasolini diceva tra l’inizio degli anni ’60 e la fine degli anni ’50. Negli anni ’70 Pasolini definisce i giovani nevrotici, brutti, pallidi e insopportabili ed ha un atteggiamento come dire di strettissimo, di violentissimo antagonismo contro i giovani che lo dico Perché così posso poi aggiungere una cosa, se ci pensate, se fate i conti di anagrafe sono i giovani che oggi in qualche modo passati i trent’anni sono la classe dirigente di questo paese. Perché nel ’71-’72 i giovani con cui Pasolini se la prende sono i 40-50enni di oggi.
INFER(N)I – altri Inferni – non solo Dante – La navigazione di San Brandano
Si tratta di un testo precedente alla elaborazione che ne ha fatto Dante, che certamente era da lui conosciuto. E’ un’opera anonima scritta in latino e tramandata in manoscritti a partire dal X secolo. Vi si narra di un viaggio condotto da un frate benedettino irlandese che decide di intraprenderlo insieme ad un gruppo di altri monaci alla ricerca del Paradiso terrestre che si immaginava poter essere situato su un’isola Riporto qui un brano dell’opera nella traduzione di Giuseppe Bonghi…..
Di Unknown mediaeval scribe. – University of Applied Sciences, Augsburg, Germany (image), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1603556
“Padre, sali sulla nave e navighiamo sul mare ad occidente verso l’isola che è chiamata terra promessa dei Santi che Dio sta per dare ai nostri successori in un futuro molto prossimo”. Salimmo a bordo e mentre navigavamo una fitta nebbia ci coprì tanto che appena potevamo scorgere la poppa o la prora della navicella. Trascorso lo spazio di quasi un’ora ci avvolse una grande luce e apparve una terra spaziosa, verdeggiante e ricca di frutti. Fermata la nave, raggiungemmo la terra e cominciammo a percorrere l’isola per 15 giorni, come credemmo e non potemmo trovarne l’estremo confine. Non vedemmo nessun’erba senza fiori e nessun albero senza frutti. Ed anche le pietre sono preziose per loro natura. Inoltre al quindicesimo giorno scoprimmo un fiume che scorreva da Oriente verso Occidente. Considerando tutte queste cose, fummo assaliti dal dubbio su cosa dovessimo fare. Preferimmo attraversare il fiume. Ma aspettammo il consiglio di Dio. Avendo ragionato di queste cose fra di noi, all’improvviso apparve un uomo di grande splendore davanti a noi. E lui subito ci chiamò coi nostri nomi e ci salutò dicendo: “Evviva, buoni fratelli. Il Signore veramente vi ha rivelato questa terra che sta per dare ai suoi santi.
È infatti la metà di quest’isola fino a questo fiume. (Non vi è lecito proseguire) oltre. Ritornate dunque d’onde siete venuti”. Dopo aver detto queste cose, (subito gli chiesi di dove fosse) e con qual nome si chiamasse. E lui disse: Perché mi chiedi di dove sono e qual è il mio nome? Perché non mi chiedi di quest’isola? Così come la vedi è rimasta dall’inizio del mondo. Manchi di cibo o di acqua o di vestimenti? (un anno infatti) sei vissuto in quest’isola e non ti è mancato cibo o acqua. Mai fosti oppresso dal sonno né la notte ti ha mai avvolto. Infatti c’è sempre il giorno senza mai la cecità (qui delle tenebre. Il Signore nostro Gesù Cristo) stesso è la Luce di questo luogo. Senza indugio intraprendemmo il viaggio e quell’uomo (con noi arrivò fino alla zona caliginosa) (all’isola deliziosa). E quando i fratelli ci videro esultarono con grande gioia per il nostro arrivo e si lamentavano per la nostra così lunga assenza dicendo: “Perché padri avete lasciato (senza pastore le vostre pecorelle) erranti in questa selva? Sappiamo che il nostro abate spesso s’allontana da noi per rifugiarsi in qualche grotta a noi sconosciuta, talvolta per un mese, talaltra per una o due settimane o più o meno”. Appena udite queste cose, cominciai a confortarli dicendo loro: “Fratelli, non (pensate se non a cose buone. Il vostro soggiorno senza dubbio avviene davanti alla porta del Paradiso. Qui vicino si trova l’isola chiamata Terra della Promessa di Redenzione dei Santi), ove né la notte incombe né il giorno finisce mai. E là si porta spesso il nostro abate Mernocato. (Infatti un Angelo del Signore) la (custodisce). Non riconoscete nell’odore dei nostri vestimenti che siamo stati nel Paradiso di Dio?” Allora i frati risposero dicendo: “Abate, sappiamo che siete stato nel Paradiso di Dio al di là del mare, ma ignoriamo dove si trovi questo Paradiso. Infatti spesso abbiamo sentito la fraganza odorosa dei vostri vestiti nei quaranta giorni seguiti al vostro ritorno.” “Laggiù, in verità, sono rimasto due settimane con il mio figliolo senza cibo né acqua. Là abbiamo ricevuto tanto cibo per la sazietà del corpo che agli altri sembravamo ripieni di mosto. Ma dopo quaranta giorni, ricevuta la benedizione dei fratelli e dell’abate, sono ritornato con i fratelli per portarmi alla mia cella alla quale ci sarò nuovamente domani.”
27 settembre – una serie di nuovi post – ASCOLTO – Riflessioni “quasi in diretta” – Un viatico per proseguire il cammino fuori dalla pandemìa – 9 (pragmatismo da salotto parte 1)
In questi ultimi mesi ho avuto modo di accedere ad una serie
di documenti inerenti ad alcune attività da me (e non solo) svolte sul
territorio in cui sono rimasto, quello di Prato e di San Paolo nei primi anni
di questo secolo. Ed in una serie di miei post li vado pubblicando affinchè
possano essere conosciuti (la loro importanza è minima per la Grande Storia ma
non per la “piccola” storia interlocale.
Accade – credo normalmente – che le generazioni che seguono
le nostre non sappiano quel che è accaduto, ciò che è stato fatto di buono o
commesso di meno buono. Devo ovviamente ringraziare il compagno ed amico Marzio
che ne ha conservati tanti, li ha incasellati in una serie di file, di
cartelle; da parte mia ho molti materiali cartacei (la differenza generazionale
tra me e Marzio si nota anche in queste cose) che confrontati con quelli
digitali ci consentono di rappresentare alle nuove generazioni, che abbiano la
voglia e la forza di attingere ad essi, un quadro storico sociologico ed
antropologico di una porzione di territorio che pur essendo limitrofo al centro
della città appare esserne la periferia negletta.
Se a qualcuno venisse in mente che questa affermazione che
ho appena fatto sia ingenerosa e bugiarda, suggerirei di approfondire le
questioni urbanistiche che le Amministrazioni di Sinistra, di Destra e poi
ancora di Sinistra hanno interpretato come un riconoscimento tardivo dei
bisogni che ha finito per essere incomprensibile ed incompreso dalla
popolazione reale (con ciò intendo non quei piccoli gruppuscoli di potere che
si muovono nell’approssimarsi delle competizioni elettorali, ma tutto il resto
della “massa” civica). I loro interventi potrebbero apparire molto simili alle
elargizioni che la borghesia ricca cattolica promuove per liberarsi dalla
cattiva coscienza, se non ci fossero dietro anche macroscopici interessi
finanziari e immobiliari: vogliono farti subire una valanga di cemento dandoti
in cambio qualche giardino, qualche via, qualche fasullo “centro commerciale a
km zero riservato di fatto a pochi eletti” o qualche anglicizzata nuova sede
bibliotecaria multiculturale o ancora qualche spazio riservato ad elite che
vengono da fuori e tornano fuori, senza lasciare nulla – soprattutto come
crescita culturale – al territorio.
Ecco, dunque, uno degli esempi negativi di pragmatismo da salotto da combattere perché fortemente deleterio e spiegherò meglio il perché anche se ai più avveduti potrebbe essere già ben chiaro. Su questo tema, molto affine a quel che abbiamo fatto in quei primi anni del nuovo secolo, tornerò a scrivere, proponendomi di cooperare a realizzare subito dopo – o nel mentre stesso – quel che dalle sedie e comode poltrone elaboriamo a chiacchiere.
COVID 19 – parte 4. Memoria corta e persistente amnesia COVID 19 – parte 5 – un
po’ di luce sulle questioni della SCUOLA
Circa un’ora fa sono transitato davanti
ad una sede di Scuole elementari della città dove vivo. Per la cronaca, ora
sono circa le 17.15 del 7 gennaio 2021. C’era un assembramento “motivato”
dall’uscita dei bambini che frequentano il “tempo pieno”. Avevo annunciato che
avrei parlato di “Scuola” e lo farò ancora una volta, senza peli sulla lingua e
disponibile a farmi considerare un impenitente cocciuto.
Il titolino che ho postato serve anche a
me stesso come promemoria, perché ritengo che sia una patologia comune di noi
tutti una “memoria corta” ed un’ ”amnesia persistente”. Un brutto difetto che
ci fa dimenticare rapidamente anche momenti bui della nostra Storia che vengono
superati allegramente: ne è prova drammatica il sorprendersi nella ripresa di
temi come quelli della “stagione delle stragi” o di “Mani pulite”. Ma,
vivaddio, sono momenti lontani, perlomeno lo sono per un paio di generazioni:
avverto i “critici costanti” di non considerarmi un fautore dei “colpi di
spugna”. Anzi! Dico che sono “momenti lontani” semplicemente perché qualche
lieve amnesia ci può anche stare! E, qui, se avessi un emoticon, inserirei una
strizzatina d’occhi per evidenziare una sorta di complicità.
Ma è ben diversa la realtà di cui
andiamo trattando: qui si tratta di tempi molto vicini anche fisicamente a noi.
Le scuole, gli edifici scolastici fatti di ambienti strutturali (atri, aule,
corridoi, luoghi comuni: bagni, spogliatoi delle palestre, uffici in genere)
erano in gran parte inadeguati ad affrontare una situazione sanitaria
problematica. E lo sono ancora, a prescindere dalla straordinaria buona
volontà di tutto il personale scolastico. La si smetta di mandare in onda
riprese televisive “solo” di scuole con spazi
ampi.
Ricordiamolo: nel corso dei tempi a noi molto vicini ma prima dell’inizio del
2020 non erano infrequenti servizi giornalistici televisivi intorno allo
sfascio dell’edilizia scolastica in varie parti del nostro Paese. Anche nella
città dove vivo che ha tuttavia una situazione che potrebbe apparire
oggettivamente rosea ci sono molte scuole che sono state insediate in ambienti
non del tutto adatti, e dove in ogni caso le presenze erano più numerose al di
là degli spazi disponibili. Fino all’avvio dell’anno scolastico 2019/20 si è
lottato per avere maggiori spazi ed in gran parte sono stati reperiti; ma non
sono ugualmente adatti a garantire la sicurezza necessaria a fronteggiare la
pandemìa. Ci si consola esclusivamente basandosi su sondaggi che attesterebbero
la scarsa probabilità di contagi nelle fasce dei giovanissimi. A dirla meglio,
“tra i giovanissimi”! perchè non è mica chiaro del tutto se siano asintomatici
ma contagiosi. Ma questa, da parte di un totale insesperto di “medicina”, è
solo un’indebita “illazione”.
D’altra parte, comprendo pienamente
tutte le preoccupazioni genitoriali; sarebbe stato molto bello per tutti che
questa “disgrazia” collettiva non ci capitasse. Purtroppo dobbiamo “tutti” –
chi più chi meno, chi in una modalità chi in un’altra – farci i conti. Ma di
certo non si può scaricare tante delle responsabilità “politiche ed amministrative”
su chi opera e rischia di persona in quegli ambienti. C’è – tornando al
tema dell’ “amnesia” – da sperare che chi abbia sbagliato fino a “ieri” (2019)
sia in grado di riconoscerlo e si attrezzi a rendere quegli ambienti
maggiormente adatti allo sviluppo cognitivo sociale e culturale delle giovani
generazioni. La si smetta di piangere come “coccodrilli” pentiti solo
ipocritamente e ci si attivi con progetti che recuperino “spazi” ampi per la
fruizione delle culture e delle conoscenze.
Allo stesso tempo, non riesco a
condividere la posizione di chi si ostina a porsi unilateralmente a sostegno di
una richiesta di “ritorno alla normalità”, come se nulla di serio e grave fosse
accaduto – e continua ad essere incombente – nel nostro Mondo. Mi riferisco a
quei “gruppuscoli” di studenti, che ad ogni modo non mi sembrano per nulla
“dilettanti del web” ma piuttosto aristocratici ideologici (laddove le
motivazioni si contrappongono alle, pur timide ed insufficienti, scelte
governative). Per fortuna, oggi (8 gennaio ore 14.30 circa) su Rai Tre è
riuscita ad essere intervistata pur fugacemente, e quasi emarginata come una
vana appendice, una docente che ha espresso un’opinione che non è per nulla
marginale, essendo stata rappresentata da una maggioranza percentualmente
qualificatissima di docenti in una ricerca proposta da INAPP, che non è un Ente
privato sostenuto da figure poco qualificate ma un “Ente pubblico di
ricerca” vigilato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; è la
trasformazione dell’ISFOL, l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione
Professionale dei Lavoratori, nato nel 1973 con il compito di offrire un
sostegno tecnico e metodologico al Governo e alle Regioni nel campo della
formazione professionale”(il virgolettato è riferito a quel che dichiara sul
sito ufficiale dell’Ente il presidente prof. Stefano Sacchi).
Secondo la ricerca collegata al policy
brief “La scuola in transizione: la prospettiva del corpo docente in tempo di
Covid-19” promosso dall’Ente “PER IL 70% DEI DOCENTI INTERVISTATI LA SCUOLA VA
TENUTA CHIUSA FINO A TERMINE EMERGENZA SANITARIA”.
Ovviamente, quello che è il “mio”
allarme appartiene ad un singolo docente in pensione, che ha sviluppato una
modesta attenzione verso le problematiche politiche nel corso della sua
esistenza. Parlo per me, dunque, ma non posso non condividere molte delle
posizioni espresse dalla maggioranza dei docenti intervistati.
Per poter essere maggiormente incisivo
vi riporto il Comunicato Stampa dell’Ente a proposito di questo sondaggio. Il
documento è firmato dal Portavoce del Presidente INAPP. Tralascio nome e
cognome – numero telefonico e recapito mail che potete tuttavia trovare
digitando
I risultati del policy brief “La scuola
in transizione: la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19”
SCUOLA, INAPP: “PER IL 70% DEI DOCENTI
INTERVISTATI VA TENUTA CHIUSA FINO A TERMINE EMERGENZA SANITARIA”
Promossa la didattica a distanza anche
se è necessario uno standard unico e serve più formazione per il nostro corpo
docente che resta quello con la maggior presenza di over 50 fra i paesi OCSE
FADDA: “LA DAD E’ SERVITA A SALVARE
L’ISTRUZIONE PERCHE’ TUTTI, DOCENTI E STUDENTI, HANNO REMATO NELLA STESSA
DIREZIONE, MA SONO EMERSE ANCHE TANTE CRITICITA’: DALLA CARENZA DEGLI ORGANICI
ALLE DEBOLI COMPETENZE DEGLI INSEGNANTI”
Roma, 6 gennaio 2021 – Le scuole e le
Università si devono tenere chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata per il
70,4% dei docenti ciò che è necessario è avere uno standard unico per la
Didattica a distanza (lo sostengono l’82,4% degli insegnanti) con relativa formazione
specifica ai docenti per oltre il 90%. Sono questi alcuni dati che emergono dal
Policy brief dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche
“La scuola in transizione la prospettiva del corpo docente in tempo di
Covid-19”. L’indagine, a cui hanno partecipato oltre 800 docenti, ha riguardato
gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado (asili nido, scuole
dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di I e II grado) e Università
e corsi AFAM, pubbliche, private e paritarie, in servizio al momento della
chiusura delle Scuole e delle Università, e si inserisce all’interno dello
studio più ampio “Il lavoro di uomini e donne in tempo di Covid: una
prospettiva di genere” curato dall’INAPP.
“Dalla nostra indagine emerge che il corpo
docente promuove la didattica a distanza come una giusta soluzione per
fronteggiare il problema della pandemia – ha spiegato il presidente dell’INAPP,
prof. Sebastiano Fadda – al punto che 2 insegnati su 3 pensano che sia giusto
tenere chiuse le scuole fino a quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata. In
pratica il sistema dell’istruzione, trovandosi nella burrasca del mare aperto
dell’emergenza sanitaria, ha utilizzato la “scialuppa” della didattica a
distanza per rientrare in un porto sicuro con tutto il proprio carico di
lavoratori e studenti. Aver remato nella stessa direzione, docenti e studenti,
è servito a salvare il ciclo di studi ma è chiaro che sono emersi allo stesso
tempo molteplici problemi come gli organici insufficienti, l’inadeguata dotazione
strumentale, la scarsa padronanza dell’utilizzo dell’ICT da parte del nostro
corpo docente, un corpo docente con la maggior presenza di over 50 fra i paesi
OCSE (il 59% degli insegnanti dalla scuola primaria alla secondaria di II grado
ha più di 50 anni )e con la percentuale più bassa di insegnanti con età
compresa fra i 25 e i 34 anni (0,5%). Nonostante questo, il corpo docente ha
espresso la volontà di continuare ad utilizzare le tecnologie ICT anche quando,
si spera presto, la pandemia sarà sconfitta”.
Dall’indagine INAPP emerge in
particolare come sul versante tecnologico i docenti hanno confermato “le
difficoltà di connessione causate da una rete Internet inadeguata anche in
conseguenza della condivisione della banda con conviventi che contemporaneamente
hanno avuto l’esigenza di lavorare da remoto o seguire le lezioni online. Il
40,7% dei rispondenti ha dichiarato di convivere con una persona che aveva
necessità di telelavorare e il 32,5% di convivere con uno studente in didattica
a distanza. La percentuale è del 20,3% se le persone in telelavoro sono più di
una, e del 35,3% se gli studenti sono più di uno”.
“La carenza tecnologica – si legge nel
report – ha probabilmente contribuito a elevare i fattori di stress dei
docenti, che in DAD è stimato significativamente accresciuto rispetto al lavoro
tradizionale anche in una situazione non compromessa dal punto di vista della
connessione alla rete internet. La necessità di avere una connessione stabile
per portare a termine efficacemente le attività di didattica online ha
incoraggiato molti docenti ad attivare nuove tipologie di accesso alla rete più
performanti, tuttavia, il 12% degli insegnanti rispondenti affermano che la
connessione casalinga non è stata sufficiente per gestire la didattica online”.
Sei d’accordo con le seguenti
affermazioni? (v. % di sì) AFFERMAZIONI SI
Le
Scuole/Università si devono tenere chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata
70,4
Gli studenti devono svolgere attività di
recupero estive 30,2
Occorre
uno Standard unico o Linee Guida per la DaD 82,4
Occorre
una Formazione specifica ai docenti sulla DaD 91,2
La DaD
ha svecchiato la didattica e accorciato il digital divide nel corpo docente
58,5
I miei studenti sono stati più solidali
e collaborativi fra loro e più responsivi e solleciti con me con questa
metodologia 32,1
Con la
DaD alcuni miei studenti più isolati o taciturni o poco motivati si sono
rivelati più partecipativi e coinvolti 52,2
Vorrei continuare a usare la tecnologia
per attività come i colloqui con studenti; colloqui con genitori; consigli di
classe; ecc 46,5
Vorrei
continuare a usare la tecnologia anche nella didattica in presenza 73,6
Altro tema affrontato è la variazione
del carico di lavoro in DAD rispetto alla didattica tradizionale. Il corpo
docente esprime un giudizio polarizzato a seconda del grado scolastico: carico
diminuito per chi lavora nei nidi, invariato per chi lavoro nel terzo ciclo
dell’istruzione, è aumentato per chi lavora negli altri ordini di scuola.
“Verosimilmente gli educatori e le educatrici dei nidi dell’infanzia – si legge
nello studio – hanno beneficiato, nel periodo di sospensione della frequenza
scolastica, di una ridotta richiesta di interazione con la propria utenza a
causa della loro giovanissima età, mentre i docenti universitari, presumibilmente,
hanno potuto contare sull’elevato grado di autonomia dei loro studenti che ha
condizionato il loro carico di lavoro in maniera limitata”.
Se si vanno a focalizzare gli ambiti in
cui l’incremento del carico di lavoro è stato maggiormente avvertito dal corpo
docente, si osserverà che gli insegnanti del primo ciclo scolastico – la scuola
primaria e la scuola secondaria di I grado – sono coloro che hanno maggiormente
risentito di questo passaggio per un combinato disposto: la limitata autonomia
dei loro allievi e la necessità di efficacia nella didattica. Gli insegnanti
della secondaria di II grado, invece, se hanno sperimentato un incremento del
carico di lavoro durante la preparazione delle lezioni, questo si è attenuato
nella realizzazione delle lezioni stesse. I docenti universitari, infine, fanno
registrare una crescita del proprio carico di lavoro soprattutto per ciò che
riguarda la realizzazione degli esami (in forma orale o scritta) a causa della
necessità di garantire la privacy, la sicurezza, l’idoneità e la veridicità
delle prove.
Non si può
tuttavia continuare a rimanere marginali e soli, ma ciò non può non avere un
“costo”, da una parte e dall’altra.
Una volta
fuori dal Partito per scelta meditata non sono stato mai del tutto fermo. Mi
appartiene in modo forte l’esperienza di “Prato in Comune”, che è stato in modo
particolare il tenativo più alto di riunire quella parte della Sinistra “fuori”
dal Partito Democratico. Esperienza “fallita” ma non fallimentare, in quanto
non si è mai avuta la sensazione di aver commesso un errore. Ancora oggi credo
che la Sinistra, quella autentica, ma non dogmatica, possa avere una funzione
ed un ruolo molto importante non solo in questa città: purtroppo, però, si è
limitati soprattutto a causa della esigenza di non scendere in compromessi con
“poteri locali” e lobby varie. C’è da chiedersi a che vale la Buona Politica
fatta di molte idee buone se per poter emergere debba sporcarsi con accordi che
prefigurino una “dazione” in cambio di “concessioni” (chiamatele se
volete “bustarelle”). Ecco perché l’unica via per praticare la Buona Politica è
far crescere la partecipazione dal basso.
Quella che io
auspico venga messa in cantiere è un’Associazione contenitore. Una sorta di
struttura di “Quartiere” per ravvivare il dibattito partecipativo.
La chiamiamo “Agorà” (di San Paolo); e deve essere un luogo dove
l’individuo confluisce nella collettività. “Agorà” per me deve, anche se ci
fermiamo al “può”, essere un seme; ecco perché quel “di San Paolo” va apposto
dal momento in cui anche altrove altre “Agorà” nasceranno. Bisogna costruire
palestre della pluralità, dove poter condividere in partenza solo
“valori”.
Ribadisco che
non mi interessa lavorare “per” il Partito, la cui forma considero
“immodificabile” ed ormai “quasi sterile”. Ho già provocato reazioni quando più
di un anno fa affermai che occorreva rifondarlo (voci in tal senso di tanto in
tanto emergono dall’interno, ma sono troppo spesso una forma di
riposizionamento o poco più); non mi sento di essere duro e scorretto se dico
che c’è troppa muffa incrostata, che provoca “panne” nel motore. Manca in quel
Partito, che ho fondato più che convintamente (pochi forse tra i “giovani”
sanno che sono stato – insieme ad una compagna che è nel mio cuore, Tina
Santini, coordinatore del Comitato per il Partito Democratico), manca la
capacità di ascoltare al di là delle modalità ipocrite usuali, che di solito
coincidono con le campagne elettorali.
In chiusura
di questa mia riflessione confermo la stima verso Fulvio, e condivido quello
che lui ha scritto presentando la sua idea di “AGORA’”.
Come si
addice ad un “guitto”, “andiamo a principiare” puntualizzando alcuni
aspetti.
Così come è
accaduto nelle società liberticide, il pensiero critico anche in una realtà
come la nostra, “costituzionalmente” democratica, prima di essere del tutto
ridotto al silenzio, in modo ipocrita viene emarginato, sottovalutato, deriso.
I portatori della verità consolidata cominciano con l’affermare che “non
condividi quasi o del tutto più nulla della linea del gruppo”; poi lentamente
ci si allontana fino a quando le distanze, pur se sempre brevi dal punto di
vista fisico, appaiono siderali.
E’ pur vero
che per quanto mi riguarda avevo in mente un Partito come un luogo nel quale
costruire progetti di speranze, utili a sopperire alle naturali mancanze di una
società sempre meno generosa, sempre più tendente all’individualismo di persona
o di piccolo gruppo (la famiglia, il clan, la lobby). Fino a qualche anno fa
esistevano dei “luoghi” dove poter partecipare senza dover necessariamente
essere invitato o essere “parte” di un gruppo precostituito. Questi erano “le
Circoscrizioni” e, prima di queste, i Quartieri. Nei secondi la partecipazione
era più diretta e meno viziata da interessi di leadership e quindi c’era una
maggiore libertà. I primi apparivano consessi comunali in miniatura e costavano
molto di più dal punto di vista dei “bilanci”; era un elemento che tuttavia
consentiva di “far parte” di una visione complessiva della Città inserendo però
elementi che fossero caratterizzanti dei territori periferici. Per quel che mi
consta, sul piano “culturale” ciò consentiva di creare degli stimoli
consentendo alla Città nella sua complessità di non avere una visione
accentrata ma policentrica e proiettata verso i margini.
Una delle
motivazioni più forti per procedere verso la chiusura di quella esperienza è
stata quella “economica”. Ma non c’è alcun dubbio che la decisione è stata
presa proprio per limitare quella pratica di partecipazione e di libertà che
veniva attuata sui territori. “Lentamente” si è condotta quella esperienza alla
consunzione e la realtà palese denuncia i contorni del misfatto: sui territori
già ben prima della pandemìa non vi erano più luoghi deputati alla discussione
reale, concreta.
Non ho mai
fatto mancare la mia voce, pur limitata ad un Blog; in questi anni alcuni di
voi mi chiedevano di riprendere a camminare “insieme”. Ma non c’erano le
condizioni per poterlo fare, nell’avvertenza che anche un piccolo contributo
potesse essere utile a modificare pur con piccoli passi quegli aspetti
considerati da me critici e tassativi, in primo luogo il riconoscimento della
giustezza delle motivazioni che mi hanno visto allontanare.
Queste
condizioni non sussistono ancora e probabilmente non ci sarà mai tale
riconoscimento; ma la realtà emersa da questi mesi di chiusure forzate nonchè
l’età che avanza mi spingono ad accelerare nell’auspicio di poter essere
utile per un gruppo di giovani, che parta dalla consapevolezza critica della
nostra (quella del Circolo Sezione Nuova San Paolo) esperienza con “altri”
giovani negli anni scorsi. La ferita che non si rimargina è dovuta anche
a loro che hanno tradito le nostre speranze segnatamente perchè attratti
soprattutto da un’ascesa ad un Potere locale, per raggiungere il quale hanno
scelto di sostenere una parte del Partito che – garantendo loro una
collocazione sicura – si allontanava nella pratica politica da quei percorsi
partecipativi messi in piedi in tante occasioni proprio qui a San Paolo (Trame
di quartiere, Luoghi Ideali, Palestra delle Idee, Politicsblog).
una serie di nuovi post – ASCOLTO – Riflessioni “quasi in diretta” – Un viatico per proseguire il cammino fuori dalla pandemìa – 6 (extra parte 2)
…prosegue la trascrizione del documento redatto da Fulvio….
Modalità
Come poter fare questo dobbiamo deciderlo insieme. Il nome Agorà
suggerisce proprio il senso di quel che vogliamo creare: un luogo fisico e
virtuale in cui ciascuno possa portare il proprio contributo, avendo lo stesso
spazio e la stessa dignità degli altri.
Inoltre sarebbe interessante, in un secondo momento, creare dei
tavoli di lavoro e discussione in cui magari prendersi a cuore diversi
argomenti. Pensiamo ad un tavolo sul lavoro, uno sulla sanità, uno sul
commercio, uno sulle attività sociali, ecc.
In questo modo si può sia proporre attività sia interrogarsi sul
futuro, proponendo alle varie amministrazioni idee ma anche già lavorando in
autonomia sul quel che si può fare.
Questo
infatti deve essere uno spazio laico, nel quale ciascuno abbia la possibilità
di esprimersi e costruire con gli altri progetti e iniziative.
Obiettivi
L’obiettivo,
nemmeno troppo celato, è quello di cercare di rispondere alle difficoltà del
territorio e di ricreare uno spirito civico e comunitario sul quartiere,
semplicemente mettendo insieme le risorse che il nostro territorio ha al suo
interno. Non dobbiamo avere paura di confrontarci insieme, né dobbiamo
aspettare che qualcun altro si occupi delle nostre questioni: facciamo quel che
possiamo fare, proponiamo ciò che non possiamo fare da soli, occupiamoci l’uno
dell’altro.
Infatti la finalità più alta è
quella di lavorare insieme per il bene comune, mettendo ognuno a disposizione
ciò che ha, in modo da rispondere alle difficoltà di tutti e migliorare la vita
di ciascuno.
Se le
difficoltà del singolo diventano le difficoltà della comunità, queste si
assottigliano e se gli obiettivi dei singoli diventano comuni, questi si
raggiungono più facilmente. Per questo non possiamo più isolarci ma è
necessario unirci.
Conclusioni
Speriamo
quindi di iniziare presto questo lavoro che permetterebbe davvero di fare un
salto di qualità al nostro quartiere e alla nostra comunità. Se aderirete a
questa Agorà, a questa piazza, verrete chiamati a partecipare ad un primo
incontro che ci permetterà di iniziare davvero a costruire il quartiere del
futuro.
Ricostruiamo San Paolo!
Qui termina il documento scritto da Fulvio e di seguito il mio commento “a caldo”
Quel che scrivo è il “mio” pensiero; so tuttavia che molti dei passaggi che qui sotto si snodano sono stati condivisi con altri compagni; a loro riservo lo spazio per consentire o dissentire –
Chiamare questo nuovo progetto “Agorà” è un’ottima maniera per riprendere a discutere. Tra l’altro mi viene alla mente che la “piazza” greca era anche il luogo delle “memorie” e questo ultimo “tempo sospeso” ci ha privato di alcuni compagni ed amici che propongo di ricordare con delle iniziative “ad hoc”
una serie di nuovi post – ASCOLTO – Riflessioni “quasi in diretta” – Un viatico per proseguire il cammino fuori dalla pandemìa – 5 (extra parte 1)
Il Blog che curo quotidianamente potrà essere utile a chi vorrà capire quel che accadeva tra la fine del secolo scorso e i primi decenni di questo (posso utilizzare il presente senza supporre che io preveda una mia eternazione, visto che siamo agli inizi del terzo decennio). Nelle ultime mie sortite ho trattato del tema dell’ “Ascolto” e intendo, con questa odierna, proseguire a parlarne. Proseguendo nella elaborazione del progetto di un un nuovo organismo associativo che si preoccupi di contribuire a migliorare le condizioni della cittadinanza territoriale, abbiamo dato vita ad una riunione nella quale presentare ai partecipanti di un minigruppo acceso sul social whatsapp una prima bozza di “Carta di intenti”. La riunione che si è svolta giovedì 16 settembre ha avuto una funzione ricognitiva, di “Ascolto”. Ed indubbiamente è servita a comprendere che non fosse del tutto chiaro ad alcuni che il processo elaborativo “di vertice” era in corso dallo scorso maggio ed era stato definito con un documento, redatto da Fulvio Barni e datato 31 maggio, il cui testo qui di seguito riporto nella sua prima parte (le altre parti, ivi comprese le mie argomentazioni dl 3 giugno). Il titolo era “L’Agorà di San Paolo” e negli obiettivi riportava gli esiti del dibattito che era stato intenso nelle precedenti settimane.
Premesse
Negli ultimi mesi la nostra comunità ha subito, come tutto il
pianeta, la catastrofe pandemica. Questo ha portato inevitabilmente ad uno
sgretolamento dei rapporti tra le varie associazioni e attività presenti sul
quartiere e, dopo un iniziale moto di solidarietà, ad un rifugiarsi
nell’individualismo, quasi a protezione di quel poco che ad ognuno di noi era
rimasto.
Purtroppo le difficoltà economiche si sono ampliate: le richieste
alle parrocchie sono aumentate; i circoli, che in una prima fase hanno
rappresentato il luogo della solidarietà, sono stati poi chiusi a loro volta;
le piccole attività di quartiere si sono trovate in estrema difficoltà a causa delle
chiusure.
Adesso è necessario recuperare quindi il senso dello stare
insieme, di essere comunità, di non lasciarci prendere dal naturale moto verso
la protezione individuale ma di alzare la testa verso il bene collettivo che è
anche, consequenzialmente, personale.
Proposta
Quindi, cosa fare? Questa è la domanda che ci stiamo ponendo da
diverso tempo. Infatti il nostro quartiere soffre già da tempo il morbo dell’individualismo
che ormai si è talmente radicato in noi che pure chi pensa al bene comune tende
a rimanere infilato nelle reti del far per conto proprio.
Allo stesso tempo però nel nostro quartiere ci sono delle realtà e
delle esperienze importanti: circoli, parrocchie, sindacati, associazioni di
volontariato, associazioni di commercianti e cittadini, associazioni del terzo
settore, realtà sportive e scolastiche, aziende.
La proposta è quella di unire queste realtà in modo da inserirle
in un dialogo permanente, assieme anche a tutti i cittadini che abbiano a cuore
il bene comune, per cercare di migliorare il nostro quartiere non solo dal
punto di vista infrastrutturale ma soprattutto sociale, culturale, economico ed
ecologico.
Dobbiamo
creare un incontro, che passi pure da un sano scontro, per poter pensare al
quartiere che vogliamo e iniziare ad agire, per quanto si può fare, senza
aspettare che dall’alto ci cada qualcosa ma costruendo assieme la San Paolo del
futuro.
I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 28 (per la parte 27 vedi 9 settembre)
Strutture obsolete e classi pollaio sono soltanto due dei termini che, in negativo, caratterizzano la politica scolastica del nostro Paese – chi scrive ha ormai da tempo i capelli (pochi) bianchi e anche per questo motivo, essendo stato docente e genitore, dopo essere stato studente, sa bene che, quel che ad alcuni tra i fruitori del servizio scolastico di questi giorni sembra essere il frutto di non scelte contingenti, è responsabilità di una classe politica ed amministrativa vecchia ed incapace di produrre scelte giuste anche se coraggiose, coraggiose e giuste. Questi post, insieme a tante altre mie riflessioni che partono dall’oggi e riguardano le attuali esigenze, potrebbero essere utili a capire come gli errori – le inadempienze – di un tempo stanno ricadendo su queste attuali generazioni.
…parte 28…. prosegue e si conclude l’intervento del consigliere Giuseppe Maddaluno durante la riunione delle Commissioni consiliari comunali e provinciali di Prato, il 18.12.2008:
..”In definitiva, aggiunge, mancano proprio quei mille metri quadri dei quali lui stesso aveva lamentato la carenza, per cui la scuola subirebbe una forte penalizzazione con conseguente riduzione della sua offerta formativa. Conclude avvertendo che non bisogna perseverare nel voler commettere questi errori madornali ad ogni costo, errori che verranno politicamente pagati, e chiede che su queste questioni si apra un ampio dibattito nei consigli comunale e provinciale.”
A questo punto interviene il consigliere comunale Marco Monzali (Verdi) il quale “Premette di aver sentito ventilare, in questa vicenda, una ipotesi di abdicazione della politica rispetto alla tecnica che non condivide. Far politica significa, a suo avviso, stabilire delle scale di priorità dalle quali far discendere le decisioni pratiche. Dice di essersi formata una opinione, sulla base delle varie voci ascoltate, senza preconcetti. Considera che almeno due sono gli elementi sui quali non ci sono obiezioni: il problema di dare una sede al Copernico e un principio di buona amministrazione che impone di utilizzare al meglio il polo scolastico di via Reggiana, anche se trova convincente l’argomentazione di non accostare, per questioni urbanistiche e di traffico, due istituti simili. Ricorda che, in merito agli spostamenti, un principio di buona politica consiglierebbe di cercare una soluzione che possa contentare tutti e, a questo proposito, dice che la proposta della Provincia non è convincente proprio perché non contenta tutti. Invita tutte le parti a non arroccarsi sulle posizioni acquisite finora e a prendere un breve tempo di riflessione, approfittando per fare un ragionamento complessivo complessivo sulla politica scolastica cittadina. Il cuore del problema, a suo avviso, è quello di scegliere se mantenere il Dagomari nella sua sede storica o se consentire il sovradimensionamento del Copernico. Invita a riflettere sul fatto che un Copernico ridimensionato, sempre secondo i parametri di legge, con altri Licei scientifici, consentirebbe a questo istituto di entrare nella sede del Gramsci, senza spostare il Dagomari. Invita a voler riflettere sulla proposta e si dichiara d’accordo nel sollecitare un dibattito consiliare.
Si conclude l’intervento di Marco Monzali – escono alcuni consiglieri
….28…
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